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Usare la forza del collettivo per diventare comunisti

 

La lotta di classe è un processo che trasforma continuamente le condizioni oggettive e soggettive delle classi e il rapporto tra le classi. Noi comunisti dobbiamo continuamente trasformarci per essere in grado di trattare le contraddizioni proprie della fase in corso ed essere così all’altezza dei nostri compiti. Il processo della nostra trasformazione è quindi una continua lotta per il superamento dei limiti che ci impediscono di essere all’altezza dei nostri compiti. Vedremo che per alcuni problemi, come quello trattato in questo articolo, la coscienza di questi limiti e della necessità del loro superamento è già gran parte di quello che occorre fare per trasformarci e superarli.

 

A tre anni e mezzo dagli arresti che il nostro Partito ha subito il 26 maggio 2005, possiamo orgogliosamente dire che abbiamo incassato bene il colpo, mantenuto la continuità del lavoro del Partito, volto a nostro vantaggio l’attacco che la borghesia ci aveva sferrato, raccolto nuove forze per la causa, conquistato una grande vittoria con l’archiviazione del 1° luglio ’08 dell’Ottavo Procedimento Giudiziario (il ricorso in Cassazione presentato dal PM Giovagnoli non inficia il nostro successo), esteso la nostra influenza nel movimento comunista e tra gli elementi avanzati della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari e rafforzato il Centro del Partito migliorando in qualità e in quantità il suo lavoro.

Probabilmente molti di noi allora non immaginavano una così buona tenuta e l’avanzamento che abbiamo impresso al Partito nel corso della lotta contro la repressione. Ma rileggendo il Comunicato CP 27 agosto 2005: Trasformare ogni sconfitta in vittoria. Avanziamo nel consolidare e rafforzare il Partito! è evidente che le premesse ideologiche per questo successo c’erano tutte. A dimostrazione che, una volta definita una linea giusta, bisogna osare: non essere avventuristi, ma osare!

La base del nostro avanzamento sono le masse popolari. Una linea giusta che tiene conto delle risorse inesauribili delle masse popolari, e in particolare della forza propulsiva degli elementi avanzati tra di esse, prima o poi porta le nostre battaglie al successo: bisogna combattere con determinazione! Non con fiducia cieca, ma con la convinzione che si può imparare anche dagli errori e che imparando se ne faranno sempre meno. Dal bilancio di questa lotta contro la repressione e per la tenuta e il consolidamento e rafforzamento del Partito, ogni comunista può trarre insegnamenti ed entusiasmo per avanzare ancora.

Questo articolo è scritto per tutti quei compagni che, spesso o di tanto in tanto, hanno a che fare con resistenze, titubanze, incertezze proprie, dei compagni che sono chiamati a dirigere e dei compagni che lavorano al loro fianco. Il bersaglio di questo articolo sono i limiti di cui non ci siamo ancora liberati e gli errori che ancora commettiamo. La freccia che lanciamo contro il bersaglio è la giusta concezione della rivoluzione socialista come processo di trasformazione del mondo e dell’uomo che lo trasforma, quindi in primo luogo di noi comunisti: “Per sua natura la rivoluzione socialista è opera delle masse popolari e in particolare della classe operaia. I suoi protagonisti principali sono gli organismi in cui gli individui si associano liberamente e collaborano consapevolmente a un’attività comune per conseguire obiettivi comunemente definiti. Il nuovo ordinamento sociale che dobbiamo instaurare è lo sviluppo qualitativamente nuovo dell’iniziativa individuale degli uomini e delle donne. Per la prima volta nella storia del genere umano, ogni individuo diventa interamente protagonista della vita sociale, mentre anche i più avanzati ordinamenti sociali finora esistiti, finanche il più democratico e ricco paese borghese, hanno di fatto escluso dall’iniziativa sociale gran parte degli uomini e delle donne, le masse popolari dei paesi imperialisti e i popoli oppressi, rendendoli compartecipi della loro storia solo come forza lavoro e massa di manovra. Questo aspetto della natura della rivoluzione socialista e della futura società comunista si riflette oggi nella natura e nel funzionamento del Partito comunista. Da qui l’importanza determinante e il carattere particolare dell’iniziativa e della creatività richieste a ogni singolo compagno e organismo e le condizioni che rendono efficace e indispensabile l’attività di ogni individuo al fine di determinare un evento che trascende l’attività e la forza individuale di ognuno di noi.” (dal Comunicato CP 27 agosto 2005).

 

Il marasma in cui la borghesia ci infogna ogni giorno di più, è un insieme di condizioni materiali e spirituali che abbrutiscono le masse popolari o, se non impediscono assolutamente, per lo meno ostacolano lo sviluppo dei migliori, più avanzati slanci. La borghesia ha bisogno di infognarci in questo marasma per accrescere la sua influenza e il suo sfruttamento e anche solo per protrarre, conservare, mantenere il suo ordinamento. Tra le masse popolari si respira sfiducia, scoraggiamento, rassegnazione, individualismo, incapacità di progettare la propria vita, di “dare un senso” alla propria esistenza (fissarsi obiettivi e compiti), deviazione verso “paradisi” artificiali (non solo droga, ma anche evasione culturale e religione) che allontanano dalla realtà, che rendono le masse popolari meno capaci di comprenderla e quindi di trasformarla. A fronte di questo abbrutimento c’è anche la reazione opposta, di resistenza positiva al procedere della crisi dell’ordinamento sociale borghese. Qui analizziamo però gli aspetti negativi e, in particolare, l’effetto che essi hanno su noi comunisti e indichiamo come superarlo.

Noi comunisti non viviamo su un altro pianeta. Abbiamo gli strumenti adatti a capire perché la condizione sociale è quella che è e per farvi fronte ricavando da essa (dal movimento pratico della lotta di classe) quanto necessario per superarla. Ma non viviamo su un altro pianeta. Siamo immersi nello stesso clima, respiriamo l’aria che respirano le masse popolari. Viviamo le stesse difficoltà materiali e di incertezza del futuro che vivono le masse, anche se in misura diversa, perché la nostra concezione e la nostra unità nel Partito ci rendono più forti. Infatti noi comunisti ci distinguiamo dal resto delle masse popolari, perché ognuno di noi ha dato un obiettivo alla sua vita. A noi non manca una causa per cui vale la pena vivere, una fonte di soddisfazioni che invece la maggior parte delle masse popolari non trova o perde per strada. Tuttavia siamo ugualmente immersi nei miasmi della putrefazione di questo sistema.

Il clima sociale ha un peso anche nelle nostre file, nel lavoro di Partito. In cosa si manifesta tutto ciò?

Una delle sue manifestazioni è il liberalismo che in buona misura esiste anche nelle nostre file. Il liberalismo è uno dei limiti che dobbiamo trattare e superare.

 

È importante mettere in luce i limiti che ancora non abbiamo superato. È vero che metterli in luce genera in una certa misura sfiducia, scoraggiamento, rassegnazione: lo stesso effetto che le storture dell’ordinamento sociale borghese generano su milioni e milioni di individui. Ma non metterli in luce ci impedisce di affrontarli e superarli e, alla lunga, questi limiti peggiorano e si moltiplicano. Generano, anche se non li si vuole vedere, una sfiducia, uno scoraggiamento e una rassegnazione ancora peggiori. Fino all’abbandono definitivo della militanza. Quindi coraggio! Analizziamo i nostri limiti con la certezza che una giusta concezione di essi e l’individuazione di una strada per superarli ci farà “stare meglio” fin da subito.

Non tutti i compagni lavorano con convinzione, entusiasmo, attivamente (cioè non solo eseguendo, ma anche proponendo, contribuendo all’elaborazione teorica, alla costruzione dei piani, alla scoperta di nuovi metodi di lavoro, ecc.), dedicando l’attenzione e la cura necessarie alla pianificazione, all’esecuzione e al bilancio di ogni attività, lavorando con disciplina, curando i dettagli con una visione d’insieme. Questo si verifica ad ogni livello: nella base più che nella direzione, ma anche la direzione non è esente da questi stessi limiti. Alcuni compagni non si impegnano a sufficienza (cioè rispetto a quanto le condizioni materiali permetterebbero loro) in alcune attività: la diffusione del materiale di propaganda, la stesura di profili e di rapporti, la partecipazione puntuale e regolare alle iniziative, la puntualità e la partecipazione attiva nelle riunioni, la partecipazione regolare e l’ordine nelle manifestazioni, l’esecuzione di alcuni compiti, ecc. Sono ancora pochi i compagni che studiano con impegno e regolarmente.

Da dove viene tutto questo?

1. È un problema di concezione del mondo e, in particolare, di concezione del ruolo che i comunisti svolgono per la sua trasformazione?

2. È un problema di comprensione dell’importanza del lavoro che il Partito indica di fare?

3. È un problema di ignoranza dei metodi di lavoro adeguati ad ottenere risultati positivi (lavorare a lungo senza successo scoraggia anche il compagno più convinto)?

In una certa misura i nostri limiti dipendono anche da questi fattori, da una combinazione di essi. Ma quanto più il compagno è un militante di lunga data, tanto più ha avuto modo di usare e partecipare all’elaborazione del Partito e alla sua scuola di formazione per capire e assimilare una giusta concezione del mondo (il marxismo-leninismo-maoismo), per capire l’importanza dei vari lavori che il Partito indica come necessari, per sperimentare e comprendere i suoi metodi di lavoro. Quindi, in linea di massima, i limiti sopra indicati (passività, superficialità e confusione, indisciplina) tanto meno dipendono dalla concezione e dall’assimilazione teorica quanto maggiore è l’anzianità della militanza.

Ma quei limiti si presentano trasversalmente all’anzianità della militanza: si riducono al crescere di essa, ma esistono anche tra i più “anziani”. Essi sono la manifestazione della sfiducia nella nostra causa: non siamo abbastanza convinti che instaurare il socialismo nel corso della crisi attuale è possibile, che la vittoria non dipende dagli eventi, ma dipende principalmente dall’attività del nostro Partito, che ognuno di noi è in grado di contribuire al successo del nostro Partito.

A diversi gradi e in forme diverse a seconda dei livelli nel Partito, quei limiti sono il frutto dell’influenza borghese sui di noi. Il nostro grado di autonomia ideologica, politica e organizzativa dalla borghesia ci salvaguarda da molte deviazioni, ma non è assoluto, non ci rende completamente immuni.

Essendo il nostro un Partito di proletari, se non siamo tanto vicini alla borghesia da subirne direttamente l’influenza, siamo però molto vicini alle masse e respiriamo lo stesso clima. L’influenza della borghesia sulle masse popolari contagia anche noi comunisti. Tanto meno quanto più alto è il grado di autonomia ideologica, politica e organizzativa che abbiamo raggiunto, ma in una qualche misura anche noi comunisti siamo contagiati. Il clima di sfiducia, di scoraggiamento e di rassegnazione che oggi vivono le masse è una delle cause principali che rende arduo il nostro lavoro, difficili i successi, piccoli i risultati.

Ad alimentare questo clima di sfiducia contribuiscono in modo significativo i revisionisti e la sinistra borghese. In modo tanto più efficace quanto più essi mantengono ancora una diffusa (anche se in forte calo) influenza sulle masse popolari e sulla classe operaia. E per questo sono tanto più nocivi! La loro propaganda contro il socialismo va dall’idea del socialismo come “futuro impossibile” alla denigrazione e diffamazione dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (“errori ed orrori del comunismo”); arriva alla repressione del movimento comunista e dei comunisti nelle file dei sindacati di regime e dei partiti della sinistra borghese, alla collaborazione con la polizia politica. La loro opera è a tutto sostegno della borghesia imperialista e contro le masse popolari, alimenta la sfiducia, la demoralizzazione e la rassegnazione anche attraverso la mobilitazione delle masse su obiettivi che mettono insieme gli interessi delle masse popolari e quelli dei capitalisti: quindi impossibili. Certo che poi le masse rispondono sempre più di rado e sempre meno convinte agli appelli di questi imbroglioni!

Noi non crediamo ai revisionisti e alla borghesia di sinistra, non ci facciamo incantare dalle loro balle. Dobbiamo combatterli e li combattiamo. Ma non sfuggiamo per questo automaticamente all’effetto che ha su di noi la demoralizzazione che essi generano tra le masse.

A dimostrazione dell’effetto che il clima respirato dalle masse ha su di noi, pensiamo alle situazioni in cui la classe operaia, i lavoratori e le masse popolari sono attive, lottano, occupano cioè la propria vita in un’attività che contrasta lo stato d’animo in cui la borghesia le infogna: in questo “stato di agitazione”, in questo clima di fiducia e di entusiasmo delle masse popolari, anche il nostro lavoro produce risultati migliori e noi stessi siamo incoraggiati a procedere con più determinazione.

Ma queste situazioni sono ancora sporadiche. In molte occasioni è ancora difficile vendere la nostra stampa, coinvolgere attivamente nelle iniziative, reclutare, far partecipare con impegno, ordine ed efficacia le masse alle attività del movimento comunista, ecc. Inoltre ci sono compagni che fanno un lavoro di seconda linea, che svolgono cioè principalmente (ed è giusto e necessario che svolgano principalmente) compiti che li pongono raramente in situazioni da cui trarre entusiasmo dall’attivismo delle masse: compagni che devono passare molto del loro tempo a produrre materiale di propaganda, a curare la corrispondenza, a fare ricerche, ecc. Un esempio per tutti è quello dei compagni che lavorano in clandestinità, in una condizione di relativo isolamento, che non possono partecipare personalmente a manifestazioni, ad agitazioni, a mobilitazioni.

Il clima di sfiducia, di scoraggiamento e di rassegnazione oggi presente tra le masse popolari, probabilmente crescerà fino a quando la rinascita del movimento comunista non avrà raggiunto un certo livello. Perché l’abbrutimento a cui la crisi dell’ordinamento borghese costringe le masse popolari, crescerà al procedere della crisi stessa. Vero è che al procedere della crisi si sviluppa in misura sempre più ampia anche la resistenza delle masse popolari, ma tale resistenza ha aspetti positivi e negativi: va dalla tendenza ad unire le forze e sviluppare l’organizzazione, alla tendenza all’individualismo e alla distruzione. Solo nella misura in cui il movimento comunista fa leva sugli aspetti positivi e contrasta quelli negativi, si inverte la tendenza all’abbrutimento. Finché il movimento comunista è debole, finché il nostro Partito ha un’influenza ancora limitata, la tendenza prevalente sarà quella negativa. È lo sviluppo della contraddizione tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse popolari: un movimento comunista debole non può trasformare la seconda nella prima fino a sopravanzarla, lo può fare solo in una certa misura e il Partito cresce e si rafforza nella misura in cui fa avanzare questa trasformazione. Ma la possibilità che prevalga la mobilitazione reazionaria nella fase attuale, cioè nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie (prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata), è ancora alta.

Per questo non otterremo, e sbaglieremmo se ci aspettassimo di ottenere, risultati quantitativamente significativi nella lotta per contrastare la sfiducia, lo scoraggiamento e la rassegnazione tra le masse popolari, fino a quando non avremo elevato a sufficienza il livello del Partito, cioè fino a quando almeno gran parte del Partito non avrà assimilato a sufficienza la giusta concezione del mondo (marxismo-leninismo-maoismo) e affinato il suo metodo di lavoro, da cui derivano la capacità dei dirigenti e degli elementi più avanzati del Partito di dare l’esempio a tutto il Partito quanto a dedizione alla causa, capacità di orientarsi ed orientare, disciplina. In sostanza otterremo risultati quantitativamente significativi solo quando avremo risolto in buona misura i tre problemi indicati prima. È la dialettica tra quantità e qualità.

 

Possiamo invece ottenere risultati decisivi nel combattere la sfiducia, lo scoraggiamento e la rassegnazione nelle nostre file. Dobbiamo assolutamente farlo, perché la sfiducia, lo scoraggiamento e la rassegnazione sono letali: generano in noi uno stile di lavoro liberale che rende inutili i nostri sforzi, ci impedisce di raggiungere i nostri obiettivi e di adempiere ai nostri compiti. Queste tendenze, se non contrastate adeguatamente, prima o poi portano al prevalere dell’individualismo e dell’opportunismo. Individualismo e opportunismo sono comportamenti conseguenti allo stato d’animo sfiduciato, scoraggiato e rassegnato. Di fronte ad un ambiente in cui prende piede lo stile di lavoro liberale, i compagni più fiduciosi, coraggiosi e combattivi si danno ancor più da fare per sopperire alle arretratezze e ai limiti degli altri compagni. Questi compagni più attivi sono un esempio e un punto di forza per tutto il Partito. Ma a lungo andare, se non sviluppano parallelamente nel Partito la lotta contro il liberalismo, anche i compagni più fiduciosi, coraggiosi e combattivi si sentono isolati, subiscono in modo amplificato la sproporzione tra gli sforzi fatti e i risultati ottenuti e finiscono per scoraggiarsi a loro volta. Si crea quindi una situazione in cui sfiducia, scoraggiamento e rassegnazione vengono “confermati dai fatti”: quindi la degenerazione delle nostre file. È un circolo vizioso! Cosa fare per romperlo?

Per il membro del Partito la lotta contro la sfiducia, lo scoraggiamento, la rassegnazione è un atto volontario, consapevole, così come lo è la stessa adesione al Partito. Ogni compagno deve anzitutto essere reso consapevole del circolo vizioso che ci insidia e deve essere deciso a romperlo. È un problema di idee e di sentimenti, intellettuale e morale. Ogni compagno deve alimentare in sé e negli altri compagni idee giuste, convinzione granitica, slancio ed entusiasmo. Non è però tra le masse popolari che egli principalmente troverà l’aria migliore per questo, perché le masse respirano i miasmi del regime in putrefazione. È nel Partito che ogni compagno può trovare l’aria adatta a combattere con più forza e determinazione. È nel Partito che ogni compagno deve impegnarsi al massimo per creare quel clima.

Dobbiamo combattere la sfiducia, lo scoraggiamento e la rassegnazione in primo luogo nelle nostre file, non nascondendo queste tendenze negative e le loro manifestazioni nello stile di lavoro liberale, per paura che mettendole in luce le si amplifica, ma comprendendo come si manifestano, da dove vengono e individuando i metodi più adatti a contrastarle.

Per contrastare adeguatamente le tendenze che generano questi comportamenti, non basta dichiarare in ogni occasione che bisogna avere fiducia, non scoraggiarsi e non rassegnarsi. Bisogna fare di più: cercare le ragioni che portano un compagno che milita in un Partito che avanza, che è un organismo sano, a subire tanto pesantemente il clima mefitico che la crisi del sistema borghese genera tra le masse, da lasciarsi andare ai comportamenti individualisti e opportunisti, in sostanza a cedere al liberalismo (vedi Mao Tse-tung, Contro il liberalismo in Opere vol. 5, Ed. Rapporti Sociali).

Come si può contrastare la sfiducia, lo scoraggiamento e la rassegnazione presenti anche nelle nostre file? Come si combatte il liberalismo?

 

1. Stanare le tendenze negative

Innanzitutto dobbiamo imparare a vedere la manifestazione delle tendenze negative nel particolare, nel lavoro concreto di ogni organismo e di ogni singolo compagno. È un aspetto del “vedere il generale nel particolare”, cioè “combinare il particolare col generale”.

Il compagno che non studia non dirà che studiare non è importante: dirà invece che ha tante cose da fare, che non riesce a trovare il tempo per studiare. Il compagno che arriva spesso in ritardo alle riunioni, non cercherà di elevare a linea politica l’indisciplina e l’anarchismo: troverà invece per ogni occasione la scusa specifica per giustificare il suo ritardo. Il compagno che non vende e non diffonde il materiale di propaganda del Partito, non sosterrà che la propaganda non serve: affermerà invece che, come per lo studio, non riesce ad incastrare questo lavoro insieme agli “innumerevoli” altri. Il compagno che non fa rapporti o che fa rapporti incompleti, non chiari, non adatti a far comprendere a chi li legge ciò che è realmente accaduto o cosa l’estensore pensa, non affermerà che fare rapporti è inutile o che il pressappochismo è una buona cosa: sosterrà invece che quello è il livello a cui può arrivare, che per fare un rapporto fatto bene ci vuole tempo e condizioni ambientali adeguate, che non ha tempo e non trova le condizioni. Il compagno che nelle manifestazioni se ne va in giro per il corteo, pur non avendo ricevuto questo specifico incarico, invece di contribuire a formare con gli altri compagni del suo Partito un blocco ordinato, compatto, che mostra alle masse popolari la capacità organizzativa e la disciplina di cui loro stesse hanno bisogno, non sosterrà la “formazione in ordine sparso” come metodo per partecipare alle manifestazioni: dirà invece che doveva discutere con questo e con quello, che bisogna curare i rapporti con le masse (proprio in occasione di quella manifestazione e per tutta la sua durata!), ecc. Il compagno che non versa regolarmente la sua quota o che non lavora per raccogliere sottoscrizioni, non sosterrà che i comunisti devono essere poveri, come le masse di cui vogliono assumere la direzione: affermerà invece che né lui né le masse attorno a lui hanno abbastanza denaro. I compagni che non fanno critiche giuste e necessarie ai compagni che sbagliano, non sosterranno che è sbagliato il metodo della critica, ma diranno che chi viene criticato poi si abbatte e fa ancora peggio.

Ognuno di noi può proseguire nell’elenco individuando in se stesso e negli altri compagni vari casi di questo genere.

In un Partito che ha elaborato una teoria e principi organizzativi giusti, riconosciuti tali da tutti i suoi membri, le tendenze negative non si manifestano direttamente, esplicitamente. Si manifestano invece come limiti nell’attività dei quali diamo una spiegazione ragionevole: adeguata quando si tratta di casi isolati, sporadici, ma insostenibile nel lungo periodo. Per intenderci: posso arrivare tardi ad una riunione o due a causa di un imprevisto; ma se accade per la maggior parte delle riunioni o comunque spesso, vuol dire che, pur non ammettendolo, considero la disciplina, la puntualità, il rispetto dei compagni una cosa di secondo ordine, metto me stesso e i miei problemi personali al di sopra di quelli del mio collettivo o del Partito. In alcune occasioni posso non essere in grado di individuare la linea particolare più giusta (corrispondente alla linea generale indicata dal Partito) da applicare in una determinata attività, iniziativa o lotta; ma se questo accade frequentemente, ciò può essere solo la manifestazione della combinazione di alcuni fattori:

- non sono convinto che la linea generale è giusta,

- non ho compreso e assimilato la linea generale e la concezione che porta ad essa, ma non mi sono preoccupato di segnalare per tempo di non avere le idee chiare (in modo da permettere al Partito di formarmi),

- non ho fiducia nelle masse popolari, nella loro capacità di reagire positivamente quando un comunista, che si comporta da comunista, indica loro la strada giusta,

- non ho fiducia in me stesso e nella mia capacità di orientare le masse.

Questi fattori sono le fonti degli atteggiamenti e dei comportamenti negativi di cui stiamo parlando. Essi però non si manifestano apertamente. Per questo bisogna stanarli.

Ma perché un compagno che consapevolmente condivide il principio che la verità è rivoluzionaria, non mostra apertamente i propri limiti, permettendo al collettivo di cui fa parte, a tutto il Partito in generale, di affrontarli e superarli? Perché … respira la stessa aria che respirano le masse popolari!

Abbiamo detto che sfiducia, scoraggiamento e rassegnazione sono stati d’animo che generano individualismo e opportunismo e che questi concretamente si traducono nelle diverse forme di liberalismo. Anche prima che questi comportamenti siano prevalenti, essi “fanno capolino” in alcune occasioni. Nemmeno tra le masse popolari avviene spesso che un individuo sostiene che è giusto fregarsene degli altri (a certi livelli di abbrutimento avviene, ma in generale no). Ma appena può, questo individuo fa il proprio interesse anche se ciò va contro l’interesse della collettività di cui fa parte, degli altri individui del suo ambiente, degli altri membri della sua classe. Sono l’ordinamento capitalista e le concezioni borghesi che da esso derivano che spingono a questo comportamento. Quando non direttamente, come esplicita affermazione di una “necessaria” concezione dei rapporti umani guidati dalla legge della giungla, l’individualismo e l’opportunismo sono indotti dallo stato d’animo generato dal marasma della società borghese. Se non sostieni apertamente che essere opportunisti e individualisti è giusto, ma sei comunque spinto dalle condizioni sociali a comportarti in tal modo e non ci fai fronte con successo, devi mentire, devi nascondere dietro varie scuse la vera natura dei tuoi gesti.

Quindi i compagni sono falsi? Sì e no. In un certo senso lo sono, in un altro non lo sono. È un processo contraddittorio, è una lotta tra i due opposti che ogni compagno combatte: la lotta tra la volontà di affermare la verità riconoscendo apertamente che essa è rivoluzionaria, che è uno strumento fondamentale con cui le masse trasformano il mondo da una parte e dall’altra la condizione di abbrutimento, l’influenza della borghesia nelle nostre file, che spinge ogni individuo verso la falsità e l’imbroglio.

Il movimento comunista non è un movimento moralista, ma esso ha indubbiamente fatto raggiungere all’umanità un livello morale che la borghesia non sogna neanche. L’affermazione che la verità è rivoluzionaria non ha un effetto taumaturgico: dall’affermarlo ad essere realmente conseguenti all’affermazione ce ne passa. Affermarlo è un primo passo, è la premessa necessaria. Poi bisogna avviare un processo di CAT (Critica-Autocritica-Trasformazione) per diventare realmente conseguenti all’affermazione: imporsi sistematicamente un comportamento migliore, superiore (una morale superiore), finché diventa spontaneo, naturale (dalla coscienza della necessità a una libertà superiore).

Questo processo di CAT ha al suo centro il riconoscimento dei limiti come manifestazione dell’influenza della borghesia nel Partito e il loro superamento attraverso l’affermazione del collettivo sull’individuo.

E così arriviamo al secondo passo.

 

2. Riconoscere apertamente nel collettivo le tendenze negative proprie e degli altri compagni

Occorre condurre in profondità la lotta ideologica, analizzare i problemi fino alle estreme conseguenze, tenere sempre l’iniziativa in pugno, non aver paura di portare alla luce le contraddizioni, avere fiducia nei compagni e nella forza del collettivo. Così abbiamo detto nel comunicato citato. Giustissimo! In questo metodo sta la forza “speciale” del Partito comunista.

L’educazione borghese non insegna ai proletari a lottare apertamente contro i limiti e le tendenze negative propri e degli altri. Non insegna nemmeno a trattare collettivamente limiti e tendenze negative. Anzi: nella società borghese, quanto più un individuo riesce ad imbrogliare e a mostrarsi superiore agli altri, privo di limiti e di difetti, tanto meglio riesce a stare a galla nel mare della competizione a cui i rapporti sociali borghesi lo costringono, salvo poi rigettarlo nel fango non appena questi limiti emergono nonostante gli sforzi per nasconderli. Ciò vale in proporzione inversa ai soldi che un individuo ha in tasca! I ricchi comprano i mezzi per mostrarsi superiori, per imbrogliare, per ingannare, ma possono anche permettersi le scuole migliori e le formazioni più qualificate, campagne pubblicitarie, esperti di immagine e di marketing, ecc. I proletari si devono arrangiare sia per formarsi che per nascondersi.

Nella società borghese si respira falsità e opportunismo. Noi comunisti respiriamo anche questo e ciò ostacola (in misura diversa in base a quanto ognuno di noi riesce a distinguersi dalle masse popolari) la nostra capacità di trattare apertamente i limiti e le tendenze negative.

Ma noi comunisti, oltre a una coscienza più avanzata, abbiamo un’arma in più!

Ogni nostro compagno, ai diversi livelli, è immerso con maggiore o minore continuità in un collettivo. Non è un collettivo qualsiasi: è un collettivo di individui che riconoscono consapevolmente e apertamente una comune causa, che sono legati tra loro non principalmente da rapporti di amicizia, di parentela, di lavoro, di vicinanza, ecc., ma dalla volontà di lottare insieme per quella causa. Questo genere di collettivo, che complessivamente è il Partito comunista, ha una natura diversa da ogni altro collettivo esistente nella società borghese. Nella società borghese esistono collettivi delle masse popolari che hanno, l’uno o l’altro, alcune caratteristiche simili a quelle del collettivo-Partito comunista. Ma solo il Partito le racchiude tutte. Questa combinazione rende il collettivo-Partito e ogni sua parte un ambito speciale in cui valgono leggi sociali speciali. Alcune cose possono avvenire solo qui e nella misura in cui questo collettivo si distingue da tutti gli altri collettivi della società borghese.

Un esempio. Nel Partito dirige chi ha le qualità migliori per perseguire e far perseguire, all’istanza che è chiamato a dirigere, gli obiettivi tattici e strategici che il Partito si pone. Nel Partito e in ogni collettivo parte del Partito, il miglior dirigente è quello che prima e meglio forma coloro che prenderanno il suo posto. In sostanza quanto prima e quanto meglio smette di essere quello che è (“il migliore”), quanto meglio ha lottato per rendere altri migliori di lui! Apparentemente sembra un assurdo, ma sono certo che ogni compagno capisce bene quanto affermo. Nel primi paesi socialisti, la progressiva eliminazione di questo criterio di selezione dei dirigenti è stato uno dei fattori di restaurazione del capitalismo.

Il dirigente comunista svolge tanto meglio il suo ruolo quanto più dirige, cioè quanto più nega la sua identità con i diretti. Ma egli dirige tanto meglio anche quanto più nega a sua volta la distinzione con i diretti, rendendo questi sempre più simili a lui, sempre più dirigenti. Distinguersi per unirsi a un livello superiore. È un processo di negazione della negazione.

Nel Partito l’avanzamento di ogni membro è interesse comune, non solo come dato di fatto (cosa che vale anche in molti collettivi delle masse, per quanto condizionati dalle leggi della società borghese), ma anche come esplicito riconoscimento che questa legge è necessaria alla causa. In conformità a questa legge il Partito si dota delle regole, dei principi organizzativi adeguati ad essa.

Nel Partito si respira quindi un’aria diversa da quella che l’ordinamento sociale borghese fa respirare alle masse. Bisogna avvalersene, superare le resistenze iniziali e imparare sia a mettere sul banco i propri limiti e le proprie tendenze negative, sia a mettere quelli degli altri, sia a lasciare che altri mettano i nostri.

La critica e l’autocritica sono il punto di partenza fondamentale per avviare ogni trasformazione. La critica e l’autocritica aperte dentro il Partito, in ogni sua istanza e organismo, sono ciò che fa la differenza tra essere Partito e essere un qualsiasi altro organismo di individui che stanno insieme per un qualche comune interesse. In definitiva sono anche una differenza fondamentale tra essere Partito e essere ancora una forza soggettiva della rivoluzione socialista, per dire una cosa che vivono i compagni del Partito dei CARC, che stanno avanzando con determinazione e coraggio sulla strada per trasformarsi da FSRS in partito.

Il clima diverso che si respira nel Partito da questo punto di vista non è cosa né automatica né spontanea. Va costruito. Non è semplice, perché inizialmente è un cane che si morde la coda. Inizialmente il clima adatto a criticare e ad accettare la critica ancora non c’è o non è ancora ben sviluppato, quindi le critiche sono mal poste e male accettate. Questo genera malumori che rendono il clima teso e peggiorano la situazione. La difficoltà a portare le critiche è una difficoltà che dipende anche dal fatto che si fa fatica ad accettarle, che si reagisce alle critiche rigettandole o facendosi abbattere da esse. Questo è un limite molto comune anche nelle nostre file. Non è un caso: tra amici ci si tratta solitamente con gentilezza, che a volte vuole anche dire superficialità, indifferenza: ci si lascia stare per quieto vivere (1° forma di liberalismo indicata da Mao). Se quando un compagno porta una critica giusta ad un altro compagno, attorno a lui si crea un clima di imbarazzo anziché di sostegno, c’è un atteggiamento di difesa del criticato anziché di sostegno del criticante, tutto ciò porta a rendere sterile o deleterio il metodo (giusto) della critica. Se il compagno che critica si sente isolato, diventa più difficile per il compagno criticato riconoscere che le critiche sono giuste, il compagno che ha criticato avrà difficoltà a portare ancora delle critiche, per quanto giuste. Se invece, di fronte ad una critica, tutti assumono l’atteggiamento giusto che tiene conto delle istanze, dei ruoli, della situazione concreta, del contenuto e della forma della critica (nell’ordine), allora il sistema della critica funziona, il collettivo impara ad usarlo e così ogni compagno. Si apre la strada all’autocritica e alla trasformazione. Questo è un caso comune e concreto che dimostra come si manifestano le tendenze negative frutto dell’influenza borghese (liberalismo nella critica, nell’accettarla, nel rispetto delle istanze e dei ruoli; atteggiamento amicale anziché da compagni; ecc.) e come si può superarle.

 

Per costruire il clima adatto bisogna essere consapevoli che possiamo (che è quasi impossibile non) commettere errori nel tentativo di crearlo, ma bisogna anche essere intransigenti nel riconoscerli e nel porvi rimedio, altrimenti ad ogni tentativo si ritorna daccapo. “Occorre non sostituire gli stati d’animo agli argomenti e alle dimostrazioni, le credenze ai fatti, ma anche imparare a trattare gli stati d’animo anziché ignorarli e condannarli e a curare adeguatamente il benessere fisico e morale dei compagni.” (comunicato citato).

È proprio la natura del Partito che permette il salto di qualità ad un livello superiore: nel Partito non si sta insieme per simpatia, per amicizia, perché si sta bene insieme. Certo: questi elementi ci sono, è importante che ci siano e man mano si sviluppano sempre di più, fino a sopravanzare anche quelli di una qualsiasi altra relazione tra le masse popolari. Ma ciò che fa davvero la differenza è la causa comune: essa supera per importanza qualsiasi individuo (e non è solo un’idea: in realtà il futuro di ogni individuo dipende dal successo della comune lotta per il comunismo) e spinge ognuno a superare via via difficoltà maggiori.

Ma solo il collettivo permette al singolo compagno di trattare adeguatamente anche la falsità e l’opportunismo che in una qualche misura colpisce anche lui, sebbene si dichiari comunista. L’unica ragione per cui possiamo non aver paura di questi atteggiamenti, è che ognuno di noi fa parte di un collettivo che non ha paura ad ammetterli e a trattarli, che sceglie consapevolmente ed esplicitamente di trattarli. Ognuno di noi preso singolarmente o anche nei rapporti slegati dal collettivo, è più facilmente vittima delle leggi sociali borghesi e dei loro effetti sulle masse popolari. Ma nel collettivo del Partito trova l’ambito adatto ad essere valorizzato anche se ha limiti e tendenze negative. Anzi: quanto meno li nasconde e quanto più contribuisce ad individuare quelli degli altri, tanto più contribuisce al loro superamento, tanto più è legato alla causa del Partito.

 

3. Usare la forza della collettivo per combattere e vincere le tendenze negative

L’attività del Partito si articola in tanti compiti, iniziative, operazioni tattiche battaglie e campagne. Ognuna di esse è affidata, a seconda dei casi, a singoli membri, a istanze o ad organismi del Partito. Vi sono compiti e attività che hanno caratteristiche tali che difficilmente possono essere svolte da singoli membri e devono invece essere affidate ad istanze ed organismi, che si assumeranno il compito, a loro volta, di suddividere il lavoro al loro interno, di mobilitare, ecc. Altri compiti e attività non possono che essere affidate a singoli membri.

La scelta di un metodo o dell’altro non è arbitraria. Dipende dalle caratteristiche del lavoro da compiere, dalle caratteristiche del Partito e dalle forze del Partito. Un Partito di pochi membri deve affidare vari compiti ad un numero ristretto di membri o, al limite, a uno solo. Inoltre il Partito clandestino ha esigenze di compartimentazione da cui non può prescindere, atte a garantire la sicurezza stessa del Partito.

Ogni membro del Partito misura se stesso ed è valutato principalmente sulla base non delle sue intenzioni e aspirazioni, ma di ciò che fa (e anche parlare e scrivere è fare). Quanto più fa, tanto più facilmente emergono i limiti che ancora lo caratterizzano, emerge il grado di influenza borghese su di lui, il grado di assimilazione del patrimonio teorico del Partito, la sua capacità di orientarsi, di orientare gli altri, di disciplinarsi alle direttive del Partito. Quanto più ogni membro è lasciato al giudizio di se stesso o di un solo altro compagno, tanto più l’azione del Partito contro i suoi limiti è ridotta. Invece quanto più un membro risponde del suo operato a tutto o a buona parte dell’organismo o dell’istanza di cui fa parte, tanto più si mette in gioco, tanto più il Partito può usare le forze del collettivo per combattere i suoi limiti, tanto più facilmente il compagno stesso li supererà.

Una volta che un limite o un errore è stato messo sul banco del collettivo, l’azione nefasta dell’influenza borghese (che si basa sull’imbroglio, sulla falsità) viene meno. Il collettivo scopre in cosa si manifesta nel caso concreto l’influenza della borghesia, tratta i limiti emersi nel lavoro concreto affidato al compagno, che impediscono al compagno di svolgere al meglio il compito. Il collettivo aiuta il compagno ad affrontare il compito tenendo conto dei limiti emersi e messi sul banco, lo aiuta a combatterli e li supera.

Per aiutare il suo membro a svolgere il suo compito, a superare i limiti con cui si scontra, è il collettivo stesso che deve investirsi del compito. Questo meccanismo viene applicato in numerose occasioni. Quando il Partito indica una campagna specifica di lavoro, indica la campagna come compito delle diverse istanze del Partito. Ogni dirigente delle diverse istanze (si pensi ai diversi segretari dei Comitati di Partito) è investito della responsabilità di mobilitare e dirigere l’istanza da lui diretta a condurre la campagna per quanto compete all’istanza.

Il collettivo nel suo complesso è a conoscenza degli obiettivi e della linea generale della campagna, discute e decide le linee specifiche e la divisione dei compiti e si mette all’opera. Il bilancio dell’attività nel suo complesso e il lavoro di ogni membro sono valutati con cognizione di causa da ogni membro del collettivo. I limiti emersi sono sul banco e possono essere trattati adeguatamente unendo le forze. Ogni ruolo svolto nel lavoro, che sia quello del massimo dirigente dell’istanza, come quello del compagno ultimo arrivato, sono valutati ognuno sulla base delle specifiche responsabilità.

Ogni compagno non risponde solo a se stesso, risponde a tutto il collettivo. Ogni compagno ha di fronte l’ambito migliore in cui trattare difficoltà e resistenze a svolgere al meglio il suo ruolo nel lavoro concreto e sarà spinto a metterle sul banco proprio perché non c’è migliore officina in cui “ripararle”.

Anche il compagno dirigente troverà il terreno migliore non solo per superare i suoi limiti, ma anche per imparare a scoprire quelli dei suoi diretti, per imparare a trattarli, per infondere, con l’esempio concreto dell’attività dell’organismo da lui stesso diretto, la fiducia, il coraggio e l’entusiasmo per avanzare.

Per questa ragione, man mano che il Partito si rafforza, man mano che la sua attività si estende e che le sue file si ingrossano, il metodo più avanzato da adottare è di affidare compiti, attività, iniziative tattiche, battaglie e campagne ad ambiti collettivi piuttosto che individualmente a singoli membri. Bisogna puntare a ridurre ad eccezioni l’affidamento da parte del Centro di attività e compiti all’individuo. Bisogna mobilitare gli organismi e le istanze e formare su questo terreno i quadri della rivoluzione.

 

4. Il Partito deve avere un efficace sistema di formazione constante dei suoi membri

L’applicazione delle tre indicazioni precedenti produce risultati positivi, coerenti e pertinenti con i nostri compiti nella misura in cui i compagni hanno assimilato una giusta concezione del mondo e del loro ruolo di comunisti. Solo con una giusta concezione del mondo e del proprio ruolo è possibile affrontare con intelligenza ed entusiasmo ogni compito ed ogni ostacolo. La convinzione della possibilità di instaurare il socialismo nel corso della crisi attuale non viene dal cielo, non è scontata. Ogni resistenza a mettere le proprie risorse nelle mani del Partito (a cambiare stile di vita in modo da dedicare quanto più tempo ed energie possibili all’attività del Partito, a sottoscrivere i propri risparmi, a lasciare il lavoro in produzione per diventare rivoluzionari di professione, a cambiare città, modo di vita, ecc., fino a passare alla clandestinità) sono una manifestazione di questa sfiducia. È vero, come abbiamo già visto, che mille cose intorno a noi, fuori dal Partito (e in parte anche dentro al Partito), spingono a credere che la rivoluzione socialista nell’ambito di questa crisi del sistema capitalista è una cosa difficile, incerta. Ma è altrettanto vero che farla o meno dipende in primo luogo da noi comunisti, dalla nostra capacità di conoscere e maneggiare con destrezza le leggi che governano il processo rivoluzionario (conoscenza e intelligenza) e dalla tenacia (comportamento morale) nel condurre fino in fondo la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Se, appunto, la situazione di mobilitazione delle masse popolari fosse già avanzata ed ampia, anche la nostra convinzione sarebbe suffragata da più fatti in modo più manifesto. È il problema dell’uovo e della gallina? No. Il processo in corso è tale che se prima noi comunisti non combattiamo le nostre resistenze basandoci principalmente sullo studio e l’assimilazione delle leggi generali della rivoluzione, sulla scoperta di leggi specifiche della rivoluzione nel nostro paese in questa fase e sullo sviluppo della nostra attività conformemente ad esse, le masse popolari non troveranno un punto di riferimento, di orientamento, di organizzazione e di direzione adeguato a trasformare la mobilitazione reazionaria su cui la borghesia imperialista le conduce in mobilitazione rivoluzionaria. Il punto di partenza siamo noi, non le masse popolari!

Diversamente da ciò che pensano i disfattisti delle sinistra borghese, se noi non svolgiamo ancora bene il nostro compito, non dobbiamo prendercela con le masse popolari che non ci accordano abbastanza fiducia e non ci sostengono infondendo in noi entusiasmo. Dobbiamo prendercela con noi, che non abbiamo fatto quanto necessario per diventare intellettualmente acuti e moralmente tenaci.

Fare quanto necessario è un problema di formazione intellettuale e morale. Sono due aspetti legati tra loro, l’uno non si sviluppa oltre una certa misura se non si sviluppa anche l’altro. Se non conosco il processo che trasforma una cosa piccola e ininfluente in una cosa grande e potente, se non so dove e come intervenire per favorire questa trasformazione, difficilmente potrò credere che questa trasformazione avverrà. D’altra parte, se non ho fiducia nella possibilità di scoprire e di imparare ad utilizzare le leggi del fenomeno che trasforma una cosa piccola e ininfluente in una cosa grande e potente per favorirlo, difficilmente mi metterò a studiare e a sperimentare.

Fare quanto necessario però non è un compito che riguarda in primo luogo ogni singolo compagno: riguarda prima di tutto il Partito. È il Partito che deve sviluppare nelle sue file, tra ogni compagno, in ogni ambito, in ogni istanza, in ogni collettivo il lavoro di formazione. Così come il collettivo deve occuparsi di combattere coscientemente e con metodo il liberalismo, altrettanto deve fare con la formazione. La formazione dei membri del Partito non va lasciata nella mani della capacità e della volontà di ogni singolo membro: essa deve essere il prodotto di piani di lavoro, della direzione nella loro esecuzione, della CAT legata ai risultati ottenuti e del dibattito franco e aperto tra i membri di ogni collettivo. Solo così i limiti intellettuali e morali di ogni singolo saranno superati. Solo così ogni singolo compagno darà via via un contributo più alto al suo collettivo.

 

La vita del Partito così condotta diventa anche una palestra che allena e disintossica ogni compagno dalle storture che la borghesia con il suo marcio ordinamento diffonde ovunque. Non un confessionale in cui chiedere perdono a dio, non una setta di autocoscienza, non una scuola di autoperfezionamento, ma una fabbrica che produce la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e che in questa attività tempra i suoi operai.

Dario B.

 


 

 

Manchette

 

 

Liberalismo è non assolvere i compiti che il Partito ci ha assegnato e non svolgere il nostro ruolo di comunisti con convinzione, entusiasmo, attivamente (cioè non solo eseguendo, ma anche proponendo, contribuendo all’elaborazione teorica, alla costruzione dei piani, alla scoperta di nuovi metodi di lavoro, ecc.), dedicando l’attenzione e la cura necessarie alla pianificazione, all’esecuzione e al bilancio di ogni attività, lavorando con disciplina, curando i dettagli con una visione d’insieme.

 

 

Propagandare il socialismo!

Conquistare gli operai avanzati al comunismo! Promuovere organizzazioni di massa!

Costituire comitati clandestini del (n)PCI!

Non c’è altra via d’uscita definitiva alla crisi attuale che instaurare il socialismo. Instaurare il socialismo è un’impresa difficile, ma possibile, realistica: anche la situazione internazionale lavora a nostro favore.

Si tratta di sostituire l’attuale potere clericale e borghese, con un potere formato ad ogni livello da consigli eletti dai collettivi aziendali e territoriali, dalle organizzazioni di massa dei lavoratori e dal Partito comunista; di riorganizzare le aziende e le altre forze produttive in modo che producano e distribuiscano i beni e i servizi necessari a soddisfare dignitosamente i bisogni di tutti e di ognuno; di riorganizzare le attività lavorative nella maniera più rispettosa della salute, dell’integrità, della dignità di chi le svolge e dell’ambiente; di instaurare relazioni di cooperazione con i paesi che almeno in qualche misura cercano di sottrarsi al sistema imperialista mondiale.

La maggiore difficoltà da superare per instaurare il socialismo è la conquista degli operai avanzati al comunismo. Occorre che gran parte degli operai avanzati si organizzino nel Partito comunista.

Sta a noi comunisti conquistare al comunismo gli operai avanzati. Qui si deve dispiegare la nostra creatività. Gli insegnamenti del marxismo-leninismo-maoismo e l’assimilazione del Materialismo Dialettico ci rendono capaci di compiere la nostra impresa.

La borghesia imperialista ha piombato l’umanità in un marasma economico, politico, sociale, morale, intellettuale e ambientale da cui non può liberarla. la affonda ogni giorno di più. Questo, la bontà della soluzione che noi proponiamo, i presupposti del socialismo che già esistono nella società attuale sosterranno la nostra opera per promuovere l’adesione degli operi avanzati al comunismo. Essi, organizzati nel Partito comunista, orienteranno e dirigeranno gli altri operai e le altre classi delle masse popolari a instaurare il socialismo.

Rosa L.