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L’interpretazione della natura della crisi in corso decide dell’attività dei partiti comunisti

 

Articolo scritto per International Newsletter - organo della ICMLPO (Conferenza Internazionale di Organizzazioni e Partiti Marxisti-Leninisti). L’articolo è stato rivisto prima di pubblicarlo in La Voce

 

È molto importante, anzi è indispensabile che noi comunisti comprendiamo giustamente la natura della crisi in corso. Nella 11° delle Tesi su Feuerbach (1845) Marx dice: “I filosofi hanno dato diverse interpretazioni del mondo. Ma si tratta di trasformarlo”. Però nel Manifesto del partito comunista (1848) Marx dice che i comunisti si distinguono dagli altri proletari perché hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta tra le classi e su questa base la spingono sempre in avanti. L’interpretazione del mondo non è l’obiettivo di noi comunisti. Nostro obiettivo è la trasformazione del mondo. Ma gli uomini hanno bisogno di rappresentare a se stessi, di avere una concezione di quello che fanno. La rivoluzione socialista non è un fatto istintivo. Come Lenin ha insegnato con forza (Che fare?), la teoria che guida il movimento comunista non sorge affatto spontaneamente dall’esperienza. La devono elaborare i comunisti che a questo fine devono usare gli strumenti di conoscenza più raffinati di cui l’umanità dispone. I comunisti la portano alla classe operaia che, per la posizione che occupa nella società capitalista, è particolarmente predisposta ad assimilarla e ad assumerla come guida della sua azione. Il movimento comunista pratico può crescere oltre un livello elementare solo se è guidato da una teoria rivoluzionaria. La nostra azione per trasformare il mondo, a parità di altre condizioni, è tanto più efficace quanto più giusta e avanzata è la nostra interpretazione del mondo. Solo con una concezione abbastanza giusta della natura della crisi in cui siamo coinvolti, potremo fare la rivoluzione socialista e la seconda ondata della rivoluzione proletaria porterà l’umanità a superare definitivamente il capitalismo, a instaurare il socialismo in tutto il mondo sulla via verso il comunismo.

L’interpretazione che diamo del mondo ha una grande importanza ai fini politici, influenza la nostra attività politica: quanto più è giusta e quanto più è avanzata la nostra interpretazione, tanto più efficace è la nostra azione. È quindi necessario che noi comunisti dedichiamo il tempo e l’attenzione necessari per verificare e migliorare la nostra comprensione della crisi in corso.

Ancora oggi molti comunisti interpretano la crisi attuale trasponendo nel presente l’interpretazione che Marx ha dato delle crisi che avvenivano nei paesi capitalisti nella prima parte del secolo XIX, come se la crisi attuale fosse della stessa natura delle crisi cicliche decennali descritte da Marx: come se fosse una crisi come quelle, solo che ora è su scala mondiale. Questo atteggiamento è una delle manifestazioni del dogmatismo che imperversa ancora nel movimento comunista e rende sterile tanta parte della sua attività e inconcludente la sua azione.

Le crisi cicliche descritte da Marx nel 1° libro di Il capitale sono finite. Già nella prefazione del 1886 alla edizione inglese del 1° libro de Il capitale, Engels fece notare che l’ultima delle crisi cicliche del capitalismo, l’ultima delle crisi della stessa natura di quelle descritte da Marx, si era avuta nel 1867 e che dal 1873 i paesi capitalisti erano invece entrati in una depressione lunga e dolorosa di cui nel 1886 non si vedeva ancora la fine.

Le crisi cicliche appartengono all’epoca pre-imperialista del capitalismo, l’epoca in cui le relazioni economiche erano caratterizzate dalla libera concorrenza tra molti capitalisti. Erano crisi economiche. Esse erano determinate dall’andamento anarchico degli affari e la soluzione di quelle crisi veniva dallo stesso movimento economico della società capitalista. La caduta degli affari creava anche le condizioni della ripresa degli affari. Non a caso le crisi erano cicliche, a durata circa decennale. Con l’ingresso nella fase imperialista, da una parte le società capitaliste si sono dotate su grande scala di ordinamenti e di organismi che attenuano l’ampiezza delle oscillazioni cicliche degli affari e in particolare attenuano con vari “ammortizzatori sociali” l’effetto sulle masse popolari della caduta degli affari: le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale, che Marx aveva già descritto nei Grundrisse. Dall’altra sono incominciate le crisi generali del capitalismo. Queste sono crisi che hanno la loro base nella sovrapproduzione assoluta di capitale. In cosa questa consista, Marx lo spiega nel cap. 15 del 3° libro di Il capitale: i capitalisti hanno accumulato troppo capitale e nel contesto politico e sociale esistente non possono più continuare ad accumularlo e valorizzarlo tutto producendo merci. Il contesto politico e sociale esistente deve essere sconvolto e sostituito da un altro. È solo da questo sconvolgimento politico e sociale (e culturale) che viene la soluzione della crisi generale. La soluzione non viene né dal movimento anarchico degli affari, né dalle misure economiche prese dai governi e dalle altre istituzioni sociali. Quindi la crisi economica diventa crisi politica e culturale.

La lunga depressione di cui parlava Engels nella prefazione del 1886 indusse le maggiori potenze a spartirsi il mondo intero tra loro (la Conferenza di Berlino avvenne a cavallo tra 1884 e 1885) e introdusse il mondo nella fase imperialista del capitalismo: l’epoca in cui le relazioni economiche sono caratterizzate non più dalla libera concorrenza tra molti capitalisti, ma dal predominio dei monopoli nel campo della produzione di merci e dal predominio del capitale finanziario sul capitale impiegato nella produzione di merci (Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo). L’epoca in cui il capitalismo ha esaurito il suo ruolo civilizzatore ed è diventato parassitario, la borghesia nei paesi capitalisti si è politicamente alleata e combinata con le forze feudali residue (in particolare in Europa con la Chiesa Cattolica - il Vaticano) e in campo politico e culturale è diventata antidemocratica, reazionaria, militarista e repressiva, nelle colonie si è combinata con le forze feudali e ha diviso il mondo in paesi imperialisti e in paesi oppressi: l’epoca del capitalismo in decadenza.

La prima vera e propria crisi generale dell’epoca imperialista ebbe luogo nella prima metà del secolo scorso. Essa portò l’umanità alle due guerre mondiali e creò la lunga situazione rivoluzionaria che copre tutta la prima parte del secolo scorso. In tutto il mondo fu un periodo di instabilità dei regimi politici. Nel suo ambito si sviluppò la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale che creò il primi paesi socialisti ed estese il movimento comunista a tutto il mondo. Quindi un grande avanzamento, anche se terminato con una temporanea sconfitta: una cosa che esula dalla comprensione e dall’orizzonte mentale non solo dei portavoce aperti della borghesia e del clero ma anche di trotzkisti, anarchici e “sinistra non comunista”.

Uno dei principali motivi per cui il movimento comunista non riuscì a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti e a porre quindi definitivamente fine al capitalismo, consiste proprio nella inadeguata comprensione da parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti della natura della crisi generale in corso e delle sue basi economiche. Nonostante le scoperte e gli insegnamenti di Lenin e di Stalin, sostanzialmente nei paesi imperialisti i partiti dell’Internazionale Comunista restarono ancorati all’interpretazione che Marx aveva dato delle crisi economiche cicliche che i paesi capitalisti avevano attraversato nella prima parte del secolo XIX. Tutte le analisi di E.S. Varga, il maggiore economista della IC, restano in quell’ambito. Descrivono le oscillazioni del movimento economico, non il fenomeno generale di lungo periodo e tanto meno la crisi politica e sociale (e culturale) che ne deriva e da cui viene la soluzione della crisi generale. I partiti comunisti dei paesi imperialisti non riuscirono quindi a compiere la loro opera, nonostante il loro grande sviluppo, l’eroismo di milioni dei loro membri e il loro storico impegno nella lotta vittoriosa contro il fascismo. La borghesia imperialista riuscì a mantenere la direzione dei paesi imperialisti. Grazie agli sconvolgimenti prodotti dalle due guerre mondiali e dai connessi movimenti sociali, politici e culturali, essa poté riprendere per alcuni decenni (1945-1975) l’accumulazione di capitale e ricominciare su grande scala ad allargare la produzione di merci. Invece la spinta propulsiva impressa al progresso dell’umanità dalla prima ondata della rivoluzione proletaria si attenuò fin quasi a spegnersi. Il revisionismo moderno prese la direzione del movimento comunista, lo corrose e disgregò su larga scala, fece regredire i primi paesi socialisti, li portò a scimmiottare i paesi imperialisti e a dipendere da essi, fino a crollare. La lotta che i comunisti guidati da Mao alla testa del Partito comunista cinese hanno opposto al revisionismo moderno e alla sua opera distruttrice, non è valsa ad arrestare il declino del movimento comunista, ma, in particolare grazie alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, ha dato grandi insegnamenti a tutti i comunisti capaci di raccoglierli. Grazie ad essi il movimento comunista sta rinascendo in tutto il mondo, lottando contro il dogmatismo e l’economicismo che ancora frenano il suo slancio e la sua rinascita.

Il mondo capitalista è entrato nella sua seconda crisi generale a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Il capitalismo non poteva sfuggire alla sovrapproduzione assoluta di capitale: essa è il limite allo sviluppo, il limite intrinseco al capitalismo stesso. Il capitalismo va inevitabilmente a sbattere contro questo limite. Sono bastati i 30 anni successivi alla seconda guerra mondiale perché la borghesia si ritrovasse alle prese con una nuova crisi generale, ma nelle condizioni in parte nuove create dalla prima ondata della rivoluzione proletaria e dal suo declino. Ancora una volta la borghesia aveva accumulato troppo capitale e non poteva più continuare, nel contesto politico e sociale creato durante la prima crisi generale, a valorizzare producendo merci tutto il capitale che accumulava.

L’inclusione nel sistema imperialista mondiale di gran parte dei primi paesi socialisti, in particolare della Cina e della Russia, ha in parte cambiato la situazione ma non ha modificato sostanzialmente il corso delle cose. La crisi ambientale si è per la prima volta aggiunta alla crisi generale del capitalismo e le due crisi assieme determinano le condizioni oggettive in cui si sviluppa la rinascita del movimento comunista e in tutto il mondo avanza la seconda ondata della rivoluzione proletaria. Questa continuerà ad avanzare, perché la specie umana è una specie dotata di intelligenza. Nel corso della sua plurimillenaria evoluzione da uno stato analogo a quello di altre specie animali fino allo stato attuale, ha saputo risolvere tutti i problemi della propria sopravvivenza. Oggi ha già gli strumenti materiali, morali e intellettuali sia per superare il capitalismo e instaurare il socialismo, sia per porre fine alla devastazione e al saccheggio prodotti dal capitalismo e migliorare decisamente le condizioni naturali del Pianeta. Il marxismo-leninismo-maoismo è la concezione rivoluzionaria del mondo che guida la rinascita del movimento comunista. Solo grazie a questa concezione i partiti comunisti potranno trasformarsi e crescere fino ad essere all’altezza dei compiti che devono svolgere.

Per formare partiti comunisti adeguati ai compiti storici della fase, una giusta e adeguata comprensione della natura e delle cause della nuova crisi generale e delle condizioni della sua soluzione è indispensabile, così come è indispensabile un giusto bilancio dell’esperienza dei circa 160 anni di storia del movimento comunista e in particolare dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei primi paesi socialisti. Questo è il marxismo-leninismo-maoismo. È per questo che la lotta per la sua affermazione è l’aspetto principale dell’internazionalismo proletario. L’aiuto principale che ogni partito comunista può dare agli altri, è contribuire alla comprensione, assimilazione e affermazione della giusta teoria della crisi generale e del giusto bilancio del movimento comunista, affinché ogni partito tiri le giuste conclusioni per costruire la rivoluzione socialista nel proprio paese tenendo conto delle sue caratteristiche particolari e contribuire così al compito comune della rivoluzione proletaria mondiale.

Una delle conclusioni universali più importanti è che la rivoluzione socialista per sua natura non è una rivolta popolare che scoppia e di cui il partito comunista, che si è ben preparato all’evento, approfitta per prendere il potere e instaurare il socialismo. La rivoluzione socialista non è un evento che esplode, determinato dal peggiorare delle condizioni economiche e sociali, dalle sofferenze a cui la borghesia imperialista costringe la massa della popolazione, dalla propaganda dei partiti comunisti e dall’organizzazione delle masse popolari. I comunisti che si aspettano che la rivoluzione socialista scoppi, resteranno ripetutamente delusi, oggi come lo sono stati nel passato. Alcuni arriveranno addirittura a conclusioni reazionarie: attribuiranno all’arretratezza e alla viltà delle masse popolari, alla natura delle classi oppresse quello che è principalmente l’effetto dell’arretratezza dei partiti comunisti. Già nel 1895, nella Introduzione a Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Engels aveva indicato che, a differenza della rivoluzione borghese, la rivoluzione socialista per sua natura non scoppia, ma deve essere costruita dal partito comunista. Come Lenin e Stalin (Principi del leninismo) hanno insegnato, con la costruzione delle grandi organizzazioni di massa della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari la II Internazionale (1889-1914) aveva contribuito alla costruzione della rivoluzione socialista nei paesi capitalisti. Ma la maggior parte dei partiti che la componevano non erano guidati da una giusta concezione del mondo, in particolare della crisi generale del capitalismo, della situazione rivoluzionaria di lungo periodo che essa generava e della natura della rivoluzione socialista. Si attendevano che la rivoluzione socialista scoppiasse anziché costruirla fase dopo fase, campagna dopo campagna, come una guerra popolare rivoluzionaria che sfocia in ogni paese nell’instaurazione del socialismo e quindi nella combinazione con la rivoluzione costruita negli altri paesi, cioè nella rivoluzione proletaria mondiale. Assumevano invece come loro compito unico o comunque principale la mobilitazione delle masse popolari in lotte rivendicative, la loro organizzazione culturale e la loro partecipazione alla lotta politica borghese, convinti di prepararsi così a “cogliere l’occasione” della rivoluzione che sarebbe scoppiata. Nei paesi imperialisti i partiti dell’Internazionale Comunista (1919-1943, ma di fatto sciolta solo nel 1956) hanno ripercorso, a un livello superiore di organizzazione e di legame internazionale, la stessa strada. Molti partiti comunisti, in particolare dei paesi imperialisti, sono ancora oggi sostanzialmente fermi a questa concezione dei propri compiti, che proprio l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ha dimostrato essere inadeguata. Il dogmatismo e l’economicismo sono i freni principali alla rinascita del movimento comunista. Quello che i capi non capiscono, le masse popolari, in specie gli operai avanzati, a loro maniera lo sentono: infatti non aderiscono agli sforzi dei nuovi partiti dogmatici ed economicisti (anche se questi partiti in tutta sincerità si dichiarano rivoluzionari, marxisti-leninisti e persino maoisti) che li vogliono indurre a percorrere la via che l’esperienza ha già mostrato essere fallimentare.

Nel 2008, con la crisi finanziaria iniziata negli USA, la seconda crisi generale è entrata nella sua fase terminale. Anche nei più ricchi paesi imperialisti (negli USA, nella UE, in Giappone) un numero crescente di lavoratori, milioni e milioni, sono gettati sulla strada e si aggiungono alla enorme massa, centinaia di milioni, di lavoratori dei paesi oppressi contro cui da decenni la borghesia imperialista sta conducendo in ogni angolo del mondo su larga scala una guerra di sterminio non dichiarata. Gli Stati imperialisti non possono permettersi di dilatare all’infinito i sussidi di disoccupazione e gli altri ammortizzatori sociali perché i loro deficit di bilancio, i prestiti a cui ricorrono e i loro debiti sconvolgono ulteriormente il sistema monetario e finanziario alla cui instabilità e ai cui crolli essi dovrebbero invece porre rimedio perché il sistema monetario e finanziario è la condizione e il supporto di tutto il loro mondo. Quindi la fase terminale non può protrarsi a lungo.

Stante la natura della crisi attuale, essa non ammette “vie d’uscita fatte solo o principalmente di misure economiche”. Non basta che gli Stati creino condizioni che facciano qua o là intravedere ai capitalisti maggiori profitti nella produzione di merci piuttosto che nella speculazione finanziaria: è la soluzione sostenuta dalla destra borghese moderata. Non basta neppure che gli Stati distribuiscano redditi monetari alle classi che sicuramente li spendono per consumi: è la soluzione sostenuta dalla sinistra borghese e da quei comunisti che pensano che la crisi attuale sia della stessa natura delle crisi cicliche del secolo XIX e che quindi evidentemente, contro ogni evidenza, ritengono anche che la crisi generale della prima parte del secolo scorso si sia risolta grazie alle politiche keynesiane degli Stati borghesi.

Dalla crisi attuale si esce solo con un rivolgimento politico e culturale, creando un diverso contesto sociale. In sostanza nell’immediato sono possibili due e solo due vie d’uscita, in ogni singolo paese e a livello internazionale.

O la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari dirette da partiti comunisti all’altezza dei propri compiti; cioè da partiti che osano pensare che la rivoluzione socialista è possibile e che capiscono che spetta ai comunisti costruirla campagna dopo campagna, come una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata fino all’instaurazione del socialismo.

O la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Infatti anche la borghesia imperialista e la altre classi reazionarie sono alla ricerca di una via d’uscita dalla situazione attuale, ne hanno bisogno e ce l’hanno, se non le blocchiamo per tempo. In definitiva per i gruppi borghesi decisi a bloccare la mobilitazione rivoluzionaria e a impedire la scomparsa del loro mondo, l’unica via realistica e praticabile di uscita dalla crisi è mobilitare loro nel loro paese quella parte delle masse popolari che riescono a mobilitare sotto la propria direzione per scagliarla contro il resto delle masse popolari e trascinare il tutto al saccheggio del resto del mondo: la guerra imperialista. Essa sarebbe la continuazione con altri mezzi della politica che essi conducono già oggi. La crisi ambientale e la crisi generale del capitalismo si combinano e forniscono ai gruppi borghesi più lungimiranti, più determinati, più avventuristi e più criminali adeguati pretesti per mobilitare masse contro masse, paesi contro paesi, coalizione contro coalizione.

L’interpretazione che diamo della crisi è quindi un fattore decisivo. Il (n)PCI (nuovo Partito comunista italiano) chiama i comunisti di tutto il mondo, ma in particolare quelli dei paesi imperialisti, a unirsi su una giusta concezione della crisi in corso e dei nostri compiti.

 

Nicola P.