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La fase terminale della crisi generale del capitalismo

Alla metà circa dell’anno scorso la seconda crisi generale del capitalismo è entrata nella sua fase terminale. Questa sostanzialmente consiste nella riduzione rapida e catastrofica, quasi un collasso, delle attività economiche produttrici di merci (beni e servizi) in cui sono direttamente impiegati i lavoratori salariati, in particolare i proletari che campano con il loro salario e che in ogni paese capitalista, nonostante il basso livello dei salari, costituiscono per il loro numero una parte importante della domanda di beni di consumo immediato (cibo, vestiti, ecc.) e dei beni di consumo durevole (auto, elettrodomestici, computer, case, ecc.).(1) Le conseguenze sono aumento dei disoccupati, fallimento di artigiani e lavoratori autonomi, aumento della precarietà per i lavoratori ancora occupati, riduzione dei salari e dei redditi da lavoro autonomo, esaurimento dei risparmi, aumento dell’indebitamento, riduzione delle entrate della pubblica amministrazione (imposte, tasse, tariffe, ecc.), riduzione delle prestazioni sociali (assistenza sanitaria, istruzione, servizi pubblici, sussidi, ecc.) e, per le imprese, caduta delle vendite, aumento delle giacenze di magazzino, perdite (indebitamento), taglio dei salari, licenziamenti. Il carattere collettivo assunto dalle attività economiche nella società borghese fa sì che la riduzione dell’attività in un punto si ripercuota a catena più o meno sensibilmente su tutto il resto.

Quali sono le cause di questo cataclisma? Quali i rimedi possibili? Verso dove sta andando l’umanità?

 

L’attuale crisi generale del capitalismo è iniziata negli anni ’70. Da allora essa ha condizionato e caratterizzato la storia dell’umanità in ogni campo. Tutte le spiegazioni della crisi attuale che prescindono dalla crisi generale iniziata negli anni ’70, sono unilaterali e monche o semplicemente imbrogli. È impossibile comprendere in modo giusto la storia dell’umanità negli ultimi 30 anni se non si tiene conto della crisi generale in corso e non si ha una buona comprensione della natura di questa. Essa infatti è alla base di tutti gli avvenimenti e le manifestazioni che compongono la storia dell’umanità negli ultimi 30 anni.

La crisi generale comprende la crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale, che è il suo aspetto dirigente (fondante) e in linea generale anche l’aspetto principale, la crisi politica (degli istituti, degli ordinamenti e delle relazioni politiche interne e internazionali) e la crisi culturale (intellettuale, morale) che sono gli aspetti derivati, dialetticamente legati all’aspetto dirigente. La crisi ambientale (inquinamento, riscaldamento climatico, ecc.), generata anch’essa dal capitalismo, si è aggiunta alla crisi generale e ne è diventata una componente e un’aggravante.(2)

Prima dell’attuale fase terminale della crisi generale, la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale ha attraversato due periodi distinti.

1. Negli anni ’70 e ’80 il capitale che veniva accumulato in eccesso (e che avrebbe sconvolto da subito le attività produttrici di merci (beni e servizi) se i capitalisti lo avessero correntemente reimpiegato tutto in queste attività) è stato dalla borghesia imperialista riversato principalmente in prestiti imposti ai paesi semicoloniali. I risultati sono stati

1. di travolgere o corrompere i movimenti di liberazione nazionale (cosa che però ha la sua sorgente principale nell’ambito della crisi di crescita che il movimento comunista ha dovuto attraversare),

2. di eliminare le misure statali di protezione sociale (controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, prestazioni sociali, ecc.) che le masse popolari avevano strappato nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria,

3. di subordinare in ogni paese le attività economiche al mercato capitalista mondiale,

4. di devastare su grande scala e in modo irreversibile le primitive strutture produttive agricole esistenti.(3)

Combinati con questo principale campo di sfogo del capitale in eccesso, vi furono in questo periodo altri campi di sfogo ausiliari e complementari, tra cui particolarmente importante è stata la privatizzazione nei paesi imperialisti dei settori economici pubblici e dei servizi sociali. Il periodo fu segnato dalle crisi economiche del 1973, 1979, 1985, 1987 e 1992 e dalla bolla dell’economia giapponese terminata nel collasso del 1989.(4)

2. Negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo secolo il capitale in eccesso ha trovato principalmente sfogo nella globalizzazione (creazione di una struttura produttiva integrata a livello internazionale, con cui i paesi semicoloniali e gli ex paesi socialisti, in particolare la Cina, sono stati trasformati in officina mondiale per la produzione di manufatti con bassi salari e con vincoli antinquinamento di basso livello), nelle fusioni e aggregazioni che crearono grandi imprese produttive monopolistiche mondiali, nello sviluppo della finanziarizzazione (5) e soprattutto e infine nello sviluppo gigantesco delle attività speculative.(6) Questo secondo periodo è segnato dalle crisi economiche del 1997, del 1999 e del 2001 (scoppio della bolla delle “nuova economia” costituita dalle imprese dell’informatica).

 

Cosa ha dato il via alla fase terminale della crisi generale?

Chi oggi vuole far credere che sia possibile far fronte al collasso delle attività produttrici di merci instaurando nuovamente l’intervento dello Stato nell’economia (abolito a partire dagli anni ’70 con la privatizzazione), oppure con l’introduzione di regole (e che il problema sia quali sono le regole giuste o migliori) o con la moderazione delle attività speculative (e la cura consisterebbe nella creazione di nuovi enti di controllo e nell’emanazione di nuove leggi), cerca di far credere che l’origine e la causa della crisi attuale stanno nel liberismo, nell’abolizione e mancanza di regole nelle attività finanziarie e bancarie o nella speculazione che hanno dominato negli anni che abbiamo alle nostre spalle. In realtà l’origine vera della fase terminale deriva dal fatto che i rimedi con cui in questi ultimi tre decenni i gruppi e gli Stati imperialisti hanno ritardato il collasso dell’economia capitalista, hanno perso d’efficacia a causa della situazione che quei rimedi stessi hanno generato.

Anzitutto non è vero che negli anni scorsi l’attività economica complessiva (produttiva, finanziaria e speculativa) è stata abbandonata alla libera iniziativa di tanti individui. In questi ultimi 30 anni al contrario essa è stata diretta al massimo grado in cui può per sua natura esserlo l’economia capitalista (le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale si sono trasformate ma moltiplicate) e la sua direzione è stata sempre più concentrata nelle mani di un gruppo ristretto di capitalisti e di loro commessi. Liberismo, deregulation, libera iniziativa, ecc. sono state solo parole d’ordine che servivano a promuovere l’abolizione delle regole e delle leggi che fissavano i diritti e le conquiste che il movimento comunista aveva strappato alla borghesia imperialista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria.

In secondo luogo, la globalizzazione, la finanziarizzazione, la speculazione lungi dall’essere all’origine del collasso delle attività produttrici di merci, hanno per un po’ di anni permesso alla borghesia imperialista e alle sue Autorità di prolungarne bene o male l’esistenza e di ritardarne il collasso, nonostante la sovraccumulazione assoluta di capitale. Con il plusvalore estorto ai lavoratori di un paese o dell’altro o con le plusvalenze della compravendita di titoli, i capitalisti hanno soddisfatto il loro maniacale bisogno di valorizzare il loro capitale e di accumulare. I bassi salari dei proletari (in ogni paese imperialista e in particolare anche negli USA il monte salari è stato una percentuale decrescente del Prodotto Interno Lordo) sono stati in una certa misura compensati dal credito: combinandosi questo con il lusso e lo spreco dei beneficiari della speculazione, il potere d’acquisto della popolazione è stato tenuto elevato: milioni di famiglie si sono indebitate ma le imprese sono riuscite a vendere le merci prodotte e hanno investito tenendo quindi alta la domanda di merci anche per questa via.(7)

Lo spunto del processo che ha portato al collasso in corso delle attività produttrici di merci è stata la riduzione del potere d’acquisto e la stretta del credito causate dall’esplosione della bolla dei prestiti ipotecari USA e dal crollo del prezzo dei titoli finanziari costruiti sui prestiti ipotecari USA. Questa bolla né si è formata per caso né è esplosa per caso.

È stata messa in cantiere dalle Autorità USA nel 2001 dopo l’esplosione della bolla delle società informatiche (la cosiddetta new economy): esse hanno reso di proposito facile l’accesso al credito a milioni di individui, in particolare per l’acquisto di case come abitazione principale o per affittarle o come seconde case.(8) A sua volta l’esplosione della bolla dei mutui ipotecari USA e dei titoli derivati è stata determinata dall’aumento dei tassi di sconto operato dalla Riserva Federale USA (per far fronte ad altri problemi del sistema imperialista: sostanzialmente per far fronte al declino dell’egemonia dei gruppi imperialisti USA nel sistema finanziario mondiale che l’andamento delle cose stava producendo). Infatti la FED, dopo aver ridotto il tasso di sconto dal 6.5% del gennaio 2001 al 1% del giugno 2003, lo aveva gradualmente riportato al 5.25% nel giugno 2007. Tuttavia questi successivi inneschi sono stati efficaci perché hanno operato in un sistema economico in cui la massa dei lavoratori aveva perso da tempo forza contrattuale a vantaggio della borghesia e il sistema finanziario era da tempo in gran parte costituito da titoli e da operazioni speculative (la plusvalenza nella compravendita di titoli era per la borghesia e il resto dei ricchi diventata il fattore di arricchimento di gran lunga predominante sul profitto, pur crescente, estorto direttamente e correntemente ai lavoratori): un sistema quindi per sua natura altamente instabile.

Apparentemente il processo causale è stato il seguente: l’aumento del tasso di sconto ha fatto scoppiare la bolla del settore edilizio USA e causato il collasso delle banche che avevano investito facendo prestiti ipotecari di cui i beneficiari non pagavano più le rate. Questo a sua volta ha causato il collasso delle istituzioni finanziarie che avevano investito in titoli derivati dai prestiti ipotecari che nessuno comperava più, perché gli alti interessi promessi non potevano più arrivare. Questo a sua volta ha provocato il collasso del credito, la riduzione della liquidità e del potere d’acquisto. Diminuzione degli investimenti e del consumo hanno determinato e determinano il collasso delle attività produttrici di merci con le conseguenze indicate all’inizio per le masse popolari, per le imprese e per la pubblica amministrazione.

Ma chi considera il processo storico svoltosi negli ultimi 30 anni, vede bene che erano le attività produttrici di merci che da 30 anni a questa parte stavano in piedi grazie a investimenti e consumi determinati dalle attività speculative. Ora le attività produttrici crollano perché le attività speculative sono collassate. Chi nella società occupa la posizione che consente di dare il via ad attività produttrici, cioè di fare investimenti (domanda autonoma) e quindi creare anche potere d’acquisto (domanda indotta) per le masse popolari, vale a dire la classe dei capitalisti, si guarda bene dal farlo perché per sua natura ogni capitalista lo farebbe solo se da quelle attività produttrici ritenesse di ricavare un profitto adeguato al capitale che impiega. Mentre il processo in corso promette tutto il contrario.

In questa situazione, le Autorità pubbliche non possono fare niente di risolutivo se sono al servizio dei capitalisti e ne rispettano la proprietà, gli interessi e la volontà. Infatti le Autorità pubbliche al servizio dei capitalisti possono usare il loro potere per rendere redditizie le attività produttrici delle imprese capitaliste fondamentalmente attraverso tre meccanismi o una combinazione di essi:

1. finanziando direttamente con pubblico denaro le imprese capitaliste;

2. sostenendo con pubblico denaro il potere d’acquisto dei clienti potenziali delle imprese capitaliste;

3. appaltando alle imprese capitaliste lavori pubblici.

Ma le Pubbliche autorità incappano immediatamente in due ordini di difficoltà.

1. Le Autorità per ognuna delle tre misure indicate devono disporre di denaro. Dove lo possono prendere? Essendo al servizio dei capitalisti e rispettose dei loro interessi, non possono confiscare il denaro dei capitalisti e degli altri ricchi.

Non possono più di tanto ricorrere all’aumento delle imposte sui lavoratori. Diminuirebbero ulteriormente il loro potere d’acquisto già in calo. Quindi ridurrebbero la domanda di merci: cosa compatibile con la ripresa solo se contemporaneamente puntano sulla conquista di mercati esteri per le imprese capitaliste del paese (“il nostro posto al sole”). Mussolini e ancora più marcatamente Hitler dopo il ’33 fecero qualcosa di analogo: ridussero drasticamente la domanda dei proletari (nel loro caso riducendo i salari) nell’ambito di una politica di espansione all’estero.

Non possono creare denaro d’autorità. Il sistema monetario segue leggi sue proprie, corrispondenti alla natura del sistema imperialista. Se le Autorità creassero denaro d’autorità e arbitrariamente, i prezzi aumenterebbero, il denaro perderebbe valore e sarebbero lesi gli interessi di tutti i proprietari di denaro. Sarebbe come confiscare una parte del loro denaro ai ricchi e ai risparmiatori. Essendo devote e rispettose degli interessi dei capitalisti, le Autorità pubbliche devono attenersi alle procedure del mercato monetario e finanziario. Devono quindi prendere a prestito il denaro di cui hanno bisogno, in un momento in cui le banche non solo non prestano, ma sono esse stesse alla ricerca di denaro perché ognuna di esse ha in mano titoli che non riesce a vendere e trasformare in denaro (“titoli tossici”, “titoli spazzatura”). Infatti chiedono soldi allo Stato per non fallire e per non negare il denaro depositato sui conti correnti presso di loro (molti governi hanno garantito i depositi, per evitare la ressa a ritirare dai depositi denaro contante di cui le banche non dispongono comunque in misura sufficiente). Si sta quindi creando un processo per cui le banche centrali fanno crediti a interesse zero o quasi alle banche e alle istituzioni finanziarie (per non lasciarle fallire né diventare insolventi), mentre queste dovrebbero prestare denaro allo Stato. Essendo a corto di liquidità, lo fanno solo con alti interessi e pingui commissioni. Per tenere in piedi una stentata attività economica delle imprese produttrici di merci, lo Stato si indebita sempre più verso banche e istituzioni finanziarie, cioè verso i capitalisti che ne sono proprietari. Finché c’è fiducia che lo Stato mantenga il suo impegno di pagare interessi e restituire i debiti, i titoli del debito pubblico diventano l’unico investimento finanziario sicuro per una crescente massa di denaro che viene disinvestito negli altri settori.

2. In ogni paese le Autorità sono interessate a mantenere in vita le attività produttrici svolte nel paese, non quelle svolte in qualche altro paese.

Se le Autorità finanziano direttamente le aziende capitaliste, devono obbligare le società (che hanno già delocalizzato all’estero tanto o poco delle loro attività) a non usare il denaro per attività all’estero né per compensare “titoli tossici” invendibili del loro comparto finanziario (tutte le grandi e medie aziende hanno un settore finanziario che partecipava alle attività speculative e si trovano ad avere impegnato il loro capitale circolante in titoli non più vendibili).

Se le Autorità sostengono direttamente il potere d’acquisto dei clienti potenziali, dovrebbero fare in modo che acquistino solo merci prodotte nel paese (che non acquistino merci d’importazione): quindi ogni Stato deve in un modo o nell’altro chiudere le frontiere alle importazioni.

Se le Autorità appaltano lavori pubblici devono riservare l’appalto a imprese nazionali e vincolarle ad assumere manodopera locale e a rifornirsi presso imprese nazionali.

Insomma in ogni caso si tratta di misure che contrastano con la libera circolazione internazionale dei capitali, delle merci e della manodopera (la globalizzazione) e che mettono un paese (la sua popolazione e le sue Autorità) contro l’altro.

In sostanza, per far fronte alla crisi ogni Stato ligio ai capitalisti cerca di chiudere le proprie frontiere alle imprese straniere e di forzare altri Stati ad aprire le loro. Quindi tutti i mezzi di pressione vengono messi in opera. La competizione tra Stati e il protezionismo dilagano. I più forti fanno valere la loro forza e i più deboli devono proteggersi.

Malgrado le fosche conseguenze indicate, le misure messe in opera dagli Stati capitalisti per rianimare le attività produttrici di merci, finché restano in campo economico non danno il risultato necessario e dichiarato o sperato. Perché la malattia del sistema capitalista è che nel mondo si è accumulato troppo capitale, che per sua natura deve essere valorizzato. I capitalisti sono la personificazione di questa necessità. La società non può più funzionare alla vecchia maniera borghese.

La sinistra borghese e le persone succubi della sua illusoria concezione della realtà invocano la ripartizione della ricchezza. È certamente possibile indurre i capitalisti e le Autorità pubbliche e in generale i ricchi a mettere più danaro nelle mani dei lavoratori e delle masse popolari in generale. Basta incutere loro una salutare paura che altrimenti perderanno tutto, che vi saranno disordini, che le loro proprietà, le loro persone e le loro abitudini (la loro vita) saranno minacciate (conflitti sociali, disordini sociali). Ma questo certamente non li indurrà a rimettere in moto le loro imprese né a crearne di nuove. L’attività economica della società ricomincerà a funzionare su larga scala e a tempo indeterminato solo se essa e i mezzi corrispondenti a farla funzionare saranno tolti dalle mani dei capitalisti e presi in mano e rimessi in moto dai lavoratori stessi organizzati e da Autorità pubbliche che incarnino i loro stessi interessi. In sostanza occorre instaurare il socialismo.

In ogni paese questa è una via d’uscita possibile e realistica dal vicolo cieco della situazione attuale. Essa implica paese per paese il potenziamento e la generalizzazione dell’organizzazione tra i lavoratori e tra le masse popolari e che le loro organizzazioni assumano ad ogni livello compiti di governo. In ogni paese essa ha i suoi fautori più o meno determinati nei comunisti, nei gruppi politici progressisti, nei lavoratori più avanzati e può avere l’appoggio dei borghesi sinceramente democratici. In definitiva questa via implica la rinascita del movimento comunista.

Esiste però in ogni paese anche un’altra via. Essa consiste nella mobilitazione della popolazione agli ordini dei gruppi politici borghesi più intraprendenti, più feroci, più cinici e più decisi, per conquistare mercati e campi di investimento ai “propri” capitalisti a spese di altri. Anche per questa via esistono in ogni paese le premesse politiche e culturali e i gruppi politici che aspirano a perseguirla. Questa è una prospettiva allettante per i capitalisti, il clero e i ricchi in generale.

Paese per paese, queste sono le sole due vie d’uscita dal vicolo cieco dell’attuale situazione che stanno davanti alle masse popolari.

Le due vie sono entrambi possibili. La nostra via, l’instaurazione del socialismo, è possibile, ma comporta di farla finita con i capitalisti e quanti li sostengono. L’altra via è egualmente possibile, ma comporta che ogni Stato cerchi di imporsi agli altri, cerchi di aprire i mercati esteri alle proprie imprese e di chiudere il proprio alle imprese straniere, comporta la guerra interimperialista per appropriarsi di mercati e di campi di investimento per i “propri” capitalisti.

Dalla prima crisi generale del capitalismo (1900 - 1945) l’umanità non è uscita con le riforme economiche keynesiane o con il New Deal di Roosevelt come sostengo tanti illusi e vari imbonitori. È uscita con la prima ondata della rivoluzione proletaria e con due Guerre Mondiali. Le idee di una via d’uscita pacifica guidata dalla borghesia dal vicolo cieco in cui la borghesia stessa ci ha cacciato sono illusioni. Bisognerà in ogni modo combattere. Questo è il futuro che ci sta di fronte. A noi comunisti spetta il compito di far trionfare la via dell’instaurazione del socialismo.

Umberto C.

 

Note

 

1. In ogni paese capitalista la domanda di merci (beni e servizi) è in primo luogo costituita dalla domanda dei capitalisti per investimenti (edifici e mezzi di produzione, materie prime, semilavorati, servizi alle imprese) o per consumi, dalla domanda delle altre classi dominanti (clero e ricchi in genere), dalla domanda della Pubblica Amministrazione. Queste tre sono le componenti della domanda autonoma, cioè fatta da persone o enti che possono decidere di loro iniziativa se e quanto spendere, perché normalmente, per la loro posizione nella società, dispongono di denaro e di credito.

In secondo luogo è costituita dalla domanda dei proletari e delle altre classi delle masse popolari. Questa è per lo più una domanda indotta, nel senso che gran parte dei proletari e molti lavoratori autonomi spendono tutto il denaro che riescono ad avere, al netto di imposte e spese fisse, come salario, come sussidio o come reddito da lavoro autonomo. Quindi l’ammontare della loro domanda è pari al reddito netto che riescono a procurarsi dai padroni, dalla pubblica amministrazione o dalle loro attività di lavoro autonomo. La differenza tra, da una parte, il monte salari e la massa dei sussidi e dei redditi dei lavoratori autonomi e, dall’altra, la domanda complessiva delle masse popolari, resta il margine incerto del risparmio e del credito: quanto i proletari meglio pagati e i lavoratori autonomi a cui le cose vanno meglio accantonano in vista di spese future, quanto spendono dei risparmi già accantonati, quanto ottengono dai banchieri come credito, quanto devono consegnare ai banchieri (interessi e ammortamenti) per crediti già contratti nel passato.

 

2. La crisi ambientale è un tipico esempio di trasformazione della quantità in qualità. La quantità delle iniziative umane e la quantità degli uomini stessi, che il capitalismo per sua natura ha accresciuto e accresce illimitatamente, e la quantità degli effetti che ne derivano, hanno creato una diversa qualità del rapporto tra la specie umana e il resto della natura. Gli uomini devono gestire questo rapporto in modo diverso da come l’umanità lo ha gestito nella sua storia millenaria, durante la quale la sua opera incideva in modo meno rilevante sul resto della natura. Se persistesse a non farlo, la conseguenza sarebbe la distruzione delle condizioni di vita della stessa specie umana. Gli interessi privati e i conflitti tra essi, connaturati al capitalismo, impediscono di realizzare la trasformazione necessaria e di usare i mezzi intellettuali e materiali, scientifici e tecnici, di cui l’umanità dispone per trattare la contraddizione tra essa stessa e il resto della natura. In breve, l’umanità ha tutti i mezzi per gestire proficuamente il rapporto tra sé e il resto della natura, ma per metterli in opera deve cambiare il suo ordinamento sociale.

 

3. Una conseguenza grandiosa di questa nuova ondata di colonizzazione fu l’avvio dell’emigrazione in massa della popolazione dalle campagne: dapprima nelle città dei propri paesi e poi nei paesi imperialisti. L’invadenza dei capitali distruggeva per varie vie l’economia agricola primitiva, in larga misura di autosussistenza, a cui era ancora dedita la maggioranza della popolazione. Questa allora si riversava nelle città e poi nell’emigrazione in cerca di una vita migliore o semplicemente per sopravvivere. Le attività economiche (agricole, industriali, finanziarie, nella pubblica amministrazione, ecc.) che il capitale creava, richiedevano una manodopera decisamente inferiore a quella che veniva privata delle proprie primitive e tradizionali fonti di sussistenza, mentre le trasformazioni indotte dallo stesso capitale facevano sì che la crescita di questa manodopera fosse superiore all’eccidio che quelle stesse trasformazioni provocavano.

Negli ultimi 30 anni il capitale ha prodotto e sta ancora producendo in larghe parti del mondo uno sconvolgimento demografico e geografico analogo a quello che ha prodotto nei primi paesi capitalisti europei (la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, l’Italia, ecc.) nel corso del suo impiantamento tra il XVIII e il XX secolo. Allora da una parte la popolazione cresceva per effetto delle forme superiori di civiltà che il capitalismo comportava, dall’altra lo stesso sistema capitalista rendeva superflue milioni di persone: distruggeva la loro tradizionale forma di sussistenza senza offrire loro in cambio un posto di lavoro salariato nel nuovo sistema produttivo. Allora “gli esuberi” dei primi paesi capitalisti furono scaricati nelle Americhe, in Australia, in Algeria e in altre colonie di popolamento o di sfruttamento.

Nei paesi che il capitale sta assumendo in questi anni come estensione del suo campo di attività (dalla Cina, all’India, al resto dell’Asia, all’Africa, a parte dell’America Latina, alla Russia e agli altri paesi ex-socialisti d’Europa), il capitale rende superflui alcuni miliardi di uomini e donne, circa la metà della popolazione mondiale attuale (per maggiori dettagli in proposito vedasi lo scritto Mao is Back (Mao è di ritorno) di Samir Amin in Maoist Revolution 24 dicembre 2008 (http://www.groups.yahoo.com/group/MAOIST_REVOLUTION). La perpetuazione del modo di produzione capitalista comporterebbe che venissero in un modo o nell’altro eliminati. Con la guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo del mondo, essa persegue di fatto questo obiettivo.

 

4. Per alcuni anni il potere economico dei gruppi imperialisti giapponesi crebbe tanto che essi sembrarono sul punto di togliere ai gruppi imperialisti USA il dominio dell’economia mondiale. Mancava tuttavia ad essi la forza politica e militare per sostenere questo corso delle cose. I gruppi imperialisti USA si sollevarono dalla sconfitta subita in Vietnam e ripresero in mano la direzione dell’economia capitalista mondiale che i gruppi imperialisti giapponesi contendevano loro. Da allora il Giappone non si è ancora sollevato compiutamente dalla crisi in cui è caduto, pur restando la seconda economia mondiale e uno dei paesi maggiori esportatori di merci e di capitali.

 

5. Le attività finanziarie consistono sostanzialmente nella trasformazione della proprietà delle aziende produttive di merci e dei prestiti di denaro ad aziende o alla pubblica amministrazione in titoli (azioni, obbligazioni, ecc.) che vengono correntemente comperati e venduti. Nell’epoca di cui parliamo, la finanziarizzazione dell’economia è consistita sostanzialmente nella combinazione di tre processi: 1. il crescente potere politico ed economico dei gruppi finanziari della borghesia, 2. l’espansione su grande scala delle attività e dei servizi finanziari (creazione e commercio di nuovi strumenti finanziari (titoli derivati, ecc.), organizzazione e finanziamento delle acquisizioni di società, assicurazioni contro i rischi, ecc.), 3. l’allontanamento crescente dell’attività finanziaria dalla produzione di merci con la creazione e commercializzazione di titoli di proprietà e dei prestiti di società a loro volta proprietarie di titoli di proprietà e di prestiti e così via, con catene che si allungano prima di arrivare ai titoli di proprietà di aziende produttrici di merci.

 

6. La caratteristica delle attività speculative è di far leva sulle plusvalenze realizzate nella compravendita di titoli finanziari anziché direttamente sui profitti estorti ai lavoratori impiegati in attività produttrici di merci.

 

7. Ogni delocalizzazione e ogni esternalizzazione danno origine non solo alla distruzione dei vecchi impianti, ma anche a nuovi investimenti e quindi a una domanda di beni e di servizi.

 

8. Tra il gennaio 2001 e il giugno 2003 la Banca Centrale USA (FED) ridusse il tasso di sconto dal 6.5% al 1%. Su questa base le banche concedevano prestiti per costruire o acquistare case con ipoteca sulle case (senza bisogno di disporre già di una certa somma né di avere un reddito a garanzia del credito). I tassi di interessi calanti garantivano la crescita del prezzo delle case. Ad esempio a chi investiva denaro comperando case da affittare, il prezzo delle case era conveniente finché la rata (interesse più ammortamento) da pagare per il prestito contratto per comperarle restava inferiore all’affitto. Il prezzo a cui era possibile vendere le case quindi saliva man mano che diminuiva il tasso d’interesse, a sua volta legato al tasso di sconto praticato dalla FED. La crescita del prezzo corrente delle case non solo copriva le ipoteche, ma consentiva di coprire nuovi prestiti. Per alcuni anni il potere d’acquisto della popolazione USA venne così gonfiato con l’indebitamento garantito dalle case.

 

 

Manchette

 

 

8 Marzo

Giornata internazionale delle donne!

La mobilitazione delle donne delle masse popolari nel lavoro di rinascita del movimento comunista è una questione decisiva per la vittoria della rivoluzione socialista. La lotta delle donne per l’emancipazione dalla oppressione e discriminazione di genere trova nella lotta per il socialismo il terreno più avanzato.

Donne proletarie: organizzatevi e lottate!picchetto

Prendete in mano il vostro destino contribuendo a formare un governo di emergenza, un governo di Blocco Popolare, con cui far fronte alla crisi in cui la borghesia ci ha cacciato!

Non pagheremo noi la crisi della borghesia!

 Donne proletarie: unitevi nel (nuovo)Partito comunista italiano e lottate da comuniste contro il regime borghese, clericale e oscurantista capeggiato dalla banda Berlusconi, dai fascisti e dal Vaticano!

Unitevi a noi nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

Partecipate alla preparazione della Conferenza Mondiale delle Donne di Base, programmata per l’8 marzo 2011 a Caracas (Venezuela), in occasione del centenario della Giornata internazionale delle Donne!

Partecipate alle numerose iniziative che si terranno nel nostro paese!

 

 

1° Maggio

Giornata internazionale dei lavoratori!

 

I borghesi, i capitalisti e gli speculatori ci affondano in un marasma generato dal loro ordinamento sociale in crisi: buttiamoli a mare! Non pagheremo noi la crisi del sistema capitalista!

Le organizzazioni operaie e popolari devono coalizzarsi, prendere in mano il governo del paese, assegnare ad ogni azienda compiti produttivi precisi secondo un piano nazionale, organizzare la distribuzione di beni e servizi alle aziende, alle famiglie e agli impieghi collettivi, instaurare la collaborazione con i paesi le cui autorità saranno disponibili!

Nessuna azienda deve essere chiusa, nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile, ad ogni individuo una vita dignitosa!

Operai, lavoratori: prendete in mano il vostro destino, organizzatevi per costruire un governo di emergenza, un governo di Blocco Popolare che faccia fronte subito almeno agli effetti peggiori della crisi. Questa è la via per instaurare una società diretta dai lavoratori che soddisfi i bisogni materiali e spirituali di tutte le masse popolari: il socialismo!

Operai, lavoratori: unitevi nel (nuovo)Partito comunista italiano e lottate da comunisti per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!