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  La Voce 37 del (nuovo)Partito comunista italiano

Elezioni di primavera e guerra popolare rivoluzionaria

 

Partecipiamo con creatività e slancio alla campagna elettorale di primavera!

Per raccogliere forze e risorse per rafforzare il Nuovo Potere!

Per creare le condizioni perché le OO e le OP costituiscano un loro governo d’emergenza, il GBP!

Per portare avanti la guerra popolare rivoluzionaria, la strategia con cui
instaureremo il socialismo

 

A primavera lo Stato borghese convocherà le elezioni amministrative in più di 1.300 comuni sparsi in ogni regione del paese (tutte tranne il Trentino e il Sud Tirolo), ivi comprese città importanti come Milano, Torino, Napoli, Bologna, Trieste e molti capoluoghi di provincia. Complessivamente più di 7 milioni di elettori, più del 15% del totale. Il CC del Partito chiama i Comitati di Partito, le organizzazioni della carovana e le organizzazioni impegnate sul secondo fronte di lotta del nostro Piano Generale di Lavoro a partecipare alla campagna elettorale,(1) anche fuori dalla propria zona operativa ovunque le forze lo consentono. Chiama tutte le altre organizzazioni e i singoli compagni che in qualche misura condividono la linea del Partito ad appoggiare l’azione delle prime, nel quadro di una ampia attività sinergica.

Inoltre non è del tutto escluso, anche se è poco probabile, che lo Stato borghese convochi anche elezioni politiche, come del resto non sono esclusi eventi traumatici nelle istituzioni politiche della Repubblica Pontificia, vista la gravità della loro crisi. Se questo dovesse succedere, quanto più strutturato e avanzato sarà il nostro lavoro per sfruttare le elezioni amministrative di primavera tanto meglio saremo in grado di approfittarne e di prendere l’iniziativa.

Infine è probabile vi siano i referendum contro la privatizzazione dell’acqua e contro la ripresa del nucleare (decisa dal governo nonostante l’esito del referendum del 1987 che escluse la produzione di energia nucleare).(2)

La carovana del (n)PCI ha già partecipato a numerose campagne elettorali della Repubblica Pontificia, a partire dalle elezioni politiche del 2001, dieci anni fa. È con il n. 6 di La Voce (novembre 2000) che la CP lanciò alla Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista l’appello a “Costituire il Fronte per la ricostruzione del partito comunista che partecipi alle elezioni politiche del 2001”. Quindi il Partito ha accumulato un notevole bagaglio di esperienza di cui deve fare tesoro.

Le campagne elettorali che abbiamo condotto ci sono servite a raccogliere forze e risorse prima del 2004 per la ricostruzione del Partito e dopo per il suo consolidamento e rafforzamento e più in generale per la rinascita del movimento comunista e a portare avanti la guerra popolare rivoluzionaria che è la strategia per instaurare il socialismo nel nostro paese. In particolare ci sono servite a comprendere meglio l’importanza di una tattica flessibile e a definire meglio il PGL. La campagna elettorale di quest’anno deve essere in particolare usata per fare un balzo avanti nel lavoro per creare le tre condizioni necessarie perché le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari costituiscano un loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare, l’unica soluzione possibile per sbarrare la strada alla mobilitazione reazionaria e avviare l’uscita del nostro paese dalla crisi generale del capitalismo.

La campagna elettorale di primavera ha una particolare importanza per la fase della lotta di classe in cui siamo. La crisi economica e la crisi politica sono particolarmente gravi e si aggraveranno ancora. La preoccupazione e la mobilitazione circa l’avvenire sono particolarmente forti e diffuse. Nelle campagne elettorali potremo porre con più forza la questione che la crisi economica e ambientale può avere soluzione solo con un’azione politica e che solo un governo d’emergenza formato dalle OO e OP può effettivamente cambiare il corso delle cose che aggrava il marasma e il disastro materiale e morale in cui siamo immersi.

Qui di seguito tratto alcune questioni che possono rendere più efficace la nostra partecipazione. Esse riguardano sia i criteri della partecipazione alle campagne elettorali e della irruzione nelle istituzioni politiche dello Stato borghese, sia il ruolo che nella guerra popolare rivoluzionaria hanno le campagne elettorali e, più in generale, l’irruzione nella lotta politica tra le forze borghesi e nelle istituzioni della democrazia borghese, nel regime di controrivoluzione preventiva della Repubblica Pontificia.(3)

 

1. Elettoralismo e astensionismo di principio.

 

Nelle file della carovana del (n)PCI esistono tendenze all’elettoralismo e tendenze all’astensionismo di principio. Sono tendenze complementari. Esistono tra le masse popolari ed è inevitabile che esistano anche nelle nostre file. Dobbiamo capire come si manifestano e come combatterle.

 

Noi comunisti non siamo elettoralisti.

Noi non siamo fautori delle illusioni che sia possibile instaurare il socialismo per via elettorale e parlamentare, anzi le combattiamo. È ben chiaro dove esse portano. I fautori di quelle illusioni, i revisionisti moderni con alla testa prima Togliatti e poi Berlinguer, hanno preso definitivamente in mano la direzione del primo PCI nel 1956 con l’ottavo congresso, dopo il colpo che Kruscev e i suoi complici portarono a tutto il movimento comunista internazionale nel febbraio 1956. I loro fautori camuffavano e travisavano la natura dello Stato borghese democratico e il ruolo delle elezioni e delle assemblee rappresentative nella democrazia borghese, per negare la necessità della rivoluzione socialista. Noi invece costruiamo la rivoluzione socialista tramite la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e combattiamo le illusioni della via elettorale e parlamentare al socialismo. Quelle illusioni non hanno portato il PCI a instaurare il socialismo, ma hanno portato alla corruzione e disgregazione del PCI, fino alla sua dissoluzione nel 1991. I revisionisti moderni via via hanno rinnegato il comunismo, si sono dati alla denigrazione del movimento comunista e si sono trasformati in sinistra borghese.

Noi non partecipiamo alle elezioni neanche per avere un posto più grande nelle istituzioni della Repubblica Pontificia per farle funzionare meglio, per migliorare la loro politica, per avere il riconoscimento dei vertici della Repubblica Pontificia (banchieri e finanzieri, industriali, cardinali, imperialisti USA, sionisti), neanche principalmente e tanto meno unicamente per fare da sponda nelle istituzioni della RP alle lotte sindacali e rivendicative (concezione a cui è fermo il gruppo Rete dei Comunisti), come fanno i partiti della sinistra borghese: verdi, PRC, PdCI, SEL, ecc. Per avere un futuro di progresso le masse popolari devono liberarsi dalla Repubblica Pontificia, devono abbatterla. Devono liberare il paese dalla istituzione feudale e parassitaria che lo inquina (la Corte Pontificia) e dallo Stato costruito attorno ad essa. Devono instaurare il socialismo.

Però non è che non siamo elettoralisti perché non professiamo di esserlo e anzi proclamiamo che non lo siamo. Non siamo elettoralisti perché usiamo le elezioni borghesi, la partecipazione alla lotta tra le forze politiche borghesi, l’irruzione nelle istituzioni e nei processi dello Stato borghese come strumenti ausiliari della nostra lotta politica rivoluzionaria e come sue componenti e attività ad essa subordinate, cioè per condurre la guerra popolare rivoluzionaria che instaurerà il socialismo nel nostro paese e contribuirà alla vittoria della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. L’intrusione nella lotta tra forze politiche borghesi e l’irruzione nelle istituzioni e nei processi della Repubblica Pontificia sono solo un settore, una componente della lotta politica rivoluzionaria che il Partito conduce: il settore che chiamiamo secondo fronte di lotta del nostro PGL. Proprio per questo il (n)PCI è un partito clandestino e non partecipa in prima persona alle campagne elettorali. Vi partecipa orientando organizzazioni generate e non generate legali che operano sul secondo fronte del PGL. La più importante di esse è il Partito dei CARC.

I compagni che proclamano di non essere elettoralisti e giurano di non esserlo, ma nelle campagne elettorali trascurano la propaganda del socialismo e della concezione, degli obiettivi e della linea del Partito comunista; non scelgono le singole attività della campagna elettorale (dalla preparazione delle liste elettorali, alla raccolta delle firme, ecc.) mirando principalmente a stabilire contatti, a elevare la coscienza politica, a mobilitare lavoratori avanzati, insomma a fare scuola di comunismo; nelle campagne elettorali trascurano il reclutamento e le altre forme di organizzazione; non promuovono la mobilitazione e organizzazione delle masse; per raccogliere voti ricorrono alle menzogne, alle promesse e ai trucchi dei politicanti borghesi; assumono il numero dei voti ottenuti come principale o, peggio ancora, unico metro del successo della campagna elettorale; si pongono l’arrivare a far eleggere loro candidati come obiettivo principale o, peggio ancora, unico della campagna elettorale; a campagna elettorale conclusa non curano i contatti che hanno stabilito con la campagna elettorale: i compagni che si comportano nell’uno o nell’altro di questi modi sono degli elettoralisti camuffati, consapevoli o meno che ne siano. Si comportano come la sinistra borghese, non come rivoluzionari. Con la loro condotta fanno da spalla agli astensionisti di principio che partecipano alle campagne elettorali di malavoglia, senza entusiasmo, creatività e iniziativa e trovano nel comportamento degli elettoralisti la conferma dei loro timori e dei loro pregiudizi.

Una forma particolare di elettoralismo consiste nel rinunciare o esitare a fare campagna elettorale perché nella lista vi sono candidati dei quali non si è sicuri che, se eletti, si atterranno onestamente al programma stabilito e agli impegni presi, che resisteranno alle pressioni, ai ricatti e alla corruzione. Di nessun candidato si è mai sicuri al cento per cento. Noi non possiamo garantire per nessuno al cento per cento. Quello che possiamo invece garantire e che dobbiamo garantire e mantenere, è che il Partito non esiterà a controllare ogni eletto e a smascherare e denunciare chi facesse traffici sottobanco o venisse in altro modo e per qualunque motivo meno agli impegni che insieme ci siamo assunti (a meno che abbia giusti motivi e li spieghi pubblicamente). Ma, più importante ancora, possiamo e dobbiamo come Partito garantire che ricaveremo dalla campagna elettorale un rafforzamento tale della causa del comunismo che compenserà largamente gli eventuali limiti ed errori di un candidato. Questo dipende solo da noi, dal Partito, non dal singolo candidato. Dipende da come il Partito imposta e conduce la campagna elettorale e da come tiene fede al suo ruolo e al suo impegno di condurre la rivoluzione e instaurare il socialismo. In particolare in questa fase, se la prossima campagna elettorale contribuirà a creare le tre condizioni per la costituzione del GBP, questo risultato resterà anche se qualche candidato verrà meno ai suoi impegni.

 

Noi comunisti non siamo astensionisti di principio. Gli astensionisti sono compagni che o non condividono la concezione comunista del mondo, in particolare della società e della lotta politica, oppure si lasciano guidare dalla paura e dal pregiudizio secondo cui i comunisti che partecipano alle elezioni (e ancora più se partecipano alla vita delle istituzioni borghesi) è inevitabile che si lasciano influenzare, corrompere o ricattare dalla borghesia. Hanno paura di perdere la “purezza di comunisti rivoluzionari”, coltivano il settarismo e il distacco dalle masse: nella pratica non hanno fiducia nelle masse e non sono convinti che la rivoluzione la fanno le masse. In definitiva essi mantengono la concezione chiesastica che nell’uomo “le forze del male sono più forti delle forze del bene”, “le mele marce guastano le mele buone”, “il negativo prevale sul positivo”: una concezione smentita da tutta la storia dell’evoluzione della specie umana, che mostra esattamente il contrario. È vero che l’ambiente delle assemblee elettive e delle istituzioni borghesi è particolarmente mefitico e logorante. Ma anche al di fuori di quelle istituzioni, in tutta la società borghese, non possiamo comunque evitare l’influenza, la pressione, le manovre e i ricatti della borghesia (basti pensare ai sindacati). Ritirarsi di fronte ai pericoli e ai rischi non è da comunisti. Dobbiamo imparare a farvi fronte e a trionfare sulla borghesia, sul clero e sulle loro manovre. Ogni loro manovra può essere rivoltata contro di loro, con vantaggio per la nostra causa. Questo è pienamente possibile. Il collettivo, con la sua opera di direzione, di formazione e di controllo su ogni suo membro, serve anche a questo.

 

Le elezioni comportano comunque una certa mobilitazione delle masse popolari e offrono mille spunti per promuoverla. Compito dei comunisti è promuovere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e dirigerle nello scontro con la mobilitazione delle masse che cercano di fare i gruppi più reazionari e criminali della borghesia imperialista (prove di fascismo, iniziative razziste della Lega Nord, ecc.). Né gli elettoralisti né gli astensionisti di principio si pongono concretamente questo compito. I primi partecipano alle elezioni facendo l’ala sinistra della sinistra borghese. I secondi se ne disinteressano.

Il (n)PCI promuove la partecipazione dei comunisti e dei lavoratori avanzati alle elezioni indette dallo Stato borghese, a tutti i livelli in cui riescono a partecipare, allo scopo di raccogliere forze rivoluzionarie, promuovere la rinascita del movimento comunista, aggregare nuove forze attorno al partito comunista, promuovere la costituzione del Nuovo Potere e in questo modo contribuire alla guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che è la strategia per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Anche nella tornata di elezioni amministrative della prossima primavera, nelle campagne referendarie e nelle elezioni politiche se vi dovessero essere, noi promuoveremo la partecipazione massima e più efficace ai nostri fini, con tattiche che definiremo posto per posto con i compagni che aggregheremo, tenendo conto delle OO e delle OP che già esistono nella zona. Infatti in linea generale la partecipazione rafforza la nostra lotta principale che in questa fase è quella di creare le condizioni perché le OO e le OP formino un proprio governo d’emergenza, il GBP, composto da uomini di loro fiducia e decisi a dare forma e forza di leggi ai provvedimenti che caso per caso e di momento in momento le OO e le OP indicano per eliminare subito gli effetti più distruttivi della crisi generale in corso e avviare l’intero paese su una nuova via di ripresa e di progresso.

 

I governi della Repubblica Pontificia
nell’“era Berlusconi”

Centro-destra e centro-sinistra hanno governato circa per lo stesso tempo. Ma il centro-sinistra ha seguito la linea impersonata dalla banda Berlusconi, il “programma comune” della borghesia imperialista.

 

28.04.93 - 10.05.94 Ciampi (13 mesi)
10.05.94 - 17.01.95  B&B (8 mesi)
17.01.95 - 18.05.96  Dini (16 mesi)
18.05.96 - 21.10.98 (Prodi) (29 mesi)
21.10.98 - 25.04.80  (D’Alema) (18 mesi)
25.04.80 - 11.06.01  (Amato) (14 mesi)
11.06.01 - 17.05.06  (B&B) (59 mesi)
17.05.06 - 08.05.08 (Prodi) (24 mesi)
08.05.08 - 31.12.10  (B&B) (32 mesi)

 

 

Riassumendo, su 213 mesi:

(B&B) 99 mesi/213 46%
Centro-sinistra 85 mesi/213 40%
  di cui: Prodi 53 mesi/213 (25%)
Dini 16 mesi/213 8%
Ciampi 13 mesi/213 6%

 

Le elezioni passate hanno confermato la bontà della nostra linea tanto più quanto meno la sua applicazione è stata influenzata dalle opposte tendenze elettoraliste e astensioniste. In particolare hanno mostrato e confermato che una parte importante delle masse popolari ha fiducia nei comunisti, si mobilita sotto le bandiere dei comunisti e risponde al loro appello alla lotta contro il sistema capitalista per instaurare il socialismo. Ovunque i nostri compagni hanno fatto campagna elettorale, il numero di voti raccolti è stato enormemente alto rispetto al numero di attivisti impegnati nella campagna elettorale: fino ad alcune centinaia di voti per ogni attivista. Il vecchio PCI nei suoi tempi migliori era arrivato a 10 voti ogni iscritto al partito: quindi, tenendo conto che non tutti gli iscritti partecipavano alle campagne elettorali, diciamo al massimo 20 voti ogni attivista.

È vero anche che dopo le elezioni abbiamo di posto in posto raccolto attorno al Partito solo una piccola parte dei nostri elettori. Ma questo fa parte delle difficoltà che tutte le organizzazioni facenti in qualche maniera capo al (n)PCI ancora hanno a svolgere un lavoro organizzativo efficace, difficoltà che riscontriamo anche negli altri campi del nostro lavoro rivoluzionario: sindacale (terzo fronte), del quarto fronte, del primo fronte, della costruzione dei CdP, del lavoro operaio dei CdP, della struttura centrale e di collegamento, dell’apparato logistico.

Il limite più grave nelle nostre file, nel condurre campagne elettorali, consiste nel trascurare o condurre con scarsa energia la raccolta e valorizzazione dei risultati ottenuti.

È questo limite che frena anche l’impegno nel condurre le campagne elettorali. È questo limite che dobbiamo e possiamo superare.

 

2. Le condizioni e gli obiettivi tattici e strategici della nostra partecipazione alle elezioni e della nostra azione nelle istituzioni della Repubblica Pontificia.

 

La comprensione delle cose condiziona tutta la nostra attività. Più a fondo comprendiamo, meglio facciamo. Per meglio comprendere le condizioni e gli obiettivi tattici e strategici della nostra partecipazione alle elezioni e della nostra azione nelle istituzioni della Repubblica Pontificia, dobbiamo considerare principalmente tre aspetti.

Le campagne elettorali e l’intrusione nella lotta tra le forze politiche borghesi e nelle istituzioni della democrazia borghese in questa fase devono servire a tre ordini di obiettivi.

 

1. Al consolidamento e rafforzamento del Partito e del Nuovo Potere, a estendere l’influenza del Partito, la sua rete di influenza, di relazioni e di contatti, a fare reclutamento, a raccogliere forze e risorse per la rinascita del movimento comunista. Le elezioni indette dallo Stato borghese di per se stesse accrescono tra le masse popolari l’interesse par la politica. Creano una situazione più favorevole del solito all’attività politica. Questo è particolarmente vero quest’anno, data la situazione. Noi dobbiamo approfittarne più che per avere il voto, principalmente per destare nelle masse e in primo luogo negli elementi più avanzati e più generosi, più disposti a capire e a impegnarsi, fiducia in se stessi e nel movimento comunista, fiducia che è possibile cambiare il mondo e che instaurare il socialismo è l’unica via da seguire, fiducia che ognuno può contribuire a cambiarlo, sicurezza che il comunismo è proprio il movimento di trasformazione dello stato attuale delle cose e combina la concezione del mondo e gli organismi che guidano e promuovono la trasformazione che la specie umana deve e può compiere.

 

2. A sviluppare il lavoro per creare le tre condizioni necessarie perché le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari costituiscano il GBP. Negli ultimi mesi la necessità di un governo di emergenza ha incominciato a delinearsi in diversi ambienti e settori: dobbiamo indirizzare questo fermento verso la costituzione del GBP. Quindi dobbiamo 1. diffondere e rafforzare tra gli operai organizzati (quindi nelle OO) e tra le masse popolari organizzate (quindi nelle OP) la convinzione che solo con un governo d’emergenza costituito da persone di loro fiducia e decise a dare forma e forza di legge ai provvedimenti che le stesse OO e OP caso per caso e di momento in momento indicano, ogni OO e OP riuscirà a realizzare il suo particolare obiettivo: oggi le OO e le OP sono già numerose, ma in molte di esse manca o è debole questa convinzione; 2. moltiplicare il numero di OO e di OP. Molti lavoratori e altri elementi delle masse popolari, che pure hanno bisogno di cambiare e vogliono cambiare, se ne stanno ognuno per conto suo, non sanno cosa fare, non sono organizzati: noi dobbiamo convincerli che l’organizzazione fa la forza e spingerli a organizzarsi; 3. rafforzare la tendenza delle OO e delle OP a coordinarsi a livello locale, provinciale, regionale e nazionale e a costituire reti sia territoriali sia per tema e obiettivo.

Le OO e le OP riusciranno certamente a far ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia la costituzione del GBP se rendono il paese ingovernabile da ogni governo emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia. Quindi devono moltiplicare le iniziative, in ogni campo e nella forma più organizzata di cui sono capaci, perché le masse popolari rifiutino di subire i sacrifici e le restrizioni che le Autorità della Repubblica Pontificia, i padroni e il clero cercano di imporre ogni giorno in ogni campo; perché disobbediscano alle loro imposizioni, alle loro disposizioni e ai loro ordini (disobbedienza civile); perché possa liberamente godere dei beni e dei servizi necessari per una vita dignitosa anche quella parte crescente delle masse popolari che il blocco crescente dell’attività economica, la disoccupazione, il carovita, la privatizzazione e il degrado dei servizi, i bassi salari, gli ammortizzatori sociali e le pensioni di fame escludono ed emarginano (spese proletarie); per impedire alle banche e alle agenzie delle imposte e di riscossione di multe e condanne pecuniarie di fare il loro sporco lavoro e riscuotere interessi e rate di mutui, multe, imposte, ecc. Si tratta di generalizzare e organizzare quello che in una certa misura già esiste tra le masse popolari. I contrasti che dilaniano i vertici della Repubblica Pontificia rendono più facile il nostro lavoro. Il disordine già esiste e dilaga: bisogna organizzarlo. Un grande disordine deve prendere il posto dell’ordine degli speculatori, dei puttanieri e dei finanzieri. Invece di subire il disordine, la precarietà e l’insicurezza creati dalla crisi generale, dobbiamo creare noi il disordine: è un passaggio indispensabile per creare un ordine giusto.

 

Non è vero che le masse popolari sono berlusconiane o leghiste

La destra di Berlusconi-Bossi-Fini ha sempre raccolto molto meno voti di quanti ne raccogliesse la DC con i suoi satelliti e alleati dichiarati (PSI di Craxi) e non dichiarati (MSI-AN), quando la DC era il braccio politico della Corte Pontificia.

 

Elezioni politiche: voti raccolti da DC e suoi satelliti (PRI, PLI, PSDI) e alleati (PSI) + MSI (DN, AN) e Lega Nord fino al 1992 e poi a partire dal 1994 dai gruppi dirigenti della stessa area (Berlusconi, Fini, Bossi e Casini)

  DC + satelliti e alleati  
1979 22.8 milioni di cui Bossi
1984 23.5  
1987 24.6 0.2 milioni
1992 26.4 3.4
  Berlusconi + Bossi Berlusconi + Bossi + Casini Bossi
1994 19.2 milioni 19.2 milioni 3.2 milioni
1996 17.7 19.9 3.8
2001 16.9 18.0 1.5
2006 16.4 19.0 1.7
2008 17.1 19.1 3.0

 

La banda Berlusconi, nel massimo del suo successo, non è riuscita a racimolare neanche il voto del 30% degli elettori aventi diritto: i risultati delle elezioni del 13 aprile 2008 hanno dato per il PdL 13.629.000 voti su 47 milioni di elettori aventi diritto (meno del 29%) e su 36.5 milioni di voti validi (37.3%). Le cifre diventano rispettivamente 17.1 milioni (36.4% e 47%) se al PdL si aggiungono Lega Nord e alleati minori e 19.15 milioni (40.7% e 52.3%) se si aggiungono anche i voti di Casini.

Questi risultati elettorali della destra Berlusconi-Bossi-Fini, erede del regime DC e nuovo braccio politico prediletto della Corte Pontificia dopo la dissoluzione della DC, sono ben poca cosa, tenuto conto

1. della vergognosa attività antipopolare del governo Prodi-D’Alema-Bertinotti (più Epifani) e di tutti i governi di centro-sinistra che dal 1993 a oggi si sono alternati circa alla pari con i governi Berlusconi;

2. delle correnti relazioni di dipendenza e di soggezione dei membri arretrati delle masse popolari, vigenti nella società in particolare nei confronti della Corte Pontificia e della sua Chiesa;

3. della grande macchina mediatica messa in campo da Berlusconi e delle suggestioni che le macchine elettorali dei candidati suscitano (il costo delle campagne elettorali è un indice della forza di queste suggestioni);

4. del buon “senso comune” che la struttura stessa della società (il vigente sistema di relazioni sociali) crea nelle masse popolari con azioni più o meno mirate;

5. della mancanza di orientamento e di direzione in cui la dissoluzione del vecchio PCI e la vergognosa condotta della sinistra borghese (PRC e PdCI) hanno lasciato le masse popolari e la stessa classe operaia.

“Il berlusconismo e il leghismo della popolazione italiana è una favola tipo “la scomparsa della classe operaia” in Italia inventata da Marco Revelli e teste d’uovo simili. È una costruzione dell’immaginario con cui le teste d’uovo della sinistra borghese travestono la sconfitta del tentativo fatto da questa di continuare ad abbindolare gli operai e le masse popolari come erano riusciti a fare per oltre trenta anni i revisionisti del PCI. Questi però usavano (e dilapidarono) il credito, il seguito e l’organizzazione ereditati dalla lunga lotta contro il fascismo e dalla Resistenza.

Le masse popolari oggi sono prive di ruolo, rappresentanza e influenza nella politica borghese, perché non hanno più il vecchio vertice e non hanno ancora il nuovo: questo si formerà col movimento per la costituzione del GBP. Per avere un ruolo nella politica borghese le masse popolari devono essere capeggiate da un partito che lotta per instaurare il socialismo, cioè che fa una (più o meno efficace) politica rivoluzionaria. La loro forza e influenza nella lotta politica borghese dipendono dalla forza della lotta politica rivoluzionaria, della lotta per instaurare il socialismo. Da lì era partito il vecchio PCI fino ad esaurirsi tramite il processo per cui alla sua testa i comunisti si sono trasformati in revisionisti e questi a loro volta in sinistra borghese. Dobbiamo quindi rimontare la china. O riusciamo a rimontare con il movimento per la costituzione del GBP o dovremo rimontare facendo fronte alla mobilitazione reazionaria che avrà prevalso su di noi.” (Comunicato CC 01/11 - 1° gennaio 2011).

 

 

La crisi politica della Repubblica Pontificia si è aggravata. Quando agli inizi degli anni ’90 a causa del progredire della seconda crisi generale del capitalismo il regime DC non fu più in grado di reggere, i vertici della Repubblica Pontificia avevano affidato il governo del paese alla banda di criminali, avventurieri, fascisti, affaristi, clericali e speculatori raccolta attorno a Berlusconi, nella fiducia che avrebbe saputo pilotare il paese nella nuova situazione. In effetti per più di 15 anni quella banda vi è riuscita: ha attuato un “programma comune” della borghesia imperialista in combutta con la destra moderata impersonata dal circo Prodi con cui si è alternata al governo e che essa ha diretto (i fatti contano più delle parole: in ogni campo i governi del circo Prodi hanno seguito la politica di cui la banda Berlusconi era la portavoce più decisa). Ma ora, nella fase terminale della crisi generale (iniziata alla fine del 2007 con la crisi finanziaria dei mutui subprime USA, trasformatasi alla fine del 2008 in crisi economica mondiale), la Banda Berlusconi non riesce neanche a tenere il paese al passo degli altri paesi imperialisti. I vertici della Repubblica Pontificia però non riescono a trovare una soluzione di ricambio, sono divisi tra loro. Da parte sua Berlusconi non vuole (e non può) tirarsi da parte, nonostante gli scandali a catena che ora scoppiano contro di lui. I suoi avversari non osano eliminarlo: conducono una campagna di logoramento a cui la banda Berlusconi non riesce a porre fine. Di conseguenza in questo contesto i partiti borghesi, di destra e di sinistra, sono in crisi; hanno perso prestigio, perdono elettori e ancora più perdono militanti. Cresce il numero degli elettori che non partecipano neanche alle elezioni. Da quando il secondo pilastro del regime di controrivoluzione preventiva è crollato e il quarto scricchiola minacciosamente, si sgretola anche il terzo.(3)

Tuttavia le elezioni restano un momento importante di mobilitazione e di aggregazione delle masse popolari attorno ai problemi politici. Crescono però la sfiducia nei partiti borghesi e il malcontento. Le liste civiche e popolari si moltiplicano su grande scala e capillarmente nella campagna elettorale. Sono uno strumento di organizzazione indipendente dai partiti borghesi. Dobbiamo valorizzare questo loro aspetto, farne uno strumento della mobilitazione e organizzazione delle masse popolari, autonome dai partiti borghesi. Dobbiamo impedire che finiscano in mano ai notabili della Repubblica Pontificia, che finiscano male, a schifio, generando delusioni, rancori e sfiducia. Tutto questo si presta in modo particolare a sviluppare il lavoro per creare le tre condizioni che sviluppandosi renderanno possibile la costituzione del GBP e ad estendere e rafforzare le iniziative che rendono il paese ingovernabile.

Per la natura dei suoi compiti il GBP è un’istituzione nazionale, deve costituirsi a livello nazionale, ma le istituzioni locali di ogni livello (comunali, provinciali, consortili, ecc.) possono svolgere un ruolo prezioso per creare le condizioni necessarie alla sua costituzione, offrono mille appigli, occasioni e risorse per crearle, si prestano a rendere il paese ingovernabile dai governi emanazione dei vertici della Repubblica Pontificia (ad esempio violando apertamente e a favore delle masse popolari, le disposizioni, le imposizioni e le leggi del governo centrale; mobilitando le masse popolari a violarle; non osservando le sue restrizioni finanziarie; sfidando il governo centrale a sciogliere le amministrazioni locali e ad assumere direttamente il potere; smascherando su questo terreno la demagogia della Lega Nord che annuncia la disobbedienza al governo centrale e pratica la sottomissione). Quindi possiamo e dobbiamo intervenire sia nelle elezioni amministrative sia nell’attività delle amministrazioni locali per fare in modo che svolgano su grande scala questo ruolo.

 

3. A migliorare la nostra capacità di condurre la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che è la strategia per instaurare il socialismo nel nostro paese.

Questo è il punto meno compreso. È anche il campo in cui abbiamo meno esperienza e quindi ancora più resta da sviluppare la scienza relativa. Non a caso. Infatti i partiti comunisti creati nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non sono riusciti a instaurare il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti, proprio perché non hanno condotto la guerra popolare rivoluzionaria. Quindi non abbiamo esperienze positive a cui ispirarci. Il fondatore del primo PCI, Antonio Gramsci, ha molto riflettuto e scritto a proposito del bilancio del movimento comunista nei paesi imperialisti e di come esso poteva costruire la rivoluzione socialista di cui la Rivoluzione d’Ottobre doveva e poteva essere l’innesco in Europa e in particolare in Italia e l’Unione Sovietica la base rossa mondiale. Ma, prigioniero dei fascisti, non ha potuto tradurre nella direzione dell’attività del partito i risultati delle sue riflessioni e verificarli. I suoi successori alla testa del PCI, a partire da Togliatti, ne hanno fatto un santino da venerare per trascurare e travisare il suo insegnamento anziché continuare la sua opera. Non a caso i compagni che non hanno rotto nettamente con la deviazione revisionista di Togliatti e Berlinguer (Comunisti Uniti, l'Ernesto, PdCI, ecc.), quando cercano di rispondere alla necessità impellente e largamente avvertita di avere il partito comunista, trattano, discutono e litigano attorno al ruolo che il partito comunista dovrebbe avere nelle e verso le istituzioni dello Stato borghese, al programma che il partito dovrebbe far attuare ad esso, a cosa dovrebbe fare per essere una sponda efficace delle lotte rivendicative nelle istituzioni borghesi: non trattano della strategia per instaurare il socialismo, da cui discende il ruolo del Partito e anche l’azione multiforme e contraddittoria da svolgere nelle e contro le istituzioni della Repubblica Pontificia.

 

Nella guerra popolare rivoluzionaria il Nuovo Potere si costruisce attorno al Partito comunista, in alternativa e in lotta contro le istituzioni dello Stato borghese, nella particolarità dell’Italia contro le istituzioni della Repubblica Pontificia. Il Nuovo Potere cresce promuovendo la mobilitazione delle masse popolari e la loro partecipazione alla gestione e alla direzione della propria vita (la democrazia proletaria non è democrazia rappresentativa; è democrazia partecipativa, diretta: organizzazioni di massa e Partito comunista). Cresce espandendo la sua egemonia sulle masse popolari, aggregandole attorno ad esso, promuovendo la loro attività e dirigendole su scala più grande. Parallelamente a questo deve paralizzare il potere delle istituzioni della Repubblica Pontificia fino ad eliminarle. Dobbiamo crescere noi e indebolire il nemico: sono due aspetti connessi, ma distinti della nostra lotta (costituiscono una unità di opposti, di cui in ogni fase e in ogni operazione, uno è principale). Nell’attacco bisogna usare le vie e i mezzi che più si prestano. Il regime esistente in Italia offre molte possibilità di attacco, molte vie per attaccare le istituzioni della RP dall’esterno e dall’interno. Dobbiamo approfittarne, condurre la GPRdiLD vuol dire anche imparare questo.

 

La democrazia borghese è una democrazia rappresentativa. Esclude le masse dal potere, ma le fa partecipare alle elezioni. Le elezioni sono un aspetto essenziale della democrazia borghese. Essenziale al punto che imbroglioni e ingenui li identificano con la democrazia borghese. “Volete la democrazia? - dicono in questi giorni Obama e i suoi accoliti alle masse popolari tunisine ed egiziane insorte contro l’imperialismo e il sionismo - Avete ragione, facciamo le elezioni”. E preparano i soldi e le condizioni per fare eleggere qualche chiacchierone, imbroglione o attore di loro fiducia e mantenere in piedi l’oppressione feudale, lo sfruttamento imperialista e la colonizzazione sionista. Sono riusciti a tenere le loro elezioni perfino in Iraq e in Afghanistan, forse ci riusciranno anche in Egitto!

La democrazia borghese è il regime politico creato ed elaborato dalla borghesia in Europa da quando incominciò a competere con la nobiltà per instaurare il proprio potere anche in campo politico. L’ha creata a partire dal secolo XVII in Gran Bretagna, rovesciando e adattando istituzioni del regime feudale europeo. La democrazia borghese è il regime politico più conforme alla sua natura e il più favorevole ai suoi traffici in campo economico e al libero dispiegamento della sua influenza in campo culturale e morale.

Lo Stato borghese ha assunto nel corso della storia e ha oggi forme molto varie, diverse anche da paese a paese. Ma per sua natura ha un ruolo ben definito e a cui non è venuto meno mai e in nessun paese, per quante pressioni la borghesia abbia subito. Per questo la parola d’ordine del proletariato è: “Lo Stato borghese si abbatte, non si cambia!”. Il proletariato deve creare un suo Stato, diverso dallo Stato borghese per natura, composizione e modo di funzionamento. È per sua natura democrazia partecipativa: uno Stato fondato sulla massima partecipazione diretta delle masse popolari ad ogni livello, tanto più ampia quanto maggiore è la loro mobilitazione. Il proletariato crea il suo Stato nel corso della rivoluzione socialista stessa, nel corso della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata: all’inizio è il Nuovo Potere esteso a tutto il paese.(4)

 

Il ruolo essenziale e universale dello Stato borghese è assicurare che la borghesia continui a dominare il proletariato e il resto delle masse popolari e a sfruttarli, essenzialmente e principalmente tramite il rapporto di lavoro salariato. Assicurare la perpetuazione del sistema di relazioni sociali (la produzione mercantile capitalista - la proprietà privata delle forze produttive - e le relazioni sociali connesse e derivate) su cui la borghesia fonda i suoi interessi e i suoi privilegi. A questo fine, quale che sia la sua forma, lo Stato borghese deve contenere le manifestazioni della lotta di classe degli operai e delle altre classi delle masse popolari e reprimerne le manifestazioni quando oltrepassano certi livelli stabiliti dagli interessi della borghesia e sanciti dalle sue abitudini e dalle sue leggi, che cambiano però in base ai rapporti di forza tra le classi. In Italia in questi ultimi anni, ad esempio, la borghesia spinta dalla crisi generale del capitalismo si è permessa di attaccare i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro perché il movimento comunista è debole, ma li aveva accettati quando il movimento comunista era forte.

Per assicurare il ruolo essenziale del suo Stato, la borghesia ha fatto ricorso a molti compromessi con le classi feudali e le loro istituzioni. La Repubblica Pontificia è un risultato di questi compromessi, come lo sono le Organizzazioni Criminali che dalla nascita del Regno d’Italia in qua controllano parti crescenti del territorio del paese e parti crescenti delle attività nell’intero paese.(5) Ma risultati di analoghi compromessi esistono in ogni paese imperialista. Gli USA sono il paese meno inquinato da compromessi di questo genere: proprio per questo sono diventati il paese capitalista più avanzato, circa 70 anni fa hanno preso la guida di tutti i paesi imperialisti e ancora oggi presiedono la loro Comunista Internazionale (G4, G8, G20, ecc.).

 Democrazia borghese e socialismo

Iniziando dalle sei misure generali che costituiscono il programma del GBP, noi con le OO e le OP avanzeremo passo dopo passo verso:

- lo Stato dei consigli, basato ad ogni livello sui delegati revocabili eletti dai consigli aziendali e territoriali;

- la pianificazione centrale dell’attività economica, su scala nazionale e nella misura del possibile e comunque in misura crescente su scala internazionale;

- la proprietà pubblica delle aziende;

- l’abolizione di ogni restrizione, economica o amministrativa, anzi l’incoraggiamento e la promozione dell’accesso universale alla cultura e alla conoscenza, dell’assunzione di responsabilità e della partecipazione: la massima partecipazione di ogni individuo è un bisogno di tutta la società. Il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti.

La democrazia di cui la specie umana ha bisogno per uscire dal marasma in cui la borghesia imperialista l’ha condotta, per progredire e anche solo per sopravvivere, ha alla sua base l’eguaglianza culturale e materiale. La seconda è in definitiva condizione della prima: chi deve arrabattarsi per mangiare e per soddisfare altri bisogni elementari non si dedica alla cultura. Solo con la responsabile partecipazione della massa della popolazione alla gestione della società, la specie umana è in grado di usare positivamente le conquiste culturali e materiali che ha raggiunto. Queste, usate positivamente, permettono di risolvere tutti i problemi a cui la specie umana deve far fronte e di imboccare una strada di progresso a un livello superiore a quello che c’è mai stato.

Non si tratta di stabilire quali diritti lo Stato deve soddisfare, ma di instaurare un sistema di relazioni sociali per cui lo Stato è al servizio delle masse popolari organizzate: lo Stato siamo noi. A questo punto lo Stato è estinto. Lo Stato nel senso sostanziale del termine non esiste più. Siamo usciti completamente dalla situazione ereditata dal capitalismo. In questa i diritti e le leggi hanno circoscritto e limitato il potere già assoluto e arbitrario del signore feudale riducendolo a quello dello Stato borghese. Che però resta assoluto, arbitrario e avvolto nel segreto dove il diritto e le leggi non l’hanno limitato. Siamo arrivati a una situazione in cui la libera associazione dei lavoratori organizzati conferisce per periodi definiti ad alcuni di loro determinati incarichi con i corrispondenti poteri e mezzi.

 

La democrazia borghese di per sé non promuove l’eguaglianza culturale e materiale. Anzi è basata sulla differenza culturale e materiale: sulla esclusione della massa dei lavoratori dalla cultura e dal potere e sul loro bisogno di lavorare per i capitalisti per vivere.

La democrazia borghese offre però appigli e fessure per instaurare il socialismo e quindi instaurare quella democrazia di cui l’umanità ha bisogno. Il partito comunista ne approfitta senza riserve.

Contro il fascismo difendiamo la democrazia borghese e ne approfittiamo per instaurare il socialismo.

No al fascismo, al razzismo, alla discriminazione delle donne, alla discriminazione degli immigrati!

 

 

 

Per comprendere la natura della democrazia borghese bisogna tener conto che, oltre a tener sottomessi gli operai e le altre classi delle masse popolari, la borghesia ha anche bisogno, per sua natura e a differenza delle classi dominanti che l’hanno preceduta, che i suoi membri possano dispiegare liberamente la loro attività ognuno secondo la sua forza (che è misurata dal capitale di cui è proprietario) e quindi che ognuno di essi concorra alla formazione della volontà dello Stato borghese e goda dei diritti politici e civili: della libertà di parola, di organizzazione, di riunione, ecc. che ognuno esercita di fatto in proporzione alla sua forza (cioè al suo capitale). La divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e le elezioni sono elementi costitutivi essenziali della democrazia borghese. Nella società borghese, la libertà dei capitalisti è la base di ogni libertà: ogni altra libertà o è una condizione della libertà dei capitalisti o è un derivato e una conseguenza di essa, spontanei o imposti dal corso degli eventi, dalle relazioni internazionali o dalle vicissitudini della lotta di classe.

Quando i borghesi e i loro portavoce inveiscono contro i primi paesi socialisti e li denigrano, al centro dei loro discorsi c’è la libertà. In effetti i paesi socialisti si distinguono nettamente dai paesi borghesi proprio perché per loro natura aboliscono la produzione mercantile capitalista. Quindi negano la libertà dei capitalisti: la libertà di vendere e di comperare, la libertà del mercato, la libertà del ricco di far lavorare altri al suo servizio, la libertà di speculare, la libertà per un uomo di sfruttare un altro uomo, di vivere e arricchirsi alle sue spalle: insomma le libertà proprie della società basata sulla economia commerciale e capitalista. Ovviamente i capitalisti sorvolano e cercano di far sorvolare sul fatto che si tratta della libertà dei capitalisti e dei ricchi. Per loro la loro libertà è la libertà in generale. Una libertà che non è stata e non è affatto incompatibile con la schiavitù (tratta degli africani, USA, ecc.), con l’asservimento feudale dei contadini (paesi coloniali e semicoloniali), con atroci sofferenze e restrizioni per i lavoratori. Una libertà che i borghesi hanno fatto e ancora oggi fanno valere anche grazie ai peggiori residuati storici del feudalesimo e della schiavitù, come il Dalai Lama del Tibet o il Papa di Roma. È insomma la libertà dei borghesi, come la democrazia nell’antica Atene o a Roma, era la libertà dei proprietari di schiavi.

La borghesia per sua natura non può però ridursi a una casta a cui il singolo appartiene per nascita, per cooptazione, ecc. Il titolo di appartenenza alla classe borghese in ultima istanza è la proprietà di capitale, non la natura dell’individuo. Per sua natura la proprietà individuale del capitale si forma e si perde nei traffici produttivi, commerciali, finanziari e speculativi della società (il gioco d’azzardo è una nicchia di dettaglio). La lotta tra gruppi borghesi per definire quali misure lo Stato deve prendere (per assicurare la conservazione e lo sviluppo della società, per l’ordine pubblico, su come tenere sottomessi i lavoratori, in campo economico, fiscale, commerciale, monetario e finanziario, dei servizi pubblici e delle infrastrutture, nelle relazioni internazionali), è un aspetto costitutivo essenziale dello Stato borghese. Un aspetto che è diventato ancora più importante da quando lo Stato e la Pubblica Amministrazione che da esso dipende, nel corso della storia sono diventati con la spesa pubblica il maggiore acquirente di merci, il maggiore cliente del mercato (nei paesi imperialisti la spesa pubblica equivale a circa il 50% del PIL) e con il debito pubblico, il fisco, gli enti previdenziali, ecc. il maggiore attore del mondo finanziario. Un aspetto che rende la direzione dello Stato un bersaglio tanto più ambito da ogni gruppo di interessi e tanto più contraddittorio, quanto più forte è il carattere collettivo della società, quanto più favorire (da parte dello Stato) gli interessi di alcune parti implica nel contesto delle relazioni sociali borghesi il danno per gli interessi di altre. È un aspetto su cui i gruppi borghesi trovano una composizione dei loro interessi alle spalle del proletariato, delle masse popolari, dei paesi oppressi, fin quando la crisi del loro stesso sistema di relazioni diventa tanto acuta e generale da rendere impossibile la conciliazione dei loro contrastanti interessi o la lotta delle classi oppresse (l’avanzata del movimento comunista e del suo Nuovo Potere) non consente più di ricorrere a quella valvola di sfogo e camera di compensazione.(6)

Il libero dispiegarsi della lotta tra borghesi e gruppi borghesi per dirigere lo Stato, una lotta in cui ognuno pesa secondo la grandezza del suo capitale, è la sostanza della democrazia borghese. La democrazia borghese è la forma modello di ogni concreto Stato borghese. La borghesia si è allontanata da essa (con lo Stato bonapartista, con il fascismo) solo quando non ha potuto farne a meno per assicurare la perpetuazione del sistema di relazioni sociali di cui essa è alla testa: di fronte o a contrasti insanabili e cronici tra gruppi delle classi dominanti o all’avanzata del movimento comunista. Nel secolo scorso la borghesia ha fatto ricorso al fascismo in Italia, al nazismo in Germania, al franchismo in Spagna, al regime di Vichy in Francia e a forme analoghe di regimi borghesi in altri paesi solo o comunque principalmente per far fronte al movimento comunista, per impedire l’instaurazione del socialismo. Se ne è liberata ed è ritornata alla democrazia borghese, alla libera lotta politica tra gruppi borghesi quando ha potuto farlo. La costituzione sotto la protezione degli imperialisti USA della Repubblica Pontificia in Italia alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, dopo che la classe operaia guidata dal PCI aveva saputo approfittare della sconfitta del Regno d’Italia nella guerra mondiale e con la Resistenza aveva posto fine al fascismo, è un esempio di questi ritorni.

 

Fin dai primi tempi del suo sviluppo, circa 160 anni fa, il movimento comunista ha approfittato senza riserve delle caratteristiche della democrazia borghese. I comunisti hanno creato partiti che si inserivano nella lotta politica tra gruppi borghesi. Questa è così diventata una via per mobilitare e organizzare gli operai e dare loro coscienza del proprio ruolo e della via per la propria emancipazione dalla borghesia. Il movimento comunista ha mobilitato la classe operaia e le masse popolari attorno al partito comunista per obbligare la borghesia a riconoscere anche per i proletari e per i membri delle altre classi delle masse popolari le libertà che la borghesia riconosceva ai propri membri, per imporre alla borghesia, al suo Stato e con l’autorità del suo Stato, miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro, servizi pubblici, ecc. La classe operaia ha costituito partiti che interferivano con i partiti borghesi nella lotta politica, si è giovata della lotta tra essi che era un tratto costitutivo della democrazia borghese.

Il movimento comunista si è giovato della libera contrattazione tra venditori e compratori di merci, un tratto fondante e costitutivo della società borghese, per mobilitare, unire e organizzare la classe operaia in sindacati. Si è giovato della libertà di pensiero e di organizzazione propria della società borghese per elevare il livello culturale e l’esperienza organizzativa degli operai.

Analogamente si è giovato della lotta politica tra partiti borghesi per fondare partiti operai, partiti dei lavoratori, partiti popolari che mobilitavano e organizzavano gli operai e le altre classi delle masse popolari.

La Germania a cavallo tra il XIX e il XX secolo fu il laboratorio principale di quest’opera, con il Partito SocialDemocratico (SPD), ma un’opera analoga venne compiuta in Gran Bretagna, in Francia, in Italia, in Spagna e in altri paesi d’Europa e nelle due Americhe.

 

La debolezza della lotta contro l’imperialismo diretta dalle forze religiose tradizionali in Afghanistan, in Iran e in altri paesi arabi e musulmani deriva dai seguenti tratti della natura di queste forze.

1. In campo politico esse si basano su relazioni di dipendenza personale dei sudditi dal signore, analoghe a quelle della società feudale del Medioevo europeo.

2. In campo economico combinano relazioni mercantili capitaliste con relazioni caritative feudali: il dovere del ricco di aiutare il povero, le opere pie e caritative, la beneficenza e l’elemosina.

 

 

 

Come K. Marx ben disse nell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (1864), la classe operaia possiede un elemento del suo successo, il numero. Ma i numeri pesano sulla bilancia, vale a dire nel rapporto di forza che decide dell’esito della lotta di classe, solo quando 1. sono uniti dall’organizzazione e 2. sono guidati dalla conoscenza.(7)

Per sua natura, un singolo proletario non ha forza sociale, non ha modo e mezzi per incidere sull’andamento della società. Il suo malcontento per lo stato presente delle cose, se non trova modo di aggregarsi, di diventare una forza sociale, di esprimersi come forza politica, se resta disperso e isolato, finisce con esaurirsi nell’impotenza e nel lamento e logorare l’individuo e le sue relazioni sociali, diventare un fattore distruttivo della coesione sociale e perfino della personalità degli individui o addirittura terreno di manovra degli elementi più criminali della borghesia e del clero che promuovono la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Al contrario, se trova un centro di raccolta, di orientamento, di organizzazione e di direzione (che stante la sua condizione sociale il proletario di per sé non concepisce e non costruisce), il malcontento diventa una forza creatrice. Non esistono masse proletarie per loro natura passive: esistono paesi e periodi in cui non c’è una avanguardia comunista all’altezza dei suoi compiti.

Il proletario malcontento è un passo più avanti del proletario soddisfatto del suo stato, dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana, cioè storico. I comunisti devono fare del malcontento generato dalle condizioni sociali una forza che trasforma le condizioni sociali. Devono aggregare gli individui, organizzarli, tradurre i loro bisogni e le loro aspirazioni in obiettivi politici, dare loro espressione politica, fare dei proletari organizzati una forza politica che trasforma la società. Proprio questa azione dei comunisti moltiplica il malcontento e galvanizza la volontà di lotta e di vittoria del proletario, che invece in assenza di quell’azione dei comunisti covano, languono e si disperdono. I comunisti “fanno montare la maionese” della lotta di classe. La guerra popolare rivoluzionaria è questa forza sociale che cresce e forma il Nuovo Potere. Questa è la politica rivoluzionaria del Partito comunista. L’opera delle organizzazioni generate e non generate sul secondo fronte è una parte di quest’opera.

A ragione i borghesi e i loro portavoce dicono che sono i comunisti che sobillano gli operai, che gli operai si ribellano perché sono sobillati dai comunisti. Sorvolano sul dettaglio che senza le cause sociali del malcontento, nessuna “sobillazione” farebbe presa.

Questo incominciò a fare il movimento comunista a partire dalla seconda metà del secolo XIX servendosi della democrazia borghese e creando partiti operai che intervenivano autonomamente nella contesa tra le forze politiche borghesi. Il partito operaio intervenendo autonomamente nella contesa delle forze politiche borghesi da una parte galvanizzava le forze proletarie, moltiplicava il malcontento e le aspirazioni degli operai e la loro volontà e capacità di lotta. Dall’altra si giovava di tutti i contrasti che per loro natura contrappongono tra loro le forze politiche borghesi e i gruppi borghesi. Esso perseguiva due obiettivi: 1. rafforzare la posizione dei proletari e delle masse popolari come componente della società borghese (rafforzare la loro forza contrattuale) e 2. abolire la società borghese (instaurare il socialismo). Due obiettivi connessi ma distinti, che costituivano una unità di opposti.

 

Engels a Richard Fischer a Berlino

 

Londra, 8 marzo 1895

41, Regent’s Park Road, N.W.

Caro Fischer,

ho tenuto conto, per quanto mi è stato possibile, delle vostre [della Direzione della SPD, ndr] gravi perplessità, sebbene non riesca a vedere, almeno nella metà dei casi, in cosa consista la vostra perplessità. Io non posso supporre che voi abbiate intenzione di darvi anima e corpo all’assoluta legalità, alla legalità in ogni circostanza, alla legalità anche nei confronti delle leggi infrante da chi le ha fatte, in breve alla politica del porger la guancia sinistra a chi vi ha colpito sulla destra. Su Avanti! [quotidiano della SPD, ndr], a dire il vero, la rivoluzione viene talvolta rinnegata con la stessa energia con cui prima - e forse anche fra non molto - veniva predicata. Ma questo non posso considerarlo come una regola cui sottomettermi.

Io sono del parere che non ci guadagnate niente predicando la rinuncia assoluta a menar le mani. Crederlo, non lo crede nessuno; nessun partito in nessun paese arriva a rinunciare al diritto di opporsi, armi alla mano, all’illegalità.

Ma io devo considerare anche il fatto che i miei scritti vengono letti anche da stranieri - francesi, inglesi, svizzeri, austriaci, italiani, ecc. - e di fronte a loro io non posso assolutamente compromettermi sino a tal punto.

Ho accettato quindi le vostre modifiche, ma con le seguenti eccezioni: 1. bozza 9, quando si parla delle masse, ora va messo: “esse devono aver compreso per che cosa devono lottare”. 2. capoverso seguente: l’intera frase dell’attacco cancellata; la vostra proposta conteneva una inesattezza di fatto. Francesi, italiani, ecc. adoperano tutti i giorni la parola d’ordine dell’attacco, solo che vien presa meno sul serio. 3. bozza 10: “la sovversione socialdemocratica, che per il momento vive del”, voi volete levare “per il momento”, trasformare quindi una tattica momentanea in una tattica permanente, una tattica relativa in una che è valida in assoluto. Questo non lo faccio, non posso farlo, senza perder la faccia irrimediabilmente. Evito quindi la contrapposizione e dico: “la sovversione socialdemocratica, cui proprio ora giova molto osservare le leggi”.

Perché mai troviate pericoloso il riferimento a ciò che fece Bismarck nel 1866 violando la Costituzione, mi è assolutamente incomprensibile. Eppure questo è un argumentum ad hominem come nessun altro. Tuttavia vi faccio questo favore.

Ecco. Oltre però non posso assolutamente andare. Ho fatto tutto quanto mi era possibile per risparmiarvi dei fastidi nel dibattito. Ma voi fareste meglio a tener fermo al punto di vista che l’obbligo di rispettare la legalità è un obbligo giuridico, non morale, come vi ha insegnato così bene il Boguslawski (che ha una s lunga) [generale prussiano (1834-1905), autore di scritti militari e collaboratore di giornali nazionalisti. Aveva preso parte alla repressione dell’insurrezione polacca del 1863-1864, ndr]; e che esso viene completamente meno quando coloro che  detengono il potere infrangono le leggi. Ma voi - o per lo meno alcuni di voi - avete avuto la debolezza di non opporvi come si conveniva alla pretesa dell’avversario che l’obbligo della legalità venisse riconosciuto anche come un obbligo morale, come un obbligo vincolante in ogni circostanza, invece di dire: voi avete il potere, voi fate le leggi; se noi le violiamo, voi potete trattarci sulla base di queste leggi, noi siamo costretti a sopportarlo, ma questo è tutto; noi non abbiamo nessun altro dovere, voi nessun altro diritto. Così hanno fatto i cattolici sotto le leggi di maggio [allusione all’opposizione alle leggi con cui Bismarck tra 1873 e il 1880 cercò di soffocare l’opposizione del Vaticano e di alcuni Stati tedeschi alla creazione del II Reich, ndr], così i vecchi luterani a Meissen, così quel soldato mennonita che appare su tutti i giornali. Questo punto di vista voi non potete ripudiarlo. La proposta di legge contro la sovversione [progetto di legge presentato dal governo tedesco in Parlamento nel dicembre 1894 e respinto in maggio 1895, ndr] va comunque in fumo. Una cosa del genere non è neppure da formulare e ancor meno da realizzare. Se costoro hanno il potere, possono sempre imbavagliarvi e tormentarvi come vogliono.

Ma se voi non volete far capire a quelli del governo che noi aspettiamo solo perché non siamo ancora abbastanza forti da farcela da noi e perché l’esercito non è ancora radicalmente infettato, allora, cari miei, perché vi vantate ogni giorno sui giornali dei progressi giganteschi e dei successi del partito? Costoro sanno bene quanto noi che stiamo marciando poderosamente verso la vittoria, che fra qualche anno non potranno più opporci resistenza, ed è per questo che vogliono farci fuori sin da ora, ma non sanno come. I nostri discorsi non possono cambiare niente, essi sanno queste cose non meno bene di noi e altrettanto bene sanno che noi, una volta avuto il potere, lo useremo come serve a noi e non a loro.

Quindi, allorché si arriverà al dibattito generale nella seduta plenaria, pensate un po’ anche al fatto che voi rivendicate il diritto alla resistenza proprio come Boguslawski l’ha rivendicato per noi, che voi avete fra chi vi presta ascolto anche vecchi rivoluzionari, francesi, italiani, spagnoli, ungheresi, inglesi, e che può ritornare, chissà fra quanto, il tempo in cui si farà sul serio con il depennamento del “legale” che, in tempi immemorabili, fu eseguito a Wyden [nel castello di Wyden, in Svizzera tra il 20 e il 23 agosto 1879 si svolse il primo congresso clandestino della SPD, dopo che il governo di Bismarck l’aveva messa fuori legge nell’ottobre 1878. Gli statuti della SPD dicevano che il Partito perseguiva i suoi fini “con tutti i mezzi legali”: il Congresso abolì la restrizione “legali”, ndr]. Guardate gli austriaci, che minacciano, il più direttamente possibile, di ricorrere alla violenza, se non arriva presto il suffragio universale! Pensate alle vostre stesse illegalità sotto la legge contro i socialisti, che si vorrebbe nuovamente affibbiarvi! Legalità fin quando e nella misura in cui ci conviene, ma nessuna legalità ad ogni costo, neanche a parole!

Tuo F. E

 

Ma così facendo il Partito operaio rendeva impossibile la libera contesa tra le forze politiche borghesi che è un aspetto essenziale della democrazia borghese, diventava un ostacolo insormontabile per la democrazia borghese. Non solo nel senso che faceva venire in chiaro, dimostrava la funzione (al servizio degli interessi della borghesia) della democrazia borghese e i suoi limiti (il Partito svolgeva cioè una funzione di formazione culturale, di “propaganda”), ma anche nel senso che impediva che i borghesi si scontrassero tra di loro liberamente, li obbligava a “tener conto” a loro maniera delle masse popolari, al populismo e alla demagogia. Ogni partito borghese ricorreva al voto delle masse popolari contro i partiti borghesi avversari. Doveva fare promesse e concessioni per limitare il successo elettorale del partito comunista. Oltre certi limiti questo obbligava a porre restrizioni al funzionamento della democrazia borghese, restrizioni che però dovevano essere universali, cioè negare la democrazia borghese. L’azione dei comunisti cacciava la democrazia borghese in un vicolo cieco e il Nuovo Potere era pronto a prenderne il posto: già, ma era pronto? Questa è la questione che si pose alla fine del secolo XIX in Europa e in primo luogo in Germania.

 

La giustezza del marxismo come scienza della trasformazione dello stato presente delle cose, del passaggio della specie umana dal capitalismo al comunismo è dimostrata dallo sviluppo stesso della lotta di classe a partire dall’inizio del secolo XX.

 

La legalità ci uccide, la legalità è la nostra morte”, gridavano i borghesi più avveduti di fronte alla linea del movimento comunista in campo politico.(8) Proprio in Germania, Bismarck (cancelliere del II Reich dal 1871 al 1890) provò a limitare l’efficacia della linea adottata dal movimento comunista proibendo solo agli operai guidati dal movimento comunista e per un periodo limitato (quindi senza abolire la democrazia borghese) di organizzarsi in partito. Il governo tedesco emanò nel 1878 le leggi speciali contro i socialisti. Ma il movimento comunista (che non aveva ancora la forza per reagire con la forza) sfruttò tutte le risorse e le occasioni che la superstite democrazia borghese non impediva e per il resto ricorse su larga scala all’attività clandestina. Fu il periodo di più rapido sviluppo del movimento comunista in Germania. Di conseguenza la misura ideata da Bismarck si rivelò talmente poco efficace che nel 1890 le leggi speciali non vennero più rinnovate. La vicenda rese palese che è impossibile alla borghesia impedire il successo della tattica comunista di intrusione nella lotta politica tra i partiti borghesi mantenendo in vita la democrazia borghese, se il movimento comunista sfrutta senza riserve le opportunità che la democrazia borghese offre, ivi compresa l’attività clandestina.

 

A quel punto fu palese che, come indicato nel 1895 da F. Engels nella sua Introduzione a “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”,(8) la storia umana in definitiva sarebbe proceduta a grandi linee tra due alternative: o la borghesia sopprimeva la democrazia borghese e ricorreva alla dittatura aperta e terroristica (questa sarà la sostanza comune dei diversi regimi fascisti) che mal si adattava alla natura della stessa borghesia, o il Nuovo Potere che si costituiva attorno al partito comunista avrebbe abbattuto lo Stato borghese, affermato il suo potere unico in tutto il paese e instaurato il sistema di relazioni sociali (il socialismo) di cui il proletariato e le masse popolari hanno bisogno e di cui la classe operaia è portatrice e la concezione comunista del mondo è espressione scientifica.(9) Proprio su questo terreno il movimento comunista dei paesi imperialisti ha mostrato i suoi limiti nella comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe (cioè nell’elaborazione della scienza della trasformazione, un’elaborazione che F. Engels invece nel 1895 dava per scontata), limiti che ne hanno finora impedito il successo: l’instaurazione del socialismo.

 

La storia si è sviluppata secondo questa legge, sia pure in modo contorto. La borghesia ricorse a una serie articolata di strumenti innovativi per rafforzare la sua influenza in seno alla classe operaia e contrastare lo sviluppo del movimento comunista, pur mantenendo in vita la democrazia borghese. La mobilitazione su larga scala della Chiesa Cattolica (auspice Leone XIII, Papa dal 1878 al 1903), la creazione in ogni paese europeo di associazioni operaie cattoliche e monarchiche, l’organizzazione su grande scala di movimenti sciovinisti e colonialisti e del trasferimento di proletari nelle Americhe, in Australia e nelle colonie, la distribuzione ai dirigenti degli operai (l’aristocrazia operaia) e a un numero sia pure ristretto di operai delle briciole dello sfruttamento dei popoli delle colonie e semicolonie,(10) i miglioramenti salariali e assicurativi strappati dalle categorie più organizzate e combattive di operai, la mobilitazione reazionaria degli strati più arretrati delle masse popolari (razzismo, antisemitismo, sciovinismo, ecc.), lo stesso successo del movimento operaio con l’afflusso in esso di un ampio numero di esponenti di altre classi, specialmente di intellettuali e di studenti (che allora provenivano tutti dalle classi benestanti): tutto questo e altro la borghesia mise a contribuzione per contrastare l’avanzata del movimento comunista. Negli USA che proprio in quel periodo si ponevano all’avanguardia dei paesi capitalisti, la borghesia diede vita a una forma particolare di democrazia borghese, il regime di controrivoluzione preventiva che dopo la Seconda Guerra Mondiale avrebbe diffuso anche negli altri paesi imperialisti.(3)

Il movimento comunista dei paesi imperialisti non comprese la situazione nuova che si stava creando. A causa dei limiti del movimento comunista principalmente nella comprensione dell’imperialismo, della strategia della rivoluzione socialista e del ruolo del partito comunista, quando, terminata la fase preparatoria del movimento comunista, la storia umana entrava nella fase del tramonto del capitalismo e dell’avanzata della rivoluzione socialista, la fase di cui aveva parlato F. Engels nel 1895 nella Introduzione,(8) precisamente a causa di quei limiti l’influenza della borghesia nel suo seno determinò la divisione del movimento comunista internazionale in due ali contrapposte: un’ala destra e un’ala sinistra. Questa divisione incominciò a manifestarsi apertamente già nella contesa a proposito della Introduzione del 1895 tra F. Engels e la direzione della SPD (tra cui Richard Fischer (1855-1926), August Bebel (1840-1913) e Wilhelm Liebknecht (1826-1900) - il padre di Karl che sarà, questi, con Rosa Luxemburg, tra i fondatori nel 1918 del Partito comunista tedesco (KPD), uccisi entrambi nel gennaio 1919 dalla controrivoluzione diretta dall’ala destra della SPD).

 

A. - Un’ala destra che abbandonava o metteva in secondo piano il ruolo di promotore di un movimento che superava la società borghese. Abbandonava la lotta politica rivoluzionaria e diventava portatrice di una concezione economicista, tradunionista della politica (per usare le espressioni di Lenin nel Che fare? del 1901). Di conseguenza (volente o nolente, cosciente o meno) riduceva la lotta del partito operaio alla partecipazione alla lotta politica borghese per sostenere le rivendicazioni di una parte della società borghese, si riduceva a spalla (sponda) politica (nelle istituzioni politiche borghesi) della lotta sindacale e riduceva il sindacato a promotore delle sue campagne elettorali, a suo bacino di voti: ruolo i cui effetti dipendevano dall’andamento generale di ogni società borghese, dalle sue espansioni e dalle sue crisi. Con alcuni corollari inevitabili.

1. A quel punto il “partito operaio” diventava un partito borghese tra gli altri, un partito borghese per gli operai. Il programma che esso portava avanti (la sua piattaforma) diventava un programma rivendicativo, tradunionista: un programma di parte tra altri programmi. La società borghese per sua natura è basata su interessi contrapposti. Ogni misura che avvantaggia una parte nuoce a qualche altra, mentre il carattere oggettivamente collettivo già raggiunto dalla società (dalla sua struttura economica), fa dipendere ogni parte dalle altre parti. Il “partito operaio”, diventato partito di una parte della società borghese, diventava esso stesso succube della contraddittorietà della società borghese, del suo basarsi sulla contrapposizione degli interessi.

2. I rapporti tra il partito e il sindacato diventavano rapporti di concorrenza: è il sindacato che deve portare voti al partito perché realizzi come politica dello Stato borghese il programma particolare elaborato dal partito o è il partito che deve far sì che lo Stato borghese adotti e attui come sua politica le rivendicazioni particolari di cui il sindacato è portatore?

L’ala destra in un certo senso non ha avuto una storia propria: precisamente nel senso che divenne sempre più una componente della società borghese, portatrice di una delle politiche di cui la borghesia si avvale in determinati periodi e fasi dello sviluppo della società borghese in generale e in particolare della lotta di classe. Nei casi migliori soggetto della politica borghese per la classe operaia, nei casi peggiori agente della borghesia contro il movimento comunista.

Se un’unica specie ha dato luogo alla scimmia e all’uomo, l’ala destra del movimento comunista corrisponde alla scimmia che non ha avuto ulteriore evoluzione. L’ala sinistra corrisponde alla specie umana che ha continuato a evolvere con le vicende che l’evoluzione ha comportato.

B. - Un’ala sinistra che portava a un livello superiore a quello raggiunto con Marx ed Engels il legame tra il partito della classe operaia e la missione storica di superare la società borghese e quindi la teoria marxista (che, ovviamente, come ogni scienza si sviluppa elaborando la pratica e verificando nella pratica i suoi sviluppi) e conformava il partito a questa missione storica, prima ancora che al ruolo di forza al servizio di rivendicazioni particolari all’interno della società borghese, a sponda politica di lotte rivendicative. Con il Che fare? Lenin si pose a campione di questa ala. Nel Che fare? infatti Lenin contrappone la politica comunista alla politica tradunionista, economicista. Negli anni successivi Lenin e sulla sua scia Stalin svilupparono la politica generale del movimento comunista che per quanto riguardava la Russia concretizzarono anche, con l’approdo alla Rivoluzione d’Ottobre e alla fondazione dell’Unione Sovietica da una parte e della prima Internazionale Comunista dall’altra.

K. Marx e F. Engels nel 1882 nella prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto del partito comunista avevano indicato l’intreccio che poteva darsi tra la rivoluzione democratica che maturava in Russia e la rivoluzione socialista che maturava nei paesi capitalisti, concretamente allora in Europa.(11) La Russia sarebbe passata direttamente al socialismo se la rivoluzione democratica che maturava in Russia avesse fatto da innesco alla rivoluzione socialista in Europa. È il compito che l’Unione Sovietica sotto la direzione di Stalin nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria ha cercato di assolvere con dignità, onore ed energia tali che hanno destato l’ammirazione perfino in molti nemici. Ma i partiti comunisti dei paesi imperialisti non hanno saputo assolvere al ruolo di estendere l’incendio per motivi che il (n)PCI ha illustrato in dettaglio in altre sedi a cui quindi rimando.(12) È il compito che noi comunisti dei paesi imperialisti dobbiamo assolvere. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia per assolvere questo compito.(13)

 

Aspetto centrale di questa strategia per quanto riguarda il nostro paese è 1. il carattere clandestino del Partito comunista soggetto della lotta politica rivoluzionaria che ha come obiettivo l’instaurazione del socialismo e 2. la sua relazione particolare con le organizzazioni di massa che lottano su ognuno dei quattro fronti del PGL. Tra di esse quelle che lottano sul secondo fronte si inseriscono nella lotta tra i partiti borghesi assumendo la responsabilità di un aspetto particolare, parziale ma essenziale della politica rivoluzionaria del Partito comunista. Esse entrano nella lotta politica borghese con obiettivi e programmi che possono anche essere contrastanti tra loro, perché contrastanti sono nella società borghese gli interessi immediati delle singole parti che compongono le masse popolari, ma la sostanza del loro comune compito non è quella di indurre lo Stato borghese e i suoi organi a fare questo o quello, ma il contributo che danno alla politica rivoluzionaria che mira a instaurare il socialismo, a indebolire e paralizzare lo Stato borghese in modo che ceda terreno al Nuovo Potere che si va costruendo attorno al Partito comunista.

Nei regimi di controrivoluzione preventiva la borghesia ha usato e usa la democrazia borghese come strumento per tenere sottomesse le masse popolari alla borghesia (terzo pilastro del regime di controrivoluzione preventiva). Per impedire alla borghesia di servirsi delle istituzioni della democrazia borghese e delle elezioni per il suo dominio, bisogna mobilitare le masse popolari a intervenire nella lotta tra i partiti borghesi autonomamente dai partiti borghesi. Nell’ambito della crisi generale che si aggrava, la borghesia sgretola sempre più essa stessa il terzo pilastro. Questo pilastro nella fase terminale della crisi è instabile e foriero di eventi inusuali e repentini. I comunisti non possono e non devono stare alla finestra, seguire gli eventi da lontano, ma devono intervenire con una loro linea anche su questo aspetto. Quindi 1. impedire che la borghesia usi del terzo pilastro per deviare le masse popolari dalla rivoluzione socialista (e nell’immediato deviarle dalla costituzione del GBP imposto ai vertici della Repubblica Pontificia rendendo il paese ingovernabile da ogni governo loro emanazione), 2. combattere ogni limitazione della democrazia borghese per le masse popolari (eliminazione e riduzione delle forme di partecipazione, riforme elettorali truffa, ostacoli vari alla partecipazione e all’organizzazione delle OO e OP, infiltrazioni, ecc.). Questo è il compito particolare delle organizzazioni del secondo fronte.

 

Quindi la lotta politica rivoluzionaria che il partito comunista conduce ha aspetti e componenti che si avvalgono della democrazia borghese e si concretizzano in manovre nelle istituzioni politiche borghesi: è quello che la borghesia sopprime quando ricorre al fascismo, cioè alla dittatura aperta e terroristica che però, per la natura della cosa, deve applicare anche al suo interno. Quindi è una soluzione “scomoda” anche per la borghesia. Inoltre sia la Corte Pontificia e la sua Chiesa, sia la borghesia italiana hanno già sperimentato direttamente che il fascismo è pericoloso: non riesce a sopprimere il movimento comunista e mai per loro il rischio che l’Italia diventasse un paese socialista fu così grave come alla sconfitta del fascismo.

Infatti la lotta politica rivoluzionaria che il partito comunista conduce ha aspetti e componenti che per loro natura vivono di forza propria. Non vivono perché la borghesia li tollera. Vivono giovandosi delle relazioni della società borghese che la borghesia non può sopprimere neanche col fascismo. Se in un paese gli uomini e le donne si possono spostare liberamente, è materialmente impossibile riservare questo diritto a una parte e toglierlo a un’altra che all’apparenza in nulla si distingue dalla prima, a meno di creare un sistema di controlli asfissiante che di fatto elimina o limita fortemente per tutti la libertà di movimento e non può durare che per limitati periodi d’emergenza. La libertà di trafficare che per sua natura la borghesia ha bisogno sia un diritto e una pratica di ogni suo membro, la borghesia non riesce ad evitare che diventi la libertà di organizzazione e di lotta clandestina del Partito comunista. Il controllo dei movimenti, delle relazioni, delle risorse e delle coscienze è limitato dalle relazioni di compravendita, mercantili e finanziarie di cui la borghesia ha bisogno, che essa stessa ha creato e di cui è la principale beneficiaria normalmente, finché non incomincia ad usarne anche il Partito comunista e il Nuovo Potere che esso costruisce.

La società borghese è tale che non è possibile abolire le condizioni di cui i comunisti si avvalgono per condurre la loro politica rivoluzionaria. La borghesia può mobilitare i suoi sbirri a cercare i rivoluzionari e arrivare ad arrestarne ed eliminarne alcuni, ma non è in grado di eliminarli tutti e di impedire che il posto di chi cade sia occupato da altri. Non è in grado di eliminare la sorgente di rivoluzionari, perché questa è inesauribile, è un aspetto costitutivo della società borghese, è l’antagonismo tra la borghesia e le condizioni sociali che essa stessa ha creato di cui la classe operaia è la personificazione più completa, più pura che possa esistere nella società borghese. La possibilità di vita e di azione del Partito comunista nell’ambito di un regime di democrazia borghese è assicurata dalla natura stessa della borghesia. Nell’ambito di regimi fascisti, di dittatura aperta e terroristica della parte più criminale della borghesia, la pratica l’ha già confermata.

Fondamentale è la distinzione tra il Partito comunista e i partiti che entrano direttamente nella lotta politica tra i gruppi borghesi. Per questi è il loro legame con il Partito comunista e quindi la subordinazione della loro azione alla politica rivoluzionaria per instaurare il socialismo che li distingue dai partiti della sinistra borghese, anche da quelli che si dicono comunisti.

Questi ultimi, anche nei casi migliori, sono ognuno portavoce di parti delle masse. Vogliono accreditarsi presso le masse, conquistare il loro consenso e appoggio e la loro militanza non per abbattere lo Stato borghese e instaurare il socialismo, ma per la linea che vogliono far seguire allo Stato borghese. Per forza di cose sono partiti interclassisti (subordinano ogni gruppo di operai e ogni operaio alla sua borghesia) e dividono gli operai in parti contrapposte in ogni paese e a livello internazionale.

Perché il traffico corrente della società borghese che, lo riconoscono anche gli esponenti della sinistra borghese, contrappone un capitalista all’altro, non contrapporrebbe un operaio all’altro se i due operai non lottassero entrambi per porre fine alla società borghese? Come membri della società borghese, ognuno dei quali vuole solo ricavarsi la sua nicchia nella società borghese, gli operai sono l’uno contro l’altro, come lo sono i capitalisti.

Certo anche nel contesto di ogni società borghese vi sono interessi che sono comuni a gruppi molto vasti di operai, alcuni sono comuni a tutti gli operai e anche ad altre classi delle masse popolari. Su questa base si formano sindacati, associazioni e partiti. Ma che questi interessi pesino per ogni gruppo e per ogni individuo più o meno degli interessi che riguardano il gruppo ristretto o addirittura il singolo individuo, è cosa che varia con le circostanze.

Per comprendere gli sviluppi di questo aspetto della società nella lotta politica, bisogna impostare la questione in termini di principio. È allora evidente che due parti della classe operaia o di altre classi delle masse popolari che si organizzano solo o principalmente per far fare allo Stato borghese una politica favorevole ai propri interessi piuttosto che un’altra, in linea di massima possono avere due linee diverse. Come parti della classe operaia che lotta per instaurare il socialismo, gli operai di un paese sono invece tutti in lotta contro tutti i partiti borghesi per abbattere lo Stato borghese: portarlo a cedere terreno al Nuovo Potere e sconfiggerlo nella guerra civile se la borghesia osa scatenarla. Quindi essi sono uniti e costituiscono un solo Partito comunista. La sua politica è la politica rivoluzionaria.

Su questa base, e solo su questa base, non solo gli operai di un paese, ma gli operai di tutto il mondo sono uniti. Ma in questa sede basta aver messo in chiaro che come abbattitori dello Stato borghese per instaurare il socialismo, gli operai hanno tutti gli stessi interessi: questi sono espressi dal Partito comunista e dalla sua politica rivoluzionaria. Invece come membri della società borghese che si organizzano per fare operare lo Stato borghese secondo i loro interessi, gli operai si dividono in parti contrapposte, fino al singolo operaio che cerca di scavarsi e si illude di riuscire a scavarsi la sua nicchia. Gli operai di Catanzaro si uniscono con i borghesi di Catanzaro per indurre lo Stato a stanziare fondi per le opere pubbliche della zona di Catanzaro, mentre gli operai di Piacenza si uniscono con i borghesi di Piacenza per indurre lo Stato a stanziare fondi per le opere pubbliche della zona di Piacenza. Quindi i partiti della sinistra borghese sono per loro natura interclassisti e dividono gli operai in parti contrapposte in ogni paese e nelle relazioni internazionali (borghesi e operai uniti contro il resto del mondo: dice apertamente Marchionne e chi vuole restare nella società borghese finisce a seguire questa linea). I partiti che operano nell’ambito del PGL del (n)PCI invece sostengono le rivendicazioni opposte degli operai che sono inquinati dalle emissioni di una fabbrica e quelli degli operai che solo grazie a quella fabbrica guadagnano di che vivere; gli interessi degli operai che vogliono diminuire l’inquinamento da auto e gli interessi degli operai che guadagnano da vivere solo grazie all’industria automobilistica. La società borghese divide gli operai in parti contrapposte, divide spesso anche uno stesso individuo tra interessi e necessità inconciliabili nel sistema di relazioni sociali propri della società borghese. Solo il superamento della società borghese e l’instaurazione di un sistema di relazioni sociali non basato su interessi contrapposti (il socialismo, fase di transizione dal capitalismo al comunismo) risolve il problema. La lotta per questo obiettivo unifica.

Il partito che conduce una politica rivoluzionaria per instaurare il socialismo

1. esalta la forza e la volontà di lotta del proletariato (come dicono borghesi e loro portavoce, li sobilla e li induce alla ribellione),

2. mette in difficoltà crescente le istituzioni politiche borghesi dirigendo le organizzazioni del secondo fronte del PGL a interferire nella loro attività e a mobilitare le masse popolari ogni parte con le sue richieste e rivendicazioni;

3. crea il Nuovo Potere e lo rafforza fino a renderlo capace di governare l’intero paese, eliminare lo Stato borghese (soppiantarlo) e trionfare nella guerra civile se la borghesia osa scatenarla.

Ecco perché e come il nuovo Partito comunista italiano subordina l’azione nelle e verso le istituzioni politiche borghesi alla politica rivoluzionaria per instaurare il socialismo.

Umberto C.

Note

 

1. A proposito del Piano Generale di Lavoro (PGL) del (nuovo) Partito comunista italiano, vedere Manifesto Programma del (n)PCI (MP), capitolo 3.5. (Edizioni Rapporti Sociali (rapportisociali@libero.it) o http://www.nuovopci.it).

 

2. Per legge i referendum devono essere tenuti entro domenica 12 giugno. Ma se governo e Presidente della Repubblica li fissassero il 12 giugno sarebbe una forma subdola per non far raggiungere la percentuale di partecipazione necessaria per la validità del risultato (il quorum). Il Comitato referendario è mobilitato e mobilita per indurre governo e Presidente della Repubblica a fissarli entro maggio, il giorno delle amministrative o del ballottaggio. Da notare che le elezioni politiche farebbero saltare i referendum.

 

3. A proposito del regime di controrivoluzione preventiva con cui la borghesia mantiene il suo dominio nei paesi imperialisti e dei suoi cinque pilastri, vedere Manifesto Programma, capitolo 1.3.3.

 

4. In proposito vedere L’ordinamento politico dei paesi socialisti, in La Voce n. 31 (marzo 2009).

 

5. Illuminante in proposito l’inchiesta sulle condizioni della Sicilia (1876) svolta da Giorgio Sidney Sonnino (1847-1922) e Leopoldo Franchetti (1847-1917).

 

6. Come si vedrà meglio in seguito, proprio ciò condanna al minoritarismo o comunque alla sconfitta i partiti pseudocomunisti della sinistra borghese (PRC, PdCI, ecc.) che pretendono di fare “il bene comune” restando nell’ambito di relazioni sociali borghesi, dell’economica mercantile e capitalista. Questa è un contesto che per sua natura non ammette bene comune. Esso fa di ogni individuo adulto (di ogni famiglia, che quindi viene dalla società borghese confermata nel suo ruolo) una nazione indipendente: ogni misura che giova a qualcuno, nuoce a qualcun altro. Nell’ambito della società borghese, ogni interesse è parziale ed è contrapposto ad altri (homo homini lupus).

 

7. K. Marx, Indirizzo inaugurale e statuti provvisori dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, 1864 (in Opere complete, vol. 20, pagg. 12-13).

 

8. Espressione dell’uomo politico borghese Camille-Hyacinthe-Odillon Barrot (1791-1873) citato da F. Engels in Introduzione a “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, 1895 (in Opere complete, vol. 10, pag. 658 - reperibile anche nella sezione Classici del Movimento Comunista del sito http://www.nuovopci.it).

 

9. In proposito è particolarmente istruttiva la lettera di F. Engels a R. Fischer (1855-1926), 8 marzo 1895 (in Opere complete, vol. 50, pagg. 457-459 - reperibile anche nella sezione Classici del Movimento Comunista del sito http://www.nuovopci.it), che comunque riproduciamo per comodità dei nostri lettori.

 

10. I comunisti dogmatici sostengono ancora oggi, universalizzando unilateralmente l’analisi fatta da Lenin a proposito della degenerazione della II Internazionale, che nei paesi imperialisti il movimento comunista non ha instaurato il socialismo a causa dei privilegi che la borghesia elargisce ai suoi operai grazie allo sfruttamento dei paesi oppressi. Addirittura sostengono che non riuscirà ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti finché i paesi oppressi non si saranno liberati: a rovescio la tesi di quelli che fino a qualche decennio fa sostenevano che i paesi coloniali avrebbero avuto la loro liberazione solo dopo che il movimento comunista avesse instaurato il socialismo nei paesi imperialisti. I comunisti dogmatici per mantenere in piedi la loro spiegazione trascurano semplicemente di considerare le condizioni vissute dagli operai in Europa durante la prima crisi generale del capitalismo e le due Guerre Mondiali.

 

11. K. Marx e F. Engels, Prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto del partito comunista, 1882 (in Opere complete, vol. 6, pagg. 662-663).

 

12. Vedere ad esempio Comunicato CC 22/10 del 14 ottobre 2010 (http://www.nuovopci.it). Quanto poi alle correnti e gruppi “di sinistra” (trotzkisti, bordighisti e analoghi) che infestarono i bordi della prima Internazionale Comunista, la sintesi del loro ruolo è che si distinsero ognuno nel valutare se e quanto l’Unione Sovietica era all’altezza delle sue particolari idee del socialismo, anziché servirsene come base rossa per fare la rivoluzione socialista nel proprio paese.

 

13. A proposito della strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, vedere L’ottava discriminante in La Voce n. 10 (marzo 2002) e MP, capitolo 3.3.