Ritorna all'indice de La Voce 35 /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


  Lavoro esterno

L’esperienza dei primi paesi socialisti

Sinistra borghese e comunisti dogmatici

1.

Noi comunisti dobbiamo parlare agli operai del socialismo e al massimo livello a cui oggi l’esperienza dei primi paesi socialisti ci consente di farlo. Una discriminante di fondo, essenziale, tra noi comunisti da una parte e dall’altra tutto il variopinto arcobaleno di trotzkisti, di sinistra borghese, di promotori di “piattaforme quanto si vuole radicali purché non comuniste” (per dirla alla Mercedes Bresso), di sinistra non comunista (alla Piero Bernocchi) sta nel fatto che noi indichiamo l’esperienza dei primi paesi socialisti (Unione Sovietica, Repubblica Popolare cinese, campo socialista) come il primo tentativo su grande scala di quello di cui l’umanità ha bisogno e che la classe operaia prima o poi dovrà guidarla a fare. Perché è iscritto nel percorso di progresso seguito dall’evoluzione della specie umana. È la società che deve succedere alla società borghese, visto i presupposti per l’evoluzione successiva che il capitalismo ha creato e che il marxismo ha scoperto e illustrato. È quello la cui mancanza determina per la specie umana la fase di barbarie e di smarrimento anche intellettuale e morale che sta vivendo. (1)

 

Sinistra non comunista: quelli che vorrebbero cambiare il mondo, ma che negli obiettivi, nei propositi e nella concezione della società non oltrepassano l’orizzonte della società borghese (produzione di merci, denaro, capitale, profitto) o addirittura propongono sistemi di vita precapitalisti.

Sinistra anticomunista: quelli che dicono male del mondo attuale, ma denigrano l’esperienza della prima ondata della rivoluzione socialista (prima parte del secolo scorso) e dei primi paesi socialisti costruiti nel corso di essa.

Una forma subdola di denigrazione dell’esperienza dei primi paesi socialisti è costituita da quei compagni che propongono il “vero socialismo”. Sottintendono che il socialismo instaurato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria (Unione Sovietica, RPC, ecc.) non era vero socialismo - un esempio illustre è il MLPD (Partito Marxista Leninista di Germania). Essi non distinguono la prima fase dei paesi socialisti (i paesi socialisti che vanno verso il comunismo) dalla seconda fase (i paesi socialisti diretti dai revisionisti moderni) e hanno una concezione dogmatica della lotta di classe nelle società socialiste e del partito comunista.

 

 

Nei discorsi degli esponenti della sinistra borghese (ex-parlamentare per mancanza di elettori dopo l’aprile 2008) spesso (sempre più spesso a dire il vero) ricorre l’affermazione che gli operai per lottare hanno bisogno di una prospettiva, di un’alternativa credibile all’attuale sistema. Forse alcuni di loro nutrono perfino qualche rimorso per avere “lavorato” per anni a distruggerla.

Per ora però ancora non si vede che qualcuno di questi signori si sia messo non dico a promuovere la lotta per realizzarla, ma anche solo a illustrare la prospettiva o alternativa credibile, benché tanto si affannino per recuperare voti e privilegi parlamentari o almeno da consiglieri regionali e comunali. Ma è già un passo avanti aver capito e proclamare che, come dice uno di loro (Alberto Burgio, il manifesto 03.02.10), “non bastano disagio e sofferenza. Senza organizzazione e direzione, senza l’indicazione di un’alternativa credibile alla società attuale, il conflitto non decolla e l’esasperazione montante rischia di imboccare un vicolo cieco”. In realtà, semplicemente di imboccare la strada della mobilitazione reazionaria.

Nei confronti di questi personaggi si tratta di mettere in chiaro che l’alternativa alla società attuale non è da inventare. Non è qualcosa di arbitrario: “ognuno si inventa la sua e vediamo quale piace di più”. Si tratta di scoprirla nei presupposti di essa che esistono nella società borghese, creati proprio dalla società borghese e di mobilitare le classi interessate per realizzarla. È quello che il movimento comunista ha fatto nei circa 160 anni della sua esistenza.

 

La sinistra non comunista (e quella francamente anticomunista) a partire dagli anni ’60 ha cercato di inventare un’alternativa diversa da quella che il movimento comunista ha elaborato nella sua storia, che ha avuto una prima fugace espressione pratica nella Comune di Parigi (1871) e poi un inizio di realizzazione nell’Unione Sovietica (1917) e nel campo socialista che a partire da essa si è costruito. Un rilevante approdo del tentativo di inventare fu il “socialismo costruito sotto l’ombrello della NATO” enunciato da Enrico Berlinguer all’inizio degli anni ’80. Ma i tentativi continuano.

In realtà l’unica alternativa alla società borghese è il socialismo, fase di transizione dalla società capitalista alla società comunista. È una scoperta, non una invenzione, fatta da Marx (Critica al Programma di Gotha, 1875). Nella lotta il movimento comunista ha verificato e convalidato questa scoperta. Oggi compito di noi comunisti è sia illustrare agli operai (e al resto delle masse popolari) questa scoperta, sia tirare dall’esperienza pratica dei primi paesi socialisti ulteriori insegnamenti sulle condizioni, le forme e i risultati della lotta per concretizzare questa alternativa. Senza questa prospettiva, la lotta degli operai e del resto delle masse popolari non cresce oltre un livello elementare, non “decolla”.

Proprio per questo la borghesia e il clero fanno di tutto per offuscare, nascondere, denigrare e cancellare questa prospettiva. I compagni che non ne parlano “perché gli operai non capiscono”, “perché agli operai bisogna parlare di cose concrete”, vengono meno al loro compito d’avanguardia, si adagiano sul livello a cui la borghesia e il clero, aiutati dai revisionisti moderni e dalla sinistra non comunista (o francamente anticomunista), hanno ridotto gli operai e cercano con ogni mezzo di mantenerli. Se gli operai non avessero bisogno dei comunisti, se approdassero da soli, spontaneamente a questa prospettiva, che bisogna avrebbero dei comunisti che vanno a parlargliene dopo che loro se ne sono già convinti da soli?

 

2.

Per parlare con efficacia agli operai dell’esperienza dei primi paesi socialisti dobbiamo anzitutto comprenderla. Per comprenderla bisogna che nelle nostre file e nelle file del movimento comunista del nostro paese e internazionale lottiamo contro il dogmatismo.

I dogmatici dichiarati sono pochi, ma il dogmatismo è una tara molto diffusa nel movimento comunista e fa molto danno. Tra gli altri danni, impedisce di comprendere i reali passi in avanti compiuti dai primi paesi socialisti, perché i dogmatici si interdicono di vedere il cammino che i paesi socialisti devono compiere.

Sul terreno del bilancio dell’esperienza dei primi paesi socialisti (e più in generale della prima ondata della rivoluzione proletaria) e dell’illustrazione dei suoi insegnamenti noi non possiamo fare alcun compromesso con i dogmatici. Neanche con quelli che parlano di quell’esperienza e la lodano.

I dogmatici procedono per schemi, non fanno analisi della situazione concreta, non considerano il divenire delle cose. Secondo loro un paese o è socialista o è capitalista. In un certo senso e in determinati contesti questo è vero. Ma come criterio per risolvere il problema di cui ci occupiamo, è completamente fuorviante.

Ogni società socialista è una realtà contraddittoria. In essa sussistono elementi di capitalismo (e, a seconda dei paesi, anche di sistemi sociali più arretrati) ed elementi di comunismo. Il passaggio da una qualità a un altra avviene tramite trasformazioni quantitative. Nel problema in esame proprio l’analisi concreta della situazione concreta e il principio “la quantità genera la qualità” giocano un ruolo essenziale.

Nei paesi socialisti esiste ancora una classe dirigente o no?

Noi sosteniamo che in un paese socialista esiste ancora una classe dirigente. La contraddizione tra dirigenti e diretti è una delle sette grandi contraddizioni della società socialista, che devono essere trattate in maniera giusta per essere risolte. (2) Ciò che distingue un paese socialista da un paese borghese non è l’esistenza o meno di una classe dirigente, ma è la natura della classe dirigente. Rispetto alle classi dirigenti della società che l’hanno preceduta, la classe dirigente di un paese socialista è costituita in modo diverso, ha con il resto della popolazione relazioni diverse, adempie a ruolo sociali diversi, opera con procedure diverse. Quando esaminiamo l’esperienza di un paese socialista, è su queste quattro differenze che bisogna concentrare l’attenzione e sul loro sviluppo.

Per capirci, consideriamo un caso particolare: un’azienda.

Con qualche ragione oggi persone che pur si dicono comunisti e magari sono sinceramente convinti di esserlo, con cui abbiamo e avremo a che fare, ad esempio i capi di Rete dei Comunisti, usano come sinonimi padrone e azienda. In effetti un tipo come Marchionne delocalizza l’azienda da Pomigliano in Polonia, in Cina o negli USA. Gli operai, gli edifici e magari anche i macchinari restano a Pomigliano, ma l’azienda a Pomigliano non esiste più. L’azienda è dove a Marchionne e ai suoi Agnelli e Agnellini (John Elkann & C) conviene. Nella società borghese l’azienda e il padrone sono la stessa cosa, i lavoratori sono un accessorio precario.

Considerate uno dei paesi socialisti che abbiamo conosciuto. Lì l’azienda era il collettivo dei lavoratori con il loro mezzi di produzione, gli edifici dove lavoravano, i compiti produttivi che svolgevano, il territorio e la società tutto attorno. Anche lì esisteva un direttore, ma oggi ce n’era uno e domani ce n’era un altro. Di certo non era lui l’azienda.

Per imparare dall’esperienza dei primi paesi socialisti, dobbiamo considerare non l’esistenza in generale di una classe dirigente, ma come si sono sviluppate quelle 4 differenze lungo le tre fasi in cui bisogna dividere la loro esistenza.

Secondo i dogmatici ammettere che in un paese socialista esisteva ancora una classe dirigente equivale a dire che non era un paese socialista. Quindi giurano che nei primi paesi socialisti non esisteva, rifiutano di vederla.

L’evidenza è che nei primi paesi socialisti esisteva una classe dirigente.

È del resto ovvio che non è possibile passare d’un colpo da una società divisa in classi come l’attuale a una società senza classi.

Al momento dell’instaurazione del socialismo presumibilmente avremo

- una parte delle masse popolari che sono organizzate nel partito comunista: sono i comunisti che hanno lottato per un lungo periodo per realizzare l’obiettivo finalmente raggiunto;

- una parte delle masse popolari che da tempo fa parte delle organizzazioni di massa del Nuovo Potere, ha partecipato alla sua formazione e all’offensiva contro il potere della borghesia;

- una parte della masse popolari che ha aderito in varia misura alla lotta nella sua fase finale, saluta con gioia ed entusiasmo l’avvenimento e aderisce al socialismo facendosi però di esso idee piuttosto vaghe;

- una parte delle masse popolari che resta indifferente all’avvenimento;

- una parte che è ostile all’avvenimento, teme che i suoi interessi saranno lesi, è succube dei legami e dell’influenza delle classi dominanti (della borghesia, del clero, ecc.).

Il comunismo implica una partecipazione di massa della popolazione alla gestione degli affari pubblici. Quindi una conoscenza del funzionamento della società (fattore intellettuale) e una mobilitazione per il suo buon funzionamento e progresso (fattore morale). In definitiva tutti devono imparare a vivere senza padroni, organizzarsi e dirigersi. La transizione al comunismo comporta una trasformazione per tappe in cui le masse devono essere mobilitate e le resistenze superate, in un modo o nell’altro a seconda della loro natura e del legame tra le contraddizioni all’interno del popolo e le contraddizioni tra il popolo e le vecchie classi dominanti (interne e internazionali). Questo processo si combina con la lotta di classe specifica della società socialista per superare le sette grandi differenze (che costituiscono altrettante contraddizioni).

Questo è l’oggetto della trasformazione intellettuale e morale, della concezione del mondo, della mentalità e della personalità che i membri delle masse popolari devono compiere nella fase socialista. Una parte delle masse promuoverà attivamente e consapevolmente la trasformazione, una parte seguirà la prima e una terza parte arrancherà con fatica, la subirà, sarà sensibile alle sollecitazioni e alle ragioni sia dei residui delle vecchie classi dominanti, sia della nuova borghesia, specifica dei paesi socialisti.

La questione del regime (dell’ordinamento) politico dei paesi socialisti va studiata sulla base di questo (fattore interno, il principale) e del sistema di relazioni internazionali (fattore esterno). Anche per questo capisce poco o nulla dei primi paesi socialisti chi si ostina a studiarli, nelle tre fasi della loro esistenza, con le categorie economiche, sociali e politiche elaborate per le società borghesi. Sarà sorpreso anche del corso che le cose prenderanno negli ex paesi socialisti e del ruolo che essi avranno a livello internazionale.

 

Indipendentemente dalle loro intenzioni, i dogmatici non solo impediscono di imparare dall’esperienza dei primi paesi socialisti, ma fanno da spalla alla sinistra borghese.

Consideriamo da vicino le cose. Se i paesi socialisti dovevano essere il paradiso in terra, certamente i primi paesi socialisti non lo sono stati. I dogmatici continuano a proclamarlo. Essi recitano le loro giaculatorie con il proposito ottimo ma del tutto illusorio di convincere così qualcuno alla lotta per instaurare il socialismo. Ma in realtà lasciano via libera a chi li denigra.

Maria P.

 

Note

 

1. Letteratura per comprendere l’esperienza dei primi paesi socialisti:

Sull’esperienza storica dei paesi socialisti, nella rivista Rapporti Sociali n. 11 (novembre 1991); disponibile anche in spagnolo (EiLE, www.nuovopci.it).

Marco Martinengo - I primi paesi socialisti, ed. Rapporti Sociali maggio 2003; disponibile anche in spagnolo e francese (EiLE, www.nuovopci.it).

La seconda fase dei primi paesi socialisti, in La Voce n. 22 (marzo 2006)

Marco Martinengo ed Elvira Mensi - Un futuro possibile, ed. Rapporti Sociali agosto 2006.

Il regime politico dei paesi socialisti - Intervento alla Conferenza di Francoforte (gennaio 2009), in La Voce n. 31 (marzo 2009), disponibile anche in inglese (EiLE, www.nuovopci.it).

Comunicato CP 28/09 - 30 dicembre 2009.

Manifesto Programma, 2009 cap. 1.7;
disponibile anche in inglese (EiLE, www.nuovopci.it).

 

2. Le 7 grandi differenze e contraddizioni che il socialismo eredita dalle società borghesi: tra dirigenti e diretti, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra lavoro organizzativo e lavoro esecutivo, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra settori, regioni e paesi avanzati e settori, regioni e paesi arretrati.