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Il centralismo democratico è un’arma della lotta di classe
 

Noi comunisti facciamo una politica di principi. Sintetizziamo in principi l’esperienza della lotta che conduciamo. Ci sforziamo costantemente di usare i principi elaborati dal movimento comunista per decidere la nostra condotta. I principi hanno per noi grande importanza. Nei principi esprimiamo il generale che ricaviamo dal particolare e con i principi ci aiutiamo a definire la nostra condotta nel particolare e nel concreto. I principi sono un aspetto importante del nostro imparare dall’esperienza elaborandola.

 

Il centralismo democratico è il principale principio direttivo della struttura organizzativa del partito comunista. Esso è caratterizzato da:

1. elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto;

2. obbligo di ogni organo di rendere periodicamente conto della sua attività all’organizzazione che lo ha eletto e agli organi superiori;

3. severa disciplina di partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza;

4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori.

 

Proprio per questo dobbiamo imparare a usare i principi. I principi non sono “comandamenti di dio”, regole metafisiche, articoli di codice o formule rituali: sono regole di condotta dedotte dalla pratica della lotta per instaurare il socialismo e al servizio di questa lotta. Ogni principio dobbiamo usarlo per avanzare nella lotta di classe. Quindi dobbiamo imparare a legare sistematicamente l’uso di ogni principio all’analisi concreta della situazione concreta in cui lo applichiamo. Non dobbiamo mai accettare che nel nostro Partito si applichino i principi arbitrariamente, astrattamente, senza analisi concreta della situazione concreta. Che si deduca cosa fare, la condotta da tenere nel particolare e nel concreto, da un principio, senza considerare la situazione concreta. È una pratica da imbroglioni o da zelanti ingenui. Basta con le logomachie, con le discussioni a suon di principi o a suon di citazioni. Chi si arrampica sui vetri e accavalla principi, non vuole discutere della situazione concreta.

Senza analisi concreta della situazione concreta, ogni principio diventa una frase vuota. Ogni principio sintetizza il comportamento che noi comunisti teniamo in una data situazione. Siccome esistono situazioni diverse, esistono principi diversi, anche opposti (esempio:

unirsi senza riserve alle masse, andare controcorrente). Quale principio dobbiamo applicare? Dipende dalla situazione concreta. Al funerale si addice la partecipazione al dolore per la separazione. Al matrimonio si addicono la gioia, la danza e il sorriso. Chi va a un funerale e grida “cento di questi giorni”, giustamente viene bastonato. Chi lo grida a una festa, giustamente viene apprezzato.

 

Un discorso di principi deve sempre essere o il corollario di un’analisi di casi concreti o la sintesi della trasformazione che il partito o il movimento delle masse devono compiere in una fase determinata della loro storia e della loro opera. Insomma noi non siamo seguaci di Liu Shao-chi che, quando il popolo cinese faceva la guerra contro l’imperialismo giapponese, scrisse il manuale Come diventare un buon comunista senza mai parlare della guerra in corso. Siamo seguaci di Mao: in quella fase per essere un buon comunista era essenziale impegnarsi senza riserve a condurre con successo la guerra del popolo cinese contro l’imperialismo giapponese, essere all’avanguardia nel promuovere il fronte popolare antigiapponese.

Il rifiuto di dedurre la nostra condotta da un principio senza analisi concreta della situazione concreta (quindi da un principio scelto a caso o apposta per ingannare), di discutere di principi senza analisi concreta della situazione concreta, di fare discorsi di principio non ancorati chiaramente a una fase della nostra lotta (quindi di fare logomachie, discorsi vuoti), deve diventare un punto chiaro della nostra concezione. Qualcosa chiaro e noto a tutti i membri del nostro Partito.

 

Dal tempo di Lenin in avanti il centralismo democratico è assunto dai comunisti come il principale principio organizzativo del loro partito.

Nella storia del movimento comunista si è fatta della confusione anche agitando il principio del centralismo democratico.

Alcuni sostengono che dopo la Resistenza (1945) fu in ossequio al centralismo democratico che Secchia si adattò a seguire la linea di Togliatti, una linea di destra che portò il movimento comunista a permettere l’instaurazione della Repubblica Pontificia. Nel caso concreto non è vero. Nell’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni (La Voce n. 26) la compagna Rosa L. ha mostrato che in realtà Secchia non aveva una linea alternativa a quella di Togliatti e in più era tanto poco ligio al centralismo democratico che andava a lamentarsi dai sovietici a proposito della linea del suo partito. Invece di mugugnare e tramare, avrebbe dovuto occuparsi seriamente della linea del suo partito. Se la destra riesce a prendere il sopravvento nel partito comunista, vuol dire che la sinistra non ha una linea abbastanza giusta. Se la sinistra ha una linea abbastanza giusta, non lascerà passare la destra e, se per circostanze particolari la destra prende la direzione, il suo potere non durerà a lungo. L’esperienza della lotta di classe è a favore della sinistra. La stragrande maggioranza dei membri di un partito comunista vuole la rivoluzione. I revisionisti moderni per corrompere i partiti comunisti dovettero sudare sette camicie, furono favoriti dalle circostanze dell’epoca e dovettero comunque fare un lavoro di lungo periodo: ma in definitiva ebbero successo perché la sinistra non aveva una linea giusta. Noi sosteniamo che la strategia per instaurare il socialismo in un paese imperialista è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata: la sinistra del PCI non arrivò mai ad elaborare una tale strategia.

Bisogna capire bene cosa intendiamo noi comunisti con l’espressione centralismo democratico.

 

Che in un partito comunista ci voglia disciplina rigorosa, lo capisce e lo accetta chiunque capisce che il partito comunista è lo Stato Maggiore che promuove e dirige la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Senza disciplina un esercito non riesce a combattere con successo e si sfalda. Tanto meno riesce ad arruolare. Ma per arruolare il Partito comunista deve formare, deve insegnare, deve far sviluppare ad ogni recluta il meglio delle sue doti e delle sue capacità. La disciplina senza formazione non è adatta a un esercito rivoluzionario. Con il bastone, la paura o il ricatto non si arruolano rivoluzionari e non si dirige un esercito rivoluzionario. Cercare di far valere la disciplina senza analisi concreta della situazione concreta può addirittura essere controproducente.

 

Per noi comunisti il centralismo democratico non è solo un mezzo pratico perché un collettivo composto da molti individui riesca a operare come un corpo unico. È anche il modo in cui un collettivo di comunisti scopre la verità, avanza nella conoscenza tramite l’esperienza. Quando dobbiamo risolvere un problema, adempiere un compito e spetta al collettivo decidere la linea da seguire (quindi non esiste già una linea fissata dall’istanza superiore), se nel collettivo esistono divergenze sulla linea da seguire, bisogna fare inchiesta e mettere in gioco tutta la conoscenza e l’esperienza dell’argomento che già esiste nel collettivo. Se nonostante questo accurato e serio lavoro a cui partecipano tutti i membri del collettivo non siamo uniti sulla linea da seguire, il collettivo adotta la linea decisa dalla maggioranza dei suoi membri, perché non c’è verità superiore. Solo così il collettivo acquisirà un’esperienza più vasta. Chi non condivideva la linea adottata, deve accettarla interamente e senza riserve come linea giusta. Solo così si darà da fare senza riserve per attuarla e l’intero collettivo sarà unito al massimo delle sue forze, dispiegherà il massimo sforzo per attuare la linea e acquisirà un’esperienza e una conoscenza superiore. Sulla base della nuova esperienza che così l’intero collettivo compie, in sede di bilancio dell’esperienza l’intero collettivo raggiungerà una comprensione superiore dell’argomento e sarà quindi più unito.

In un collettivo in cui non ci sono divergenze di interessi tra i suoi membri, in un collettivo sano (senza relazioni di dipendenza personale e senza cricche), se su un tema non c’è unità, vuol dire che l’esperienza del collettivo su quel tema non è abbastanza vasta. L’intero collettivo si unirà maggiormente solo sulla base di un’esperienza più vasta che l’intero collettivo deve compiere impegnandosi senza riserve ad attuare la linea decisa a maggioranza: essa corrisponde al più alto livello di esperienza e di coscienza del collettivo.

L’individualista dà una spiegazione semplicista, non dialettica del disaccordo. Egli pensa: io ne so di più, loro non sono capaci di capire, io sono superiore, io posso fare a meno del collettivo.

Gli empiristi concepiscono le cose diversamente da noi comunisti. Secondo loro se esistono due tesi, una della maggioranza e una della minoranza, una è giusta e una è sbagliata. Non hanno una concezione dialettica della conoscenza. Si prova la tesi della maggioranza. Se funziona, bene. Se non funziona, si prova quella della minoranza. Così si comportano i borghesi quando si associano in un’impresa comune. Ma essi si associano perché ognuno vuole arricchirsi: tra loro esistono divergenze di interessi. Ognuno nasconde qualcosa all’altro.

Se in un collettivo del Partito non esistono le due premesse indicate, se tra i suoi membri vi sono divisioni di interessi, relazioni di dipendenza personale o cricche, la contraddizione principale del suo processo conoscitivo non è né quella tra vero e falso, né quella tra nuovo e vecchio. È quella tra legame con il proletariato e influenza della borghesia. Allora il problema non è l’applicazione del centralismo e della democrazia, ma la lotta tra le due linee, la formazione dei membri e il processo critica-autocritica-trasformazione, per portare il collettivo a un livello superiore.

 

Alcuni compagni considerano il centralismo democratico come principio organizzativo e come metodo di relazioni indifferentemente (nello stesso senso, con lo stesso significato) dentro il partito comunista, nelle relazioni tra il partito comunista e le masse popolari, tra le diverse parti delle masse popolari, addirittura tra i comunisti e le classi nemiche (il campo della borghesia imperialista) e in generale nelle relazioni sociali.

Il centralismo democratico come lo intendiamo noi è principio organizzativo valido solo all’interno del partito comunista: tra l’individuo e il collettivo di cui fa parte, tra i collettivi che costituiscono il partito, tra i membri e l’intero partito comunista. Tra individui e collettivi associati per compiere l’impresa comune dell’instaurazione del socialismo e marciare verso il comunismo. Nelle relazioni con le masse popolari noi comunisti non ci sottomettiamo alla maggioranza: abbiamo costituito il partito comunista e come partito comunista abbiamo adottato una linea generale e linee particolari e perseguiamo obiettivi: non abbiamo chiesto alle masse popolari di approvare niente di questo.

Tanto meno noi comunisti ci sottoponiamo alla maggioranza se consideriamo la società nel suo insieme.

Il nostro metodo principale di lavoro nelle relazioni tra il partito e le masse popolari è la linea di massa (per l’illustrazione di questo metodo rimando all’articolo di Nicola P. in La Voce n. 10 L’ottava discriminante o al Manifesto Programma pag. 296).

Nelle relazioni tra il partito comunista e la società nel suo complesso il nostro metodo principale di lavoro è la lotta di classe.

 

Applicare nel partito principalmente la linea di massa, è sbagliato. Nel partito il principale principio organizzativo è il centralismo democratico. “Dirigere il partito con la linea di massa” era diventata nel 1997 la parola d’ordine della destra nella prima Lotta Ideologica Attiva (LIA), per opporsi al passo avanti possibile e necessario verso il Partito. In concreto con questo slogan la destra voleva dire che nel partito ognuno faceva solo quello di cui lui era convinto. Che la direzione valeva solo se chi riceveva un ordine era d’accordo con l’ordine, ne era convinto, lo accettava. Questo implica o escludere la divisione del lavoro (non esistono dirigenti) o subordinazione personale dei compagni “di base” ai dirigenti: relazioni tipiche nelle FSRS.

Altrettanto sbagliato è andare tra le masse a dare direttive ed esporre piani di battaglia come se le masse popolari fossero lì ad aspettare le nostre direttive e disposte ad attuarle (cosa che invece deve essere la disposizione di chi vuole far parte del Partito). Nel Partito i dirigenti hanno il dovere, la funzione e l’obbligo di dirigere: fare analisi, elaborare linee, trovare soluzioni, dare direttive, controllare e verificare l’attuazione, fare il bilancio dell’esperienza. Nel partito i diretti hanno l’obbligo di eseguire lealmente, attivamente, creativamente e con iniziativa le direttive ricevute. Il centralismo democratico è il principale principio organizzativo nel partito comunista e solo nel partito comunista.

Sostenere che vale in ogni campo delle relazioni sociali, equivale a negare il legame particolare che unisce i membri e i collettivi del Partito comunista. In sostanza annegare il Partito nella società. Il Partito comunista è una particolare organizzazione di combattimento, unica del suo genere. Questo è uno dei pilastri del leninismo. Questo per ogni membro del Partito deve essere un punto fermo.

Linea di massa come metodo di lavoro principale anche nel Partito comunista, centralismo democratico come principio organizzativo anche nel lavoro di massa del Partito e addirittura dell’intera società sono due tesi che entrambe stemperano i confini tra Partito comunista e masse popolari e società in generale (facendo leva su somiglianze e punti di contatto reali). Quindi vanno esattamente in direzione opposta a quella in cui abbiamo bisogno di andare ora, in questa fase (verrà un tempo, lo abbiamo visto nell’esperienza dei primi paesi socialisti, in cui invece bisognerà avvicinare il partito comunista alle masse popolari anche organizzativamente, come ad esempio facevano in Unione Sovietica quando avevano introdotto la regola che il collettivo (di fabbrica, di scuola, d’istituto, d’abitato, ecc.) esaminava e si esprimeva sulle candidature al partito, periodicamente esaminava l’operato dei membri del partito che lavoravano col collettivo - vedasi L’ordinamento politico dei paesi socialisti, in La Voce n. 31, pag. 65).

 

Noi adottiamo il centralismo democratico come principale principio organizzativo del nostro Partito, ma non è l’unico principio organizzativo. La lotta tra le due linee è un altro importante principio che regola la vita di ogni partito comunista (per l’illustrazione di questo principio rimando all’articolo di Nicola P. in La Voce n. 10 L’ottava discriminante). La lotta tra le due linee non elimina, non sostituisce il centralismo democratico. È un altro principio. Come abbiamo detto, esistono più principi. Ognuno si applica in circostanze appropriate. Il principio della lotta tra le due linee ci insegna che nel partito comunista in ogni campo esistono sempre due tendenze: una che spinge in avanti e una che frena. In certi periodi le due tendenze sono complementari e contribuiscono entrambe al lavoro del partito comunista. In altri periodi diventano antagoniste, incompatibili. La sinistra deve trasformare la destra. Se la destra risulta irriducibile, deve espellerla. Quando le due tendenze diventano antagoniste? È una questione di situazione concreta. Oggi, finito il periodo di elaborazione del Manifesto Programma, esplosa la crisi della sinistra borghese ed entrati nella fase acuta della crisi generale del capitalismo, nel nostro Partito era ed è necessario fare un importante passo avanti per tradurre la nostra strategia in piani, campagne, battaglie e operazioni tattiche. Tutto il Partito deve adottare il Nuovo Metodo di Lavoro. La sinistra deve trasformare la destra.

Tonia N.