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  La Voce 36 del (nuovo)Partito comunista italiano

 

Prima o poi finirà questa crisi?

 

“Le masse popolari organizzate possono eliminare immediatamente gli effetti più gravi della crisi e avviare il paese a uscire definitivamente da essa, ma per farlo devono costituire esse stesse un governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare costituito da uomini di loro fiducia e decisi a prendere caso per caso e di momento in momento i provvedimenti indicati dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari anche a costo di ledere gli interessi costituiti e i privilegi della borghesia, del clero e dei ricchi e contravvenire alle loro abitudini e aspirazioni. Se le OO e le OP non prenderanno esse stesse in mano la situazione, la crisi economica e la crisi ambientale peggioreranno, con esse peggioreranno la crisi politica, intellettuale e morale e sciagure ben maggiori di quelle che abbiamo subito finora colpiranno il nostro paese”.

Questo è il messaggio che con tutte le sue forze il nuovo Partito comunista diffonde in questi mesi nel paese. Questa è la linea che attua con tutte le sue forze e che indica a tutti gli elementi avanzati delle masse popolari e ai sinceri democratici.

Contro questa linea vari portavoce della borghesia e del clero cercano di impedire o almeno frenare la mobilitazione della popolazione ripetendo in varie salse e con pretesti attinti di giorno in giorno dalla cronaca o semplicemente inventati, che “la situazione migliora”, “la situazione è migliorata”, “la crisi sta per finire”, “per uscire dalla crisi basta fare come la Germania”, “per uscire dalla crisi bisogna rassegnarsi a qualche sacrificio”.

Sostanzialmente sotto la loro influenza e obbedendo al fatalismo e alla rassegnazione che vengono da lontano o semplicemente attenendosi all’opportunismo e alla speranza primitiva, egoista e stupida del “io speriamo che me la cavo”, anche attorno a noi, nel campo delle masse popolari, intellettuali ed esponenti di gruppi, di OO e di OP spingono a rivendicare, a salvare il salvabile e a sperare in dio.

La rassegnazione e il fatalismo sono stati d’animo e mentalità che saranno rovesciati e sepolti dall’incalzare degli avvenimenti e dall’azione di quelli che rassegnati e fatalisti già non sono. Direttamente non ci possiamo fare niente per eliminarli.

Se noi riuniamo e mobilitiamo la parte delle masse popolari decisa a battersi, l’attività degli opportunisti non ci danneggerà, ci gioveremo anzi delle loro denunce dei mali presenti, delle loro azioni rivendicative che in mancanza del GBP saranno per forza di cosa sempre meno seguite da effetti e delle loro iniziative unilaterali (nell’economia alternativa) di produzione e distribuzione alternative di beni e servizi che in mancanza del GBP saranno per forza di cose sempre più inadeguate alla gravità della situazione: quindi se mobilitiamo e mettiamo all’opera la parte delle masse popolari decisa a battersi, gli opportunisti contribuiranno, sia con le loro lotte rivendicative sia le loro iniziative unilaterali di produzione e distribuzione, a mobilitare e organizzare la parte ancora arretrata delle masse popolari.

Ancora meno ci danneggerà l’attività della borghesia, del clero e delle loro autorità. Esse al contrario renderanno sempre più evidente l’inefficacia o il carattere criminale delle iniziative che prendono spacciandole come misure anticrisi.

Non è quindi degli argomenti dei rassegnati, degli opportunisti e  dei nostri nemici che dobbiamo principalmente occuparci: quello che invece possiamo e dobbiamo fare è eliminare gli argomenti che vengono portati a sostegno della tesi che “prima o poi questa crisi finirà come sono finite tutte le crisi che hanno sconvolto l’umanità nell’epoca del capitalismo” e che si pretendono razionali. Ancora poche settimane fa il presidente del Partito Marxista Leninista della Germania (MLPD), organizzativamente il più grande dei partiti comunisti d’Europa, dichiarava nel discorso inaugurale di una riunione internazionale: “Come marxisti-leninisti ovviamente noi sappiamo che, come ogni crisi ciclica di sovrapproduzione, certamente anche la crisi attuale prima o poi finirà”. Dobbiamo dimostrare l’inconsistenza di questa tesi perché essa ancora oggi frena l’attività degli elementi disposti a battersi, non rassegnati a subire.

Finirà questa crisi come sono finite tutte le crisi che hanno sconvolto l’umanità nell’epoca del capitalismo?

Certamente, anche se l’umanità scomparisse, anche se l’umanità fosse decimata e deformata da guerre e da epidemie, la crisi attuale finirebbe e la Terra continuerebbe a girare attorno al Sole, come girava ben prima che la specie umana si formasse e incominciasse il suo plurimillenario cammino di trasformazione e di progresso. Ma è di questa fine che stanno parlando, è questa fine della crisi che aspettano, è una fine del genere che accettano, a cui sono rassegnati?

Noi comunisti miriamo ad altro. Noi parliamo di una fine della crisi che permetta all’umanità di uscire dalle difficoltà che le si stringono attorno da alcuni decenni a questa parte e di riprendere il suo cammino di progresso e di civiltà. Noi parliamo di una fine della crisi che permetta alla nostra generazione di lasciare alla generazione che prenderà il nostro posto, una Terra migliore e una società più progredita e sicura di sé, più fiduciosa nel suo avvenire e più capace di definirlo e perseguirlo di quella che abbiamo ricevuto. Avrà questa crisi una fine del genere che diciamo noi, se le masse operaie e popolari organizzate non prendono in mano la situazione? Avrà questa crisi una fine del genere, nell’ambito degli attuali ordinamenti sociali e dell’attuale sistema di relazioni internazionali (dell’attuale ordinamento mondiale, dell’attuale sistema imperialista mondiale)?

Queste sono le domande a cui il nostro Partito ha dato una chiara risposta negativa. Come ogni Partito comunista degno di questo nome, noi dobbiamo sia esporre e argomentare con cura  i fondamenti della nostra risposta sia esaminare con cura gli argomenti che amici o nemici portano contro di essa e che si pretendono razionali. Perché è dalla risposta che abbiamo dato che discende la linea politica che il Partito comunista attua e che chiama gli operai avanzati e gli esponenti avanzati delle altre classi delle masse popolari nonché i membri sinceramente democratici della borghesia e del clero ad attuare.

La crisi attuale ha preso origine negli anni ’70 del secolo scorso. Tutti quelli che si sono occupati e si occupano della storia politica, economica o culturale degli ultimi cinquant’anni confermano che negli anni ’70 del secolo scorso il cammino che l’umanità da alcuni decenni seguiva, ha subito una svolta, che vi è stata in quegli anni una rottura di continuità nella progressione della civiltà e del benessere dell’umanità. Tutti i grafici lo mostrano con evidenza. Nessuno lo ha seriamente negato o lo nega. Vi sono certo divergenze importanti, essenziali sui motivi e sulla natura della svolta. Ma che una svolta ci sia stata nessuno seriamente lo nega. Molti che pur non negano la svolta degli anni ’70, la trascurano e si rifugiano dietro il comodo paravento di far incominciare i mali presenti da qualche avvenimento più recente. Chi dalla deregulation degli anni ’80, chi dalla globalizzazione degli anni ’90, chi dai prestiti immobiliari subprime (cioè privi di solide garanzie) USA del primo decennio del nuovo secolo, chi da altro. Rifiutano di chiedersi i motivi per cui la deregulation, la globalizzazione, la speculazione finanziaria (la “finanza creativa” per dirla alla Tremonti) e altre simili “fonti dei guai attuali” hanno preso piede e sono state accolte con tanto unanime favore dalla borghesia di tutto il mondo.

Sulla scorta della teoria marxista del capitalismo, dell’esperienza dei precedenti 150 anni di storia dei paesi capitalisti e del sistema imperialista mondiale e dell’analisi scientifica (cioè materialista dialettica) dei fenomeni in corso, il gruppo promotore del (n)PCI ha concluso che nel corso degli anni ’70 l’umanità era entrata nella seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (la prima essendo quella che aveva fatto da sfondo alla storia dell’umanità nella prima parte del Novecento e che si era risolta tramite le due guerre mondiali e le prime rivoluzioni proletarie, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre di 93 anni fa).

In che cosa consistesse la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale lo spiegava sulla scorta della teoria enunciata da Marx (come previsione fatta a metà dell’Ottocento del limite in cui nel futuro sarebbe incappato il modo di produzione capitalista) nei Grundrisse e nel capitolo 15 del libro III di Il capitale. La tesi venne enunciata e argomentata per la prima volta nel fascicolo Don Chisciotte e i mulini a vento (settembre 1985), n. 0 della rivista Rapporti Sociali. La tesi venne ripresa e argomentata da differenti punti di vista e sotto differenti aspetti nei successivi n. 1 (novembre 1988), 5/6 (gennaio 1990), 8 (novembre 1990), 9/10 (settembre 1991) e 12/13 (novembre 1992) della rivista e infine ripresa e riesposta nel n. 17/18 (autunno 1996). Nel frattempo essa era stata esposta in testi in lingua francese, spagnola, inglese e tedesca pubblicati in vari contesti più o meno occasionali.

A beneficio dei lettori di oggi, che non hanno avuto modo di leggere gli scritti citati, ricordo che per crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale si intende che a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi (da qui la qualifica di assoluta data alla sovrapproduzione) la borghesia aveva accumulato una quantità tale di capitale che, nel contesto dell’esistente sistema di rapporti sociali e politici, non poteva continuare a investire nella produzione di merci (beni e servizi) tutto il capitale che da lì in poi avrebbe accumulato: non poteva perché se lo avesse fatto, essa avrebbe ricavato una quantità di profitto inferiore a quella che ricavava investendone solo una parte. Infatti se avesse investito nella produzione di merci (beni e servizi) tutto il capitale che veniva accumulando, le condizioni della valorizzazione del capitale (della produzione di nuovo valore e della ripartizione del valore prodotto tra salario, profitto e rendita) si sarebbero modificate in senso tale da ridurre la quantità di profitto a una quantità minore di quella che la borghesia ricavava investendo (nella produzione di merci) solo una parte del capitale. Siccome per sua natura ogni borghese vuole valorizzare tutto il suo capitale e siccome i proletari ricevono un salario se i capitalisti li impiegano nella produzione di merci (beni e servizi), la situazione che si creava con la sovrapproduzione di capitale comportava lo sconvolgimento dell’esistente sistema di rapporti sociali e politici.

Ed è quello che via via è avvenuto nei trent’anni che abbiamo alle spalle, dagli anni ’70 del secolo scorso in qua. La forma dello sconvolgimento è stata determinata dalla lotta tra le classi, tra i gruppi in cui esse si dividono e tra le forze organizzate che ne incarnano  e fanno valere gli interessi e le aspirazioni. Sono gli uomini che fanno la loro storia (che trasformano la loro società e se stessi). Ma, come in ogni altra loro attività, gli uomini fanno la loro storia con il materiale e a partire dalle condizioni che si ritrovano e attuando le leggi proprie della trasformazione della loro società e di se stessi. Né il materiale esistente né le leggi della trasformazione degli individui e della società esistenti si possono inventare: si tratta solo di scoprirle e usarle, a meno di agire alla cieca.

Il capitale esiste nelle forme di denaro, condizioni della produzione (tecnologie, materie prime, condizioni naturali, reti di comunicazione e scambio, strutture organizzate, condizioni sociali, ecc.), mezzi di produzione, merci e forza lavoro. Sovrapproduzione assoluta di capitale significa che tutte queste forme di capitale esistono in quantità superiore a quella che la borghesia può impiegare con profitto nella produzione di merci (beni e servizi). Quindi esse restano inutilizzate. Vi è quindi sovrapproduzione di ognuna di esse.

La teoria della sovrapproduzione assoluta di capitale non ha incontrato e non incontra molta fortuna tra gli intellettuali. Alcuni sono mentalmente chiusi negli orizzonti delle relazioni borghesi data la classe a cui appartengono: quindi non riescono a concepire altro mondo all’infuori di quello in cui sono immersi. Altri si ritraggono terrorizzati di fronte alla “astruseria” della sovrapproduzione assoluta di capitale e al futuro catastrofico che essa fa intravvedere. Gli eclettici proclamano la “sovrapproduzione di capitale e di merci” che è come dire: “c’è molta acqua e molto liquido” o “c’è molta acqua e molta umidità”. Di fatto rifiutano di considerare cosa la sovrapproduzione di capitale comporta e a questo fine si nascondono dietro la sovrapproduzione di merci che si è presentata varie volte (nelle crisi cicliche) anche senza sovrapproduzione di capitale. Ovviamente su questo terreno giocano la loro parte l’influenza ideologica della borghesia, l’opportunismo e la tendenza alla conciliazione, l’influenza intellettuale della borghesia che nei periodi e negli ambienti in cui l’egemonia dei comunisti è debole si estende anche a persone che opportunisti e conciliatori personalmente (per carattere o per formazione) non sono.

La differenza decisiva tra sovrapproduzione assoluta di capitale e sovrapproduzione di merci sta nel fatto che una crisi per sovrapproduzione di merci può avere fine senza sovvertire gli ordinamenti sociali esistenti e l’esistente sistema di relazioni internazionali. Una crisi per sovrapproduzione di merci crea di per se stessa, nel suo corso, le condizioni della ripresa: la sovrapproduzione di merci dà origine all’arresto o al calo della produzione di merci; questo protraendosi nel tempo crea la penuria di merci; questa apre la via alla ripresa della produzione di merci. Dal punto di vista degli ordinamenti sociali, del sistema di relazioni internazionali e dell’ordine pubblico, per la classe dominante e le sue autorità costituite si tratta solo di trovare rimedi temporanei: predisporre freni e tamponi per rallentare la contrazione della produzione (che comporta chiusura o fallimento di aziende, licenziamenti, disoccupazione), piani di spesa pubblica per animare la domanda di merci e ammortizzatori sociali perché i disoccupati abbiano almeno il minimo vitale e la speranza di una ripresa. Quando si è in una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale (che ovviamente comporta anche sovrapproduzione di merci), rifugiarsi nella crisi per sovrapproduzione di merci, spacciare la crisi in corso come crisi per sovrapproduzione dei merci fa comodo a cui vuole calmare le acque, spacciare palliativi e guadagnare tempo. Fa comodo anche a chi per carattere o per formazione non osa guardare in faccia la realtà per quello che è, non ha il coraggio necessario per farvi fronte, rifugge dalle misure che la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale comporta.

I comunisti oggi si distinguono anche perché hanno il coraggio di affrontare la situazione quale essa veramente è e di farvi fronte, forti delle lezioni che hanno ricavato dall’esperienza del movimento comunista.

Ma negli anni ’70 l’umanità è veramente entrata nella seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale?

Sì. Non solo nessuno ha avanzato altra spiegazione razionale degli avvenimenti che da allora si sono succeduti, ma la teoria che l’umanità è entrata nella seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale inquadra e spiega razionalmente la successione e la connessione degli avvenimenti degli ultimi trent’anni e si inquadra nella concezione marxista del modo di produzione capitalista la cui corrispondenza con la realtà è stata confermata da una esperienza secolare per cui essa è certa come la teoria newtoniana della gravitazione universale, la teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie e altre fondamentali teorie che compongono la concezione comunista (vale a dire scientifica o materialista dialettica) del mondo.

Non potendo investire tutto il capitale nella produzione di merci (beni e servizi), da circa trent’anni a questa parte la borghesia ha ricercato freneticamente altri campi di investimento del capitale. Ha riversato una massa crescente di capitale nella privatizzazione dei sistemi di servizi pubblici e di industrie pubbliche costruiti nel corso della prima crisi generale come via di uscita da essa, nella privatizzazione dei beni pubblici (acqua, demanio, ecc.), nella finanziarizzazione delle aziende (1) e nella loro fusione fino a formare grandi monopoli mondiali, nella globalizzazione dell’economia (delocalizzazione delle aziende e saccheggio dei paesi neocoloniali e degli ex paesi socialisti), ma soprattutto nella speculazione finanziaria: nell’illimitato numero di iniziative in cui il denaro crea nuovo denaro. Il denaro è la forma più universale di capitale (cioè quella che si scambia con tutte le altre forme di capitale, il loro equivalente universale) e la quantità di denaro è cresciuta a livelli astronomici.(2)

Contemporaneamente ha ridotto le conquiste di civiltà e di benessere che i lavoratori e le masse popolari le avevano strappato nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria. Ha trasformato in imprese finanziarie le istituzioni connesse a quelle conquiste (pensioni, assicurazioni, assistenza sanitaria, istruzione, ecc.). Ha spostato a vantaggio del capitale produttivo di merci e del capitale finanziario i termini della ripartizione del valore prodotto (la parte attribuita alle masse popolari è diminuita, mentre è aumentata la parte attribuita al capitale produttivo di merci e ancora più quella attribuita al capitale finanziario). Ha finanziato in misura crescente le spese pubbliche con il debito pubblico anziché con le imposte, ampliando il campo di attività del capitale finanziario. Parallelamente ha eliminato le misure (i “lacci e laccioli” di Guido Carli) prese nel corso della prima crisi generale per limitare le manovre monetarie (come gli Accordi di Bretton Woods) e la speculazione finanziaria (come la separazione tra banche d’affari e banche di deposito e prestito) e ha concesso a se stessa libertà illimitata di muovere da un angolo all’altro del mondo denaro, capitale finanziario e capitale produttivo di merci (liberalizzazione). Ovviamente la borghesia ha potuto imporre questo corso delle cose perché il movimento comunista, per limiti suoi propri che il (n)PCI ha esposto in altre sedi,(3) aveva esaurito la forza propulsiva che esso aveva impresso al progresso dell’umanità nella prima parte del secolo scorso. Il corso delle cose negli ultimi trent’anni in campo economico, politico e culturale è stato l’espressione di rapporti di forza tra le classi antagoniste: la borghesia imperialista e i suoi alleati da una parte e dall’altra la classe operaia e i suoi alleati.

Questo corso delle cose, imposto dalla borghesia imperialista, ha procrastinato e attenuato per alcuni decenni la caduta delle attività produttive di merci (beni e servizi). La caduta invece si è bruscamente aggravata a partire dall’autunno del 2008, prendendo il via dallo sconvolgimento del sistema finanziario e monetario determinato dall’esplosione nell’autunno 2007 della bolla finanziaria dei prestiti immobiliari subprime USA. Da allora siamo entrati nella fase terminale della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che sempre più nel corso dei trent’anni era diventata crisi generale: economica, politica e culturale (intellettuale e morale). La fase terminale comporta un aggravamento della crisi delle istituzioni politiche e degli ordinamenti sociali a livello dei singoli paesi con crescenti problemi di ordine pubblico e una instabilità crescente del sistema di relazioni internazionali. A una parte crescente della popolazione la classe dominante e le sue autorità non assicurano più le condizioni di vita socialmente determinate nel quadro degli ordinamenti e delle istituzioni esistenti. Questi quindi sono travolti e sempre più lo saranno.

La crisi generale ha la sua radice nella sovrapproduzione assoluta di capitale: in base all’esperienza della prima crisi generale, quella della prima parte del secolo scorso, essa non ha altra soluzione che o l’eliminazione del modo di produzione capitalista (l’instaurazione del socialismo e l’avvio della transizione dal capitalismo al comunismo) o la creazione di un diverso contesto ancora capitalista che per la natura delle cose una parte della borghesia deve imporre al resto attraverso la guerra. Così starebbero le cose se la crisi generale nata dalla sovrapproduzione assoluta di capitale non si combinasse questa volta, e per la prima volta nella storia dell’umanità, con la crisi ambientale. Le attività umane, per come l’umanità le gestisce nell’ambito del modo di produzione capitalista, provocano inquinamenti di ogni genere (chimico, elettromagnetico, acustico, luminoso, ecc.) dell’ambiente. Alterano in modo caotico le condizioni naturali in cui l’umanità si è nei millenni sviluppata, con effetti impossibili da conoscere dati gli interessi costituiti che sono messi in difficoltà da ogni diagnosi e il controllo che gli stessi interessi costituiti detengono sugli istituti che hanno i mezzi per compiere la diagnosi: solo grazie al contrasto tra gli interessi costituiti trapelano diagnosi unilaterali. È una crisi nuova, che si è prodotta per la prima volta, di cui l’umanità è sempre più consapevole e a cui certamente può porre rimedio, ma solo con una trasformazione delle proprie attività, di se stessa e delle sue relazioni sociali: una trasformazione che per sua natura non può essere compiuta nel contesto del capitalismo e degli antagonismi che sono propri della società capitalista.

A questo si aggiungono

1. i sentimenti, le idee e il patrimonio di esperienza che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha sviluppato e sedimentato in gran parte dell’umanità;

2. il superiore livello di comprensione della natura delle cose e del carattere distruttivo di una guerra generale che l’umanità ha raggiunto;

3. il ruolo determinante assunto dal consenso o rassegnazione delle masse popolari ai fini della gestione politica dei paesi imperialisti. La borghesia e i suoi alleati non sono più in grado di governare questi paesi senza un alto grado di collaborazione e di consenso delle masse popolari. La mobilitazione diretta di queste per la guerra risulta sempre più difficile alla borghesia e al clero.

Questa combinazione di fattori da una parte porta alla conclusione che siamo di fronte all’ultima crisi del capitalismo: un’altra “edizione” riveduta e corretta del sistema imperialista mondiale è impossibile. Le condizioni per l’instaurazione del socialismo anche nei paesi imperialisti (le condizioni dell’egemonia del movimento comunista) sono di gran lunga migliorate rispetto alla prima crisi generale. Dall’altra quella combinazione porta alla conclusione che si è aperto un periodo di guerre e di rivoluzioni che sarà tanto più distruttivo di uomini e di cose quanto più l’instaurazione del socialismo ritarderà.

La linea che il (n)PCI indica alle OO e alle OP del nostro paese (la costituzione da parte di esse stesse di un governo d’emergenza) tiene conto del fatto che la rinascita del movimento comunista (la raccolta delle masse popolari in organizzazioni aggregate attorno al partito comunista) anche nel nostro paese come in tutti i paesi imperialisti è appena agli inizi principalmente per l’arretratezza di noi comunisti. Esiste invece già oggi un gran numero di OO e di OP capillarmente diffuse in tutto il paese. Tramite l’esperienza diretta del potere (e questo è la costituzione del GBP) esse svilupperanno rapidamente la rinascita del movimento comunista. Il comunismo infatti in definitiva, secondo la concezione già espressa dai fondatori del movimento comunista, non è che la sostituzione della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe, con un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti.

Nicola P.

 

Note

1. Con l’espressione finanziarizzazione delle aziende si intendono due cose: 1. la trasformazione delle aziende in società per azioni che diventano strumenti delle speculazioni del capitale finanziario; 2. il peso assunto in ogni azienda di una qualche dimensione dal settore finanziario: uno specifico settore dell’azienda addetto alla speculazione finanziaria.

 

2. Quanto alla quantità di denaro oggi esistente, rimando all’articolo di Ernesto V. Capacità del sistema monetario mondiale in La Voce n. 34.

 

3. In proposito rimando alla Intervista rilasciata dal Segretario Generale del (n)PCI a Resistenza, mensile del Partito dei CARC, il 3 ottobre, in occasione del 6° anniversario della fondazione del (n)PCI, pubblicata anche in questo numero di La Voce.