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Non è che la borghesia e il clero sono forti!

La loro egemonia sulle masse popolari diminuisce a vista d’occhio!

 

È il movimento comunista che stenta a sollevarsi dalla crisi connessa all’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e alla decadenza e al crollo dei primi paesi socialisti!

 

E questo dipende interamente da noi comunisti!

 

La crisi politica avanza a grandi passi in tutti i paesi dell’Europa Occidentale. Essa si sviluppa su due terreni che bisogna ben distinguere, per combinarli nel modo a noi più conveniente.

1. Nella classe dominante. I contrasti tra paesi e tra i gruppi della classe dominante all’interno di ogni paese sono già acuti e sono destinati a crescere con la crisi, per la natura stessa della borghesia, indipendentemente dalla nostra azione. Però l’irruzione dei comunisti nella lotta politica borghese se ben condotta può sfruttare e orientare i loro contrasti. In particolare può fare in modo che i mille e vari contrasti alimentino il contrasto principale ai fini della rivoluzione socialista: quello tra i fautori già decisi e convinti della mobilitazione reazionaria delle masse popolari (la nuova destra borghese) e i fautori di politiche di conciliazione e temporeggiamento (la nuova sinistra borghese). Questo contrasto quanto più acuto è, tanto più favorisce la costituzione di un governo di Blocco Popolare.

2. Nella relazione tra la classe dominante e le masse popolari. In tutti i paesi dell’Europa Occidentale il cuore del potere della borghesia è la sua egemonia sulle masse popolari, la sua capacità di orientare la loro coscienza e di dirigere la loro azione: le forze armate sono oggi un fattore essenziale ma complementare e sono il presidio di ultima istanza del potere della borghesia. Questo vale per il regime di controrivoluzione preventiva (per la descrizione di esso rinviamo al Manifesto Programma del Partito, pagine 46-56), ma vale anche per la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Ambedue i regimi hanno come base comune il carattere collettivo della costituzione materiale della società moderna generata dal capitalismo. Questo obbliga la borghesia ad avere egemonia intellettuale e morale su un’ampia parte delle masse, per esercitare il suo potere.

L’egemonia della classe dominante sulle masse popolari, la sua capacità di orientarne le coscienze e comunque controllarne e indirizzarne l’attività è in calo in tutti i paesi europei. In proposito le elezioni forniscono indici chiari. Ovunque aumenta il numero degli astenuti e degli indifferenti e aumenta la parte della popolazione non rappresentata nei Parlamenti da propri eletti. Ma ci sono altre conferme: non c’è paese dove non aumentino i focolai di ribellione, le rivolte di massa, le ribellioni di gruppo e individuali, gli attentati.

Nel nostro paese è in calo anche l’egemonia del Vaticano. A ragione Ratzinger lamenta che sempre minore è il numero dei (suoi) credenti, anche se tra la massa che si riduce, si formano grumi di fondamentalisti arrabbiati: come in un esercito la cui combattività è scarsa, si formano forze d’élite.

Che l’attuale società è malata, lo ammette anche la classe dominante, implicitamente. Infatti tutta la classe dominante, da destra a sinistra, aumenta forze di polizia, pene e controlli. Né si può chiederle di più. Per sua natura essa non capisce e non ammette che la sicurezza e la stabilità non sono un problema di polizia: che sono un problema di ordinamento sociale, che quando è la società che è malata, occorre cambiare il sistema di relazioni sociali. Cosa che non è nei poteri della classe dominante. Con la polizia si può far fronte a casi di devianza individuale, a comportamenti asociali di individui. Non è possibile risolvere con la polizia un problema di ordinamento sociale. Quando il sistema di relazioni sociali genera ribellioni, rivolte, criminalità, insicurezza e precarietà, rispondere aumentando le forze di polizia, i loro poteri, le pene e i controlli, aumenta solo gli arbitri, l’insicurezza, la criminalità (promossi dal governo D’Alema quarta arma, i Carabinieri stanno diventando la più vasta organizzazione criminale del paese) e le rivolte individuali e di gruppo, accelera la crisi politica, distrugge il legalitarismo e apre la via alla guerra civile. Noi comunisti dobbiamo far fronte a questa situazione - che è la situazione comune a tutti i paesi imperialisti - facendo leva sul fatto che si tratta di cambiare la direzione politica della società per cambiarne l’ordinamento sociale.

In ogni paese i regimi di controrivoluzione preventiva sono grandemente incrinati. Quando diciamo che non è la classe dominante che è forte [ma siamo noi che siamo deboli], vogliamo dire proprio questo. La fase terminale della crisi generale ha gravemente e irrimediabilmente incrinato il secondo e fondamentale pilastro: “soddisfare le richieste di miglioramento pratico che le masse popolari avanzano con più forza”. Le condizioni economiche del regime di controrivoluzione preventiva (che come spiegato in MP pag. 46-56 non è solo operazione mediatica, imbonimento culturale e repressione) sono venute meno. Anche l’egemonia ideologica, morale e intellettuale delle classi dominanti sulle masse popolari declina.

Quanto alla mobilitazione reazionaria, essa non c’è ancora. La borghesia di destra è ancora alla ricerca di gruppi capaci di far leva sulla crisi per fare della criminalità il mezzo principale di azione politica, di stabilire su questa base una nuova egemonia intellettuale e morale sulle masse popolari e di mobilitarle al servizio della borghesia, come lo furono nella prima metà del secolo scorso i seguaci di Mussolini in Italia e i seguaci di Hitler in Germania. Gruppi simili non ci sono ancora.

In Italia alcuni ritengono che tale sia la Lega Nord. La LN è certo reazionaria e razzista, ma è frutto della regressione e della sconfitta del movimento comunista. È il movimento comunista al contrario. I suoi promotori guardano intellettualmente, sentimentalmente e moralmente al primitivo (vedasi Pontida, le mascherate da guerrieri longobardi, il dio Po, il regionalismo e da ultimo il marchio del “cristiano cattolico romano”). La LN raccoglie i primitivi e gli arretrati, quelli che più o meno consapevolmente sperano di trovare nel passato la salvezza dal cattivo presente, salvezza che invece è solo d’avanti, nel comunismo. Hitler e prima di lui Mussolini (e a loro modo i sionisti di Theodor Herzl) si sono serviti dei richiami al passato (nibelungi, antisemitismo, Roma, ecc.), ma sono stati movimenti moderni nell’uso della criminalità in politica: reazione, sussulti criminali del capitalismo che non si rassegna a morire, non retrocessioni al passato. La Lega Nord come movimento promotore della mobilitazione reazionaria è solo un vivaio.

Quanto al Vaticano, la crisi politica lo costringe a intervenire sempre più direttamente con la sua Chiesa nella gestione politica corrente dell’Italia. Ma per sua natura il Vaticano non è adatto a promuovere la mobilitazione reazionaria in Italia (benché la Chiesa Cattolica lo possa fare e lo abbia fatto in altri paesi). Per sua natura non è adatto a governare un paese moderno e l’intervento diretto nel governo dell’Italia già oggi interferisce negativamente con il suo ruolo mondiale. Alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, quando venne fondata la Repubblica Pontificia, il Vaticano si è giovato di condizioni eccezionali. I gruppi imperialisti USA volevano stabilizzare la loro egemonia in Europa, avevano a questo fine una loro linea ben definita (il regime di controrivoluzione preventiva) e in Italia cercavano un centro di potere locale adeguato. Lo trovarono nel Vaticano con la sua Chiesa e la DC: la collusione della destra togliattiana che dirigeva il PCI fece il resto. Ma questa intesa è entrata in crisi negli anni ’70 con l’apertura della seconda crisi generale del capitalismo.

Quanto ai gruppi della nuova destra fascista, al rinascente squadrismo di gruppi fascisti, si tratta di tentativi di fascismo, di gruppi che si offrono e propongono alla borghesia di destra e che questa sta vagliando con attenzione per vedere quanto nella pratica sono all’altezza delle loro promesse di attività criminale di massa. Per questo bisogna stroncarli sul nascere. Oltretutto Berlusconi non ha ancora abolito la Costituzione per cui il fascismo in Italia è anche illegale.

 

In conclusione: la classe dominante è devastata dai contrasti tra i gruppi che la compongono, la vecchia forma della sua egemonia sulle masse popolari (il regime di controrivoluzione preventiva) è in crisi e la nuova forma (la mobilitazione reazionaria delle masse popolari) la deve ancora creare.

Perché allora il suo potere si trascina ancora? Perché il nuovo Potere Popolare si afferma con tanta difficoltà?

Perché è solo il movimento comunista che può costruire il Nuovo Potere popolare e il movimento comunista in Europa a causa del dogmatismo e dell’economicismo che predominano nelle sue file non si è ancora ripreso dalla sua crisi. Bisogna farla finita con il dogmatismo e con l’economicismo. Con il bilancio dell’esperienza del movimento comunista e l’analisi della situazione esposti nel Manifesto Programma noi abbiamo quanto ci occorre per assolvere a questo compito. Ora diventa una questione di campagne, di piani e di organizzazione.

Dobbiamo quindi muoverci su due fronti.

1. Sul piano internazionale bisogna individuare nei principali paesi europei la sinistra da rafforzare e condurre le operazioni necessarie per mobilitarla.

2. Sul piano interno, dobbiamo tradurre la nostra concezione e la nostra linea generale in campagne politiche.

Due lotte legate dialetticamente: il successo sul fronte  interno apre la strada al successo sul fronte internazionale.

 

Oggi noi siamo nella situazione favorevole per dare orientamento e organizzazione alle forze che ne hanno bisogno. Nel nostro paese l’egemonia intellettuale e morale della classe dirigente, ivi compreso il Vaticano, è in caduta libera. Sta a noi stabilire l’egemonia del movimento comunista, costruendo un movimento comunista all’altezza del suo ruolo.

Tra le masse popolari il dissenso e il malcontento sono diffusi e rivolti contro il regime sociale. Ma il dissenso e il malcontento non si coagulano ancora attorno al Partito comunista. Il dissenso e il malcontento sono individuali: non esiste coesione sociale tra gli individui dissenzienti e malcontenti. La storia che abbiamo alle spalle, degli ultimi 40 anni, ha distrutto gran parte della coesione sociale del passato: quella tradizionale derivata dalla vicinanza e da legami di sangue e quella costruita dalle condizioni di lavoro capitaliste (le aziende) e dal movimento comunista (concezione del mondo, organizzazioni di classe, partito) confluite entrambe nella prima ondata della rivoluzione proletaria.

Oggi abbiamo quindi a che fare con milioni di individui dissidenti e malcontenti ma socialmente impotenti perché isolati non possono compiere un’azione efficace per trasformare la realtà, benché il dissenso e il malcontento di ognuno sia reale. Si tratta di trasformarli in un movimento organizzato. Organizzati sono una forza capace di trasformare il mondo: instaurare il socialismo e avviare la transizione verso il comunismo.

Gli operai avanzati e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari non si sono ancora riavuti dallo stordimento e dall’ubriacatura conseguenti all’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e alla decadenza e al crollo dei primi paesi socialisti. Lo stordimento, la confusione, lo sconforto sono stati all’altezza della vuota sicurezza che il dogmatismo combinato con il successo dell’economicismo aveva largamente determinato. Per molti è stato un fulmine a ciel sereno e non si sono ancora ripresi dallo stordimento della botta ricevuta.

È significativo che nel vecchio movimento comunista italiano ed europeo (USA compresi), nato sotto l’impulso della Rivoluzione d’Ottobre, nessun dirigente comunista assurse alla statura di grande teorico marxista. Gramsci restò un caso isolato e incompiuto al punto che il suo insegnamento poté essere travisato da Togliatti con un’operazione a tavolino. Nonostante l’influenza dell’Internazionale Comunista quel movimento rimase impregnato da un miscuglio di dogmatismo e di opportunismo, inteso questo come restringimento dei propri obiettivi all’orizzonte borghese della rivendicazione economica (ripartizione del reddito, ancora più che miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita: ricordare la critica spesso fatta dalla “nuova sinistra” a CGIL, ecc. di monetizzare la salute, la sicurezza, l’inquinamento, ecc.), “il movimento possibile è quello che c’è”, “le lotte possibili sono quelle che ci sono”: quindi il lavoro dei comunisti si riduce a partecipare e la nostra teoria al come partecipare alle lotte che ci sono e al movimento che c’è.

Quale era la relazione tra i due opposti (dogmatismo e movimentismo)?

I dogmatici (in generale erano la sinistra) ripetevano formule marxiste vuote perché non ne tiravano conclusioni politiche, linea, opere. La sintesi del loro dogmatismo si riassume nella parola d’ordine “fare come in Russia” - parola d’ordine che aveva un significato positivo e costruttivo tra le masse, ma che era l’insegna del dogmatismo nei dirigenti, perché la rivoluzione in Europa si costruiva in modo diverso da come la si era costruita in Russia. Inutilmente Lenin e Stalin esortarono più volte i comunisti europei, almeno a partire dal IV congresso dell’Internazionale Comunista (1922): “Non dovete fare come abbiamo fatto noi in Russia. Le condizioni in cui voi operate sono diverse da quelle in cui abbiamo operato noi. Dovete applicare gli insegnamenti universali alla realtà particolare e alle situazioni concrete”.

L’inconcludenza in campo politico dell’opera dei dogmatici (della sinistra) lasciava via libera alla destra che era per sua natura opportunista. Per alcuni decenni la sua linea (prima dell’unità antifascista ma senza lotta per l’egemonia e per instaurare il socialismo,  poi delle riforme di struttura, delle rivendicazioni, del capitalismo che aveva superato la malattia delle crisi) sembrava confortata dai risultati immediati che portava. Dogmatismo e opportunismo convivevano da opposti, ma convivevano. A volte convissero nella stessa persona (Giorgio Amendola fu un esemplare illustre di quella specie di individui): idee e concezioni dogmaticamente accettate e ripetute e linea politica opportunista. Il dogmatismo confortava il triste presente con la speranza del futuro. L’opportunismo trovava modo (regime di controrivoluzione preventiva aiutando) di rendere meno triste il presente, di lenire i suoi mali.

Noi oggi dobbiamo ricostruire l’unità organizzativa e ideologica della classe operaia distrutta da questa combinazione di dogmatismo e opportunismo (economicismo) e dal fallimento delle attese che aveva coltivato.

Fattori positivi sono non solo il dissenso e il malcontento da cui sono pervasi milioni di individui, ma anche 1. quanto la prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato ed è sedimentato in loro, 2. i milioni, anzi miliardi di individui che la storia degli ultimi decenni ha strappato al modo semifeudale di vita e ha gettato nel vortice del sistema imperialista mondiale (in ogni paese imperialista gli immigrati assumono un ruolo politico crescente, anche se sono privati di diritti politici e spesso anche dei diritti civili), 3. il fatto che un certo livello di coesione sociale è costretta a ricrearlo perfino la classe dominante e che a loro volta le masse popolari lo stanno creando con le migliaia di iniziative di resistenza volontarie e di base, che nella fase terminale della crisi si moltiplicano. E, altro fattore positivo, si tratta di una coesione sociale che posa su basi volontarie e coscienti, nasce dagli individui che il capitalismo ha strappato al comunitarismo del passato. Ci sono qui le premesse perché la nuova ondata della rivoluzione proletaria sia quella definitiva, senza ritorno all’indietro. Negli ultimi 40 anni la borghesia ha distrutto la coesione istintiva, tradizionale, ereditaria, spontanea e comunque poco cosciente. Ora la coesione sociale che deve essere costruita per uscire dalla crisi. Sarà costruita e la stiamo costruendo a un livello superiore, come legame sociale cosciente, a un livello superiore di coscienza.

Tra quanti inalberano il proposito “Non vogliamo pagare noi la crisi dei padroni!”, la destra oggi è composta da quelli che cercano di trasformare i milioni di individui isolati e malcontenti in un movimento di protesta e di rivendicazioni per stare meglio, sulla base di una qualche piattaforma rivendicativa. Loro non lo sanno, ma del loro sforzo possiamo comunque giovarci noi che stiamo trasformando quegli individui malcontenti ma isolati in un movimento organizzato, in vari modi aggregato attorno al Partito comunista, per instaurare il socialismo e avviare la transizione al comunismo.

Noi abbiamo la concezione e la linea per compiere quest’opera. Noi siamo ancora deboli, ma esistiamo e sappiamo. Un gruppo che lavora nel senso delle cose, che batte la pietra in conformità ai suoi piani di taglio, che offre una soluzione giusta e pratica a chi la sta cercando o l’attende e soffre perché ne è privo, un simile gruppo avrà successo se persiste con tenacia e lavora con intelligenza (fermi nella strategia e flessibili nella tattica).

Consideriamo la storia di noi costruttori del (n)PCI. Siamo partiti all’inizio degli anni ’80 dalla lotta contro il soggettivismo e il movimentismo imperanti e già praticamente quasi sconfitti. Con movimentismo intendo rivendicazioni e lotte non collegate l’una all’altra come componenti, passaggi e fasi di un unico progetto cosciente di guerra fondato sulle condizioni oggettive, di una sequenza consapevolmente costruita di campagne concatenate.

Abbiamo cercato di scoprire e comprendere le condizioni oggettive della nostra lotta, del comunismo, su cui fondare la ripresa dalla sconfitta, su cui far leva per promuovere la ripresa. Le abbiamo scoperte, comprese e propagandate a chi ha voluto sentirci, a quelli a cui siamo stati capaci di arrivare. Ciò in un periodo storico in cui la borghesia celebrava orgiasticamente il suo trionfo presieduto da Reagan e benedetto da Woityla, riusciva a corrompere moralmente e intellettualmente praticamente tutti gli intellettuali che diventarono tutti postcomunisti e anticomunisti (rinnegatori, detrattori e denigratori dell’esperienza storica del movimento comunista - ancora oggi sono senza “un progetto di società”, benché ora finalmente, dopo la batosta subita dalla sinistra borghese nell’aprile 2008 - ed è significativo che non se l’aspettavano neanche, anzi! - ne avvertano il bisogno e lo invochino di fronte alla fase terminale della crisi generale), riusciva a spegnere in ampie masse la fiducia di essere capaci di conoscere la realtà e di trasformare la società e il mondo.

È stata la fase del bilancio. Lunga, faticosa, contrastata: ma ce l’abbiamo fatta.

Ora sappiamo dove andare. Capire che siamo in una situazione nuova è fondamentale per capire a fondo e quindi praticare il Nuovo Metodo di Lavoro e non appiattire le differenze rispetto al vecchio metodo, non cancellare le novità (che non solo mai assolute).

Siamo approdati noi di nostro alla conclusione di Marx che sono gli uomini che fanno la loro storia: certo, sulla base delle condizioni in cui si trovano, che ereditano o sono create dal contorno: il regime di crp non l’abbiamo creato noi, la Repubblica Pontificia non l’abbiamo creata noi, la crisi generale del capitalismo non l’abbiamo creata noi, l’ingresso di questa crisi nella sua fase terminale non l’abbiamo decretato noi, il declino pluridecennale del movimento comunista non l’abbiamo creato noi, la crisi ambientale non l’abbiamo creata noi.

Questa è la nuova fase della nostra vita, della nostra storia. Ora incominciamo a fare, perché oltre al fatto che esistono le condizioni oggettive del nostro costruire la rivoluzione, abbiamo finalmente anche creato e maturato in noi le condizioni soggettive del costruire la rivoluzione: conosciamo abbastanza le condizioni oggettive e abbiamo maturato la convinzione che forze piccole possono produrre grandi avvenimenti politici che a loro volta determinano grandi trasformazioni nella coscienza e nel livello di organizzazione della classe operaia.

In Europa Occidentale nessun partito comunista ha mai operato con la concezione di “costruire la rivoluzione”, passo dopo passo, campagna politica dopo campagna politica. Noi quindi non ne abbiamo alcuna esperienza. Siamo arrivati alla nostra linea facendo il bilancio del passato. Non abbiamo ripreso e non riprenderemo la linea del vecchio PCI.

Ma cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo procedere?

Dobbiamo sperimentare. Non partiamo da zero. Ma dobbiamo avere l’audacia di sperimentare: con scienza e coscienza, ma sperimentare. La GPRdiLD è una strategia. Sappiamo che consiste nella creazione del Nuovo Potere che si contrappone e mette alle strette il vecchio potere, costringe le classi dominanti a fare cose “contronatura” (contrarie alla loro natura). Che il Nuovo Potere si costruisce costruendo e rafforzando il Partito e le organizzazioni di massa aggregate attorno al Partito (sia pure ognuna a suo modo) e dirette dal Partito (sia pure ognuna al modo che le sarà proprio). Che questa è la rinascita del movimento comunista che sfocerà nella guerra civile che la borghesia lancerà e che noi dobbiamo guidare le masse a combattere e a vincere. La GPRdiLD va condotta, montando una dopo l’altra le campagne politiche per noi più favorevoli, ogni campagna adeguata alle forze di cui già disponiamo e ci porta nuove forze, rafforza il Nuovo Potere e mette alle strette (serra in una camicia di forza, in una rete) il potere della borghesia imperialista e del clero (del Vaticano), ogni campagna si basa sui risultati della campagna che l’ha preceduta. Appunto come una guerra di lunga durata. Dobbiamo scoprire quale campagna lanciare, condurla e sulla base dei risultati raccolti passare alla campagna successiva.

Quando applichiamo concretamente la nostra linea e la nostra concezione, i risultati si vedono. Solo che dobbiamo, su quei risultati, costruire il fare successivo, “costruire la rivoluzione campagna dopo campagna”. Bisogna capire la realtà sociale e politica più a fondo e approfittare, imparare ad approfittare di ogni fessura e di ogni appiglio a noi favorevole (nel senso della rivoluzione, nel senso del piano di taglio della pietra) che essa presenta e aprire sempre più ogni faglia fino a spaccare il blocco: contraddizioni tra forze e gruppi borghesi e contraddizione tra classe dominante e masse popolari.

Oggi in Italia si parla molto di Berlusconi: è al centro dell’attenzione. Dobbiamo rovesciare la situazione. Dobbiamo mettere la lotta di classe al centro dell’attenzione! Dobbiamo creare una situazione i cui le nostre iniziative sono tali e tante che Berlusconi e la sua banda di farabutti devono correre loro dietro a noi, occuparsi loro di far fronte alle nostre incalzanti iniziative. Devono esaurire le loro energie e le loro risorse nel cercare di far fronte alle nostre iniziative. Così noi destabilizzeremo la banda Berlusconi e quelli che la Repubblica Pontificia riuscirà a mettere in campo dopo la banda Berlusconi.

Alla luce di questo, l’operazione Ronda proletaria antifascista e antirazzista di Massa è un’operazione di grande importanza. Meglio, può essere un’operazione di importanza storica se ne valorizziamo i risultati e ne applichiamo le lezioni. E questo non viene da sé, viene dal bilancio che sappiamo farne, dalle lezioni che ne traiamo, dalla loro applicazione.

L’operazione mostra che forze piccole (come le nostre) possono produrre grandi effetti, compiere azioni con vasta ripercussione. Non mi riferisco solo, e neanche principalmente, all’effetto mediatico. Questo di per sé è effimero. L’effetto mediatico è solo un mezzo: far parlare di noi se non ci procura forze nuove non ci interessa. Mi riferisco allo schieramento che determina in uomini reali, su cui è possibile costruire, all’orientamento più favorevole a noi che produce in uomini e in ambienti, all’effetto che fa su di essi: allo spostamento di potere che però va consolidato.

Ciò è avvenuto a causa dell’equilibrio instabile del regime, alla crisi politica, alla crisi culturale (di valori): la situazione rivoluzionaria in sviluppo. Una forza piccola in un sistema in equilibrio instabile determina grandi effetti, come un bambino in un negozio di cristalli. Tra le masse ci sono molte persone in attesa, alla ricerca. Molte persone non sanno più cosa fare. Molte persone non possono più continuare a vivere come fino adesso hanno vissuto. Sono venute meno le condizioni (il lavoro, la sicurezza, il credito, il salario, le conquiste) o gli avvenimenti hanno distrutto in loro fede e certezza, la convinzione e la speranza in un futuro migliore per sé e i propri figli che per anni li hanno sostenuti. Molte persone sono inquiete e allo sbando. Molte persone non sono più ancorate né intellettualmente né moralmente alla classe dominante: né alla borghesia, né al clero, né alle soluzioni di vita, alle “carriere”, al sistema di valori che il loro sistema di relazioni sociali (il sistema capitalista, borghese) comporta per le classi oppresse. Sta finendo lo stordimento della sconfitta. I vincitori (la borghesia e il clero cattolico, il Vaticano: Reagan, Bush e la destra neocon USA e Woityla) hanno fatto vedere in fretta il vero volto della loro vittoria e l’ubriacatura da sconfitta e lo sconforto stanno sparendo, come i fumi di una sbornia sotto la doccia fredda.

Nicola P.