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Eppur si muove!
La rivoluzione socialista è possibile!
Possiamo fare dell’Italia un nuovo paese socialista!
Possiamo vincere!
 

È possibile instaurare il socialismo in Italia? È questo il compito principale, la sintesi di tutti gli altri compiti che devono porsi oggi i comunisti nel nostro paese? È possibile porre fine alla Repubblica Pontificia e sbarazzare il nostro paese dal potere, dall’influenza, dalla presenza dei molteplici gruppi (non solo il Vaticano e la sua Chiesa, ma anche i gruppi imperialisti USA, i gruppi sionisti, le Organizzazioni Criminali, le organizzazioni padronali) che lo devastano? Da chi dipende il successo di questa impresa?

Queste sono le domande fondamentali a cui devono rispondere quelli che oggi nel nostro paese si dichiarano comunisti. Chi cerca di eludere con chiacchiere e declamazioni retoriche queste domande, non è degno del nome di comunista. Dalla risposta a queste domande dipende interamente il piano tattico che i comunisti devono seguire. È fuorviante ogni discussione sulla tattica e tanto più sulle singole misure tattiche che non si basa su risposte chiare, precise, motivate e responsabili a queste domande.

Il nuovo Partito comunista italiano ha risposto e risponde affermativamente a queste domande. Ha anche più volte e circostanziatamente dichiarato che il successo di questa impresa dipende in definitiva dalla giustezza della concezione del mondo e dalla strategia che guidano la sua azione, che la sua concezione del mondo è il materialismo dialettico, in concreto il marxismo-leninismo-maoismo e che la sua strategia è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Le nostre risposte sono esposte nel Manifesto Programma del Partito, pubblicato un anno fa.

Ogni discussione su questa o quella nostra linea, su questa o quella nostra iniziativa e comportamento, ha senso solo se si basa su queste premesse. Con chi non condivide le nostre risposte a quelle domande fondamentali, possiamo certamente collaborare in molte iniziative politiche, in molte lotte, ma non possiamo avere quella che si chiama “unità di partito”. Tanto più largo può essere il fronte della collaborazione nelle lotte politiche che il Partito promuove e a cui partecipa, quanto più il Partito è unito sulle risposte a quelle domande fondamentali. Il significato effettivo e il ruolo pratico di ogni singola iniziativa del Partito sono chiare solo alla luce delle risposte che il Partito dà a quelle risposte fondamentali. La lotta per l’unità tra teoria e pratica a cui abbiamo chiamato presentando il bilancio dei primi quattro anni di vita del Partito (A quattro anni dall’Ottobre 2004 in La Voce n. 30) e la lotta per assimilare a un livello superiore il Materialismo Dialettico come concezione del mondo, metodo per conoscere la realtà e metodo per trasformarla, mirano a rendere coerenti con queste risposte la nostra azione particolare in ogni zona e settore di lavoro e la nostra condotta in ogni circostanza concreta.

Le nostre risposte sono basate sul bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e sull’analisi della situazione interna e internazionale in cui lottiamo. L’evoluzione della situazione conforta e rafforza le nostre risposte.

 

Nell’estate dell’anno scorso la seconda crisi generale del capitalismo è entrata nella sua fase terminale. Essa covava da circa trent’anni. Ha caratterizzato la storia dell’umanità negli ultimi trent’anni.

Due fenomeni di lungo periodo hanno caratterizzato la storia dell’intera umanità e anche quella del nostro paese negli ultimi trent’anni: la nuova crisi generale del capitalismo e la crisi di crescita del movimento comunista. Al punto che chiunque prescinde da questi due fenomeni, non riesce a comprendere la storia dell’umanità negli ultimi trent’anni. Questa storia gli appare un affastellarsi, susseguirsi e combinarsi di avvenimenti strani e di comportamenti assurdi. Al contrario essa diventa comprensibile e chiara a chi segue in essa l’evoluzione dei due fenomeni e la loro combinazione e inquadra ogni singolo processo, avvenimento e comportamento in questo contesto.

 

Lungo gli ultimi trent’anni con la loro azione i caporioni della borghesia imperialista e le autorità che essi hanno preposto al governo delle maggiori istituzioni politiche ed economiche mondiali (FMI, BM, OMC, ecc.) e delle istituzioni dei maggiori paesi hanno procrastinato il precipitare della seconda crisi generale in cui il sistema capitalista è entrato negli anni ’70 a causa della grande quantità di capitale accumulato (sovrapproduzione assoluta di capitale). Hanno ritardato la fase acuta e terminale della crisi generale. Tuttavia, per creativi, energici, spietati e determinati che fossero, essi hanno messo in opera misure che non uscivano dall’orizzonte del sistema di relazioni sociali proprie del modo di produzione capitalista né per la loro natura potevano andare più in là. I dirigenti non cambiano il sistema di relazioni sociali di cui sono messi alla testa, lo governano nei limiti in cui esso è governabile.

Loro hanno preso delle misure. Queste misure hanno fatto il loro effetto, ma con questo hanno anche raggiunto il limite della loro efficacia. Esse hanno inoltre determinato la forma in cui la scorsa estate si è presentata la fase terminale della crisi generale: una crisi del sistema finanziario che trapassa in crisi economica generale. L’attività economica si riduce, le aziende chiudono, milioni di lavoratori sono gettati sul lastrico e, nel migliore dei casi, il sistema li condanna a vivere di sussidi e di espedienti.

 

La concezione dell’origine e della natura della crisi in corso è una questione di decisiva importanza politica, pratica. In base ad essa gli uomini orientano la loro attività per farvi fronte e porvi fine. Non è quindi una questione accademica, un dibattito in cui ognuno dice la sua e tutto si riduce al prevalere di questa o quell’opinione. È una questione di interessi contrapposti. Una questione teorica che esprime uno scontro di interessi. La crisi la risolveranno gli uomini e le opinioni (ivi compresi i pregiudizi) guidano l’azione di chi organizza e dirige la loro azione. A secondo dell’opinione che si impone, seguono azioni e comportamenti che favoriscono gli interessi di alcuni e ledono quelli di altri. In tribunale, in ogni controversia, ogni volta che è richiesta una perizia, gli esperti di una parte dicono il contrario degli esperti assoldati dalla parte avversa: figurarsi su una questione che coinvolge tanti e così grandi interessi come la definizione dell’origine e della natura della crisi attuale e del modo di porvi fine!

Chi non vuole o non può vedere e capire la crisi generale del capitalismo, chiama crisi la fase terminale della crisi generale. Attribuisce quindi alle misure che hanno ritardato la fase terminale e a chi le ha proposte e messe in opera, la responsabilità della situazione attuale in cui quelle misure sono sfociate. Gli speculatori, i fautori della finanza creativa, i creatori delle bolle finanziarie, i protagonisti della ristrutturazione internazionale dell’apparato produttivo (globalizzazione, mondializzazione, la formazione di 500 società che monopolizzano la produzione mondiale della merci principali, la delocalizzazione delle principali lavorazioni dai paesi imperialisti), i banchieri, le autorità che li hanno sostenuti e protetti sono indicati come responsabili della crisi attuale. E certamente lo sono. Sono loro che hanno escogitato, amministrato e somministrato le medicine che hanno portato l’ammalato allo stato attuale. Ne hanno prolungato la vita nonostante la malattia, ma ora che è arrivato all’agonia li accusano di essere responsabili della sua morte incombente. In effetti essi hanno proclamato e giurato che le loro misure erano l’elisir di lunga vita del sistema capitalista. Essi hanno goduto ampiamente dei privilegi che il sistema borghese riserva a chi sta alla sua testa. Ma sono anche quelli che hanno ritardato l’esplosione della fase terminale della crisi generale. Negli ultimi trenta anni il gonfiarsi delle attività finanziarie, la speculazione, le bolle speculative, la ristrutturazione internazionale dell’apparato produttivo hanno tenuto in piedi l’attività economica (la produzione di merci) e impedito che si determinasse già anni fa una situazione analoga all’attuale: il rallentamento e il blocco degli affari.

La crisi generale del capitalismo si combina, per la prima volta nella storia dell’umanità, con la crisi ambientale. Il capitalismo per sua natura comporta l’aumento illimitato della produzione di merci, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali, la manomissione illimitata del pianeta. Il modo di produzione capitalista ha avuto un ruolo progressista nella storia umana: ha moltiplicato la produzione e le forze produttive e ha aperto la via al loro sviluppo senza limiti. Proprio per questo ha messo in moto un processo che la specie umana non riesce a governare finché resta nell’ambito di relazioni sociali capitaliste e mercantili. Spinta dalle esigenze del sistema capitalista di relazioni sociali, la specie umana è avviata a rendere invivibile il pianeta. La coscienza del pericolo è oramai diffusa e i rimedi disponibili. Ma per metterli efficacemente in opera l’umanità deve dotarsi di un nuovo sistema di relazioni sociali all’interno di ogni paese e a livello mondiale. La crisi ambientale e la fase terminale della crisi generale del capitalismo si combinano e si aggravano reciprocamente. Contemporaneamente entrambe urgono per una soluzione che è anch’essa comune: l’instaurazione del socialismo e la transizione al comunismo.

 

Alcuni dicono che la crisi attuale genererà la rivoluzione socialista. È una tesi sbagliata e molto dannosa per il movimento comunista. La rivoluzione socialista è un processo organizzato e condotto dai comunisti. Di per sé nessuna crisi del capitalismo la genera. La crisi del capitalismo genera una situazione rivoluzionaria in sviluppo. I comunisti possono e devono approfittare di questa per organizzare e condurre la rivoluzione socialista, per condurre la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che instaura il socialismo.

Nell’immediato in ogni paese davanti alle masse popolari, agli operai, agli altri proletari e ai lavoratori autonomi, si aprono due e per l’essenziale solo due vie.

 

1. Una via è quella della mobilitazione reazionaria. In ogni paese una frazione della borghesia, del clero e del loro personale cerca di padroneggiare la situazione e mantenere il potere alla loro classe. Essa fa leva sulla parte più arretrata delle masse popolari e sugli aspetti più arretrati e primitivi di ogni individuo, sulle paure e sull’egoismo, sul servilismo e sull’ignoranza per trascinare almeno una parte importante delle masse popolari in una politica di avventure e di guerre, contro il resto delle masse popolari dello stesso paese e soprattutto contro altri paesi. Per sua natura essa deve dividere le masse popolari in parti contrapposte perché ogni parte cerchi il suo interesse subordinandosi al potere costituito della borghesia e del clero. Uscire dalla crisi intensificando lo sfruttamento dei lavoratori del proprio paese e lanciarsi nello sfruttamento delle risorse di altri paesi, in una politica internazionale di ricatti e di guerre. Questo in sintesi è il programma della destra borghese in ogni paese.

A lungo andare è una via senza sbocco. Porta a un’epoca di guerre e di sopraffazione. Ma nel breve periodo in ogni paese, in particolari nei paesi imperialisti più forti, è una via realistica. Per chi per interesse o per ignoranza resta chiuso nell’orizzonte del sistema capitalista, è l’unica via realistica. Giustamente la destra borghese dice che la sinistra borghese non capisce le masse, non sa parlare alle masse, mentre la destra ne è capace. Ed effettivamente la destra gioca con efficacia sulla parte più arretrata e abbrutita delle masse, sul lato peggiore e più primitivo di ogni individuo. Mentre la sinistra borghese sempre meno raccoglie, sempre meno mobilita e ancor meno organizza la parte più avanzata e più progredita delle masse popolari, sempre meno fa appello al lato più progredito e avanzato di ogni individuo, perché per farlo dovrebbe dichiarare guerra al sistema capitalista e optare per instaurare il socialismo.

La via della mobilitazione reazionaria ha in ogni paese a proprio vantaggio la forza dell’abitudine e della tradizione, l’esperienza plurimillenaria della divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e di oppressori. Ha dalla sua parte quanto resta del prestigio della borghesia, del clero e delle altre classi dominanti, l’abitudine e l’esperienza di direzione e di comando che appartengono alle vecchie classi dominanti, la forza organizzata dei loro Stati, delle loro chiese e delle altre loro istituzioni, la forza della vecchia mentalità e della vecchie raffinate culture elaborate nel corso dei secoli al servizio delle classi sfruttatrici, il sistema di interessi costituiti sulla base dei quali anche un’ampia parte delle masse popolari, specie nei paesi imperialisti, spera fino all’ultimo di riuscire a cavarsela, la difficoltà intrinseca dell’imboccare e percorrere una via nuova, la via alternativa. Questa richiede ad ogni individuo di puntare per la propria sicurezza su una soluzione semplice a pensarsi ma che dipende tutta da una cosa da sempre e da molti sognata ma che ancora non c’è: la solidarietà delle masse popolari organizzate. Richiede di affrontare con coraggio la ricerca e la sperimentazione dei singoli passaggi e delle soluzioni concrete che traducono la guerra popolare rivoluzionaria in un processo pratico che arruola e mobilita una parte crescente delle masse popolari sotto la direzione del partito comunista.

La debolezza della via della mobilitazione reazionaria risiede nel fatto che difende un sistema di relazioni sociali che fa acqua da tutte la parti, protegge un sistema di privilegi che contrasta con la coscienza oramai prevalente tra le masse popolari, comporta per sua natura la divisione e la lotta all’interno delle stesse classi dominanti, è basata sull’illudere e imbrogliare le masse popolari, comporta di mantenere la massa dell’umanità esclusa dalle attività specificamente umane che invece fanno la forza e la ricchezza moderna dell’umanità, difende un sistema di relazioni sociali basate su interessi contrapposti degli individui in contrasto con il carattere collettivo della loro attività economica e delle condizioni in cui si svolge la loro vita, fa appello ai loro istinti primitivi e alle loro paure a danno della loro ragione, ha solo soluzioni fittizie, parziali e contraddittorie per la crisi ambientale. È la difesa del passato che per sopravvivere deve soffocare il futuro. È l’esclusione dell’ulteriore progresso per la specie umana. La fine della storia è la sua insegna.

Se nell’immediato dovesse prevalere questa via, nei paesi in cui nell’immediato essa dovesse prevalere, la via verso l’instaurazione del socialismo non sarebbe definitivamente chiusa. Ma l’umanità arriverebbe all’instaurazione del socialismo attraverso una via meno diretta, più distruttiva e più tormentosa: attraverso guerre interimperialiste e la lotta contro di esse.

 

2. L’altra via è quella della mobilitazione rivoluzionaria. Essa comporta che le masse popolari si organizzino. In primo luogo che si organizzi la classe operaia che per situazione sociale e per esperienza è, tra tutte le classi delle masse popolari, quella per cui è più facile organizzarsi e con ciò trascinare su questa strada anche il resto delle masse popolari. Essa comporta che le masse popolari organizzate fondino un nuovo sistema di relazioni sociali basato su un’attività economica pianificata a livello di ogni paese e a livello mondiale. Essa comporta una trasformazione radicale della specie umana, sulla base dei presupposti da essa creati nel corso della sua stessa storia, sfruttando le enormi e in larga misura inesplorate possibilità che essa si è costruita e facendo fronte alle contraddizioni che il suo stesso sviluppo ha creato. È l’apertura di una nuova fase della storia della specie umana, una fase basata sulla libertà di ogni individuo dal bisogno di lottare per la propria sopravvivenza perché questa è universalmente assicurata dall’abbondanza dei mezzi, delle risorse e delle forze produttive disponibili, sulla partecipazione di ogni individuo nella misura delle sue capacità al patrimonio intellettuale e morale creato dall’umanità e al suo ulteriore sviluppo, sulla gestione democratica della vita sociale e della progettazione del nostro futuro, sul massimo sviluppo delle facoltà intellettuali e morali di ogni individuo assunto come uno dei compiti più importanti dell’intera società.

È la via del socialismo e del comunismo. È la via della rivoluzione socialista. È la via della rinascita del movimento comunista, cioè di una rete di organismi operai e popolari aggregati attorno al partito comunista. È la via che si è delineata sempre più chiaramente nella storia dell’umanità a partire dalla fondazione 160 anni fa, con la pubblicazione del Manifesto del partito comunista (1848), del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato. È la via che da allora si è fatta strada nel mondo.

Su questa via durante la prima crisi generale del capitalismo, nella prima metà del secolo scorso, si era già incamminata una parte importante dell’umanità. In quei decenni il movimento comunista divenne per la prima volta un movimento mondiale che coinvolse le masse popolari sia dei paesi imperialisti sia dei paesi oppressi dall’imperialismo e li unì in un unico movimento mondiale di lotta contro il sistema imperialista mondiale superando millenarie barriere di razza, di nazionalità, di cultura e di sesso, costruì i primi paesi socialisti che arrivarono a comprendere più di un terzo dell’umanità, pose fine al sistema coloniale, mobilitò a livello mondiale tutte le classi oppresse, le donne, le razze oppresse, i gruppi e i popoli oppressi a lottare per la propria emancipazione. Chiamiamo prima ondata della rivoluzione proletaria il movimento universale delle classi, dei popoli e dei gruppi oppressi di quei decenni.

 

Noi comunisti siamo i fautori e i promotori di questa seconda via, la via del comunismo, dell’instaurazione del socialismo, della rivoluzione socialista, della rinascita del movimento comunista. La debolezza della via che noi promuoviamo sta nel fatto che essa è una via nuova per l’umanità, richiede che l’umanità scopra nel dettaglio, nel particolare e nel concreto le vie da seguire, impari a organizzarsi per seguirle e trasformi se stessa in modo da esserne capace. È una via che si afferma contro la resistenza aperta e nascosta, dichiarata e subdola, senza esclusione di colpi dei fautori del vecchio mondo e dei privilegi delle classi che nel passato hanno dominato e ancora dominano l’umanità. È una via di lotta, di scoperta e di innovazione, è la via della trasformazione degli individui e della società. È possibile, ma è difficile. Come ogni grande impresa nuova, incontra le sue difficoltà principalmente in se stessa, prima ancora che nei suoi oppositori che con ogni mezzo e a ogni costo difendono il passato e ostacolano il sorgere del nuovo.

Essa chiama le masse popolari ad organizzarsi e ad elevare la propria coscienza. Organizzazione delle masse popolari ed elevamento della loro coscienza sono le forme principali e decisive della sua affermazione. Condizione indispensabile del suo successo è che i suoi fautori intellettualmente e moralmente più avanzati e più decisi a trasformarsi, si organizzino nel partito comunista. In esso una parte delle masse popolari, per propria scelta volontaria, grazie al proprio sforzo e raccogliendo il contributo del resto delle masse popolari, realizza quelle condizioni di lavoro e di trasformazione da cui le relazioni sociali della società borghese ancora escludono normalmente le masse popolari. Questo è il laboratorio dove grazie al lavoro collettivo dei suoi membri vengono elaborati il progetto del futuro dell’umanità e le linee per realizzarlo, vengono riuniti e creati i mezzi per realizzarlo.

Al di là delle aspirazioni e delle dichiarazioni dei suoi fondatori e dei suoi membri, il partito comunista esiste e adempie al suo ruolo sociale e al suo compito storico solo se è l’avanguardia intellettuale e morale della nuova umanità, in un contesto in cui questa ancora non esiste, ma è già possibile e necessario che esista.

I comunisti si distinguono dagli altri proletari per la coscienza più avanzata che essi hanno delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta delle classi oppresse contro le classi dominanti e perché, sulla base di questa coscienza, spingono sempre in avanti questa lotta fino all’estinzione di ogni divisione dell’umanità in classi, di tutti i rapporti di produzione su cui quella divisione è fondata, di ogni relazione sociale che corrisponde a quei rapporti di produzione, di tutte le concezioni e i sentimenti che corrispondono a quelle relazioni. Così i fondatori del movimento comunista cosciente e organizzato, Marx ed Engels, avevano sintetizzato la natura e il ruolo dei comunisti già 160 anni fa.

Nella prima ondata della rivoluzione proletaria il movimento comunista cosciente e organizzato non è riuscito a instaurare il socialismo in nessun paese imperialista. Né è riuscito a rovesciare la gerarchia dei paesi a livello mondiale: cioè a portare in testa i primi paesi socialisti e mettere i vecchi paesi imperialisti nel ruolo di paesi che arrancano a rimorchio dei paesi socialisti. Per questo non è riuscito a portare definitivamente l’umanità oltre il capitalismo.

Il socialismo è una lotta: non ci si può fermare quando si vuole. Se non si va avanti, si va indietro.

La prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita, i primi paesi socialisti in larga misura si sono rovesciati nel loro contrario e sono crollati, larga parte dei vecchi partiti comunisti si sono corrotti e dissolti.

Ciò è avvenuto principalmente perché i comunisti, il movimento comunista cosciente e organizzato non avevano una comprensione abbastanza avanzata né dei principali tratti economici (crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, forme antitetiche dell’unità sociale) né dei principali tratti politici (regime di controrivoluzione preventiva) dell’imperialismo. Quindi non avevano adottato consapevolmente la strategia necessaria per instaurare il socialismo nei paesi imperialisti: la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. In definitiva non avevano una concezione adeguata del mondo, quella che chiamiamo materialismo dialettico.

Niente di strano in questo. Ovviamente i fautori del vecchio mondo e le persone succubi ad essi, gli scettici di ogni genere e i vigliacchi hanno trovato nei nostri limiti e nelle nostre sconfitte il pretesto per sfoderare la loro saggezza e dire: “Avete visto? Lo avevamo detto che non era possibile!”.

In realtà era solo una crisi di crescita del movimento comunista. I comunisti dovevano andare più a fondo delle cose, trovare soluzioni a nuovi problemi, trasformarsi intellettualmente e moralmente su scala più grande.

La borghesia, il clero e le altre classi dominanti e reazionarie hanno approfittato a man bassa della crisi del movimento comunista. La prima ondata della rivoluzione proletaria aveva messo loro una paura tremenda: l’avanzata del movimento comunista sembrava ad essi irresistibile. Sempre più larga era la sua influenza nelle loro stesse file: perfino i caporioni della borghesia parlavano di pianificazione economica. Perfino la chiesa cattolica e il Vaticano cercavano di aggiornarsi per non perdere ogni ascendente e prestigio tra le masse popolari. Innumerevoli furono le concessioni che fecero alle classi e ai popoli oppressi, pur di non perdere tutto. La sinistra borghese prevaleva sulla destra borghese. La borghesia, il clero e le altre classi dominanti cercavano di salvare il salvabile e di tirare le cose più in lungo possibile.

Quando si delineò la crisi del movimento comunista, cercarono di approfittarne in ogni modo e su larga scala. Hanno cercato di trasformare quella che era una crisi di crescita nella morte del movimento comunista. Si sono affrettati a proclamarne la morte e a rimangiarsi una dopo l’altra le concessioni fatte. Attribuirono alle concessioni fatte ai lavoratori la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che negli anni ’70 del secolo scorso aveva nuovamente colpito il sistema imperialista mondiale. L’eliminazione delle conquiste che le masse popolari avevano loro strappato nel corso e sulla scia della prima ondata della rivoluzione proletaria confluiva e si combinava con le misure che i caporioni della borghesia venivano escogitando e mettendo in opera per far fronte alla nuova crisi generale del capitalismo, per impedire che essa precipitasse in una nuova paralisi generale delle attività economiche. D’altra parte la crisi del movimento comunista aveva tolto alle classi e ai popoli oppressi gran parte dei mezzi e delle condizioni indispensabili per difendere le conquiste che avevano strappato: non solo non ne strappavano di nuove, ma non riuscivano più neanche a difendere quelle già strappate.

La crisi del movimento comunista cosciente e organizzato ha gettato le masse popolari di tutto il mondo in una situazione di sbandamento, stordimento e abulia inspiegabile per chi non comprende e non ammette che il movimento comunista cosciente e organizzato, la rete di organizzazioni di massa aggregate attorno al partito comunista e l’attività del partito comunista sono la condizione e la forma con cui la specie umana assurge alla sua nuova condizione, si trasforma fino a rendersi capace di padroneggiare le sue nuove potenzialità, giovarsi di esse e farne la base per il suo ulteriore progresso. Per la sua stessa natura, la cosa non può farsi in altro modo.

 

Per alcuni anni la borghesia, il clero e le altre classi dominanti hanno celebrato la loro vittoria. Hanno proclamato che avrebbero rifatto il mondo. In nome della modernità, hanno cercato di riportare in ogni paese e a livello mondiale le relazioni tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori, tra classi e tra popoli,  in ogni singolo paese e a livello internazionale, a quelle che erano un secolo fa, quando la prima ondata della rivoluzione proletaria non aveva ancora liberato il mondo da una parte del vecchiume che lo soffoca.

Ma da una parte il limite del capitalismo è nel capitalismo stesso. Il capitalismo è nuovamente in preda a una crisi generale che nasce dalle relazioni sociali che lo caratterizzano. Il capitalismo è oramai una vecchia armatura che non riesce più a contenere l’umanità che grazie ad esso è cresciuta. È una forma che non corrisponde più al contenuto. Le relazioni mercantili e di capitale (produrre per il profitto) hanno spinto enormemente in avanti l’umanità, hanno rotto i limiti entro cui essa aveva condotto per secoli una vita stentata, hanno moltiplicato mezzi e risorse, hanno mostrato che la specie umana è capace di un progresso illimitato, che con una ricerca e con mezzi adeguati può risolvere ogni problema. Ma proprio le relazioni mercantili e di capitale impediscono di sfruttare queste potenzialità, oramai trasformano la ricchezza e l’abbondanza in miseria per gran parte dell’umanità. Il capitalismo ha raggiunto i suoi limiti. La specie umana andrà oltre il capitalismo e le relazioni mercantili grazie alle quali si è affacciata a un nuovo orizzonte.

Dall’altra parte noi comunisti abbiamo ricavato le lezioni della nostra crisi e abbiamo creato le condizioni interne per la rinascita del movimento comunista. Ovviamente i nostri nemici e con essi gli scettici e i vigliacchi irridono o scuotono le spalle di fronte alle nostre affermazioni. In effetti “la prova che il budino è buono la si ha solo mangiandolo”, dice un vecchio proverbio. Nel campo delle scienze sociali la prova provata e inconfutabile che una concezione è giusta la si ha solo quando la trasformazione che essa guida è avvenuta. Ma la coscienza che guida gli uomini, per la natura stessa del processo della trasformazione, non è solo coscienza di ciò che già esiste. È anche progetto, coscienza di ciò che può esistere e, quando si tratta di un sistema di relazioni sociali, coscienza di ciò di cui l’umanità intera o una parte di essa ha bisogno che esista, alla cui creazione quindi prima o poi essa si dedicherà con successo, perché sono gli uomini che fanno la loro storia.

 

Proprio la crisi generale del capitalismo, gli effetti perversi e le sofferenze che essa crea spingono ad andare oltre. Ma sbaglieremmo noi comunisti, sbagliano quei comunisti che dicono e pensano che la crisi del capitalismo genera la rivoluzione socialista. Sbagliano quei compagni che stanno a guardare come vanno le cose, sperano che le condizioni pratiche spingano di per se stesse le masse popolari alla rivolta e alla rivoluzione e si sforzano ogni giorno di vedere segnali positivi nel comportamento delle masse popolari ingigantendo i sintomi di insofferenza e le manifestazioni di fermento. Come sbagliano quelli che al contrario si deprimono perché non ne vedono abbastanza, perché vedono mezzo vuoto il bicchiere che i primi vedono mezzo pieno.

Di per sé la crisi del capitalismo crea solo condizioni favorevoli alla rivoluzione socialista, obbliga milioni e miliardi di uomini a cercare soluzioni nuove per la loro vita, distrugge le soluzioni che fino allora in qualche modo hanno funzionato, rende impossibili vecchie abitudini e impraticabili vecchie strade.

La crisi generale del capitalismo rende impossibile continuare a vivere come prima. L’instaurazione del socialismo è la via più diretta, meno distruttiva e meno tormentosa per porre fine alla crisi generale del capitalismo. Ma non è automatica. Si impone solo con un’azione di forza mirata, organizzata, consapevole, contro nemici potenti e soprattutto grazie a una grande trasformazione delle stesse masse popolari: da masse di individui e gruppi disgregati, dispersi e sottomessi, in masse organizzate e decise a combattere per emanciparsi.

In ogni paese la rivoluzione socialista è possibile, ma non è l’unica via che si presenta agli sfruttati e agli oppressi: le classi dominanti ne offrono un’altra e cercano di imporla con tutte le forze di cui già dispongono. In ogni paese lo scontro tra le due vie è in corso. L’esito non è affatto scontato.

In ogni paese l’esito dipende principalmente da noi comunisti. Vinceremo, condurremo con successo la rivoluzione socialista se abbiamo una strategia giusta per instaurare il socialismo, una strategia conforme alle condizioni particolari del paese, se sappiamo tradurla in piani tattici, in campagne, in battaglie e in operazioni tattiche conformi alle condizioni concrete in modo da portare le piccole forze che oggi organizziamo ad aggregare attorno a sé forze grandi e decisive.

La nostra vittoria è possibile, ma non è scontata. Dipende interamente da noi. In ogni paese l’esito è condizionato da tante condizioni particolari. Ogni paese è legato a suo modo al contesto internazionale. Anche questo pesa sulla sua evoluzione interna, condiziona l’esito dello scontro tra le classi che si svolge nel paese. Ma in definitiva sbagliano quei compagni che vedono impossibile la vittoria della rivoluzione nel loro paese e la demandano a una “rivoluzione internazionale”. Essi demandano al livello internazionale la soluzione di un problema per il quale non vedono la soluzione: ma non la vedono a livello internazionale come non la vedono a livello del loro paese. Sono compagni che pongono la fonte principale del successo nella quantità e nell’organizzazione. In realtà la fonte principale del successo della rivoluzione socialista sta nella concezione ideologica e nella linea giuste che guidano il partito comunista che la dirige. Questo ci dice il bilancio della prima ondata della rivoluzione socialista. Questo ci dice il maoismo. L’aiuto principale che ogni partito comunista deve dare agli altri partiti comunisti è la concezione del mondo e la linea generale giuste. Questo principio deve guidare le relazioni internazionali di ogni partito comunista. Su questa base bisogna condurre il lavoro per costruire la seconda Internazionale Comunista. Prima di esistere come struttura organizzativa e per poter incominciare ad esistere come struttura organizzativa, essa deve anzitutto raggiungere un certo livello di esistenza come rete di relazioni tra partiti e gruppi comunisti sulla base della comune lotta per acquisire una concezione del mondo e una linea generale giuste, condizione principale della vittoria della seconda ondata della rivoluzione proletaria. Chi parte dalla quantità e dall’organizzazione non ha ricavato la lezione della prima ondata della rivoluzione proletaria. Il maoismo non è né un’etichetta né un optional: è l’insieme delle lezioni che traiamo dalla prima ondata della rivoluzione proletaria e condizione per la vittoria della seconda ondata.

 Gli ultimi comunicati della CP

reperibili sul sito

http://www.nuovopci.it

 

Benché la storia che abbiamo alle spalle abbia creato una unità larga e forte di tutti i popoli e paesi, la rivoluzione internazionale sarà la combinazione della rivoluzione in molti singoli paesi. Il potere della borghesia imperialista, del clero e delle altre classi dominanti per l’essenziale è ancora organizzato paese per paese. Ogni paese conserva caratteristiche particolari abbastanza importanti perché la rivoluzione socialista vi assuma e debba assumere tratti particolari. Le forze della reazione sono coalizzate a livello internazionale, ma sono anche divise tra loro e la crisi generale del capitalismo le obbliga in ogni paese a uno sforzo particolare per restare a galla nel loro paese. Le costringe a unirsi e, non potendosi unire data la potenza degli interessi antagonisti, a scontrarsi per realizzare un’unità basata sulla sottomissione dei vinti ai vincitori. Ogni gruppo delle classi dominanti cerca e deve cercare anzitutto di mantenere il potere nel suo paese. Nelle classi dominanti a livello mondiale vi è unità e vi sono molteplici insanabili contraddizioni.

Fatto è che abbiamo visto e vediamo paesi piccoli procedere nella rivoluzione nonostante il contesto internazionale, nonostante la mobilitazione internazionale delle forze della reazione: ieri il Vietnam, oggi il Nepal. La mobilitazione internazionale delle forze della reazione è potente, ma è anche impotente a venire a capo della resistenza. Gli imperialisti USA hanno oramai un nemico sempre più insofferente in casa loro. Gli imperialisti USA, il più potente concentramento di forze reazionarie a livello internazionale, non riescono a venire a capo della resistenza di paesi piccoli e arretrati come l’Afghanistan o l’Iraq (paesi di circa 20 milioni di abitanti l’uno). All’inizio di giugno Barack Obama è andato al Cairo a chiedere la pace ai popoli che invano l’imperialismo USA da anni cerca di sottomettere. Il Vaticano è ridotto a mal partito. Lo Stato sionista d’Israele agita a vuoto le sue armi: il blitz nazista contro la striscia di Gaza si è rivelato un boomerang. La crisi divide gli imperialisti USA dai gruppi imperialisti degli altri paesi. La vittoria delle forze rivoluzionarie dipende principalmente dalle forze rivoluzionarie stesse.

 

Il fattore determinante della vittoria delle forze rivoluzionarie è la rinascita del movimento comunista. La rinascita del movimento comunista dipende principalmente da noi comunisti. Non avviene spontaneamente. Questo da una parte ci fa carico di un compito difficile, dall’altra ci dice che questo compito non dipende da altri che da noi, il nostro successo è nelle nostre mani. Dipende dalla nostra convinzione, dalla nostra dedizione alla causa, dalla giustezza della concezione che ci guida. Il fattore determinante della vittoria di un movimento rivoluzionario è la giustezza della concezione e della linea che lo guidano. Questa è una delle lezioni fondamentali della prima ondata della rivoluzione proletaria, lezione riassunta magistralmente nel maoismo.

Il mondo si sta scuotendo. La crisi generale del capitalismo, il precipitare della fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo crea condizioni eccezionalmente favorevoli alla nostra azione. Ma il fattore determinante è la concezione che ci guida, il metodo di lavoro che applichiamo e la determinazione a combattere che ci anima. Per questo noi comunisti dobbiamo trasformarci e crescere: come partito, come collettivi, come individui.

Il mondo si sta scuotendo. L’abulia che la decadenza del movimento comunista aveva determinato si sta sciogliendo e gli abulici si risvegliano all’azione. La borghesia ha approfittato abbondantemente della nostra crisi e dell’abulia e dello smarrimento che questa aveva generato tra le masse popolari, ha distribuito alcol a destra e a manca. Ma “i limiti del capitalismo sono nel capitalismo stesso”, come ben ci insegnò Marx e stanno inducendo all’azione masse crescenti dell’umanità. Ma ancora più importante è che in questo contesto noi comunisti abbiamo tirato le lezioni della crisi che abbiamo attraversato, abbiamo imparato dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, abbiamo rielaborato la nostra concezione del mondo, abbiamo messo a punto la nostra strategia e abbiamo incominciato nuovamente a raccogliere le forze. Agli individui, alle classi e ai popoli oppressi che la crisi obbliga all’azione, in alternativa alla via della mobilitazione reazionaria noi comunisti siamo in grado di indicare e, ciò che più ancora importa, di aprire la via della rivoluzione socialista.

Ernesto V.