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  La Voce 37 del (nuovo)Partito comunista italiano

I rapporti di forza nel mondo e la rivoluzione nei singoli paesi

Risposta all’inchiesta lanciata da Mukti Nepal - PNFA

Nel movimento comunista internazionale i successi riportati dalla rivoluzione democratica in Nepal, la linea che il Partito comunista del Nepal (maoista) [UCPN(m)] ha seguito dopo la tregua concordata nel 2006 con i partiti del vecchio regime, la concezione che la guida e le sue prospettive sono stati e sono oggetto di molta attenzione e discussione. Sono emerse posizioni divergenti e anche opposte. Nello stesso UCPN(m) sono in corso discussioni accese sulla linea da seguire per portare avanti la rivoluzione. Il Partito deve decidere come far fronte alle forze e classi reazionarie interne e alle potenze imperialiste e in particolare al governo dell’India che le sostengono con consiglieri, armi, soldi e manovre.

Oltre alla discussione sugli avvenimenti in corso in Nepal, nel movimento comunista internazionale vi sono posizioni diverse circa la relazione tra la rivoluzione nei singoli paesi e la rivoluzione internazionale. Alcuni partiti escludono che sia possibile instaurare il socialismo in un paese se la rivoluzione non avviene contemporaneamente in più paesi: la forza del sistema imperialista mondiale e il suo controllo unificato di tutto il mondo sarebbero tali da soffocare la rivoluzione che si sviluppasse in un singolo paese.

Infine nel movimento comunista internazionale molti partiti pensano che la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti sia impossibile prima che nei paesi oppressi abbia trionfato la rivoluzione democratica e antimperialista (questione della contraddizione principale). Da una parte molti partiti dei paesi oppressi reagiscono ancora oggi con forza alla tesi un tempo diffusa che i paesi oppressi sarebbero riusciti a liberarsi solo dopo che il movimento comunista avesse instaurato il socialismo nei paesi imperialisti. Dall’altra molti partiti comunisti dei paesi imperialisti non sanno come fare la rivoluzione nel loro paese e quindi si rimettono alla rivoluzione internazionale o alla vittoria della rivoluzione nei paesi oppressi.

Il 12 gennaio Mukti Nepal, responsabile del Progressive Nepali Forum in America, tramite http://lalsalaamcanada.blogspot.com ha lanciato a livello internazionale un’inchiesta su questi temi. Il dibattito si svolge in inglese e può essere seguito sul blog indicato e su Maoist Revolution (http://www.groups.yahoo.com/group/MAOIST_REVOLUTION).

Riportiamo qui di seguito la risposta data all’inchiesta dal Settore Relazioni Internazionali del Partito dei CARC. Essa rispecchia completamente anche la posizione del Comitato Centrale del (n)PCI.


L’inchiesta lanciata da Mukti Nepal pone domande importanti a cui tutti i comunisti e tutti i rivoluzionari devono rispondere.

In ogni paese, il partito comunista deve risolvere il problema di fare la rivoluzione (rivoluzionare il sistema di relazioni sociali, quindi mobilitare le classi oppresse a fare i conti con le classi dominanti che quel sistema tutelano con tutti i mezzi di cui dispongono, che su esso basano i loro interessi e i loro privilegi, che è conforme alla loro mentalità e alle loro tradizioni e abitudini) e deve far fronte alla politica interventista, controrivoluzionaria delle potenze e dei gruppi imperialisti (in particolare degli imperialisti USA e dei sionisti) che appoggiano in ogni paese le classi dominanti o comunque cercano di imporre in ogni paese i loro interessi, perché ogni successo della rivoluzione in un paese rafforza il movimento rivoluzionario negli altri. Oggi nessun paese è isolato dal contesto internazionale. La rivoluzione di ogni singolo paese influisce sulla rivoluzione negli altri paesi. Certo, il successo e anche solo lo sviluppo della rivoluzione socialista in un paese come gli USA, come ad un altro livello l’eliminazione del Vaticano in Italia, avrebbe una effetto internazionale molto più importante della vittoria della rivoluzione in alcuni dei paesi piccoli e con un ruolo minore nelle relazioni internazionali. Ma il successo della rivoluzione anche in un paese piccolo, oggi avrebbe una grande ripercussione internazionale proprio perché oggi il mondo è più unificato di quanto lo fosse anche solo qualche decina di anni fa. Per questo, oltre che per gli interessi diretti che hanno nel singolo paese, le potenze e i gruppi imperialisti intervengono in ogni paese.

Niente può impedire questo. Solo se non ne avranno i mezzi o saranno a priori convinti di uscirne con le ossa rotte i gruppi imperialisti non cercheranno di soffocare la rivoluzione quale che sia il paese dove si sviluppa. La rivoluzione è di fatto internazionale, anche se è condotta e deve essere condotta in ogni paese con metodi e linee specifiche per il singolo paese (e quindi da forze rivoluzionarie di quel paese, capaci di elaborarle e metterle in opera) e con i tempi propri di ogni paese.

Il mondo è per alcuni aspetti unificato: il sistema imperialista mondiale incatena ogni paese in un unico sistema commerciale, monetario e finanziario che ha proprie agenzie politiche, militari, poliziesche, commerciali, monetarie, bancarie, finanziarie e in molto settori perfino produttive (da cui embarghi, sanzioni, ecc.). Il modo di produzione mercantile e capitalista è il modo di produzione dirigente in ogni paese; ecc.

Per altri aspetti il mondo è ancora oggi diviso in quasi duecento paesi, ognuno con un suo Stato, una sua storia, una sua cultura, un suo sistema di relazioni sociali, una combinazione sua propria di classi dominanti e di classi oppresse, una sua specifica posizione e relazione con il resto del mondo.

Ogni rivoluzione quindi da una parte è internazionale e dall’altra è locale. Il partito comunista di ogni paese deve trattare entrambi gli aspetti, in relazione al proprio paese. Ogni partito comunista deve usare il patrimonio universale del movimento comunista e nel valutare condizioni ed effetti di ogni sua iniziativa deve tener conto che è protagonista e attore di un movimento mondiale, che recita una parte in un avvenimento mondiale: in altre parole deve tener conto non solo del prima (le condizioni di partenza di cui si avvale) e del dopo (gli effetti e gli sviluppi) della sua iniziativa a livello locale, nel suo paese, ma a livello internazionale. D’altra parte ogni partito comunista deve saper interpretare la sua parte particolare, capire le condizioni particolari del suo paese e far leva su di esse. Ogni partito comunista in definitiva è il solo capace di dirigere la rivoluzione nel suo paese. Se non riesce lui a trovare la strada per farla, nessun altro vi riuscirà. È sbagliato e perfino sciocco pretendere di insegnare a un partito comunista in cui non si opera, le mosse di dettaglio che deve fare. Quello che deve fare oggi, è legato a quello che farà domani e dipende da quello che ha fatto ieri. Quello che fa in un campo è legato a quello che fa in altri campi. Ogni rivoluzione è particolare; è un caso particolare della rivoluzione proletaria mondiale. Ogni mossa tattica è concreta: non dipende solo dalle particolarità che distinguono un paese dagli altri, ma dipende anche dalle condizioni concrete del momento. Il partito comunista deve combinare generale e particolare, deve combinare l’universale con il concreto.

Per risolvere questo problema ogni partito comunista dispone

1. del patrimonio scientifico del movimento comunista (la dottrina del marxismo-leninismo-maoismo),

2. dell’esperienza dei 160 anni di storia del movimento comunista che offre insegnamenti che non sono tutti già codificati nel patrimonio scientifico del movimento comunista (il marxismo-leninismo-maoismo),

3. dell’elaborazione dell’esperienza attuale, dell’analisi della situazione concreta (attuale) fatta alla luce del patrimonio scientifico del movimento comunista e col metodo materialista dialettico.

Sbagliano quelli che rifiutano di assimilare il marxismo-leninismo-maoismo e di usarlo come guida della propria azione perché 160 anni di storia hanno confermato la sua validità.

Sbagliano quelli che rifiutano di trarre insegnamenti dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, traendo pretesto dal fatto che i primi paesi socialisti sono crollati o hanno cambiato colore e comunque oggi nessuno di essi svolge il ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale svolto per un certo periodo dai primi paesi socialisti, in particolare dalla Unione Sovietica prima e dalla Repubblica Popolare Cinese poi.

Ma sbagliano anche quelli che rifiutano di analizzare la situazione attuale, di tener conto delle novità e delle eredità che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato.

Oggi le potenze imperialiste intervengono in un modo o nell’altro in tutto il mondo. Esistono contraddizioni tra le potenze e i gruppi imperialisti, ma esiste anche una Comunità Internazionale, l’aggregato di potenze imperialiste presieduto dagli USA, con proprie agenzie internazionali in vari terreni (ONU, NATO, FMI, BM, OMC, UE, BCE, G8, G20, ecc.). Inoltre gli USA da tempo svolgono anche direttamente (e tramite il loro braccio sionista), con proprie forze armate, con proprie agenzie poliziesche, spionistiche e politiche, una politica di potenza e di intervento nella maggior parte dei paesi. Restano fuori dalla loro azione di interferenza diretta solo la Repubblica Popolare Cinese e pochi altri paesi che difendono con diverso successo e in diversa misura la propria indipendenza (la Corea del Nord, il Venezuela, Cuba, ecc.).

Questo vuol dire che oggi le potenze imperialiste sono in grado di soffocare la rivoluzione in ogni paese? Assolutamente no. Non citiamo le sconfitte subite dalle potenze imperialiste in Corea, a Cuba, nel Vietnam, perché a questi esempi si obietterebbe che allora c’erano i primi paesi socialisti che agivano come base rossa della rivoluzione proletaria mondiale. Citiamo invece l’Afghanistan e l’Iraq che sono le dimostrazioni più clamorose e attuali dei limiti delle potenze imperialiste (benché le masse popolari che lottano contro gli imperialisti siano dirette da forze clericali tradizionali). Nonostante tutti i loro sforzi, gli USA e la loro Comunità Internazionale non sono riusciti a imporre la loro legge. Ma ad essi possiamo aggiungere altri paesi in cui gli USA e la loro Comunità Internazionale non riescono a imporre il loro ordine nonostante un intervento aperto: la Somalia, il Pakistan, la Palestina, il Libano, lo Yemen, molti paesi dell’Africa sahariana, la Colombia. Oggi ogni paese le cui autorità vogliono praticare e si danno i mezzi per praticare una politica indipendente, trova molti altri paesi che hanno bisogno e hanno la volontà di sottrarsi alle catene del sistema imperialista mondiale, quindi alle interferenze della Comunità Internazionale e degli USA. La crisi economica indebolisce e indebolirà sempre più gli USA e la loro Comunità Internazionale. Ogni partito comunista deve e può contare su questa evoluzione. Gli USA sono già impantanati in Afghanistan, in Iraq, in Pakistan, in Palestina e in misura minore, ma significativa in altri paesi. Hanno difficoltà a mobilitare coalizioni e perfino a reclutare truppe nel loro stesso paese. La crisi corrode le basi della potenza della borghesia imperialista USA. L’irrequietudine aumenta negli USA stessi. Prima o poi sorgerà negli USA un partito comunista capace di mettersi alla testa del malcontento di tanta parte della popolazione USA e di farne una forza politica che trasformerà il paese, con le conseguenze mondiali che è facile immaginare.

Tutti i comunisti devono favorire questo evento. Come devono favorire la rinascita del movimento comunista in tutto il mondo, ma in particolare la rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti.

Il movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso, ha preso il potere e ha creato paesi socialisti che hanno coperto un terzo della superficie della terra e hanno coinvolto direttamente quasi la metà dell’umanità. Ma non ha instaurato il socialismo in neanche un paese imperialista. Perché? Questo è il più grave problema teorico che i comunisti devono risolvere, prima di poterlo risolvere nella pratica. Lenin a suo tempo disse che in Russia era stato più facile per il partito comunista incominciare la rivoluzione e che sarebbe stato più difficile continuarla (trasformare il sistema di rapporti sociali esistente e formare l’uomo nuovo, adeguato per concezione del mondo, mentalità e personalità alla nuova fase della storia della specie umana); che nei paesi imperialisti sarebbe stato più difficile incominciarla, ma più facile poi continuarla. È stato tanto difficile, che in nessun paese imperialista il movimento comunista diretto dalla prima Internazionale Comunista (il Comintern: 1919 - 1943 ma di fatto operante fino al 1956) è riuscito a instaurare il socialismo. Lenin allora indicò come causa particolare della difficoltà che il movimento comunista incontrava ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti la forza maggiore delle classi dominanti dei paesi imperialisti (rispetto alla forza delle classi dominanti della Russia e dei paesi oppressi dall’imperialismo), consistente soprattutto nella possibilità di elargire privilegi e concessioni alla classe operaia del proprio paese e in particolare ai dirigenti del movimento operaio (all’aristocrazia operaia) grazie allo sfruttamento dei popoli coloniali e semicoloniali.

I compagni pigri (i dogmatici) e i superficiali si accontentano ancora oggi di questa spiegazione. Ripetono che nei paesi imperialisti non si farà la rivoluzione (fin quando essa non sarà compiuta in una larga parte dei paesi oppressi) perché la borghesia imperialista può elargire concessioni e privilegi ai dirigenti del movimento operaio e a una parte almeno della stessa classe operaia, grazie allo sfruttamento delle neocolonie. Eppure basta considerare la storia che abbiamo alle spalle per capire che quella spiegazione non spiega l’incapacità dei partiti comunisti a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.

La teoria di Lenin spiegava perché i partiti comunisti (che allora si chiamavano socialdemocratici o socialisti) arrivarono impreparati alla prima Guerra Mondiale e non furono in grado, la maggioranza dei dirigenti di gran parte di essi non ebbe neanche la volontà di approfittare della situazione rivoluzionaria generata dalla Guerra Mondiale. Ma dopo il periodo preparatorio della prima Guerra Mondiale, la classe operaia e le masse popolari dei paesi imperialisti, in particolare dell’Europa, ma in modi e a livelli diversi anche del Giappone e degli USA, hanno vissuto le sofferenze e le traversie della Guerra stessa, della grande crisi, del fascismo, della seconda Guerra Mondiale. Milioni e milioni di proletari e di contadini hanno vissuto la miseria più nera e molti hanno affrontato emigrazione, disoccupazione, distruzioni e morte. In quasi tutti i paesi imperialisti l’Internazionale Comunista creò partiti comunisti che guidarono grandi masse di uomini e di donne a compiere su larga scala movimenti e imprese eroiche lungo la prima parte del secolo scorso. L’Italia è uno di questi paesi. Quindi parliamo di cose che conosciamo da vicino. Eppure in nessun paese imperialista il movimento comunista arrivò a instaurare il socialismo. I dogmatici e i superficiali ripetono la spiegazione di Lenin. A loro l’esperienza che abbiamo indicato non insegna nulla.

Il nuovo Partito comunista italiano (nPCI) non si è accontentato di ripetere le parole di Lenin. È andato a cercare la verità nell’esperienza, per tirarne la linea che deve seguire per instaurare il socialismo in Italia, paese dove instaurare il socialismo è particolarmente difficile perché è la sede del Papato, la sola delle potenze europee che Marx ed Engels nominano in apertura del Manifesto del 1848 che ancora sopravvive e anzi ha esteso il suo raggio di attività ben oltre l’Europa, a gran parte del mondo. In questa ricerca si è avvalso della scienza del movimento comunista, in particolare del maoismo.

I partiti comunisti non riuscirono a guidare la classe operaia e le masse popolari a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti perché non svilupparono a sufficienza la comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe proprio nei paesi in cui il capitalismo era più avanzato, nei paesi imperialisti. I comunisti, aveva già insegnato Marx (Manifesto del 1848), tra tutti i rivoluzionari proletari si distinguono perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti. Nessun eroismo, né dei dirigenti né delle masse, può sopperire alla mancanza di un livello adeguato di comprensione della realtà che vogliamo trasformare, delle sue componenti e delle leggi del suo sviluppo: in ogni campo, per compiere un’opera, oltre alla buona volontà di farla, occorre conoscere condizioni, leggi e regole del mestiere.

Ora siamo entrati nella fase terminale di una nuova crisi generale del capitalismo. Essa sconvolge tutto il mondo, i paesi imperialisti almeno quanto gli altri paesi. La borghesia imperialista prepara armi ogni giorno più sofisticate, con la stessa forza maniacale con cui accumula in quantità mai viste, inimmaginabili, soldi nelle sue banche e istituzioni finanziarie. Mentre il suo potere viene giorno dopo giorno minato proprio in ogni paese imperialista dalla crisi cui non sa porre rimedio e dalle masse popolari sempre più insofferenti del corso delle cose. Noi possiamo fare la rivoluzione socialista e instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.

La guerra che eroicamente sostengono le masse popolari dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Palestina, del Libano e di altri paesi arabi e musulmani ci offre un grande aiuto perché impantana le potenze imperialiste e mostra la loro debolezza militare e politica. Le rivoluzioni in corso nei paesi oppressi, dal Nepal al Venezuela, dalle Filippine all’India aiutano molto la rivoluzione nei paesi imperialisti e ancora più l’aiuteranno quando i partiti che le guidano faranno quello che non possono fare le forze clericali tradizionali che guidano le eroiche guerre dei paesi arabi e musulmani: porteranno nel movimento comunista mondiale la lotta contro il dogmatismo e l’economicismo che impediscono ancora oggi a milioni di comunisti dei paesi imperialisti di svolgere il ruolo d’avanguardia che loro spetta.

Oggi nei paesi imperialisti il malcontento e la sofferenza delle masse popolari e in particolare degli operai sono grandi. Grande è il fermento e destinato a crescere perché questa crisi non è una crisi ciclica. È una crisi generale, di sistema. Ha come soli sbocchi possibili o la rivoluzione o la guerra e la distruzione di uomini e cose. Ma gran parte dei comunisti dei paesi imperialisti si attardano a dolersi delle sconfitte passate e a cercare di rimontare la china ripetendo i vecchi errori, come se le sconfitte del passato fossero dovute o a mancanza di dedizione eroica alla causa o al tradimento di alcuni capi. Non tirano lezioni dall’esperienza. I partiti comunisti dei paesi oppressi che hanno assimilato il maoismo devono aiutare con la forza del prestigio che loro deriva dal successo delle loro imprese, noi comunisti dei paesi imperialisti a sconfiggere al nostro interno il dogmatismo e l’economicismo: i limiti che abbiamo ereditato dal vecchio movimento comunista e che ancora ci impediscono di assumere il compito che è nostro.

I reparti oggi più avanzati del movimento comunista mondiale devono portare la guerra in campo nemico, cioè nei paesi imperialisti, sostenendo la rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti.

Le potenze imperialiste, in primo luogo gli USA e la loro Comunità Internazionale minacciano tutti i paesi oppressi e in particolare le rivoluzioni in corso nei paesi oppressi. Non abbiamo dubbi che i partiti comunisti sapranno in ogni paese elaborare la propria esperienza, mobilitare grazie al marxismo-leninismo-maoismo le masse popolari del loro paese non meno di quanto lo riescono a fare le forze clericali tradizionali dei paesi arabi e musulmani in forza delle tradizionali relazioni di dipendenza della popolazione da esse. Ma essi possono facilitare enormemente l’opera loro e di tutti i popoli e le classi oppresse del mondo, sostenendo la rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti. In concreto sostenendo la lotta contro il dogmatismo e l’economicismo che la frenano.

 ELENCO TESTI DI APPROFONDIMENTO

I quattro principali temi che devono essere discussi
nel movimento comunista internazionale

Traduzioni a cura dell'EiLE

Four main issues
to be debated in the International Communist Movement

Intervista del mensile Resistenza al Segretario Generale del (n)PCI

Traduzioni a cura dell'EiLE

Interview
du Secrétaire Général du (n)PCI

3 octobre 2010

Interview by monthly review Resistenza
to the General Secretary of the (n)PCI

Statement - 14 October 2010

 

Prima o poi l’umanità instaurerà il socialismo e marcerà verso il comunismo. È la sola via di progresso e addirittura di sopravvivenza per essa: la crisi economica e la crisi ambientale sono strettamente dipendenti dal sistema di relazioni sociali capitaliste, e portano l’umanità alla degenerazione intellettuale e morale e all’estinzione. La specie umana è una specie intelligente e troverà il cammino per porre fine al sistema imperialista mondiale e darsi un sistema di relazioni adeguate alle conquiste intellettuali, morali e materiali che ha raggiunto nel suo sviluppo. Ma il cammino sarà tanto più diretto, tanto meno distruttivo e tanto meno doloroso, quanto prima il movimento comunista supererà i vecchi limiti del dogmatismo e dell’economicismo che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria ne hanno frenato l’opera, nonostante la dedizione eroica di tanti dirigenti e di tanti militanti.

Noi auspichiamo che il dibattito che voi avete lanciato, serva a questo risultato. Per questo sottoponiamo a voi e a tutti i compagni che si mobilitano al vostro appello il documento I quattro principali temi che devono essere discussi nel movimento comunista internazionale (http://www.nuovopci.it) in cui il (n)PCI dà un’esposizione sistematica e articolata in tutte le voci principali, ognuna trattata in modo sintetico ma esauriente, degli insegnamenti per la nuova ondata della rivoluzione proletaria che il (n)PCI ha tirato dal bilancio della prima ondata.

Siamo convinti che un franco e aperto dibattito sulle tesi che il (n)PCI avanza in questo documento aiuterà tutti i comunisti dei paesi imperialisti ad assumere il ruolo che solo essi possono svolgere nel contesto della crisi generale del capitalismo in corso.