Ritorna all'indice de La Voce 33 /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


 

L’errore è il frutto della nostra contraddizione interna, non “del caso”

 

Cari compagni della redazione,

spinto dagli interessanti articoli pubblicati su La Voce vi scrivo per condividere con voi alcune riflessioni sulla CAT (Critica-Autocritica-Trasformazione) che sto conducendo. Forse possono essere utili ad altri compagni che a loro volta stanno conducendo un percorso di CAT, oppure, chissà, possono servire alla redazione come spunto per qualche articolo.

Devo ammettere che la CAT che sto portando avanti via via mi rende più chiare molte cose. Infatti la cosa che sto scoprendo è che più si va a fondo nella CAT, più si approfondisce la comprensione di se stessi e della situazione in cui si è immersi. In fondo, ritengo che la CAT sia una sorta di coltello che divide e contrappone le due “anime” che ci portiamo dietro (vecchio e nuovo), definendole più o meno chiaramente (dipende da come viene portata avanti la CAT), evidenziando la loro origine, il loro percorso evolutivo e i legami che le tengono insieme, contrapponendole. Su questa base permette di studiare e pianificare collettivamente (linea, piano di lavoro, bilancio – la rivoluzione si organizza, anche quella “individuale”, come dice giustamente Umberto C. nell’articolo sulla CAT pubblicato in La Voce n. 28) come sviluppare una di esse (il nuovo) per isolare l’altra parte (il vecchio).

Ho detto che la CAT permette di vedere le due “anime” che ci portiamo dietro (il vecchio e il nuovo) “evidenziando la loro origine, il loro percorso evolutivo e i legami che le tengono insieme”. In questa mia lettera voglio soffermarmi su questo aspetto.

A mio avviso, infatti, spesso i compagni non danno a questo passaggio della CAT la giusta importanza (principalmente a causa di una non adeguata comprensione di come deve avvenire la CAT). Questo ostacola il passaggio dall’autocritica alla trasformazione. Io faccio parte di quei compagni, anche se la CAT che sto conducendo, con l’aiuto e la direzione del collettivo, mi sta “spingendo” a focalizzare meglio le cose: il collettivo rafforza!

Cerco di spiegare meglio quello che voglio dire. Cos’è l’errore? Dividiamo l’uno in due:

1. un errore è frutto di una concezione sbagliata che abbiamo (e questa parte del ragionamento è compreso dalla maggior parte dei compagni);

2. allo stesso tempo, di cosa è frutto la concezione sbagliata, da dove nasce, quali sono le condizioni interne ed esterne che l’hanno prodotta, quali sono i legami che la tengono insieme con il nuovo che abbiamo dentro?

A mio avviso, molti compagni, mentre fanno la prima parte, ancora non fanno questa seconda parte del ragionamento (che alla fin fine è il centro dell’analisi concreta della situazione concreta applicata alla CAT).

La concezione sbagliata ha sempre una sua storia e spesso ha avuto anche una sua ragion d’essere. È sorta per un motivo che la rendeva necessaria, a fronte di un problema reale a cui essa dava una soluzione. Ora che è diventata obsoleta, resiste, agisce come controtendenza di fronte alla tendenza nuova di cui ostacola lo sviluppo.

L’assenza o comunque la limitata presenza di questa seconda parte del ragionamento porta a non focalizzare bene le cose (e ostacola o impedisce la trasformazione). Si tende a concepire l’errore come il frutto di una concezione che quasi “per caso” ci ha attraversato la testa e che basta tener ben presente per tenerla lontana.

In realtà però la concezione errata non è “passeggera”: essa è una delle due componenti della nostra principale contraddizione interna (certo, in alcune situazioni si combinano più concezioni errate, perché esiste un rapporto tra le varie concezioni errate - vedere ad esempio quanto si dice nell’articolo Le tre deviazioni pubblicato in La Voce n. 9 - però una è sempre la concezione errata principale ed è questa che “apre la porta” alle altre).

La nostra principale contraddizione interna è in movimento costante, certo, ma allo stesso tempo è fissa (nel senso che non cambia fin quando la CAT non è andata a fondo): è un’unità di opposti.

Io, ad esempio, ho come principale contraddizione interna Materialismo Dialettico/soggettivismo (ed il soggettivismo spesso “apre la porta” ad una serie di altre concezioni errate – ad esempio il personalismo o l’idealismo). Non è che l’errata concezione svanisce così, con una doccia (calda o fredda che sia). E’ una vera e propria lotta tra vecchio e nuovo da condurre con tenacia, metodo e di lunga durata. Non è però una lotta “in solitaria”: per essere vincente è necessario il sostegno e la direzione del collettivo.

Solo inquadrando le cose in quest’ottica è possibile affrontare la CAT nel giusto modo, rendendola realmente funzionale alla trasformazione in comunisti. Se invece si pensa che l’errore sia il frutto di una errata concezione in cui ci siamo imbattuti quasi “per caso”, non si va oltre lo stadio della critica-autocritica. Bisogna scavare in se stessi per trasformarsi e più si va a fondo, più esistono margini di trasformazione.

Vedendo le cose in quest’ottica, è possibile comprendere inoltre anche l’errore fondamentale delle due tendenze di destra nella campagna per l’assimilazione del Materialismo Dialettico indicate nell’articolo di Marco Martinengo Le due vie maestre pubblicato in Problemi di Metodo 2. Le due tendenze portano a parlare su tutto e il contrario di tutto, senza fare analisi concreta della situazione concreta e senza fare quindi un solo passo concreto in avanti nell’analisi e nella trasformazione (diversione, evasione, non assunzione dei compiti e delle conclusioni – insomma, primo pilastro del regime di controrivoluzione preventiva). Anziché elevare la comprensione e quindi la trasformazione, le due tendenze di destra creano confusione, rendono ancor più difficile la comprensione e quindi la trasformazione. Per molti versi sono come i revisionisti della II Internazionale che rivendicavano la “libertà di critica” di cui parla Lenin nel Che Fare?(1902). L’elemento comune tra le due tendenze di destra e i revisionisti risiede nella fuga davanti all’assunzione dei compiti che la situazione pone ai comunisti e davanti, quindi, alla trasformazione. Si cerca di celare la fuga, di confondere le acque sventolando a vuoto principi: bisogna sempre valutare quello che uno dice (o non dice) con quello che uno fa e con i compiti politici concreti della situazione concreta in cui una cosa viene detta (o non detta).

Mi auguro che questo mio contributo possa essere utile alla redazione e ai compagni che stanno conducendo un percorso di CAT (per me la sua stesura è stata sicuramente utile per fissare meglio le idee) e vi saluto a pugno chiuso, cari compagni della redazione. Vi ringrazio per il lavoro che state svolgendo per la rinascita del movimento comunista.

Viva il (n)PCI!

Vittorio G. (Perugia)