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La fase terminale della crisi generale del
capitalismo
Alla metà
circa dell’anno scorso la seconda crisi generale del
capitalismo è entrata nella sua fase terminale. Questa
sostanzialmente consiste
nella riduzione rapida e catastrofica, quasi un collasso, delle
attività
economiche produttrici di merci (beni e servizi) in cui sono
direttamente
impiegati i lavoratori salariati, in particolare i proletari che
campano con il
loro salario e che in ogni paese capitalista, nonostante il basso
livello dei
salari, costituiscono per il loro numero una parte importante della
domanda di
beni di consumo immediato (cibo, vestiti, ecc.) e dei beni di consumo
durevole
(auto, elettrodomestici, computer, case, ecc.).(1) Le conseguenze sono
aumento
dei disoccupati, fallimento di artigiani e lavoratori autonomi, aumento
della
precarietà per i lavoratori ancora occupati, riduzione dei
salari e dei redditi
da lavoro autonomo, esaurimento dei risparmi, aumento
dell’indebitamento,
riduzione delle entrate della pubblica amministrazione (imposte, tasse,
tariffe, ecc.), riduzione delle prestazioni sociali (assistenza
sanitaria,
istruzione, servizi pubblici, sussidi, ecc.) e, per le imprese, caduta
delle
vendite, aumento delle giacenze di magazzino, perdite (indebitamento),
taglio
dei salari, licenziamenti. Il carattere collettivo assunto dalle
attività
economiche nella società borghese fa sì che la riduzione
dell’attività in un
punto si ripercuota a catena più o meno sensibilmente su tutto
il resto.
Quali sono le
cause di questo cataclisma? Quali i rimedi possibili? Verso
dove sta andando l’umanità?
L’attuale crisi
generale del capitalismo è iniziata negli anni ’70. Da
allora essa ha condizionato e caratterizzato la storia
dell’umanità in ogni
campo. Tutte le spiegazioni della crisi attuale che prescindono dalla
crisi
generale iniziata negli anni ’70, sono unilaterali e monche o
semplicemente
imbrogli. È impossibile comprendere in modo giusto la storia
dell’umanità negli
ultimi 30 anni se non si tiene conto della crisi generale in corso e
non si ha
una buona comprensione della natura di questa. Essa infatti è
alla base di
tutti gli avvenimenti e le manifestazioni che compongono la storia
dell’umanità
negli ultimi 30 anni.
La crisi
generale comprende la crisi economica per sovrapproduzione
assoluta di capitale, che è il suo aspetto dirigente (fondante)
e in linea
generale anche l’aspetto principale, la crisi politica (degli istituti,
degli
ordinamenti e delle relazioni politiche interne e internazionali) e la
crisi
culturale (intellettuale, morale) che sono gli aspetti derivati,
dialetticamente legati all’aspetto dirigente. La crisi ambientale
(inquinamento, riscaldamento climatico, ecc.), generata anch’essa dal
capitalismo, si è aggiunta alla crisi generale e ne è
diventata una componente
e un’aggravante.(2)
Prima
dell’attuale fase terminale della crisi generale, la crisi per
sovrapproduzione assoluta di capitale ha attraversato due periodi
distinti.
1. Negli
anni ’70 e ’80 il capitale che veniva accumulato in eccesso (e che
avrebbe
sconvolto da subito le attività produttrici di merci (beni e
servizi) se i
capitalisti lo avessero correntemente reimpiegato tutto in queste
attività) è
stato dalla borghesia imperialista riversato principalmente in prestiti
imposti
ai paesi semicoloniali. I risultati sono stati
1. di travolgere
o corrompere i movimenti di liberazione nazionale (cosa
che però ha la sua sorgente principale nell’ambito della crisi
di crescita che
il movimento comunista ha dovuto attraversare),
2. di eliminare
le misure statali di protezione sociale (controllo dei
prezzi dei beni di prima necessità, prestazioni sociali, ecc.)
che le masse
popolari avevano strappato nell’ambito della prima ondata della
rivoluzione
proletaria,
3. di
subordinare in ogni paese le attività economiche al mercato
capitalista mondiale,
4. di devastare
su grande scala e in modo irreversibile le primitive
strutture produttive agricole esistenti.(3)
Combinati con
questo principale campo di sfogo del capitale in eccesso,
vi furono in questo periodo altri campi di sfogo ausiliari e
complementari, tra
cui particolarmente importante è stata la privatizzazione nei
paesi
imperialisti dei settori economici pubblici e dei servizi sociali. Il
periodo
fu segnato dalle crisi economiche del 1973, 1979, 1985, 1987 e 1992 e
dalla
bolla dell’economia giapponese terminata nel collasso del 1989.(4)
2.
Negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo secolo il capitale in eccesso
ha
trovato principalmente sfogo nella globalizzazione (creazione di una
struttura
produttiva integrata a livello internazionale, con cui i paesi
semicoloniali e
gli ex paesi socialisti, in particolare la Cina, sono stati trasformati
in
officina mondiale per la produzione di manufatti con bassi salari e con
vincoli
antinquinamento di basso livello), nelle fusioni e aggregazioni che
crearono
grandi imprese produttive monopolistiche mondiali, nello sviluppo della
finanziarizzazione (5) e soprattutto e infine nello sviluppo gigantesco
delle
attività speculative.(6) Questo secondo periodo è segnato
dalle crisi
economiche del 1997, del 1999 e del 2001 (scoppio della bolla delle
“nuova
economia” costituita dalle imprese dell’informatica).
Cosa ha dato il
via alla fase terminale della crisi generale?
Chi oggi vuole
far credere che sia possibile far fronte al collasso delle
attività produttrici di merci instaurando nuovamente
l’intervento dello Stato
nell’economia (abolito a partire dagli anni ’70 con la
privatizzazione), oppure
con l’introduzione di regole (e che il problema sia quali sono le
regole giuste
o migliori) o con la moderazione delle attività speculative (e
la cura
consisterebbe nella creazione di nuovi enti di controllo e
nell’emanazione di
nuove leggi), cerca di far credere che l’origine e la causa della crisi
attuale
stanno nel liberismo, nell’abolizione e mancanza di regole nelle
attività
finanziarie e bancarie o nella speculazione che hanno dominato negli
anni che
abbiamo alle nostre spalle. In realtà l’origine vera della fase
terminale
deriva dal fatto che i rimedi con cui in questi ultimi tre decenni i
gruppi e
gli Stati imperialisti hanno ritardato il collasso dell’economia
capitalista,
hanno perso d’efficacia a causa della situazione che quei rimedi stessi
hanno
generato.
Anzitutto non
è vero che negli anni scorsi l’attività economica
complessiva (produttiva, finanziaria e speculativa) è stata
abbandonata alla
libera iniziativa di tanti individui. In questi ultimi 30 anni al
contrario
essa è stata diretta al massimo grado in cui può per sua
natura esserlo
l’economia capitalista (le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale
si sono
trasformate ma moltiplicate) e la sua direzione è stata sempre
più concentrata
nelle mani di un gruppo ristretto di capitalisti e di loro commessi.
Liberismo,
deregulation, libera iniziativa, ecc. sono state solo parole d’ordine
che
servivano a promuovere l’abolizione delle regole e delle leggi che
fissavano i
diritti e le conquiste che il movimento comunista aveva strappato alla
borghesia imperialista durante la prima ondata della rivoluzione
proletaria.
In secondo
luogo, la globalizzazione, la finanziarizzazione, la
speculazione lungi dall’essere all’origine del collasso delle
attività
produttrici di merci, hanno per un po’ di anni permesso alla borghesia
imperialista e alle sue Autorità di prolungarne bene o male
l’esistenza e di
ritardarne il collasso, nonostante la sovraccumulazione assoluta di
capitale.
Con il plusvalore estorto ai lavoratori di un paese o dell’altro o con
le
plusvalenze della compravendita di titoli, i capitalisti hanno
soddisfatto il
loro maniacale bisogno di valorizzare il loro capitale e di accumulare.
I bassi
salari dei proletari (in ogni paese imperialista e in particolare anche
negli
USA il monte salari è stato una percentuale decrescente del
Prodotto Interno
Lordo) sono stati in una certa misura compensati dal credito:
combinandosi
questo con il lusso e lo spreco dei beneficiari della speculazione, il
potere
d’acquisto della popolazione è stato tenuto elevato: milioni di
famiglie si
sono indebitate ma le imprese sono riuscite a vendere le merci prodotte
e hanno
investito tenendo quindi alta la domanda di merci anche per questa
via.(7)
Lo spunto del
processo che ha portato al collasso in corso delle attività
produttrici di merci è stata la riduzione del potere d’acquisto
e la stretta
del credito causate dall’esplosione della bolla dei prestiti ipotecari
USA e
dal crollo del prezzo dei titoli finanziari costruiti sui prestiti
ipotecari
USA. Questa bolla né si è formata per caso né
è esplosa per caso.
È stata
messa in cantiere dalle Autorità USA nel 2001 dopo l’esplosione
della bolla delle società informatiche (la cosiddetta new
economy): esse hanno
reso di proposito facile l’accesso al credito a milioni di individui,
in
particolare per l’acquisto di case come abitazione principale o per
affittarle
o come seconde case.(8) A sua volta l’esplosione della bolla dei mutui
ipotecari USA e dei titoli derivati è stata determinata
dall’aumento dei tassi
di sconto operato dalla Riserva Federale USA (per far fronte ad altri
problemi
del sistema imperialista: sostanzialmente per far fronte al declino
dell’egemonia dei gruppi imperialisti USA nel sistema finanziario
mondiale che
l’andamento delle cose stava producendo). Infatti la FED, dopo aver
ridotto il
tasso di sconto dal 6.5% del gennaio 2001 al 1% del giugno 2003, lo
aveva
gradualmente riportato al 5.25% nel giugno 2007. Tuttavia questi
successivi
inneschi sono stati efficaci perché hanno operato in un sistema
economico in
cui la massa dei lavoratori aveva perso da tempo forza contrattuale a
vantaggio
della borghesia e il sistema finanziario era da tempo in gran parte
costituito
da titoli e da operazioni speculative (la plusvalenza nella
compravendita di
titoli era per la borghesia e il resto dei ricchi diventata il fattore
di
arricchimento di gran lunga predominante sul profitto, pur crescente,
estorto
direttamente e correntemente ai lavoratori): un sistema quindi per sua
natura
altamente instabile.
Apparentemente
il processo causale è stato il seguente: l’aumento del
tasso di sconto ha fatto scoppiare la bolla del settore edilizio USA e
causato
il collasso delle banche che avevano investito facendo prestiti
ipotecari di
cui i beneficiari non pagavano più le rate. Questo a sua volta
ha causato il
collasso delle istituzioni finanziarie che avevano investito in titoli
derivati
dai prestiti ipotecari che nessuno comperava più, perché
gli alti interessi
promessi non potevano più arrivare. Questo a sua volta ha
provocato il collasso
del credito, la riduzione della liquidità e del potere
d’acquisto. Diminuzione
degli investimenti e del consumo hanno determinato e determinano il
collasso
delle attività produttrici di merci con le conseguenze indicate
all’inizio per
le masse popolari, per le imprese e per la pubblica amministrazione.
Ma chi considera
il processo storico svoltosi negli ultimi 30 anni, vede
bene che erano le attività produttrici di merci che da 30 anni a
questa parte
stavano in piedi grazie a investimenti e consumi determinati dalle
attività
speculative. Ora le attività produttrici crollano perché
le attività
speculative sono collassate. Chi nella società occupa la
posizione che consente
di dare il via ad attività produttrici, cioè di fare
investimenti (domanda
autonoma) e quindi creare anche potere d’acquisto (domanda indotta) per
le masse
popolari, vale a dire la classe dei capitalisti, si guarda bene dal
farlo
perché per sua natura ogni capitalista lo farebbe solo se da
quelle attività
produttrici ritenesse di ricavare un profitto adeguato al capitale che
impiega.
Mentre il processo in corso promette tutto il contrario.
In questa
situazione, le Autorità pubbliche non possono fare niente di
risolutivo se sono al servizio dei capitalisti e ne rispettano la
proprietà,
gli interessi e la volontà. Infatti le Autorità pubbliche
al servizio dei
capitalisti possono usare il loro potere per rendere redditizie le
attività
produttrici delle imprese capitaliste fondamentalmente attraverso tre
meccanismi o una combinazione di essi:
1. finanziando
direttamente con pubblico denaro le imprese capitaliste;
2. sostenendo
con pubblico denaro il potere d’acquisto dei clienti
potenziali delle imprese capitaliste;
3. appaltando
alle imprese capitaliste lavori pubblici.
Ma le Pubbliche
autorità incappano immediatamente in due ordini di
difficoltà.
1. Le
Autorità per ognuna delle tre misure indicate devono disporre di
denaro. Dove lo possono prendere? Essendo al servizio dei capitalisti e
rispettose dei loro interessi, non possono confiscare il denaro dei
capitalisti
e degli altri ricchi.
Non possono
più di tanto ricorrere all’aumento delle imposte sui
lavoratori. Diminuirebbero ulteriormente il loro potere d’acquisto
già in calo.
Quindi ridurrebbero la domanda di merci: cosa compatibile con la
ripresa solo
se contemporaneamente puntano sulla conquista di mercati esteri per le
imprese
capitaliste del paese (“il nostro posto al sole”). Mussolini e ancora
più
marcatamente Hitler dopo il ’33 fecero qualcosa di analogo: ridussero
drasticamente la domanda dei proletari (nel loro caso riducendo i
salari)
nell’ambito di una politica di espansione all’estero.
Non possono
creare denaro d’autorità. Il sistema monetario segue leggi
sue proprie, corrispondenti alla natura del sistema imperialista. Se le
Autorità creassero denaro d’autorità e arbitrariamente, i
prezzi aumenterebbero,
il denaro perderebbe valore e sarebbero lesi gli interessi di tutti i
proprietari di denaro. Sarebbe come confiscare una parte del loro
denaro ai
ricchi e ai risparmiatori. Essendo devote e rispettose degli interessi
dei
capitalisti, le Autorità pubbliche devono attenersi alle
procedure del mercato
monetario e finanziario. Devono quindi prendere a prestito il denaro di
cui
hanno bisogno, in un momento in cui le banche non solo non prestano, ma
sono
esse stesse alla ricerca di denaro perché ognuna di esse ha in
mano titoli che
non riesce a vendere e trasformare in denaro (“titoli tossici”, “titoli
spazzatura”). Infatti chiedono soldi allo Stato per non fallire e per
non
negare il denaro depositato sui conti correnti presso di loro (molti
governi
hanno garantito i depositi, per evitare la ressa a ritirare dai
depositi denaro
contante di cui le banche non dispongono comunque in misura
sufficiente). Si
sta quindi creando un processo per cui le banche centrali fanno crediti
a
interesse zero o quasi alle banche e alle istituzioni finanziarie (per
non
lasciarle fallire né diventare insolventi), mentre queste
dovrebbero prestare
denaro allo Stato. Essendo a corto di liquidità, lo fanno solo
con alti
interessi e pingui commissioni. Per tenere in piedi una stentata
attività
economica delle imprese produttrici di merci, lo Stato si indebita
sempre più
verso banche e istituzioni finanziarie, cioè verso i capitalisti
che ne sono
proprietari. Finché c’è fiducia che lo Stato mantenga il
suo impegno di pagare
interessi e restituire i debiti, i titoli del debito pubblico diventano
l’unico
investimento finanziario sicuro per una crescente massa di denaro che
viene
disinvestito negli altri settori.
2. In ogni paese
le Autorità sono interessate a mantenere in vita le
attività produttrici svolte nel paese, non quelle svolte in
qualche altro
paese.
Se le
Autorità finanziano direttamente le aziende capitaliste, devono
obbligare le società (che hanno già delocalizzato
all’estero tanto o poco delle
loro attività) a non usare il denaro per attività
all’estero né per compensare
“titoli tossici” invendibili del loro comparto finanziario (tutte le
grandi e
medie aziende hanno un settore finanziario che partecipava alle
attività
speculative e si trovano ad avere impegnato il loro capitale circolante
in
titoli non più vendibili).
Se le
Autorità sostengono direttamente il potere d’acquisto dei
clienti
potenziali, dovrebbero fare in modo che acquistino solo merci prodotte
nel
paese (che non acquistino merci d’importazione): quindi ogni Stato deve
in un
modo o nell’altro chiudere le frontiere alle importazioni.
Se le
Autorità appaltano lavori pubblici devono riservare l’appalto a
imprese nazionali e vincolarle ad assumere manodopera locale e a
rifornirsi
presso imprese nazionali.
Insomma in ogni
caso si tratta di misure che contrastano con la libera
circolazione internazionale dei capitali, delle merci e della
manodopera (la
globalizzazione) e che mettono un paese (la sua popolazione e le sue
Autorità)
contro l’altro.
In sostanza, per
far fronte alla crisi ogni Stato ligio ai capitalisti
cerca di chiudere le proprie frontiere alle imprese straniere e di
forzare
altri Stati ad aprire le loro. Quindi tutti i mezzi di pressione
vengono messi
in opera. La competizione tra Stati e il protezionismo dilagano. I
più forti
fanno valere la loro forza e i più deboli devono proteggersi.
Malgrado le
fosche conseguenze indicate, le misure messe in opera dagli
Stati capitalisti per rianimare le attività produttrici di
merci, finché
restano in campo economico non danno il risultato necessario e
dichiarato o
sperato. Perché la malattia del sistema capitalista è che
nel mondo si è
accumulato troppo capitale, che per sua natura deve essere valorizzato.
I
capitalisti sono la personificazione di questa necessità. La
società non può
più funzionare alla vecchia maniera borghese.
La sinistra
borghese e le persone succubi della sua illusoria concezione
della realtà invocano la ripartizione della ricchezza. È
certamente possibile
indurre i capitalisti e le Autorità pubbliche e in generale i
ricchi a mettere
più danaro nelle mani dei lavoratori e delle masse popolari in
generale. Basta
incutere loro una salutare paura che altrimenti perderanno tutto, che
vi
saranno disordini, che le loro proprietà, le loro persone e le
loro abitudini
(la loro vita) saranno minacciate (conflitti sociali, disordini
sociali). Ma
questo certamente non li indurrà a rimettere in moto le loro
imprese né a
crearne di nuove. L’attività economica della società
ricomincerà a funzionare
su larga scala e a tempo indeterminato solo se essa e i mezzi
corrispondenti a
farla funzionare saranno tolti dalle mani dei capitalisti e presi in
mano e
rimessi in moto dai lavoratori stessi organizzati e da Autorità
pubbliche che
incarnino i loro stessi interessi. In sostanza occorre instaurare il
socialismo.
In ogni paese
questa è una via d’uscita possibile e realistica dal vicolo
cieco della situazione attuale. Essa implica paese per paese il
potenziamento e
la generalizzazione dell’organizzazione tra i lavoratori e tra le masse
popolari e che le loro organizzazioni assumano ad ogni livello compiti
di
governo. In ogni paese essa ha i suoi fautori più o meno
determinati nei
comunisti, nei gruppi politici progressisti, nei lavoratori più
avanzati e può
avere l’appoggio dei borghesi sinceramente democratici. In definitiva
questa
via implica la rinascita del movimento comunista.
Esiste
però in ogni paese anche un’altra via. Essa consiste nella
mobilitazione della popolazione agli ordini dei gruppi politici
borghesi più
intraprendenti, più feroci, più cinici e più
decisi, per conquistare mercati e
campi di investimento ai “propri” capitalisti a spese di altri. Anche
per
questa via esistono in ogni paese le premesse politiche e culturali e i
gruppi
politici che aspirano a perseguirla. Questa è una prospettiva
allettante per i
capitalisti, il clero e i ricchi in generale.
Paese per paese,
queste sono le sole due vie d’uscita dal vicolo cieco
dell’attuale situazione che stanno davanti alle masse popolari.
Le due vie sono
entrambi possibili. La nostra via, l’instaurazione del
socialismo, è possibile, ma comporta di farla finita con i
capitalisti e quanti
li sostengono. L’altra via è egualmente possibile, ma comporta
che ogni Stato
cerchi di imporsi agli altri, cerchi di aprire i mercati esteri alle
proprie
imprese e di chiudere il proprio alle imprese straniere, comporta la
guerra
interimperialista per appropriarsi di mercati e di campi di
investimento per i
“propri” capitalisti.
Dalla prima
crisi generale del capitalismo (1900 - 1945) l’umanità non
è
uscita con le riforme economiche keynesiane o con il New Deal di
Roosevelt come
sostengo tanti illusi e vari imbonitori. È uscita con la prima
ondata della
rivoluzione proletaria e con due Guerre Mondiali. Le idee di una via
d’uscita
pacifica guidata dalla borghesia dal vicolo cieco in cui la borghesia
stessa ci
ha cacciato sono illusioni. Bisognerà in ogni modo combattere.
Questo è il
futuro che ci sta di fronte. A noi comunisti spetta il compito di far
trionfare
la via dell’instaurazione del socialismo.
Umberto C.
Note
1. In ogni paese
capitalista la domanda di merci (beni e servizi) è in
primo luogo costituita dalla domanda dei capitalisti per investimenti
(edifici
e mezzi di produzione, materie prime, semilavorati, servizi alle
imprese) o per
consumi, dalla domanda delle altre classi dominanti (clero e ricchi in
genere),
dalla domanda della Pubblica Amministrazione. Queste tre sono le
componenti
della domanda autonoma, cioè fatta da persone o enti che possono
decidere di loro
iniziativa se e quanto spendere, perché normalmente, per la loro
posizione
nella società, dispongono di denaro e di credito.
In secondo luogo
è costituita dalla domanda dei proletari e delle altre
classi delle masse popolari. Questa è per lo più una
domanda indotta, nel senso
che gran parte dei proletari e molti lavoratori autonomi spendono tutto
il
denaro che riescono ad avere, al netto di imposte e spese fisse, come
salario,
come sussidio o come reddito da lavoro autonomo. Quindi l’ammontare
della loro
domanda è pari al reddito netto che riescono a procurarsi dai
padroni, dalla
pubblica amministrazione o dalle loro attività di lavoro
autonomo. La
differenza tra, da una parte, il monte salari e la massa dei sussidi e
dei
redditi dei lavoratori autonomi e, dall’altra, la domanda complessiva
delle
masse popolari, resta il margine incerto del risparmio e del credito:
quanto i
proletari meglio pagati e i lavoratori autonomi a cui le cose vanno
meglio
accantonano in vista di spese future, quanto spendono dei risparmi
già
accantonati, quanto ottengono dai banchieri come credito, quanto devono
consegnare ai banchieri (interessi e ammortamenti) per crediti
già contratti
nel passato.
2. La crisi
ambientale è un tipico esempio di trasformazione della
quantità in qualità. La quantità delle iniziative
umane e la quantità degli
uomini stessi, che il capitalismo per sua natura ha accresciuto e
accresce
illimitatamente, e la quantità degli effetti che ne derivano,
hanno creato una
diversa qualità del rapporto tra la specie umana e il resto
della natura. Gli
uomini devono gestire questo rapporto in modo diverso da come
l’umanità lo ha
gestito nella sua storia millenaria, durante la quale la sua opera
incideva in
modo meno rilevante sul resto della natura. Se persistesse a non farlo,
la
conseguenza sarebbe la distruzione delle condizioni di vita della
stessa specie
umana. Gli interessi privati e i conflitti tra essi, connaturati al
capitalismo, impediscono di realizzare la trasformazione necessaria e
di usare
i mezzi intellettuali e materiali, scientifici e tecnici, di cui
l’umanità
dispone per trattare la contraddizione tra essa stessa e il resto della
natura.
In breve, l’umanità ha tutti i mezzi per gestire proficuamente
il rapporto tra
sé e il resto della natura, ma per metterli in opera deve
cambiare il suo
ordinamento sociale.
3. Una
conseguenza grandiosa di questa nuova ondata di colonizzazione fu
l’avvio dell’emigrazione in massa della popolazione dalle campagne:
dapprima
nelle città dei propri paesi e poi nei paesi imperialisti.
L’invadenza dei
capitali distruggeva per varie vie l’economia agricola primitiva, in
larga
misura di autosussistenza, a cui era ancora dedita la maggioranza della
popolazione. Questa allora si riversava nelle città e poi
nell’emigrazione in cerca
di una vita migliore o semplicemente per sopravvivere. Le
attività economiche
(agricole, industriali, finanziarie, nella pubblica amministrazione,
ecc.) che
il capitale creava, richiedevano una manodopera decisamente inferiore a
quella
che veniva privata delle proprie primitive e tradizionali fonti di
sussistenza,
mentre le trasformazioni indotte dallo stesso capitale facevano
sì che la
crescita di questa manodopera fosse superiore all’eccidio che quelle
stesse
trasformazioni provocavano.
Negli ultimi 30
anni il capitale ha prodotto e sta ancora producendo in
larghe parti del mondo uno sconvolgimento demografico e geografico
analogo a
quello che ha prodotto nei primi paesi capitalisti europei (la Gran
Bretagna,
la Francia, la Germania, l’Italia, ecc.) nel corso del suo
impiantamento tra il
XVIII e il XX secolo. Allora da una parte la popolazione cresceva per
effetto
delle forme superiori di civiltà che il capitalismo comportava,
dall’altra lo
stesso sistema capitalista rendeva superflue milioni di persone:
distruggeva la
loro tradizionale forma di sussistenza senza offrire loro in cambio un
posto di
lavoro salariato nel nuovo sistema produttivo. Allora “gli esuberi” dei
primi
paesi capitalisti furono scaricati nelle Americhe, in Australia, in
Algeria e in
altre colonie di popolamento o di sfruttamento.
Nei paesi che il
capitale sta assumendo in questi anni come estensione
del suo campo di attività (dalla Cina, all’India, al resto
dell’Asia,
all’Africa, a parte dell’America Latina, alla Russia e agli altri paesi
ex-socialisti d’Europa), il capitale rende superflui alcuni miliardi di
uomini
e donne, circa la metà della popolazione mondiale attuale (per
maggiori
dettagli in proposito vedasi lo scritto Mao is Back (Mao
è di ritorno)
di Samir Amin in Maoist Revolution 24 dicembre 2008
(http://www.groups.yahoo.com/group/MAOIST_REVOLUTION). La perpetuazione
del
modo di produzione capitalista comporterebbe che venissero in un modo o
nell’altro eliminati. Con la guerra di sterminio non dichiarata che la
borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo
del
mondo, essa persegue di fatto questo obiettivo.
4. Per alcuni
anni il potere economico dei gruppi imperialisti giapponesi
crebbe tanto che essi sembrarono sul punto di togliere ai gruppi
imperialisti
USA il dominio dell’economia mondiale. Mancava tuttavia ad essi la
forza
politica e militare per sostenere questo corso delle cose. I gruppi
imperialisti USA si sollevarono dalla sconfitta subita in Vietnam e
ripresero
in mano la direzione dell’economia capitalista mondiale che i gruppi
imperialisti giapponesi contendevano loro. Da allora il Giappone non si
è
ancora sollevato compiutamente dalla crisi in cui è caduto, pur
restando la
seconda economia mondiale e uno dei paesi maggiori esportatori di merci
e di
capitali.
5. Le
attività finanziarie consistono sostanzialmente nella
trasformazione della proprietà delle aziende produttive di merci
e dei prestiti
di denaro ad aziende o alla pubblica amministrazione in titoli (azioni,
obbligazioni, ecc.) che vengono correntemente comperati e venduti.
Nell’epoca
di cui parliamo, la finanziarizzazione dell’economia è
consistita
sostanzialmente nella combinazione di tre processi: 1. il crescente
potere
politico ed economico dei gruppi finanziari della borghesia, 2.
l’espansione su
grande scala delle attività e dei servizi finanziari (creazione
e commercio di
nuovi strumenti finanziari (titoli derivati, ecc.), organizzazione e
finanziamento delle acquisizioni di società, assicurazioni
contro i rischi,
ecc.), 3. l’allontanamento crescente dell’attività finanziaria
dalla produzione
di merci con la creazione e commercializzazione di titoli di
proprietà e dei
prestiti di società a loro volta proprietarie di titoli di
proprietà e di
prestiti e così via, con catene che si allungano prima di
arrivare ai titoli di
proprietà di aziende produttrici di merci.
6. La
caratteristica delle attività speculative è di far leva
sulle
plusvalenze realizzate nella compravendita di titoli finanziari
anziché
direttamente sui profitti estorti ai lavoratori impiegati in
attività
produttrici di merci.
7. Ogni
delocalizzazione e ogni esternalizzazione danno origine non solo
alla distruzione dei vecchi impianti, ma anche a nuovi investimenti e
quindi a
una domanda di beni e di servizi.
8. Tra il
gennaio 2001 e il giugno 2003 la Banca Centrale USA (FED)
ridusse il tasso di sconto dal 6.5% al 1%. Su questa base le banche
concedevano
prestiti per costruire o acquistare case con ipoteca sulle case (senza
bisogno
di disporre già di una certa somma né di avere un reddito
a garanzia del
credito). I tassi di interessi calanti garantivano la crescita del
prezzo delle
case. Ad esempio a chi investiva denaro comperando case da affittare,
il prezzo
delle case era conveniente finché la rata (interesse più
ammortamento) da
pagare per il prestito contratto per comperarle restava inferiore
all’affitto.
Il prezzo a cui era possibile vendere le case quindi saliva man mano
che
diminuiva il tasso d’interesse, a sua volta legato al tasso di sconto
praticato
dalla FED. La crescita del prezzo corrente delle case non solo copriva
le
ipoteche, ma consentiva di coprire nuovi prestiti. Per alcuni anni il
potere
d’acquisto della popolazione USA venne così gonfiato con
l’indebitamento
garantito dalle case.
Manchette
8 Marzo
Giornata
internazionale delle donne!
La mobilitazione
delle donne delle masse popolari nel lavoro di rinascita
del movimento comunista è una questione decisiva per la vittoria
della
rivoluzione socialista. La lotta delle donne per l’emancipazione dalla
oppressione e discriminazione di genere trova nella lotta per il
socialismo il
terreno più avanzato.
Donne proletarie: organizzatevi e lottate!
Prendete in mano
il vostro destino contribuendo a formare un governo di
emergenza, un governo di Blocco Popolare, con cui far fronte alla crisi
in cui
la borghesia ci ha cacciato!
Non pagheremo noi la crisi della borghesia!
Donne
proletarie: unitevi nel (nuovo)Partito comunista italiano e lottate da
comuniste contro il regime borghese, clericale e oscurantista
capeggiato dalla
banda Berlusconi, dai fascisti e dal Vaticano!
Unitevi a noi
nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!
Partecipate alla
preparazione della
Conferenza Mondiale delle Donne di Base, programmata per l’8
marzo 2011
a Caracas (Venezuela), in occasione del centenario della Giornata
internazionale delle Donne!
Partecipate alle
numerose
iniziative che si terranno nel nostro paese!
1° Maggio
Giornata
internazionale dei lavoratori!
I borghesi, i
capitalisti e gli speculatori ci affondano in un marasma
generato dal loro ordinamento sociale in crisi: buttiamoli a mare! Non
pagheremo noi la crisi del sistema capitalista!
Le
organizzazioni operaie e popolari devono coalizzarsi, prendere in mano
il governo del paese, assegnare ad ogni azienda compiti produttivi
precisi
secondo un piano nazionale, organizzare la distribuzione di beni e
servizi alle
aziende, alle famiglie e agli impieghi collettivi, instaurare la
collaborazione
con i paesi le cui autorità saranno disponibili!
Nessuna azienda
deve essere chiusa, nessun lavoratore deve essere
licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile, ad ogni individuo una vita
dignitosa!
Operai,
lavoratori: prendete in mano il vostro destino, organizzatevi per
costruire un governo di emergenza, un governo di Blocco Popolare che
faccia
fronte subito almeno agli effetti peggiori della crisi. Questa è
la via per
instaurare una società diretta dai lavoratori che soddisfi i
bisogni materiali
e spirituali di tutte le masse popolari: il socialismo!
Operai,
lavoratori: unitevi nel (nuovo)Partito comunista italiano e
lottate da comunisti per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!