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  Lavoro interno

I riferimenti e le eredità del (n)PCI

Un compagno ci scrive

Cari compagni,

in VO 33 si dice che i CdP devono intervenire anche direttamente nella lotta politica borghese, dando ad esempio indicazioni di voto. Vedendo che un CdP si chiama Anna Maria Mantini e che un altro si chiama Mara Cagol, mi sono chiesto se utilizzare nomi di compagne/i cadute/i delle OCC non sia negativo: non fornisce il pretesto agli esponenti politici borghesi per attaccare i CdP in questione e per far saltare le operazioni tattiche che questi mettono in campo, ad esempio appunto le indicazioni di voto? Per farmi capire meglio: se ad esempio il CdP Mantini dà indicazioni di voto per il candidato X del PRC per rafforzare la propria influenza sulla base del PRC della zona dove il CdP opera, spingere in avanti la sinistra, creare le condizioni per alcuni reclutamenti e, allo stesso tempo, costringere il candidato X a fare cose che altrimenti non farebbe (chiedere la chiusura dei covi fascisti, esprimere solidarietà ai compagni attaccati dalla repressione, fare una bella sottoscrizione per le spese legali, promuovere ronde popolari, ecc.)…ebbene il candidato X non potrebbe “approfittare” del fatto che il CdP si chiama Mantini per “liquidare” l’operazione tattica del CdP alzando la bandiera della “provocazione” e dei “brigatisti”? Insomma, il nome del CdP non mette il candidato nella condizione di fare delle contromosse nocive per l’operazione tattica?

Grazie per l’attenzione, saluti rossi!

Francesco (Mantova)

 

Risposta della Redazione

Caro compagno,

la tua lettera pone due ordini di problemi: la concezione con cui noi conduciamo le nostre operazioni tattiche, la relazione del Partito con il patrimonio di esperienze delle OCC e delle BR in particolare.

- Inizio col secondo. L’articolo 5 del nostro Statuto (v. VO 34 pag. 9) dice: “Il (n)PCI è l’erede e il continuatore del movimento comunista del nostro paese, del primo PCI sezione italiana della prima Internazionale Comunista e spina dorsale della gloriosa Resistenza antifascista e della lotta contro il regime DC, delle Brigate Rosse espressione più avanzata anche se insufficiente della lotta rivoluzionaria degli anni ’70 per ricostruire il Partito comunista, difendere le conquiste di civiltà e benessere e strapparne di nuove.”

Quindi chiunque vuole giocarci sopra, ha altri argomenti oltre alla denominazione dei CdP per dire che il (n)PCI è legato alle BR. Vari procedimenti giudiziari, ivi compreso l’Ottavo, quello promosso da Giovagnoli, altri tentativi di criminalizzare il Partito e altre operazioni persecutorie sono basate su questo. Ma sarebbe controproducente per noi nascondere cose che servono per la formazione dei nostri membri e per l’elevamento della coscienza delle masse popolari che vogliamo mobilitare e organizzare. Il Partito ha più volte spiegato che le BR hanno avuto un ruolo principalmente positivo nella storia del movimento comunista del nostro paese, nonostante i limiti del loro orientamento ideologico e la finale deviazione militarista che le ha portate alla sconfitta.

Le BR hanno fatto valere la tesi che i revisionisti moderni avevano prevalso a causa dei limiti della sinistra dei vecchi partiti comunisti. Per regolare i conti con loro bisognava quindi andare oltre quei limiti. Mentre il PCd’I (Nuova Unità) e tutto il resto del movimento m-l ponevano la lotta contro i revisionisti moderni nei termini di “ristabilire i principi del marxismo-leninismo che i revisionisti moderni avevano ripudiato”. E ancora oggi la pongono in quei termini, in Italia e nel MCI: infatti non assumono il maoismo.

Le BR hanno smentito la tesi dei revisionisti moderni che la guerra civile era possibile solo nei paesi semifeudali: tesi che esplicitava e dava forza alla concezione che la rivoluzione socialista è un avvenimento che scoppia e avvalorava la politica dei revisionisti di liquidazione della Resistenza. Le BR hanno approfittato delle condizioni favorevoli create dalla “lotta degli anni ’70” per praticare la lotta armata. Per quelli che avevano subito la propaganda dei revisionisti moderni è stata una rivelazione: si poteva fare.

Questo è il ruolo principale che le BR hanno avuto, che sorpassa di gran lunga tutti gli errori della loro impostazione (propaganda armata, l’influenza militarista sudamericana, la deviazione finale e mortale nel militarismo, ecc.). Questo è il motivo per cui il I Congresso ha messo nello Statuto il riferimento alla BR.

- Quando noi impostiamo operazioni tattiche, come le operazioni che tu indichi, non ci basiamo principalmente sulla concezione, sull’atteggiamento, ecc. del politicante X, non riteniamo che questi elementi costituiscono l’aspetto principale affinché l’operazione riesca. Se così fosse, dovremmo effettivamente, come tu dici, stare attenti a non offrire a questo politicante spunti per attaccarci. Se adottassimo il criterio che indichi, dovremmo rinunciare anche a fare operazioni come “Caccia allo sbirro”, a essere solidali con i prigionieri politici rei confessi di azioni illegali (solidarietà solo con gli innocenti), a spiegare che non dobbiamo piangere per i morti della borghesia, ecc. fino a rinunciare alla clandestinità (oppure a “farla senza dirlo”). Che forse tutti questi elementi non offrono all’ipotetico politicante X spunti per attaccarci? Anzi: non forniscono forse “pretesti” per attaccarci più forti che il nome A.M. Mantini o M. Cagol? L’aspetto che dobbiamo comprendere per progettare e per condurre operazioni tattiche è che il politicante X o il dirigente sindacale a noi ostile Y, ecc. saranno sensibili alle nostre mosse tattiche (ossia faranno quello che noi vogliamo) solo se noi sapremo vedere e utilizzare a nostro vantaggio la contraddizione tra lui e il suo elettorato (e in particolare la sinistra del suo elettorato), tra lui e la sua base (e in particolare la sinistra della sua base) se si tratta del sindacalista Y. Non dobbiamo partire dalla concezione, dall’atteggiamento, ecc. dell’individuo (anche se ne dobbiamo tener conto) ma dalle contraddizioni in cui è immerso. Se dovessimo fare operazioni tattiche solo con chi è già d’accordo con noi o con chi pur non essendo d’accordo a priori non cercherà di attaccarci, allora dovremmo rinunciare al 95% delle nostre operazioni tattiche. E ci ritroveremmo isolati oppure alla coda degli “amici degli amici”. Dobbiamo avere più fiducia nella nostra linea e nelle masse e migliorare lo studio della situazione e delle sue contraddizioni. Un politicante non è un’isola o una fortezza, ma, oggi in particolare, un legno che galleggia nella tempesta, sottoposto al moto delle onde e alle loro spinte contrastanti.

Questo non vuol dire che quando incominciamo il discorso con qualcuno dobbiamo sventolargli sotto il naso quello che più lo allontana da noi. Dobbiamo far leva sui suoi lati positivi e su quello su cui possiamo effettivamente far leva. Se appartiene al nostro campo, dobbiamo far leva su quello che lo unisce a noi. Se appartiene al campo nemico dobbiamo far leva su quello che lo può costringere a fare quello che noi vogliamo.