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  Lavoro interno

Lotta tra due linee nel Partito comunista

Nello Statuto approvato dal I Congresso del (nuovo) Partito comunista italiano (art. 6) è scritto che

“Principi organizzativi principali del Partito sono il centralismo democratico e la lotta tra le due linee. I due principi sono tra loro complementari: sono i due termini opposti di una unità dialettica. Tra i due, in alcune circostanze è principale il primo, in altre è principale il secondo.

(...)

Il principio della lotta tra due linee ci insegna che nel Partito comunista in ogni campo esistono sempre due tendenze, una che spinge in avanti e una che frena. Esse sono l’effetto combinato della contraddizione di classe (dell’influenza della borghesia e della lotta contro di essa), della contraddizione tra il vero e il falso e della contraddizione tra il nuovo e il vecchio. In certi periodi le due tendenze sono complementari e contribuiscono entrambe al lavoro del Partito. In altri periodi diventano antagoniste e incompatibili. La sinistra deve trasformare la destra. Se la destra risulta irriducibile, la deve espellere.”

 

Questa norma del nostro Statuto dà luogo a obiezioni di vario genere, sia nel movimento comunista italiano sia nel movimento comunista internazionale. È nella natura delle cose che così avvenga. La lotta tra le due linee è un principio che non è universalmente acquisito e applicato nel movimento comunista.

In primo luogo, noi dobbiamo far valere la norma del nostro Statuto (imparare a farla valere) al nostro interno. Dobbiamo imparare a utilizzare la lotta tra le due linee nella vita del nostro Partito. Comprenderemo sempre meglio il principio della lotta tra le due linee, lo comprenderemo in modo sempre più pratico, man mano che lo applicheremo.

In secondo luogo, dobbiamo far comprendere questo principio in modo giusto, nel Partito e tra i compagni, in Italia e all’estero, nel Movimento Comunista Internazionale (MCI).

In terzo luogo dobbiamo difenderlo, contro le obiezioni e contro le deformazioni, contro le incomprensioni e le denigrazioni.

La lotta tra le due linee è un principio organizzativo indispensabile.

È uno dei 5 principali apporti del maoismo al patrimonio teorico del movimento comunista (La Voce n. 10, marzo 2002). Tutti i partiti comunisti e il MCI nel suo insieme hanno bisogno di adottarlo per accelerare la rinascita del movimento comunista e la rivoluzione proletaria.

L’incomprensione di questo principio è uno dei limiti del vecchio movimento comunista.

Le due linee e la lotta tra esse esistono in ogni partito comunista, anche se i comunisti non ne sono coscienti. Esse infatti derivano dalla dialettica proletariato-borghesia (le due classi, le due vie, le due linee), nuovo-vecchio, giusto-sbagliato. La differenza apportata dal maoismo è che la sinistra è consapevole di questo fatto e dirige (si propone e cerca di dirigere) la lotta tra le due linee. In un Partito comunista che non riconosce questo apporto del maoismo, le due linee esistono, ma la lotta tra di esse si svolge “alla cieca”.

Nella storia del movimento comunista, già a partire dall’epoca di Marx e di Engels, della Lega dei comunisti (1847-1850) e della I Internazionale (1864-1872), l’esistenza delle due linee e la lotta tra di esse sono un dato costante. Prima del maoismo, il principio non era riconosciuto. Quindi nel movimento comunista la lotta tra le due linee è stata condotta istintivamente, in modo più o meno fruttuoso a seconda dei periodi, dei partiti e del grado di assimilazione del materialismo dialettico da parte dei singoli compagni e partiti.

Lenin ha combattuto la lotta tra le due linee con grande maestria, pur non avendo riconosciuto e formulato la lotta tra le due linee come principio organizzativo del partito comunista.

Nello scritto I metodi degli intellettuali borghesi (giugno 1914 - Opere, vol. 20 pag. 462) dice esplicitamente: “Prendete la storia [del POSDR] (non è una colpa per un marxista prendere in considerazione la storia del movimento!); essa vi rivela una lotta quasi ventennale contro le correnti borghesi dell’“economicismo” (1895-1902), del menscevismo (1903-1908), del liquidatorismo (1908-1914).”

 

Nel Rapporto del CC del POSDR all’Ufficio Internazionale Socialista di Bruxelles (13 luglio 1914 - Opere, vol. 20 pagg. 505) Lenin afferma anche i confini del partito e della lotta tra le due linee nel Partito: “Se un dato partito o gruppo presenta in maniera definita e precisa un programma o una tattica con cui il nostro partito non può essere d’accordo in linea di principio, il problema della maggioranza, naturalmente, non ha alcun senso. Per esempio, se il partito socialista rivoluzionario (populisti di sinistra), che differisce dal nostro partito nel programma e nella tattica, conquistasse la maggioranza degli operai in Russia, questo non ci farebbe rinunciare affatto alla nostra linea”.

Questo vale a proposito dei membri del nostro Partito e del Partito dei CARC che sono stati espulsi o si sono dimessi nell’ambito della Terza LIA (marzo 2009). I fatti successivi hanno chiaramente confermato che le loro concezioni non erano compatibili con le nostre. Anche quelli di loro che hanno continuato a dichiararsi comunisti, nell’ambito dei Collettivi Comunisti, hanno rapidamente abbandonato la concezione, l’analisi e la linea del Partito che fino a qualche mese prima dicevano di condividere e anzi di difendere e di esserne i veri genuini portatori: senza neanche sentirsi in dovere di spiegare a se stessi e al movimento comunista la loro evoluzione intellettuale, tanto erano convinti delle posizioni del Partito! Cosa che spiega anche perché scarsi erano i risultati del lavoro di cui erano incaricati.

 

L’incomprensione della lotta tra le due linee ha indebolito l’azione della sinistra e facilitato l’affermazione della destra nella prima Internazionale Comunista (1919-1943 formalmente, ma di fatto 1956). È stata anche uno dei punti deboli della direzione di Stalin. Si è manifestata più volte nella storia dei partiti comunisti dei primi paesi socialisti, in particolare nella storia del partito comunista sovietico, dopo che per l’essenziale la proprietà privata dei mezzi di produzione era stata abolita. Allora venne affermato che in Unione Sovietica non esistevano più classi antagoniste (1936). L’unità del partito comunista venne affidata principalmente a metodi amministrativi (commissioni di controllo, polizia politica). Si è manifestata anche nei partiti comunisti dei paesi imperialisti. Anziché perseguire l’unità del partito con la lotta tra le due linee, essa venne affidata principalmente o addirittura unicamente a procedimenti amministrativi e a organi del partito (commissioni di controllo).

Questa prassi ha indebolito grandemente l’azione della sinistra quando si trovò in minoranza. Anziché ricorrere all’autocritica per superare i propri limiti per cui era diventata minoranza nel partito e criticare la destra, lasciò libertà d’azione alla destra in nome dell’unità del partito, o si mise a tessere trame e complotti come la destra, senza avere la forza che l’appoggio della borghesia conferiva alla destra.

Ancora oggi nei partiti comunisti che non hanno adottato il maoismo e quindi non riconoscono il principio organizzativo della lotta tra le due linee, è corrente ricorrere a misure unicamente o principalmente amministrative (commissioni di controllo) per difendere il partito da deviazioni. Un caso esemplare e per noi importante è il Partito Marxista Leninista della Germania (MLPD).

 

Faremo tanto meglio uso del principio della lotta tra le due linee nella vita del nostro partito, lo difenderemo tanto meglio e con tanta più efficacia combatteremo per la sua assimilazione, quanto meglio comprendiamo cosa significa la lotta tra le due linee.

Nell’articolo L’ottava discriminante di Nicola P., pubblicato in La Voce n. 10 e tradotto in inglese, spagnolo e francese (v. EiLE in www.nuovopci.it) il principio è ben esposto. Ogni compagno quindi può migliorare la sua comprensione, leggendo quell’articolo. Ci sono tuttavia alcune obiezioni avanzate successivamente in Italia e all’estero, che meritano attenzione.

Le obiezioni sono di due tipi. Alcuni negano che il principio della lotta tra le due linee e il principio del centralismo democratico costituiscano due poli di una contraddizione nella vita dei partiti comunisti. Altri negano che nel partito comunista esistano due linee e la lotta tra di esse.

 

Il primo tipo di obiezioni emerge nel campo di organismi e individui che si dichiarano maoisti. Esso è stato esposto, subito dopo la pubblicazione del nostro Statuto, dal Coordinamento dei Collettivi Comunisti (ex membri della carovana del nostro Partito) in un Comunicato (14 aprile 2010). In esso si dice che i due principi non possono costituire i due poli di una contraddizione perché “sono due cose di natura diversa”.

Ora certamente i due principi sono di natura diversa, altrimenti non sarebbero due cose diverse (sarebbero la stessa cosa) e non potrebbero neanche essere i due opposti di una contraddizione. La tesi che la contraddizione esisterebbe solo tra cose aventi la stessa natura è del tutto campata in aria. Basta considerare alcune contraddizioni da tutti conosciute e riconosciute. Borghesia e proletariato hanno la stessa natura? Stato e organizzazioni di massa hanno la stessa natura? Valore d’uso e valore di scambio hanno la stessa natura? Se due cose hanno la stessa natura, in cosa si distinguono? Come potrebbero contrapporsi?

È evidente che la contraddizione può esistere solo tra cose aventi natura diversa, cioè differenti per natura. La diversità è condizione necessaria ma non sufficiente perché due cose costituiscano una unità di opposti. Il principale teorico comunista della contraddizione, Mao Tse-tung, dice che “due cose, se sono diverse, in determinate circostanze formano gli opposti di una contraddizione” (vedasi ad esempio Opere vol. 5 pag. 244 e pagg. 249-250). Nel caso in esame, le “determinate circostanze” consistono nel partito comunista che assume entrambi i principi (diversi per natura) come suoi principi organizzativi.

La concezione che due cose diverse non possono costituire, in determinate circostanze, due poli di una contraddizione e quindi escludersi a vicenda, serve al CoCoCo per affermare che nel partito comunista “una minoranza esisterà sempre” e quindi minoranza e maggioranza devono convivere: viva le cricche e viva le frazioni. È un altro modo di dire che nel partito comunista il dibattito franco e aperto (DFA) è una interminabile e permanente (quindi inconcludente e accademica) discussione su tutto e su niente, pretesto per ogni comportamento liberale e opportunista, occasione per sfoggiare erudizione, abilità nel discutere e perdere tempo. Tesi e lagne che abbiamo ben conosciuto nell’ambito della Terza LIA. Noi sosteniamo che le due linee e la lotta tra due linee riguardano di fase in fase il compito che il partito deve svolgere e la linea che il partito deve seguire. Quindi esse sorgono quando il partito si trova di fronte a compiti e problemi nuovi, riguardano il compito e il problema all’ordine del giorno e hanno la loro soluzione definitiva nella verifica nella pratica. In definitiva è la pratica che dà la prova di cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è conforme agli interessi del proletariato e della rivoluzione e cosa è conforme agli interessi della borghesia e della conservazione del capitalismo. Se nel partito comunista la sinistra è in minoranza, vuol dire che non è all’altezza del compito che il partito deve affrontare e che quindi la sinistra deve trasformarsi (autocriticarsi) e mettersi all’altezza del compito. Se la destra cerca di espellere la sinistra dal partito, mal gliene incorrà alla destra, se la sinistra è all’altezza del suo compito.

 

Il secondo tipo di obiezioni emerge nel movimento comunista nella lotta per fare accettare il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo. In una discussione in corso con il Partito Comunista Marxista Leninista (MLKP) della Turchia e del Nord Kurdistan, gli esponenti del MLKP hanno avanzato tre tipi di argomentazioni, a proposito della lotta tra due linee nel partito comunista.

1. Sostengono che “se si accetta la presenza permanente di due linee nel partito, la sua unità è a rischio”.

2. Sostengono che la concezione “della lotta tra due linee come motore dello sviluppo del partito, è sbagliata è analoga alla concezione della concorrenza come motore di sviluppo del capitalismo”.

3. Sostengono che “nel partito non ci sono due linee, ma piuttosto una molteplicità di posizioni. Se queste posizioni non riescono a convergere verso l’unità, allora si determina la lotta tra le due linee”.

 

A proposito della prima obiezione, va osservato che l’unità del partito è sempre e comunque a rischio: infatti bisogna lottare per l’unità del partito. Se non fosse a rischio, non occorrere lottare per mantenerla. Da dove proviene il rischio per l’unità? Riconoscere che vi sono due linee che si scontrano, compromette l’unità o la favorisce? Se si pone il problema in questi termini, la risposta diventa ovvia. Se i rischi per l’unità del partito comunista nascono dal fatto 1. che il partito si trova di fronte periodicamente a situazione e a compiti nuovi, 2. che la comprensione delle cose non è immediata né scontata (le cose non si danno a vedere di per se stesse, altrimenti ogni ricerca sarebbe inutile e non esisterebbe scienza) ma è il risultato dello studio, della ricerca e della verifica, 3. che nella società attuale esistono classi distinte con interessi divergenti, che la società moderna ha davanti a se due vie corrispondenti alle due classi fondamentali (borghesia e proletariato) e che questo comporta visioni del mondo (idee e valori) divergenti, è ovvio che prendere atto della cosa e affrontarla con cognizione di causa è meglio che subirla e muoversi alla cieca.

Del resto la realtà si fa strada anche tra i compagni che non ne hanno ancora la chiave di lettura. Trattando dell’esperienza dell’Unione Sovietica nella Relazione presentata il 15 agosto 2007 al Campo Anti-Imperialista, un esponente del MLKP sostiene che la formazione di una classe di capitalisti burocratici [questa categoria trotzkista è in genere accolta dai comunisti che non hanno assimilato il maoismo] (che nel 1956, con il XX Congresso, prese la direzione del Partito e del paese) era il risultato del “trattamento sbagliato degli errori e dei limiti fatto nell’ambito della democrazia socialista a partire dalla seconda metà degli anni ’30 [quando la collettivizzazione di tutti i mezzi di produzione era per l’essenziale un fatto compiuto]. L’eliminazione delle classi sfruttatrici, l’incomprensione che gli esponenti delle classi sfruttatrici, anche se erano spezzate le loro relazioni, continuavano la loro attività disgregatrice e il trattamento della attività delle forze controrivoluzionarie contro il proletariato come attività criminali, indussero gli elementi borghesi a infiltrarsi di nascosto nel partito e nelle istituzioni della sovrastruttura e li lasciarono liberi di sviluppare processi degenerativi ovunque, sul terreno della teoria e sul terreno pratico. E ciò nello stesso tempo che una volta eliminati nella sostanza la proprietà privata del mezzi di produzione, diventava possibile passare a una reale socializzazione dei mezzi di produzione (delle forze produttive).” Il compagno del MLKP riconosce quindi che le due linee e la lotta tra le due linee nella realtà esistevano, anche se si rifiuta di ammetterle nella sua concezione del partito.

I compagni evidentemente confondono l’esistenza di due linee e la lotta tra due linee con l’accettare che nel partito convivano frazioni o cricche (frazioni nascoste). La confondono con la tesi dei liberali nostri ex compagni che “una minoranza esiste sempre” di cui abbiamo già detto sopra. Cosa diversa dal sorgere, di fronte a ogni nuovo compito e a ogni situazione nuova, di due linee che si scontrano. La convivenza pacifica e a tempo indeterminato, istituzionale, di linee incompatibili è il contrario della lotta tra due linee. La prima è la stagnazione del partito, linee, concezioni e gruppi che si paralizzano a vicenda, diplomazia e sotterfugi, sbandamenti del partito ora a sinistra ora a destra, terreno ideale per l’influenza della borghesia nel partito. La seconda è la vita e il raggiungimento dell’unità del partito attorno alla posizione e conformemente alla linea più avanzate per adempiere al compito della fase.

 

A proposito della seconda obiezione, anche secondo noi la concezione che la lotta tra due linee è il motore dello sviluppo del partito è sbagliata, come la concezione che la concorrenza è il motore dello sviluppo del capitale. Motore dello sviluppo del partito comunista è il suo ruolo di Stato Maggiore del proletariato nella lotta contro la borghesia per instaurare il socialismo e poi nel guidare la transizione al comunismo. Le due linee sorgono in determinate circostanze e il loro sorgere è segno della vitalità del partito e la lotta tra esse è il modo in cui il partito progredisce. “Senza contraddizione non c’è vita”, nel senso che una cosa viva procede attraverso contraddizioni.

Detto tra parentesi, neanche la concorrenza è motore dello sviluppo del capitalismo. Motore dello sviluppo del capitalismo è la valorizzazione di se stesso, la ricerca del profitto. La concorrenza non è che questa necessità interna al capitale che si pone ad ogni frazione del capitale come necessità di progredire che le è imposta dalle altre frazioni del capitale che si contrappongono ad essa e la soppiantano se essa non obbedisce alla legge della sua natura.

 

A proposito della terza obiezione, secondo noi la tesi che nel partito, di fronte a compiti o situazioni nuove, vi è una molteplicità di posizioni e non due linee, è la tesi di chi nella conoscenza si ferma alla superficie e alle apparenze e nella pratica cade in soluzioni o empiriche (dettate dal comune corrente buon senso) o eclettiche (che cercano di mettere assieme e mischiano principi e concezioni incompatibili). Certamente quando sorge una situazione nuova, vi è una molteplicità di posizioni: corrisponde ad approcci in parte di per sé diversi da parte dei singoli organismi e compagni e al diverso livello degli organismi e dei compagni, al loro diverso livello di adesione alla causa e di capacità di orientarsi, di capire. Se però andiamo abbastanza a fondo nell’analisi concreta della situazione concreta e nella messa in luce delle relazioni tra ogni singola posizione e i vari aspetti della situazione, arriveremo alla conclusione che due sono le linee e non di più, perché due sono le vie aperte di fronte a noi, perché due sole sono le classi che possono essere alla testa della società attuale, dirigere. “L’uno si divide in due” (non in tre o in cento) giustamente è una delle leggi generali della dialettica.

Trattando della attività della prima Internazionale Comunista (L’attività della prima IC in Europa e il maoismo in La Voce n. 10), Umberto C. giustamente dice che i partiti europei della IC adottarono di caso in caso soluzioni eclettiche o empiriche.

Perché le diverse posizioni dovrebbero convergere verso l’unità? Come convergono verso l’unità i compagni che all’inizio sostengono posizioni diverse? L’esperienza dimostra che se si va abbastanza a fondo nell’analisi delle posizioni, quindi nella lotta tra posizioni diverse, esse si trasformano e in definitiva si polarizzano in due linee (che corrispondono alla due vie e alle due classi). Attraverso questa lotta i compagni si uniscono attorno alla linea giusta che emerge (e che spesso non è nessuna delle posizioni iniziali, perché spesso ognuna delle posizioni iniziali è più o meno unilaterale, più o meno giusta, ecc.). Quelli che irriducibilmente si oppongono alla linea giusta, devono essere espulsi dal partito. Il risultato migliore è che nessuno sia espulso perché tutti i compagni aderiscono alla linea giusta. Ma questa adesione di tutti i compagni a una posizione comune e più avanzata, non è la combinazione delle molteplici posizioni iniziali: un po’ dell’una e un po’ dell’altra, combinazione, tolleranza, compromesso. Un partito d’avanguardia, lo Stato Maggiore di una classe che deve conquistare la direzione della società, progredisce e vince solo se adotta la posizione d’avanguardia.

Ernesto V.