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Avanzare nella costruzione del gruppo dirigente!
Imparare a tradurre ad un livello superiore la strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata in piano tattico della fase e in campagne, battaglie e operazioni tattiche e sviluppare su questa base la direzione collettiva!
 

Negli articoli Diventare comunisti, formare il gruppo dirigente del Partito comunista! Moralmente tenaci e intellettualmente acuti e Usare la forza del collettivo per diventare comunisti, pubblicati in La Voce n. 30, abbiamo fissato degli importanti principi, frutto del bilancio scientifico della prima ondata della rivoluzione proletaria, rispetto al ruolo che svolge nella lotta per il socialismo la costruzione di un gruppo dirigente del Partito comunista all’altezza della situazione. Riportiamo qui i principali, per avanzare ulteriormente nella trattazione dell’argomento, unendo il generale con il particolare, ossia mettendo in relazione il lavoro di costruzione del gruppo dirigente con:

1. le caratteristiche della fase: ingresso nella fase acuta e finale della seconda crisi generale del capitalismo prima che il nuovo Partito comunista sia diventato l’avanguardia riconosciuta dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari che unisce nelle sue file la maggior parte degli operai avanzati e degli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari;

2. i compiti che la situazione pone al nostro Partito per avanzare nella Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che stiamo conducendo: avanzare nell’assimilazione del Materialismo Dialettico (MD) e del Nuovo Metodo di Lavoro (NML) frutto della campagna per una superiore assimilazione del MD e della terza Lotta Ideologica Attiva (LIA) che ne è seguita, contribuire all’edificazione delle tre condizioni per la costituzione del Governo di Blocco Popolare, arrivare alla seconda fase della GPRdiLD, la fase dell’equilibrio strategico.

Per trattare in maniera scientifica del lavoro che oggi dobbiamo compiere per la costruzione del gruppo dirigente del Partito non è infatti possibile prescindere da questi due aspetti e, quindi, dall’analisi concreta della situazione concreta e dalla nostra strategia e piano tattico per la fase attuale.

 

I principali principi indicati nei due articoli di La Voce n. 30

1. “Costruire un partito all’altezza del suo ruolo, specialmente nei paesi imperialisti, vuole dire prestare attenzione ed energie adeguate a questo compito: formare i comunisti, in particolare formare il gruppo dirigente (…) il partito è all’altezza del suo compito solo se il gruppo dirigente è la parte ideologicamente più avanzata del partito: non solo comanda, dice cosa fare, ma apre la strada, ispira, forma, dirige, aiuta a crescere nella direzione giusta.”

2. “Nei paesi imperialisti, nel periodo precedente alla prima ondata della rivoluzione proletaria nessuno dei partiti comunisti (che allora si chiamavano socialisti o socialdemocratici) aveva prestato un’attenzione adeguata a questo aspetto della rivoluzione socialista. La cosa è del tutto comprensibile, dato che nel movimento comunista prevaleva la concezione che la rivoluzione socialista avrebbe avuto la forma di un’insurrezione popolare nel corso della quale i comunisti, il gruppo di rivoluzionari più avanzato, avrebbe preso il potere. È la concezione che F. Engels espone e critica nella celebre introduzione del 1895 alla riedizione dell’opuscolo Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K. Marx. La conseguenza fu che in nessun paese imperialista vi era un partito all’altezza del suo compito.”

3. “Il compito centrale, decisivo della rivoluzione socialista consiste nella costruzione del Partito e, all’interno di ciò, nella costruzione del suo gruppo dirigente. L’assimilazione da parte dei membri del Partito del Materialismo Dialettico, come concezione del mondo, metodo per conoscere la realtà e come metodo d’azione per trasformarla, riassume il compito della costruzione. Un’assimilazione che è trasformarsi intellettualmente e moralmente per diventare protagonisti, promotori e dirigenti della trasformazione della società. Dobbiamo trasformare noi stessi per trasformare il mondo.”

4. “Dobbiamo trasformare noi stessi, i nostri compagni, gli organismi del Partito e tutto il Partito in sempre più capaci protagonisti, promotori e dirigenti della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.”

5. “(…) farla o meno [la rivoluzione socialista, ndr] dipende in primo luogo da noi comunisti, dalla nostra capacità di conoscere e maneggiare con destrezza le leggi che governano il processo rivoluzionario (conoscenza e intelligenza) e dalla tenacia (comportamento morale) nel condurre fino in fondo la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata (…) Sono due aspetti legati dialetticamente tra loro, l’uno non si sviluppa oltre una certa misura se non si sviluppa anche l’altro.”

6. “Ogni membro non risponde solo a se stesso, risponde a tutto il collettivo. Ogni compagno ha di fronte l’ambito migliore in cui trattare difficoltà e resistenze a svolgere al meglio il suo ruolo nel lavoro concreto e sarà spinto a metterle sul banco proprio perché non c’è migliore officina in cui ‘ripararle’. Anche il compagno dirigente troverà il terreno migliore per superare i suoi limiti, ma anche per imparare a scoprire quelli dei compagni che egli dirige, per imparare a trattarli, per infondere, con l’esempio concreto dell’attività dell’organismo da lui stesso diretto, la fiducia, il coraggio e l’entusiasmo per avanzare. Per questa ragione, man mano che il Partito si rafforza, man mano che la sua attività si estende e che le sue fila si ingrossano, il metodo più avanzato da adottare è di affidare compiti, attività, iniziative tattiche, battaglie e campagne ad ambiti collettivi piuttosto che individualmente a singoli membri. Bisogna puntare a ridurre ad eccezione l’affidamento da parte del Centro di attività e compiti all’individuo. Bisogna mobilitare gli organismi e le istanze e formare su questo terreno i quadri della rivoluzione.”

 

Per costruire un gruppo dirigente l’elemento decisivo, dirigente è la strategia

Questi principi indicati in La Voce n. 30 poggiano sul bilancio che abbiamo tratto dalla prima ondata della rivoluzione proletaria, sintetizzato nel Manifesto Programma. Il vecchio movimento comunista non riuscì ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti perché non aveva elaborato la giusta strategia per dirigere questa impresa: la strategia della GPRdiLD. Da un lato questo fu il frutto dei limiti ideologici dei gruppi dirigenti dei partiti comunisti dell’epoca (questo costituisce l’aspetto principale: il compito di fare analisi concreta della situazione concreta del loro paese ed elaborare la strategia spettava infatti principalmente a loro) e dell’Internazionale Comunista (aspetto secondario). Dall’altro lato questo limite influì sulla costruzione, formazione, selezione dei gruppi dirigenti di questi partiti. Infatti così come non è possibile costruire un partito all’altezza dei compiti senza una giusta strategia, allo stesso modo senza una giusta strategia non è possibile costruire un gruppo dirigente adeguato a condurre fino alla vittoria la lotta per il socialismo.

La strategia è l’aspetto dirigente nella costruzione del Partito, nella costruzione del gruppo dirigente, nella lotta per instaurare il socialismo.

Questa è la principale traduzione pratica della legge elaborata da Mao sulla base del bilancio dell’esperienza: “Senza una giusta teoria rivoluzionaria il movimento comunista non può svilupparsi oltre un livello elementare.”

Con il Manifesto Programma abbiamo fatto i conti con questo limite che ha portato alla sconfitta il vecchio movimento comunista e abbiamo tracciato la strategia per fare dell’Italia un nuovo paese socialista: la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Una volta definita la strategia, il gruppo dirigente deve collettivamente farla propria (assimilarla), usarla (applicarla e verificarla nel processo concreto tramite piani, campagne, battaglie e operazioni tattiche) e fare il bilancio dell’esperienza. È così che si innesta il fruttuoso processo teoria/pratica/teoria superiore e si avanza nella lotta per instaurare il socialismo e, all’interno di essa, nella costruzione del Partito e del gruppo dirigente.

 

Con la campagna per una superiore assimilazione del Materialismo Dialettico (concezione del mondo, metodo di conoscenza e guida per l’azione dei comunisti) e con la terza LIA che ne è seguita, abbiamo posto le basi per tradurre ad un livello superiore la nostra strategia in piani tattici, in campagne, battaglie e operazioni tattiche: in altre parole, per tradurre la strategia nella pratica. Attraverso questa campagna e la terza LIA abbiamo affrontato in maniera qualitativamente superiore la nostra contraddizione principale: la contraddizione tra teoria e pratica.

Questa consiste nel non tradurre (o tradurre solo parzialmente, in misura insufficiente per i nostri compiti) la nostra teoria (analisi, concezione, strategia, linea, tattica) nella pratica della lotta di classe, nella difficoltà a legare in modo dialettico il generale con il particolare e il concreto: leggere il particolare e il concreto con la nostra concezione del mondo e la nostra linea generale, elaborare una linea adeguata per trattare ogni particolare e ogni concreto, arricchire la linea generale con l’esperienza del particolare e del concreto. Il lavoro svolto con la campagna e la lotta condotta con la terza LIA hanno fatto emergere con maggiore chiarezza le due tendenze che erano presenti al nostro interno (la sinistra e la destra).(1)

Nel condurre la lotta contro la destra per avanzare nella trasformazione in funzione dei compiti che la situazione pone ai comunisti, la sinistra ha trasformato se stessa.

Due sono i principali risultati ottenuti attraverso la mobilitazione e la trasformazione della sinistra:

1. la definizione del Nuovo Metodo di Lavoro e l’inizio della sua messa in opera,

2. la realizzazione di passi in avanti nello sviluppo del lavoro collettivo all’interno del gruppo dirigente del Partito.

Questi due risultati pongono le basi per nuovi, importanti sviluppi nella costruzione del gruppo dirigente del Partito.

 

 

La strategia è l’aspetto dirigente nella costruzione del Partito, nella costruzione del gruppo dirigente, nella lotta per instaurare il socialismo.

I compiti che la situazione pone ai dirigenti del Partito

Innanzitutto, cosa significa direzione collettiva in questa fase caratterizzata principalmente dal passaggio dalla teoria alla pratica?

Per direzione collettiva in questa fase intendiamo i seguenti aspetti (che allo stesso tempo indicano la linea da seguire per svilupparla):

1. elaborazione collettiva dell’analisi concreta della situazione concreta,

2. elaborazione collettiva per tradurre nel particolare la nostra strategia: in altre parole, per tradurre la GPRdiLD in campagne, battaglie e operazioni tattiche,

3. lavoro collettivo per tradurre la linea specifica della campagna, battaglia e operazione tattica in un piano d’azione,

4. direzione collettiva delle campagne, battaglie e operazioni tattiche sulla base del piano elaborato,

5. elaborazione collettiva del bilancio dell’esperienza, alla luce dell’analisi concreta della situazione concreta,

6. sviluppo nel collettivo, sulla base del bilancio dell’esperienza, del processo di critica-autocritica-trasformazione (CAT),

7. elaborazione collettiva alla luce del bilancio dell’esperienza di superiori criteri e principi.

Ogni dirigente deve far suoi questi principi, renderli effettiva guida per la sua azione, individuare i limiti ideologici che frenano l’adozione di questi principi e trattarli nell’ottica della CAT nel collettivo. Allo stesso tempo, il collettivo deve promuovere il dibattito franco e aperto, bandendo il liberalismo (il lasciar correre, il quieto vivere), sui limiti dei membri che lo compongono, mettendoli in luce, cercandone l’origine, elaborando proposte per avanzare, definire una linea per avanzare nel superamento dei limiti, verificare l’attuazione della linea e sostenere, sempre attraverso la CAT (e quindi non facendo la “spalla su cui piangere”), la trasformazione di ogni compagno.

 

Il ruolo dell’individuo nella storia
e nella vita della società

Lenin nel 1921, dovendo indicare le opere necessarie per la formazione dei dirigenti del Partito comunista, scrisse che gli scritti filosofici di Plekhanov dovevano figurare nella biblioteca di ogni comunista colto, benché Plekhanov (1856-1918) facesse parte di quei grandi dirigenti del movimento comunista, di quei personaggi che hanno svolto un ruolo di primo piano per il suo sviluppo, ma che infine hanno tradito e hanno finito per collaborare con la reazione.

Ecco come Plekhanov illustrava il ruolo storico e sociale dell’individuo nello scritto La funzione della personalità nella storia.

Il grande uomo è grande non perché grazie alle sue particolarità personali conferisce una sua fisionomia individuale agli eventi storici, ma perché è dotato di particolarità che fanno di lui l’individuo più capace di servire le grandi necessità sociali della sua epoca, sorte sotto l’influenza di cause generali e particolari [lo sviluppo delle forze produttive, la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, i rapporti sociali che il sistema capitalista ha creato, ndr]. Carlyle, nella sua nota opera sugli eroi, chiama i grandi uomini iniziatori (beginners). È un termine molto adatto. Un grande uomo è appunto un iniziatore, giacché vede più lontano degli altri e desidera più fortemente degli altri. Egli risolve i problemi scientifici sollevati dal corso anteriore dello sviluppo intellettuale della società. Indica le nuove necessità sociali create dallo sviluppo anteriore dei rapporti sociali. Si assume l’iniziativa di soddisfare queste necessità. È un eroe. Un eroe non nel senso che può arrestare o cambiare il corso naturale delle cose, ma nel senso che la sua attività è un’espressione cosciente e libera di questo corso necessario e inconsapevole. Sta in ciò tutta la sua importanza e tutta la sua forza (…)

Nessun grande uomo può imporre alla società rapporti sociali che non corrispondono più allo stato di queste forze [produttive, ndr] o che non gli corrispondono ancora. In questo senso egli non può veramente fare la storia. In tal caso sarebbe inutile che si mettesse a spostare la lancetta dell’orologio: non avrebbe accelerato con ciò il corso del tempo né lo avrebbe fatto andare indietro (…)

La modificazione più o meno lenta delle “condizioni economiche” pone periodicamente la società di fronte alla necessità di trasformare più o meno rapidamente le proprie istituzioni. Questa trasformazione non si produce mai “spontaneamente”, esige sempre l’intervento degli uomini di fronte a cui sorgono in tal modo grandi problemi sociali. Grandi uomini si chiamano appunto coloro che più degli altri contribuiscono alla soluzione di questi problemi.”

 

I principali limiti ideologici da superare per sviluppare la direzione collettiva

Adesso che abbiamo fissato in cosa consiste in questa fase la direzione collettiva e indicato il lavoro da svolgere per svilupparla ad un livello superiore, trattiamo i principali limiti ideologici da superare per avanzare in questa direzione.

1. Tendenza a restare sul generale e a non tradurre in un piano la linea elaborata.

Questo limite, che con la campagna per assimilare a un livello superiore il MD e la terza LIA abbiamo preso di petto ottenendo importanti sviluppi, frena la direzione collettiva. La direzione collettiva, infatti, non è “una scelta etica, ideale”, ma un processo concreto: per svilupparla dobbiamo elaborare per ogni lavoro un piano e misure concrete di attuazione. Senza un piano che indica quali obiettivi raggiungere, come raggiungerli, quali attività sviluppare, la divisione dei compiti, i tempi di attuazione e i criteri per verificare il lavoro svolto (in altre parole: obiettivi, metodi, strumenti, programma, criteri di verifica) non è possibile sviluppare (organizzare) l’azione collettiva e la direzione collettiva. Senza un piano già è difficile organizzare la propria azione individuale. In un lavoro collettivo l’assenza di un piano complica ancor di più le cose e rende ancor più scadenti i risultati. Il piano è lo strumento che organizza l’azione collettiva, che la rende possibile. Il piano deve essere frutto dell’analisi concreta della situazione concreta (bando a piani idealisti!).

2. Tendenza a non prestare la dovuta attenzione e impegno all’elaborazione dell’analisi, della linea, del bilancio e a delegarla ad altri compagni, generalmente dell’istanza superiore.

Questo limite nasce, è il prodotto della concezione servile che ci inculca la borghesia “altri sono pagati per pensare”. Questa concezione è presente anche nei dirigenti, in forme specifiche (come quella che stiamo trattando). Facciamo un esempio: alcune compagne e compagni del gruppo dirigente del Partito contribuiscono poco alla stesura di La Voce, sia in termini di scrittura di articoli, sia in termini di proposte di articoli, sia in termini di valutazione della rivista e degli articoli in essa pubblicati. Vedono la rivista come uno strumento da cui ricevere (orientamento, linea, ecc.) e non anche come uno strumento a cui contribuire direttamente (facendo appunto proposte di articoli, scrivendo articoli, facendo valutazioni sulla rivista e sugli articoli pubblicati). Questo indebolisce la rivista e, allo stesso tempo, i compagni stessi che non vi contribuiscono. Essi si concepiscono solo o principalmente come oggetto e non anche come soggetto rispetto alla rivista. Il modo con cui un dirigente contribuisce alla rivista è però una cartina di tornasole di come contribuisce all’elaborazione dell’analisi della situazione e della linea generale, di quanto si dedica alla traduzione della concezione e della linea generale nel particolare del lavoro del suo settore o della sua zona, di quanto contribuisce all’elaborazione del bilancio dell’esperienza. Il modo con cui un dirigente contribuisce alla rivista è infatti indice della concezione che egli ha dello sviluppo del lavoro collettivo. Per questo una delle misure concrete da adottare per avanzare nella trasformazione e nello sviluppo della direzione collettiva è elevare il modo con cui  ogni compagno e ogni collettivo contribuisce alla rivista.

3. Insicurezza.

Alcune compagne e compagni del gruppo dirigente tendono a contribuire poco all’elaborazione per via dell’insicurezza, per via della paura di dire sciocchezze. Anziché applicare il principio “illustro la mia idee e ne discutiamo collettivamente”, queste compagne e compagni tendono a rimuginare dentro di sé le cose per poi illustrarle (se mai le illustrano) dopo svariare settimane, a volte mesi. Questa non è una giusta concezione. Poggia sul timore, spesso inconsapevole, di essere “giudicati male” dal collettivo o dai dirigenti. Il principio che bisogna adottare è: illustro al collettivo la mia riflessione fin dove sono arrivato nell’elaborarla e attraverso il confronto la verificheremo e la completeremo. In altre parole: affidarsi di più al collettivo e vivere più serenamente le critiche e le osservazioni degli altri! Non bisogna sentirsi sotto esame, ma parte di una squadra che costruisce!

 

Il ruolo dei grandi dirigenti nella lotta per il socialismo

Per la vittoria della rivoluzione socialista l’elemento decisivo, dirigente non è l’individuo, ma la concezione del mondo e la strategia

Quando si parla di costruzione del gruppo dirigente e di sviluppo della direzione collettiva, alcune compagne e compagni del Partito e della “carovana” esprimono, in forme e modi diversi, una concezione soggettivista rispetto al ruolo dell’individuo nella storia e nella lotta per instaurare il socialismo. In altre parole, queste compagne e compagni ritengono che la lotta che stiamo conducendo per instaurare il socialismo nel nostro paese sia strettamente legata all’azione di un singolo dirigente (Giuseppe Maj) e che il venir meno di questo compagno porterà al fallimento dell’impresa.

Questa posizione nasce da un bilancio errato della prima ondata della rivoluzione proletaria. Esso indica nella morte dei grandi dirigenti la causa della sconfitta (“dopo Gramsci prevalse la destra revisionista”, “dopo Stalin e Mao iniziò la restaurazione del capitalismo nei primi paesi socialisti”, ecc.). Allo stesso tempo, questa concezione poggia sulla delega, frutto della concezione servile che ci inculca la borghesia (“altri sono pagati per pensare”) e la alimenta. Essa contrasta con l’attivismo e la mobilitazione che ogni singolo militante e dirigente deve avere sia nell’applicare la linea, sia nel contribuire alla sua elaborazione e verifica (bilancio dell’esperienza).

Ogni volta che i comunisti sono chiamati a fare un salto di qualità (in questo caso a sviluppare ad un livello superiore la direzione collettiva), “l’uno si divide in due”: una parte avanzata (la sinistra) fa suoi i compiti che la situazione pone e si mobilita concretamente per realizzarli e per trasformarsi per realizzarli; un’altra parte invece davanti all’assunzione dei compiti che la situazione pone, resiste, è assalita da perplessità, dubbi, paure e incertezze e, in alcuni casi, arretra (la destra). Compito del Partito è rafforzare i primi e allo stesso tempo intervenire sui secondi (avvalendosi anche dell’azione dei primi) per spingerli in avanti, attraverso la lotta ideologica e la CAT.

Nel punto precedente abbiamo indicato i limiti che devono superare per sviluppare ad un livello superiore la direzione collettiva quelle compagne e compagni che già si pongono questo obiettivo (la sinistra). Trattiamo ora in maniera più approfondita i limiti che frenano e scoraggiano altri compagni del Partito (la destra) davanti a questi compiti, con l’obiettivo di fornire a questi compagni gli strumenti per trattare ad un livello superiore questo limite perché compiano la trasformazione necessaria in questa fase.

 

La costruzione del gruppo dirigente è funzionale alla GPRdiLD e, allo stesso tempo, si sviluppa nel solco tracciato dalla strategia. Dobbiamo fare un passo in avanti, usando il Nuovo Metodo di Lavoro frutto della campagna per assimilare a un livello superiore il MD e della terza LIA, nel tradurre il generale (la strategia) nel particolare (la tattica: PGL, GBP, campagne, battaglie e operazioni tattiche per realizzarli). Lo sviluppo della direzione collettiva è funzionale al raggiungimento di questo obiettivo e riusciremo a realizzarlo solo se poniamo al centro questo obiettivo.

La prima ondata delle rivoluzione proletaria fu sconfitta perché non riuscì ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Questo limite dipese principalmente del fatto che i partiti comunisti non avevano elaborato e adottato consapevolmente, apertamente, dichiaratamente e programmaticamente, come guida della loro direzione collettiva, la giusta strategia per realizzare questa impresa, la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Ritenere che, al contrario, la sconfitta dipese principalmente dalla morte o dall’assenza di grandi dirigenti, vuol dire leggere la storia e la prima ondata della rivoluzione proletaria con le lenti distorte del soggettivismo (“sono i grandi individui che fanno la storia, non le masse”). Questa concezione errata e forviante è uno dei modi con cui si esprime nelle nostre fila la contraddizione tra teoria e pratica ed è frutto dell’influenza ideologica che esercita la borghesia nel movimento comunista. È la strategia l’aspetto dirigente nella lotta per instaurare il socialismo. Non l’individuo.

Andiamo però ancora più a fondo.

Noi comunisti ovviamente non sosteniamo che tutti gli individui svolgono un ruolo di pari importanza per il successo della nostra causa e che il singolo individuo non ha importanza. Sarebbe un pregiudizio, una tesi contrastante con l’esperienza. Mao ha fissato la nostra concezione in una frase: “Tutti dobbiamo morire. Ma la morte di alcuni individui è leggera come una piuma. La morte di alcuni individui invece è pesante come il monte Tai”. Ogni partito comunista apprezza e difende ogni dirigente e ogni compagno, in funzione dell’importanza che la sua opera ha per il Partito. E d’altra parte la borghesia e il clero attaccano i nostri dirigenti e i nostri compagni, cercano di corromperli o eliminarli, tanto più quanto più importante è l’opera che ognuno di essi svolge per il Partito.

Ma in un partito comunista l’azione di un dirigente (anche del massimo livello e di grandi capacità e dedizione) non è mai un’azione individuale: essa ha una sua valenza perché collegata ad un collettivo, poggia su un collettivo, è alimentata da un collettivo, alimenta un collettivo. Il rapporto individuo/collettivo è un’unità di opposti. L’aspetto dirigente è sempre il collettivo: l’individuo svolge un ruolo storico e sociale tanto più importante quanto meglio è l’interprete dell’esperienza e delle necessità del collettivo, quanto più l’azione dell’individuo diventa patrimonio del collettivo. Quale sia invece l’aspetto principale, dipende dalle caratteristiche della fase (dal livello raggiunto dal lavoro di costruzione del Partito e, all’interno di esso, del gruppo dirigente). In certe fasi l’individuo costituisce l’aspetto principale. Mai però l’individuo costituisce anche l’aspetto dirigente. Così come sono le masse e non gli individui a fare la storia e l’individuo (e un collettivo come il Partito comunista) ha un suo ruolo solo se contribuisce alla soluzione dei problemi delle masse, allo stesso modo l’individuo ha una sua funzione solo se è parte di un collettivo. L’opera di un singolo dirigente comunista, per importante che sia, dipende da un collettivo e vale in quando è elemento promotore e costitutivo di un collettivo.

 

Con il Manifesto Programma (MP) noi abbiamo fatto i conti con il limite che ha portato alla sconfitta il vecchio movimento comunista: abbiamo tracciato il piano strategico per arrivare a instaurare il socialismo, la strategia della GPRdiLD. Con il MP abbiamo fatto un salto di qualità che produce le condizioni per fare un salto di qualità anche nel rapporto e nella contraddizione individuo/collettivo, soprattutto e in primo luogo nel gruppo dirigente del Partito. In altre parole, il MP permette di sviluppare ad un livello superiore una direzione collettiva e di avanzare nella strada che porterà (e, in definitiva, tutto dipende dalla mobilitazione e dalla trasformazione delle compagne e dei compagni che compongono il gruppo dirigente: è infatti all’interno di questo processo che si consoliderà, si rafforzerà e si selezionerà il gruppo dirigente) a far diventare il collettivo aspetto principale oltre che l’aspetto dirigente: a produrre cioè ad un livello determinato del nostro sviluppo il processo di negazione della negazione (la negazione del collettivo come aspetto principale a vantaggio dell’individuo porta alla negazione dell’individuo a vantaggio del collettivo).

Il rafforzamento della direzione collettiva è un elemento importante di forza e di continuità del (nuovo)Partito comunista italiano. È una necessità a cui dobbiamo far fronte non principalmente per il fatto che una direzione individuale è soggetta agli incidenti e accidenti cui sono soggette la vita e l’opera di un individuo. È una necessità principalmente per rafforzare l’azione del Partito, per promuovere ad un livello superiore la cura e formazione dei singoli e dei collettivi che compongono il Partito, per rafforzare la sua azione tattica all’interno della strategia (la traduzione del generale nel particolare e nel concreto), per rafforzare la sua ramificazione nel paese, per sviluppare nuovi ambiti di intervento e rafforzare quelli già esistenti. Lo sviluppo della direzione collettiva, quindi, non è un lavoro difensivo (“per tener botta”) ma offensivo (“per elevare la nostra azione”). Non ci impegniamo con forza in questa fase a sviluppare la direzione collettiva perché la direzione individuale ci ha portato fuori strada (questo proclamavano i portavoce dei destri espulsi o dimessisi dal Partito e dalle altre organizzazioni della carovana). Vogliamo la direzione collettiva perché grazie alla direzione individuale siamo cresciuti e possiamo (e dobbiamo) porci compiti superiori. Questa è la concezione che deve guidarci sia rispetto al ruolo dell’individuo nella lotta per il socialismo, sia rispetto allo sviluppo della direzione collettiva. Bando al soggettivismo e all’individualismo che deviano e scoraggiano dall’assumersi i compiti che la situazione pone!

 

Conclusioni

Parlare di sviluppo della direzione collettiva senza legare questo lavoro all’analisi della fase, all’analisi degli sviluppi prodotti dalla campagna per assimilare a un livello superiore il MD e dalla terza LIA, alla nostra strategia, al nostro piano tattico per la fase della difensiva strategica (Piano Generale di Lavoro e Governo di Blocco Popolare) significherebbe disquisire in maniera astratta della questione e non porterebbe da nessuna parte, se non a fare discorsi inutili, infiniti e inconcludenti. Sarebbe come parlare di Dibattito Franco e Aperto senza inquadrarlo come un metodo che deve poggiare sull’analisi concreta della situazione concreta ed essere finalizzato all’analisi concreta della situazione concreta o alla CAT. Non è un caso che la destra espulsa o dimessasi dal Partito nel corso della terza LIA rivendicava lo sviluppo della direzione collettiva e del DFA senza partire dall’analisi concreta della situazione concreta, dalla strategia, dalla tattica e mirare alla CAT o ad un’analisi di livello superiore: il loro rivendicare lo sviluppo della direzione collettiva e del DFA (senza finalizzarlo alla CAT o all’analisi) in realtà aveva l’obiettivo di sviare dall’individuare e fare i passi concreti per avanzare nella trasformazione e nella GPRdiLD. Il loro rivendicare lo sviluppo della direzione collettiva e del DFA celava l’opposizione alla strategia della GPRdiLD e al piano tattico della fase (PGL e GBP): non è un caso che una volta usciti dalla “carovana” i destri hanno prontamente abbandonato il PGL e la linea del GBP. In altre parole, hanno abbandonato l’unica tattica in cui si traduce nella fase attuale la strategia della GPRdiLD.

La costruzione del Partito e, all’interno di questo processo, del gruppo dirigente è possibile solo tenendo conto dell’analisi della fase, dell’analisi degli sviluppi prodotti dalla campagna sul MD e dalla terza LIA, della nostra strategia, del nostro piano tattico per la fase (PGL e GBP) e della relazione che intercorre tra tutti questi aspetti. La costruzione del gruppo dirigente è funzionale alla GPRdiLD e, allo stesso tempo, si sviluppa nel solco tracciato dalla strategia. Dobbiamo fare un passo in avanti, usando il Nuovo Metodo di Lavoro frutto della campagna per assimilare a un livello superiore il MD e della terza LIA, nel tradurre il generale (la strategia) nel particolare (la tattica: PGL, GBP, campagne, battaglie e operazioni tattiche per realizzarli). Lo sviluppo della direzione collettiva è funzionale al raggiungimento di questo obiettivo e riusciremo a realizzarlo veramente solo se poniamo al centro questo obiettivo.

Gli aspetti della direzione collettiva indicati nel capitolo I compiti che la situazione pone ai dirigenti del Partito (che costituiscono anche la linea da attuare per svilupparla) poggiano esattamente su questo principio. Ed è questa la direzione verso cui si sta muovendo e via via si muoverà con sempre maggiore slancio e dinamismo il gruppo dirigente del nostro Partito.

 

Claudio G.

 

Note

 

1. Le caratteristiche della sinistra e della destra che si sono scontrate nella terza LIA sono illustrate del Comunicato CP 12/09 del 08.05.08, reperibile sul Sito Internet del Partito. Rimandiamo ad esso i lettori.