Ritorna all'indice de La Voce 24 /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


La Voce 24 - novembre 2006

Un libro e alcune lezioni Scarica il testo dell'articolo in formato Open Office o Word

Con Il nemico comune (Fazi editore, aprile 2005) due studiosi canadesi, Clement Leibovitz e Alvin Finkel, hanno fornito un’opera per molti motivi preziosa e degna di studio, nonostante l’esposizione disordinata e la traduzione scadente.(1) Qui di seguito illustrerò solo due di quei motivi.

  

1. Il titolo originale dell’opera è In Our Time. The Chamberlain-Hitler Collusion, 1997. Leibovitz nel 1993 aveva già pubblicato un’ampia disamina delle fonti su cui è basata quest’opera, con il titolo The Chamberlain-Hitler Deal (Edmonton, Les Editions Duval).

  

 

1. Anzitutto i due autori confermano che il movimento nazista è riuscito a conservare il potere in Germania per 12 anni e a rafforzarsi gradualmente fino a compiere la sua opera barbarica, solo grazie all’appoggio che le Autorità delle grandi potenze cosiddette democratiche (in primo luogo la Gran Bretagna, la Francia e gli USA) e la maggior parte dei grandi gruppi imperialisti, tra cui spicca per importanza il Vaticano, hanno dato all’attività internazionale e in alcuni casi anche direttamente all’attività interna dello Stato che i nazisti dirigevano.

I due autori confutano la versione corrente (cioè la versione borghese e riformista) della storia degli anni ’30. Questa versione assolve la borghesia imperialista dei “paesi democratici” dalle sue responsabilità. Sostiene che non era possibile senza una guerra cacciare il nazismo dal potere in Germania dopo che vi si era installato all’inizio del 1933. Secondo questa descrizione degli avvenimenti, le Autorità delle potenze cosiddette democratiche si sarebbero sbagliate circa la vera natura del nazismo. Esse avrebbero ceduto alle sue crescenti pretese e, per far questo, avrebbero violato accordi e trattati internazionali e l’indipendenza di altri paesi, solo o principalmente per evitare una nuova guerra (tesi dell’appeasement, della resa pacifista).

I due autori mostrano che, al contrario, quelle Autorità e quei gruppi imperialisti si rendevano ben conto della peculiare barbarie del nazismo.(2) Di fronte a questa barbarie esse fecero quello che aveva già fatto gran parte della pia e colta borghesia imperialista tedesca: si turarono il naso considerandola un male minore, necessario per la sopravvivenza della “civiltà”.

  

2. Ricordo solo: 1. l’eliminazione e repressione dell’attività politica legale e organizzata anche dei gruppi imperialisti e dei personaggi e organismi della “società civile borghese”; 2. la drastica riduzione tramite operazioni terroristiche di quel margine di autonomia politica dalla borghesia imperialista che resta alle masse popolari anche nella società imperialista, nonostante il regime di controrivoluzione preventiva, finché esistono legalmente più partiti e finché più gruppi imperialisti si contendono tra loro la direzione politica tramite elezioni; 3. l’eliminazione fisica degli avversari politici e sociali (comunisti, socialisti, ecc.), 4. il proposito di ridurre in schiavitù ed eliminare interi popoli e gruppi sociali come i popoli slavi, gli ebrei, gli zingari, gli ammalati cronici, gli invalidi.

  

Gli autori espongono anche i motivi razionali, logici di questa condotta della maggior parte dei membri delle classi privilegiate.

In Unione Sovietica il movimento comunista aveva tolto ogni ricchezza e potere ai loro omologhi; aveva soppresso la proprietà privata e i privilegi sociali dei loro simili. Per loro questa era la peggiore catastrofe che mai potesse succedere al mondo.

Il movimento comunista inoltre covava anche in Europa e nelle sue colonie e semicolonie. In Cina addirittura dirigeva già importanti forze armate e un’amministrazione pubblica. Questa era di gran lunga la maggior minaccia che incombeva sulla loro “civiltà cristiana”.

Per quanto barbarica fosse la condotta dei nazisti, questi comunque assicuravano la sopravvivenza del capitalismo, della proprietà privata e dei privilegi sociali: insomma di quello che nella mentalità dei borghesi e dei loro preti costituiva l’essenza della loro “civiltà cristiana”. Finché questi “valori cristiani” erano salvi, con ogni altra nefandezza si poteva cristianamente convivere.

Essi appoggiarono quindi il nazismo come il più sicuro, in Germania l’unico movimento capace di impedire l’avvento del comunismo.(3) La caduta del capitalismo in Germania sarebbe stato già di per sé sola cosa gravissima. Ma, cosa ancora più grave, essa avrebbe certamente avuto ripercussioni, disastrose per il loro ordinamento sociale, anche nel resto dell’Europa e del mondo.

Quindi i gruppi imperialisti dei “paesi democratici”, i loro esponenti e portavoce e il clero delle loro chiese (nella loro stragrande maggioranza) appoggiarono il nazismo perfino contro quei gruppi della grande borghesia tedesca che non avevano fiducia nel nazismo.(4) Lo appoggiarono anche contro quelli che cercarono di porre fine al nazismo e di “ritornare alla democrazia”, dopo che i nazisti ebbero “liberato la Germania” dal movimento comunista eliminando gran parte dei dirigenti e dei militanti che avevano osato resistere o che comunque potevano costituire un pericolo e distruggendo tutte le organizzazioni del movimento comunista che operavano alla luce del sole in territorio tedesco. I maggiori esponenti dei gruppi imperialisti britannici, francesi ed americani e il Vaticano dubitavano della capacità dei gruppi borghesi tedeschi antinazisti di prendere il posto dei nazisti senza provocare in Germania una crisi politica grave di cui avrebbero certamente approfittato i comunisti. Infatti questi comunque, con eroica abnegazione e con astuzia, avevano mantenuto una qualche organizzazione a livello popolare, nonostante la decapitazione del movimento comunista e la dispersione del suo gruppo dirigente.

  

3. Leibovitz e Finkel non si occupano del tema, ma dalla loro trattazione traspare la convinzione che la borghesia imperialista dell’epoca avrebbe sopravvalutato la possibilità che il movimento comunista arrivasse a instaurare il socialismo in Germania e in altri paesi d’Europa. È una questione che ritorna in tanta parte della letteratura borghese e riformista. Molti antifascisti contestano ai fascisti il “merito storico” da questi vantato, di aver salvato il loro paese dal comunismo. È una dimostrazione esemplare di fin dove portano l’avversione per le masse popolari, lo spirito di casta e l’anticomunismo comune a tutta la borghesia.

  

4. Ricordo il “circolo di Kreisau” raccolto attorno a Helmuth von Moltke, il gruppo raccolto attorno all’ammiraglio Wilhelm Canaris e a Ernst von Weizsacher, il gruppo raccolto attorno a Carl Goerdeler e al generale Ludwig Beck, capo dello Stato Maggiore tedesco per alcuni anni.

  

Per di più i maggiori esponenti della borghesia imperialista contavano che, lasciando alla Germania nazista mano libera di espandersi ad oriente, ben presto questa si sarebbe lanciata contro l’Unione Sovietica, avrebbe finalmente liberato il mondo dall’“infezione comunista” che pervadeva ogni paese e avrebbe ristabilito anche in quella regione del mondo la loro amata “civiltà cristiana”. Pur di ottenere questo risultato essi non erano disposti solo a “turarsi il naso” di fronte al fatto che i nazisti tedeschi riproducevano anche nella “civile Europa” le nefandezze che essi riservavano normalmente alle loro colonie. Erano disposti anche a sacrificare alcuni loro “interessi nazionali”: principalmente, è vero, a spese d’altri.

Il riarmo tedesco, l’accordo navale anglo-tedesco (1935), la rimilitarizzazione della Renania (1936), l’instaurazione di un regime amico della Germania nazista alla frontiera francese dei Pirenei (1936-1939), l’annessione dell’Austria (inizio 1938), l’occupazione prima dei Sudeti (autunno 1938) e poi la soppressione completa della Cecoslovacchia (inizio 1939), la graduale neutralizzazione dei paesi dell’Europa centrale e orientale e la loro inclusione nella sfera d’influenza economica e politica tedesca: ecco i più importanti “sacrifici di interessi nazionali” a cui i gruppi imperialisti dei “paesi democratici” consentirono. Furono anche le più celebrate operazioni di politica estera con cui Hitler consolidò il suo potere personale nel movimento nazista, il potere del nazismo in Germania e il prestigio di entrambi nel mondo.

La fonte “misteriosa” dei “brillanti”, “miracolosi”, “inarrestabili” successi della Germania nazista in politica estera, furono la condiscendenza, l’appoggio e la complicità (camuffati, è vero: su questo punto ritornerò più avanti) dei gruppi imperialisti e delle Autorità dei “paesi democratici”.(*) La Germania nazista non aveva la forza necessaria per imporre quelle operazioni ai “paesi democratici”: al contrario, acquistò forza grazie ai successi che le vennero consentiti. Un’opposizione decisa da parte dei “paesi democratici”, anche di uno solo di essi, avrebbe scoperto il bluff su cui i nazisti basavano le loro operazioni di politica estera, avrebbe determinato la crisi del loro regime e la fine prematura della loro avventura. Ma era proprio questo che la maggioranza della borghesia imperialista dei “paesi democratici” soprattutto temeva (per l’esito che poteva avere in Germania) e non voleva (perché l’avrebbe privata del “reparto d’assalto” su cui contava per eliminare l’Unione Sovietica).

  

(*) È la tesi che conferma anche l’alto diplomatico francese Leon Noël nel suo libro Les illusions de Stresa. L’Italie abandonnée à Hitler, pubblicato nel 1975. La Conferenza di Stresa (Italia, Francia, Gran Bretagna) si tenne nell’aprile del 1935, dopo l’assassinio nel luglio 1934 del Cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss ad opera dei nazisti e prima che i fascisti aggredissero l’Etiopia.

  

La borghesia imperialista dei “paesi democratici” nel suo insieme (quindi salva l’opposizione aperta ma limitata – vedremo più avanti in che senso – di alcuni personaggi e nonostante il disgusto personale di altri per l’appoggio che davano alla politica nazista pur reputata necessaria per la loro classe), non volle che il regime nazista crollasse. Buona parte di essa ne era addirittura entusiasta. Finalmente in Germania qualcuno era riuscito a decapitare il movimento comunista e a porre fine all’instabilità politica e sociale, come dieci anni prima aveva fatto il fascismo in Italia. Hitler inoltre aveva instaurato in Germania un regime che, una volta consolidato e rafforzato, sarebbe con tutta probabilità diventato una forza capace di porre fine all’Unione Sovietica. Tutto questo valeva bene qualche sacrificio e qualche concessione. Questa era la concezione prevalente nella elite della borghesia imperialista di tutto il mondo, in particolare quella britannica che negli anni ’30 ebbe un ruolo chiave nella politica mondiale.

I due autori dimostrano ampiamente le loro tesi con un’analisi dettagliata dei verbali delle riunioni del governo britannico, di corrispondenze ufficiali e ufficiose, delle minute di incontri internazionali, di diari dei massimi protagonisti degli avvenimenti dell’epoca: materiale aperto da alcuni anni alla consultazione di studiosi accreditati presso le attuali Autorità.(5)

Di passaggio essi mostrano anche che un analogo sostegno la borghesia imperialista dei “paesi democratici” lo accordò anche all’aggressione dei militaristi giapponesi prima alla Manciuria (1931) e poi al resto della Cina (1937), all’aggressione dei fascisti italiani all’Abissinia (1935) e all’Albania (primavera 1939) e in generale ai regimi fascista in Italia e militarista in Giappone. Anche essi erano visti come efficaci baluardi contro il movimento comunista nei rispettivi paesi, nelle rispettive regioni, nel mondo. Erano considerati anch’essi regimi, come anche quello di Salazar in Portogallo, di Franco in Spagna, di Hitler in Germania e altri in Europa orientale, “estremamente autoritari, ma che, comunque, non minacciavano né la libertà religiosa né quella economica né la sicurezza delle altre nazioni europee”.(6) Evidentemente per “nazioni europee” si intendevano solo quelle che per l’elite britannica erano degne di essere considerate tali: non la cecoslovacca, la polacca, l’albanese, l’austriaca, ecc. Quanto alle nazioni non europee, come gli abissini o i cinesi, esse erano meno che niente.

  

5. Leibovitz e Finkel presentano anche una estesa analisi critica degli storici che, prima di loro, si sono occupati della natura delle relazioni britanniche con la Germania nazista nel periodo 1933-1940 e delle cause di esse. A parte numerosi riferimenti e citazioni fatti nei capitoli che trattano delle successive fasi e dei diversi lati delle relazioni, a questa analisi sono espressamente dedicate le 25 pagine dell’Appendice.

  

6. Gorge A. Lloyd, The British Case. Il libro fu scritto nel 1939 e pubblicato nel 1940, quindi a guerra già ufficialmente in corso, a Toronto con la prefazione elogiativa di Lord Halifax (1881-1959) allora ministro degli Esteri in carica del governo Chamberlain, già viceré delle Indie (1925-1931) e dal 1941 al 1946 ambasciatore del governo Churchill a Washington. Insomma un autorevole e certificato esponente e portavoce della elite della società britannica.

  

Conclusioni: l’appoggio della maggioranza della borghesia imperialista dei “paesi democratici” e delle Autorità di questi paesi fu una condizione essenziale del successo in patria e all’estero dei nazifascisti tra le due guerre mondiali. Questo appoggio fu accordato in piena cognizione di causa e per scopi del tutto chiari, logici e coerenti con gli interessi della classe che lo accordò. L’appoggio dato ai nazifascisti si inquadra nella più generale insofferenza di questa classe per le residue forme democratiche del suo dominio e nel suo disprezzo e nella sua ostilità verso le masse popolari.

  

 

Fin qui il libro di Leibovitz e Finkel è una dettagliata e documentata conferma di quanto esposto nell’articolo di Marco Martinengo (Il movimento politico degli anni trenta in Europa) in Rapporti Sociali n. 21 (febbraio 1999) e nell’articolo di Rosa L. (Dieci tesi sulla Seconda Guerra Mondiale e il movimento comunista) in La Voce n. 20 (luglio 2005). Esso mostra l’unità di fondo, sostanziale di intenti e la collaborazione tra la borghesia imperialista dei “paesi democratici” e quella dei paesi fascisti. Una unità che si protrasse a lungo, anche dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Alla luce di essa diventa, ad esempio, chiara la ragione dell’inerzia militare franco-britannica sul fronte tedesco fino al maggio 1940 (e anche nel maggio 1940 ad attaccare sul fronte occidentale furono i nazisti, convinti che non vi fosse altro modo per arrivare ad una sistemazione soddisfacente in Europa occidentale e a una spartizione delle sfere d’influenza nel mondo con la borghesia britannica) e del contemporaneo attivismo militare franco-britannico antisovietico sul fronte finlandese e sul fronte medio-orientale e caucasico. “Il generale Weygand comanda, in Siria e in Libano, le forze armate (franco-britanniche, ndr) che prenderanno la direzione di Baku (in URSS, sul Caspio, ndr) per interrompere la produzione di petrolio; di là si dirigeranno a nord per incontrare le armate (franco-britanniche, ndr) che dalla Scandinavia e dalla Finlandia scenderanno in direzione di Mosca”.(7) Questi erano i piani dello Stato Maggiore francese nel marzo 1940. Essi si concretizzavano nell’invio di 50.000 uomini e 100 bombardieri verso la Finlandia. Nel frattempo sul fronte franco-tedesco, britannici e francesi evitavano di attaccare e di bombardare la Germania che, occupata la Polonia (salvo la parte ucraina che l’accordo Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 aveva assegnato all’Unione Sovietica), procedeva a occupare la Danimarca e la Norvegia e otteneva la collaborazione della Svezia.

In effetti fino al 10 maggio 1940 Francia e Gran Bretagna, benché il 3 settembre 1939 avessero dichiarato guerra alla Germania (e non all’URSS), in concreto si considerarono e si comportarono come se fossero in guerra contro l’URSS, e contro la Germania solo in via secondaria, in quanto questa collaborava con l’URSS in base ad un’alleanza “contro natura” (Patto Molotov-Ribbentrop, agosto 1939). Daladier rimase in carica fino al marzo 1940 e fu sostituito da Paul Reynaud (1878-1966) della stessa pasta di Deladier. Chamberlain rimase in carica fino al maggio 1940, quando Hitler attaccò sul fronte occidentale e i britannici, anziché far leva anche sul vasto territorio e sulle risorse della Francia e resistere, abbandonarono a Hitler il continente. Lungo tutti questi mesi il governo britannico cercò di fare ritornare la Germania nazista alla collaborazione con la Gran Bretagna e la Francia contro l’URSS, eventualmente sostituendo Hitler con un governo formato dai “nazisti moderati” e dai militari. Leibovitz e Finkel illustrano le relative trattative e analizzano i resoconti degli storici che ne hanno trattato.

  

7. Paul Stehlin, Témoignage pour l’historie, Parigi 1964. Stehlin nel 1940 era capitano, addetto allo Stato Maggiore dell’aeronautica francese e dislocato in Finlandia. Dopo la guerra diventerà capo dello Stato Maggiore dell’Aeronautica.

  

 

Il libro di Leibovitz e Finkel mostra però anche che l’appoggio dato dalle Autorità dei “paesi democratici” al rafforzamento del regime nazista fu sempre camuffato dalle stesse e anche dai partiti borghesi e riformisti d’opposizione, come cedimento, concessione per evitare una nuova guerra.

Svolgere attività occulte è un tratto comune di ogni Stato imperialista.(8) L’occultamento di una parte della propria attività, il raggiro dell’opinione pubblica sono in ogni paese imperialista tanto più sviluppati con arte quanto più l’ordinamento politico del paese è “democratico”, quanto maggiore è il ruolo politico dell’opinione pubblica. Quanto meno la classe dominante è unita sul piano politico e quanto meno efficacemente essa, unita, manipola l’opinione pubblica intossicandola, tanto più le Autorità ricorrono a un’attività politica occulta, dissimulata. La solidarietà tra le forze e le personalità politiche consiste allora nell’escludere proprio questa attività occulta dal dibattito politico che esse intrattengono tra loro davanti al pubblico e con esso. Gli argomenti scottanti, più sensibili, più “delicati” vengono di comune accordo accantonati, ignorati da ogni forza politica e da ogni uomo politico “responsabile”. Proprio da questa solidarietà la classe dominante valuta se un partito può assumere responsabilità governative e se un uomo politico è “un vero statista”, ha “il senso dello Stato”. Perché lo Stato, il cuore dello Stato, quello Stato che noi marxisti diciamo che si estinguerà man mano che si estinguerà la divisione della società in classi, è proprio principalmente costituito oggi, nella società imperialista democratica, da questa attività occulta, della cui esistenza la massa della popolazione è tenuta all’oscuro. Molti comportamenti noti di Stati, partiti e uomini politici appaiono assurdi, misteriosi, strani: proprio perché sono dettati da impegni e situazioni che appartengono all’attività occulta dello Stato. Così come sembra strana la punta di un iceberg che galleggia sull’acqua a chi non sa che è, appunto, la punta di un iceberg.

  

  8. La segretezza degli Archivi di Stato sono la dimostrazione pratica, materiale e istituzionale, dell’esistenza dell’attività occulta dello Stato. Il segreto di Stato è per sua natura la negazione della sovranità popolare. La sovranità popolare è negata e raggirata dall’attività segreta delle Autorità, mentre l’opinione pubblica è deviata nell’evasione dalla realtà e intossicata da operazioni montate ad hoc (per non andare troppo lontano basti pensare alle “operazioni antiterrorismo” di questi giorni o, più lontano, all’operazione anti Willy Brandt del 1974 in Germania o a quella anti Harold Wilson del 1973-1975 in Gran Bretagna). Con il segreto di Stato e le sue attività segrete la borghesia imperialista sottrae al “popolo sovrano” ciò che è assolutamente necessario per prendere decisioni sensate (resta allora l’adesione irresponsabile e irrazionale di cui l’intero ordinamento borghese crea e mantiene correntemente le premesse e che i demagoghi promuovono: salvo poi gridare all’impossibilità di lasciare decidere alla “massa”, nascondere le proprie mire dietro l’“impossibilità” di opporsi alla “volontà popolare” o invocare l’esercizio del potere per i propri esponenti “illuminati” e per i “salvatori della patria”). Ciò che era indispensabile conoscere al momento, lo conosceranno gli storici e il loro pubblico 20, 50 o 100 anni dopo. In Italia sono ancora oggi segreti di Stato attività di oltre 100 anni fa. Non a caso. Il ruolo speciale che il Vaticano svolge nell’ordinamento statale italiano lo esige. La solidarietà di classe degli storici che accedono agli archivi, la censura e la selezione fatta dal mondo editoriale, accademico, scolastico e dei mezzi di comunicazione di massa non bastano a garantire il Vaticano.

Estinzione dello Stato, popolo sovrano, ecc. sono inversamente proporzionali all’esistenza del segreto di Stato. Non a caso il potere sovietico nel 1917 iniziò pubblicando gli accordi segreti tra le potenze belligeranti per spartirsi il bottino della futura vittoria. Non a caso il Vaticano è un’organizzazione segreta per eccellenza. Lì tutto è segreto, salvo quello che le Autorità dicono per loro scelta al pubblico.

Per la loro natura tutti gli Stati partecipano di questo carattere. Quando a noi comunisti chiedono: “Cosa intendete per estinzione dello Stato?”, noi potremmo con sufficiente precisione rispondere: “Intendiamo una società in cui non vi è più attività o questione di interesse pubblico tenuta segreta o dibattuta solo in circoli ristretti. Una società in cui la massa della popolazione è al corrente di tutte le questioni di interesse pubblico e dispone della cultura, dell’informazione e delle condizioni adatte per occuparsene con cognizione di causa. Una società in cui la massa della popolazione partecipa normalmente alle decisioni delle questioni di interesse pubblico e all’attuazione delle decisioni”.

Riferendoci all’opuscolo di M. Martinengo I primi paesi socialisti (edizioni Rapporti Sociali), l’attività della struttura costituita dalle organizzazioni e istanze di massa e dal partito è l’esempio di attività realmente pubblica, senza segreti. L’attività dell’altra struttura, quella statale, è invece, anche per questo aspetto, attività statale nel senso proprio dello Stato di una società divisa in classi, dello Stato come organo di una classe per reprimere le altre classi, di uno Stato portavoce di interessi antagonisti. Non la sua “democratizzazione”, ma la sua estinzione a favore della prima struttura, è e sarà il segno della marcia dell’umanità verso il suo futuro comunista.

È bene precisare, per evitare caricature che impedirebbero una vera comprensione della questione, che con questo non si intende dire che in ogni paese imperialista esiste formalmente un governo occulto contrapposto o parallelo al governo ufficiale. Il segreto di Stato è, per la borghesia e le altre classi connesse, una spontanea estensione alla politica della riservatezza di cui ogni capitalista circonda la gestione dei suoi affari e dell’esclusione della massa della popolazione dalla conoscenza e ancora più dalla partecipazione alla gestione degli affari (segreto commerciale, segreto bancario, segreto d’ufficio, ecc.). È più facile che la massa della popolazione conosca gli amori, i vizi e le abitudini personali di questa o quella personalità, piuttosto che quello che “bolle in pentola” nei palazzi del potere e degli affari. I complotti sono solo l’aspetto accessorio, una manifestazione occasionale dell’esclusione della massa della popolazione dalla conoscenza e dalla gestione dell’attività politica. Collaborazione e solidarietà di fondo (“programma comune”) e accesissimi contrasti pubblici coesistono senza problema, come in questo periodo avviene nelle relazioni tra il circo Prodi e la banda Berlusconi.

  

In conclusione questo libro conferma quindi che l’attività degli Stati imperialisti ha un lato nascosto, occulto di cui gli ingenui ignorano l’esistenza (essi si fermano alla facciata che le Autorità e le opposizioni di regime solidali mettono in vista, al “teatrino della politica borghese” in cui i partiti borghesi recitano ognuno la sua parte) e che gli imbroglioni nascondono. Ovviamente tutti quelli che con mezzi adeguati e con qualche perizia si occupano di politica, conoscono, almeno a grandi linee, e tanto più quanto maggiori sono la loro forza e la loro capacità, il lato occulto dell’attività delle Autorità. Ogni azione governativa di una certa importanza coinvolge troppe persone e organismi, richiede troppi mezzi e operazioni preparatorie, comporta troppe responsabilità personali perché la sua esistenza passi inosservata a chi si preoccupa di sapere cosa le Autorità stanno effettivamente facendo. Ne segue che l’effettiva volontà di un partito di opporsi alle Autorità e il suo reale carattere democratico devono essere misurati dalla forza, chiarezza, lucidità, coerenza e continuità con cui esso si preoccupa di conoscere, smaschera e denuncia il lato oscuro della loro attività reale, attira su di esso l’attenzione delle masse popolari e promuove la loro mobilitazione contro di esso. Non da quanto fa la voce grossa sul palcoscenico del teatrino della politica borghese e da quanto bene si finge sorpreso quando emergono alla luce del sole i risultati dell’attività occulta delle Autorità. Questa lezione va applicata ad esempio per valutare l’effettivo ruolo del Vaticano, del governo tedesco e del governo francese nell’aggressione USA all’Iraq, il loro ruolo nella campagna di rapimenti e tortura degli esponenti della rivoluzione democratica antimperialista dei popoli arabi e musulmani condotta dagli USA in Europa.

  

 

Da questa parte dell’opera di Leibovitz e Finkel derivano altre importanti lezioni di “scienza politica” della società imperialista.

In linea di massima nella fase imperialista le contraddizioni di classe (la lotta della borghesia contro la classe operaia), quelli che la letteratura borghese indica come “contrasti ideologici” prevalgono sulle contraddizioni tra gruppi imperialisti, nel determinare la condotta della borghesia imperialista. Non è possibile comprendere la politica estera dei gruppi imperialisti e delle Autorità che in ogni paese li rappresentano, se non si comprende la loro politica interna, ossia i problemi che essi devono affrontare per mantenere il potere e per far valere i loro interessi contro quelli delle masse popolari del loro paese. Si riesce a capire la logica (le forze motrici e le leggi di sviluppo) degli avvenimenti internazionali, solo se li si esamina alla luce della lotta di classe.

Se si accettano queste lezioni (che ovviamente non sono però né dogmi né leggi metafisiche, ma vanno al contrario intese nel senso del materialismo dialettico,(9) acquistano maggiore forza alcune importanti tesi relative agli avvenimenti correnti, come le seguenti.

  

9. A chi vuole assimilare quale è il “senso del materialismo dialettico” segnalo K. Marx Il metodo dell’economia politica, 1859 (dalla introduzione dei Grundrisse) e Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, 1936 (nel vol. 5 delle Opere di Mao Tse-tung).

  

L’aggressione in corso dei paesi imperialisti contro i paesi arabi e musulmani è principalmente un risultato delle condizioni della lotta di classe nei paesi imperialisti. Lo sconvolgimento delle condizioni economiche e politiche che la borghesia imperialista sta in questo periodo producendo nei paesi oppressi è un effetto, un riflesso, uno specchio e una manifestazione delle contraddizioni in cui essa è impigliata nelle metropoli e a livello mondiale. È sbagliata, è una manifestazione di una concezione economicista, gretta e unilaterale, una caricatura del materialismo storico e in generale del marxismo, un prodotto della concezione corporativa della vita sociale, cercare l’origine, la causa e la legge dell’attività internazionale della borghesia imperialista nel suo complesso (e della borghesia imperialista USA in particolare) principalmente, o addirittura unicamente, nei contrasti connessi con la disponibilità del petrolio o l’appropriazione della sua rendita, con il dominio di questo o quel mercato particolare.

La resistenza delle Autorità francesi, tedesche e di altri paesi a impegnarsi apertamente nell’aggressione dell’Iraq e la loro collaborazione sotterranea con la campagna USA, sono frutto della debolezza dell’assetto politico dei rispettivi paesi: le Autorità non sono state capaci di manipolare quanto necessario l’opinione pubblica né hanno osato contrapporsi all’opinione pubblica ostile.

L’aperta partecipazione delle Autorità italiane ha implicato necessariamente il preventivo impegno del Vaticano a limitarsi a una blanda opposizione di facciata.

Le campagne militari della borghesia imperialista sono oggi presentate all’opinione pubblica dei paesi imperialisti come   “operazioni umanitarie” e come prevenzione delle terribili e oscure attività di gruppi terroristi, per farle digerire ad un’opinione pubblica piuttosto ostile alle campagne militari: il ricorso alle “campagne umanitarie” e alla “guerra contro il terrorismo” è una conferma dello scollamento tra le Autorità e l’opinione pubblica e dei limiti, che le Autorità non riescono con i mezzi attuali a superare, nella manipolazione dell’opinione pubblica: in breve, della crisi politica.

La borghesia imperialista USA succhia risorse di ogni genere (umane, finanziarie, economiche, politiche e militari) da tutto il resto del mondo perché ne ha bisogno per mantenere il minimo indispensabile di stabilità al suo assetto di potere negli USA: essa non può più concedere nulla ai suoi satelliti. Il sistema di potere della borghesia imperialista è precario in tutti i paesi imperialisti, in particolare negli USA.

Le difficoltà che incontra la borghesia europea a competere a livello mondiale con la borghesia imperialista USA sono in ultima analisi dovute alla resistenza che le masse popolari europee oppongono alla eliminazione delle conquiste che hanno strappato alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. La borghesia imperialista in Europa non riesce a manipolare le masse popolari quanto le sarebbe necessario per poter competere con successo con la borghesia imperialista USA. L’“Europa per progredire deve rendere più mobile e più flessibile la sua manodopera”, dice Barroso, il presidente della Commissione UE. Ecco in sintesi il vero problema, che spiega anche il ruolo attuale della borghesia imperialista europea nel mondo: il contrasto tra l’“Europa” (cioè la borghesia imperialista europea) e la “sua manodopera”!

  

 

2. Fin qui abbiamo visto nell’opera di Leibovitz e Finkel l’illustrazione dell’unità della borghesia imperialista dei “paesi democratici” e dei paesi fascisti. Il secondo motivo per cui la loro opera merita di essere studiata riguarda, al contrario, la differenza tra “paesi democratici” e paesi fascisti sia nel campo della borghesia imperialista, sia nel campo delle masse popolari. È un aspetto di questo libro ancora più importante per noi comunisti, perché i due autori, che pure non parlano quasi per nulla dell’attività del movimento comunista, ci permettono di vedere sia l’abile linea seguita negli anni ’30 dal movimento comunista con alla testa l’Internazionale Comunista e l’Unione Sovietica, sia i limiti del movimento comunista dell’epoca.

Una volta scontato che le classi dominanti della Gran Bretagna, della Francia e degli USA sostenevano il regime nazista, perché non appoggiarono apertamente il suo proposito di espandersi ad oriente a spese dei paesi dell’Europa centrale (in primo luogo quindi a spese della Cecoslovacchia e della Polonia) e di creare infine lo “spazio vitale” della Germania nazista eliminando l’Unione Sovietica? Perché in definitiva crollò tutta la costruzione strategica cui lavorarono il grosso della borghesia imperialista britannica, francese ed USA e potenti gruppi imperialisti come il Vaticano? Perché i “paesi democratici” finirono per combattere la Seconda Guerra Mondiale a fianco dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista?

Perché lungo tutti gli anni ’30 l’opinione pubblica in Gran Bretagna, in Francia e negli USA restò sempre fortemente contraria ad appoggiare il nazismo. Il movimento comunista cosciente e organizzato diede il contributo determinante per creare, mobilitare, organizzare e rafforzare questo orientamento antinazista e antifascista dell’opinione pubblica e riuscì a contrastare con successo tutti i tentativi provenienti da gruppi e ambienti imperialisti di creare un’opinione pubblica favorevole al fascismo o almeno accomodante. Per questa via esso fece fallire la strategia anticomunista delle classi dominanti dei “paesi democratici”. Non fu invece capace di passare da questo successo all’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti.

I due autori mostrano chiaramente che fu proprio l’orientamento antifascista e antinazista dell’opinione pubblica britannica e francese che impedì che le Autorità dei due paesi sviluppassero apertamente e portassero fino alle estreme conseguenze la loro cooperazione con i nazisti. Essi illustrano in dettaglio le menzogne, i raggiri e i sotterfugi a cui i governi e le pubbliche Autorità britanniche e francesi ricorsero sistematicamente nei sei anni che precedettero la guerra per fare accettare all’opinione pubblica dei loro paesi i passi successivi, lesivi dei trattati e del diritto internazionale, connessi al riarmo, al rafforzamento e all’espansione della Germania nazista verso oriente a spese dei paesi confinanti e per nascondere all’opinione pubblica il sostegno che esse davano all’attuazione del piano nazista.

Mostrano come esse si invischiarono sempre più nelle contraddizioni delle loro posizioni filonaziste nella pratica e antifasciste nei gesti pubblici e come infine rimasero prese nella trappola che esse stesse costruivano con i loro sotterfugi, fino a dover dichiarare guerra alla Germania nazista quando questa il 1° settembre 1939 invase la Polonia, benché essa compisse anche questa aggressione con le usuali cautele e messinscena ad uso dell’opinione pubblica dei “paesi democratici”.(10)

  

10. Per l’occasione i nazisti organizzarono un’invasione di finte truppe polacche nella città tedesca di confine di Gleiwitz, nel pieno di un’accesa campagna di mobilitazione scioviniste ai due lati della frontiera sullo statuto di Danzica e del “corridoio polacco” in terra tedesca, che, secondo il Trattato di Versailles, univa la Polonia a Danzica.

  

Non solo. Il loro comportamento ambiguo, la situazione politica che le costringeva ad esso e la precarietà conseguente dell’orientamento e del comportamento delle Autorità dei “paesi democratici”, indussero in definitiva Hitler e i suoi accoliti a ritenere necessario assicurarsi un retroterra più sicuro a occidente, nei “paesi democratici”, prima di lanciarsi nella loro campagna strategica ad oriente. Inutilmente, anche dopo la loro dichiarazione di guerra alla Germania nazista il 3 settembre 1939, le Autorità britanniche e francesi non diedero seguito concreto alla loro dichiarazione, non mossero nessun attacco né terrestre né aereo contro la Germania. Restarono per oltre otto mesi in attesa di una “nuova Monaco”, di un nuovo “onorevole compromesso”, di un nuovo “accordo generale di pace” con i nazisti a occidente, per proseguire assieme la campagna contro l’Unione Sovietica. Furono i nazisti che, a otto mesi dalla dichiarazione franco-britannica di guerra, rafforzati dal temporaneo accordo con l’Unione Sovietica (che non avrebbe comunque iniziato, se non costretta, le ostilità contro la Germania, data la permanente possibilità di una alleanza dei “paesi democratici” con questa contro l’Unione Sovietica), dall’occupazione della Polonia polacca (Polonia 1920 = Polonia + Ucraina) e dei paesi scandinavi, attaccarono sul fronte occidentale (maggio 1940).

I due autori illustrano in dettaglio alcuni passaggi poco noti degli avvenimenti di quegli anni. La concatenazione degli avvenimenti illustrati mostra che la manipolazione dell’opinione pubblica da parte della borghesia imperialista, che alcuni compagni adducono ancora oggi come ostacolo insuperabile all’attività dei comunisti (cioè alla mobilitazione delle masse popolari per instaurare il socialismo),(11) in realtà crea un terreno nuovo d’azione diverso da quello che i fanatici della democrazia borghese (i riformisti) e i dogmatici si ostinano a immaginare. Noi comunisti possiamo (e dobbiamo, se non vogliamo intrupparci con gli opportunisti) condurre la nostra lotta nei modi nuovi, adeguati alla nuova situazione che la manipolazione dell’opinione pubblica e il resto della controrivoluzione preventiva hanno creato. Il movimento comunista negli anni ’30, guidato dall’Internazionale Comunista e dall’Unione Sovietica lo fece, ma con una coscienza non abbastanza alta di quello che stava facendo, non lungimirante quanto necessario per raccoglierne tutti i frutti che avrebbe potuto raccogliere dallo sviluppo degli avvenimenti.

  

11. Seguendo l’uso introdotto da K. Marx (Critica del Programma di Gotha, 1875), chiamo socialismo la fase inferiore del comunismo, l’ordinamento che si instaura “d’un colpo solo” con la rivoluzione, quando la classe operaia distrugge il vecchio Stato borghese e instaura il suo nuovo Stato. Nel socialismo continuano ad esistere relazioni sociali borghesi, ma esse sono in ambiti e in misura crescenti soppiantate da relazioni sociali comuniste: la lotta tra le due classi e tra le due vie si svolge sotto la direzione della classe operaia e si esprime nella lotta tra le due linee nel partito comunista.

  

Per coprire la loro reale collaborazione con i nazisti, le Autorità britanniche e francesi dovevano fare concessioni di facciata all’antifascismo dell’opinione pubblica. In pubblico tuonavano contro le imprese brigantesche dei nazisti che esse stesse avevano concordato e incoraggiato in segreto. Dovevano minacciare di severe sanzioni gli aggressori e intimare loro l’altolà dopo ogni aggressione compiuta, mentre nello stesso tempo deploravano gli errori, gli “eccessi”, i cedimenti o le “pretese” a secondo dei casi, degli aggrediti che esse stesse avevano scoraggiato o piattamente dissuaso dal resistere e ancora più dal prepararsi a resistere. (12)

  

12. Ovviamente questa sporca condotta (segreta, camuffata) delle Autorità dei “paesi democratici” richiedeva ed ebbe il concorso 1. sia dell’opposizione borghese (Churchill, Leon Blum, ecc.) che per solidarietà di classe stava al gioco della maggioranza e non smascherava di fronte all’opinione pubblica la collaborazione e l’intesa della classe dirigente del proprio paese con la Germania nazista – l’accusava solo di non capire il pericolo nazista e di cedere alle minacce naziste; 2. sia dei governi borghesi dei paesi bersaglio della Germania nazista (quindi dell’Austria, della Cecoslovacchia, della Polonia, della Romania, della Jugoslavia, dell’Olanda, del Belgio, della Norvegia, della Svezia, dei Paesi Baltici, ecc.) che, per anticomunismo, puntavano essi stessi a una collaborazione con la Germania nazista (era platealmente il caso del governo polacco) o non smascheravano le Autorità britanniche e francesi che li dissuadevano dal prepararsi a resistere all’aggressione.

  

Questo loro comportamento, truffaldino, antidemocratico ed elettoralistico, tuttavia rafforzava l’orientamento antifascista delle masse popolari e rafforzava anche quegli esponenti della classe dominante (l’opinione borghese) che erano più insofferenti del sacrificio di “interessi nazionali” consentito e della forza politica, militare ed economica che la Germania veniva acquistando, di quanto fossero preoccupati della minaccia comunista: come W. Churchill (1874-1966) in Gran Bretagna e Georges Mandel (1885-1944), Leon Blum (1872-1950) in Francia.

In Gran Bretagna e in Francia i leader borghesi contrari al rafforzamento della Germania erano preoccupati dei risultati a cui quel rafforzamento avrebbe prima o poi condotto la loro classe e il loro paese. La loro preoccupazione era rafforzata dal fatto che Hitler e i suoi accoliti controllavano solo fino ad un certo punto la situazione in Germania.(13) Essi dovevano sostenere i sacrifici che imponevano alle masse popolari tedesche anche con un’accesa propaganda e mobilitazione popolare contro i “paesi democratici”. Li indicavano come la fonte e la causa delle difficoltà della Germania. E in effetti la borghesia imperialista dei “paesi democratici” aveva imposto condizioni vessatorie alla Germania fino all’avvento del nazismo (1933) e restava, anche dopo, la concorrente e l’ostacolo diretti per l’espansione economica e politica della Germania nel mondo. Il contrasto tra gruppi imperialisti era del tutto reale: a proposito delle colonie, delle sfere di influenza e del dominio finanziario e commerciale del mondo.

Nei “paesi democratici” i borghesi ostili al rafforzamento e all’espansione della Germania (ben più che al nazismo) svolgevano apertamente le loro campagne di propaganda e si avvalevano dell’orientamento antinazista delle masse popolari e di fatto lo alimentavano. Non erano certo fautori, e tanto meno i fautori più decisi, più sicuri, più efficaci dell’orientamento democratico e antifascista delle masse popolari,(14) ma se ne servivano e lo rafforzavano con la loro opposizione a quelli che essi stessi però, per solidarietà di classe con la maggioranza, denunciavano come cedimenti delle Autorità alla Germania nazista (mentre in realtà si trattava di collaborazione delle Autorità con i nazisti contro il movimento comunista, contro le masse popolari del proprio paese e contro l’Unione Sovietica).

  

13. Di passaggio giova notare che tutta la fantasiosa costruzione interclassista (basata su somiglianze formali e sull’ignoranza o l’occultamento della sostanza delle cose) di Hannah Arendt (1906-1975) e soci sul totalitarismo è empiricamente confutata dalla narrazione di Leibovitz e Finkel. Il potere nazista in Germania si resse dall’inizio alla fine su un equilibrio instabile sia all’interno del partito nazista, sia nelle relazioni tra questo e la borghesia imperialista e le forze armate, sia nelle relazioni tra il movimento nazista e le masse popolari.

  

14. È nota ad esempio l’ammirazione di Churchill per il fascismo e il nazismo come sistemi capaci di schiacciare il movimento comunista e di portare le masse popolari a collaborare con le loro classi dirigenti. Churchill era d’accordo con i nazisti sul bisogno di distruggere l’Unione Sovietica, ma voleva che alla testa della crociata anticomunista vi fosse la Gran Bretagna sostenuta dal suo impero e dagli USA e non voleva sentir parlare di spartizione di sfere d’influenza con la Germania. Egli sosteneva Chamberlain nell’ingannare le masse popolari britanniche circa i comuni obiettivi di classe. Era convinto che per mobilitare le masse popolari britanniche al loro servizio, i gruppi imperialisti britannici dovevano adottare una condotta ben diversa da quella di Hitler e del suo movimento nazista, che però andava bene per la Germania.

  

Al contrario, nei paesi fascisti, i borghesi contrari alla politica del regime erano costretti dalla dittatura, dal carattere terroristico del regime, a confabulare e tramare nelle loro conventicole e nei loro salotti, non osavano affrontare le fatiche e i pericoli della mobilitazione delle masse popolari. In linea di massima in loro la paura delle masse popolari era più forte dell’ostilità al fascismo o al nazismo. Churchill faceva campagne elettorali. In Francia i borghesi antitedeschi parteciparono addirittura al Fronte Popolare (sabotandolo, ma questo è un altro problema). Invece Croce e altri antifascisti del suo calibro si rivolgevano al Re o speravano nel Papa (complici del fascismo). Mattioli e Feltrinelli (il padre del Giangiacomo) trafficavano con banchieri.(15) Il legame di classe impediva un’efficace azione antifascista. Tra le masse popolari dei paesi fascisti il movimento comunista era stato sconfitto e decimato e la mobilitazione reazionaria delle masse popolari aveva per il momento il sopravvento. Il fascismo e il nazismo sviluppavano in libertà la loro linea, salvo gli inevitabili contrasti interni che la dittatura dei capi mediava.

  

15. L’episodio dell’Aventino è esemplare per capire la natura dell’opposizione borghese al fascismo in quegli anni. L’omicidio del deputato riformista Giacomo Matteotti (1885-1924) nell’estate del 1924 ad opera di squadristi fascisti creò una grave crisi politica: il partito comunista condusse un’abile campagna di mobilitazione della masse popolari (fu la prova di massa della linea comunista che Gramsci aveva portato alla direzione del partito su mandato dell’Internazionale Comunista); il delitto produsse sbandamento nello stesso movimento fascista e mise in difficoltà Mussolini. I capi dell’opposizione borghese abbandonarono allora il Parlamento (dove i fascisti dominavano – grazie al comportamento tenuto dall’opposizione borghese nella campagna elettorale della primavera). Ma anziché promuovere la mobilitazione popolare contro i fascisti, raccomandarono la calma in attesa che il Re, Vittorio Emanuele III, destituisse Mussolini da capo del governo. Mussolini si rese ben presto conto che non correva pericoli (il partito comunista aveva ancora legami troppo deboli con le masse popolari per promuovere da solo una mobilitazione abbastanza vasta da determinare una svolta) e riprese rapidamente in mano la situazione. Nel giro di due anni rafforzò enormemente il suo potere personale e impose definitivamente il regime fascista al paese.

  

La situazione politica dei “paesi democratici” manteneva vivi e accresceva i timori di Hitler circa la stabilità dell’orientamento filonazista dell’attività reale dei governi britannico e francese. L’opposizione in Gran Bretagna era molto forte e il governo Chamberlain manteneva la sua maggioranza parlamentare solo a forza di raggiri dell’opinione pubblica. In Francia solo il ricatto dello Stato Maggiore delle Forze Armate sulla maggioranza parlamentare costituita dagli eletti (1936) del Fronte Popolare aveva impedito che il governo adottasse un comportamento reale ostile alla Germania nazista nella crisi spagnola.

Hitler e i suoi accoliti avevano bisogno di avere mano libera ad oriente, ma questo implicava di essere sicuri di avere le spalle coperte ad occidente. Essi erano ben consapevoli che la Germania non era in grado di battersi con successo contemporaneamente su due fronti. Quindi non potevano accontentarsi di assicurazioni e di incoraggiamenti dati di soppiatto dai governi come quello di Chamberlain (16) e di Daladier (17). Si trattava infatti per Hitler di governi inaffidabili, che potevano essere rovesciati ad ogni momento e sostituiti da governi contrari all’espansione della Germania nazista ad oriente.

  

16. Arthur Neville Chamberlain (1869-1940) fu capo del governo britannico dal 1937 al maggio del 1940, ma dal 1931 al 1937 era stato Cancelliere dello Scacchiere, prima (1931-1935) nel governo dell’ex capo del Partito Laburista Ramsay Mac Donald e poi (1935-1937) in quello del conservatore Stanley Baldwin. In realtà dominò la scena politica britannica lungo tutti gli anni ’30. Era quindi ben rappresentativo dei gruppi imperialisti britannici più influenti.

  

17. Edouard Daladier (1884-1970) fu capo del governo francese dall’aprile del 1938 al marzo del 1940, ma lo era già stato nel 1933 e nel 1934 ed era stato Ministro della Difesa del primo governo del Fronte Popolare (1936-1937). In questa ultima veste era stato protagonista del ricatto dello Stato Maggiore delle Forze Armate francesi che aveva fatto schierare il governo del Fronte Popolare francese contro il governo del Fronte Popolare spagnolo alle prese, dal luglio del 1936, con la rivolta dei generali. Evento tanto più significativo se si tiene conto che in questa maniera lo Stato Maggiore francese favoriva la formazione di un regime amico della Germania nazista alla frontiera pirenaica del paese che lo SM francese era istituzionalmente incaricato di difendere dagli Stati nazi-fascisti (Germania e Italia) che già erano installati sull’altra frontiera terrestre della Francia: insomma un caso di alto tradimento verso il proprio paese dettato dalla propria solidarietà di classe. Un caso di alto tradimento ben più grave, a ben guardare le cose, di quello capeggiato dal Maresciallo Petain (1856-1951) nel 1940.

  

Come tutti i governi dei paesi imperialisti “democratici”, i governi di Chamberlain e di Churchill dipendevano anche dall’orientamento dell’opinione pubblica, ma né sapevano manipolare abbastanza le masse popolari e sottrarle all’influenza del movimento comunista, né sapevano imporre nella classe dominante la disciplina necessaria, portando i loro paesi ad una collaborazione aperta, stabile e sicura con la Germania nazista. Essi costringevano i nazisti ad avvolgere di ipocrisie e di cautele ogni passo in avanti che facevano nel loro rafforzamento internazionale e interno, per farlo digerire in qualche modo all’opinione pubblica dei “paesi democratici”. Di conseguenza i nazisti arrivarono alla conclusione che, prima di lanciarsi contro l’Unione Sovietica, era necessario regolare i conti ad occidente e crearvi una retrovia più sicura.

Nell’ambito dei contatti e delle trattative che avevano partorito l’Accordo di Monaco (settembre 1938) e l’occupazione della Cecoslovacchia, era rimasto inteso tra Hitler, Chamberlain e Daladier che la Germania aveva mano libera ad oriente, a condizione che procedesse salvando le apparenze. La Polonia rientrava nella zona di influenza tedesca. Non erano stati definiti però chiaramente né la nuova sistemazione di Danzica e del “corridoio polacco” che univa la Polonia a Danzica e divideva la Prussia dal resto della Germania, né la sistemazione dei tre paesi Baltici (Lituania, Lettonia, Estonia). Era però rimasto inteso che la guerra contro l’Unione Sovietica sarebbe incominciata con l’agitazione a favore di un’Ucraina indipendente, ma in realtà sotto protettorato tedesco. L’agitazione doveva partire dalla Rutenia, regione di lingua ucraina che il Trattato di Versailles (1919) aveva inglobato nella Cecoslovacchia. L’agitazione doveva coinvolgere le regioni ucraine che lo stesso trattato aveva assegnato alla Polonia e alla Romania per arrivare attraverso esse all’Ucraina sovietica. Ma i nazisti, quando nel marzo 1939 liquidarono completamente la Cecoslovacchia e occuparono Praga, accontentarono l’amico governo ungherese dell’Ammiraglio Horthy che da tempo rivendicava la Rutenia. Era il segnale, ben chiaro, per i capi della maggioranza e dell’opposizione borghesi nei “paesi democratici” al corrente delle intese, che Hitler aveva abbandonato, per il momento almeno, il comune progetto concordato al tempo di Monaco di far accettare all’opinione pubblica britannica e francese la ristrutturazione e lo smembramento della Polonia e della Romania e l’aggressione dell’Unione Sovietica con una ben orchestrata campagna pubblicitaria sui diritti nazionali degli ucraini “oppressi e perseguitati” in particolare dai russi: Hitler intendeva quindi crearsi un retroterra sicuro a occidente. Erano prevalsi quei nazisti “estremisti” (von Ribbentrop, Goebbels, Himmler, ecc.) convinti che fosse più sicuro e oramai relativamente facile con una campagna ad occidente crearvi una sistemazione apertamente e stabilmente favorevole alla Germania, contro quelli “moderati” (Goering e altri) che ritenevano che la Germania potesse e dovesse avere fiducia nei governi esistenti, che sarebbero stati capaci di far sì che i “paesi democratici” si attenessero, con le solite proteste di facciata, alle intese sulla mano libera della Germania nazista a oriente. Messi di fronte alla prospettiva di una imminente campagna tedesca a occidente, Chamberlain e Daladier cercarono di riguadagnare margini di manovra all’interno e all’estero buttando all’aria l’intesa già raggiunta sulla mutilazione della Polonia. Il 31 maggio 1939 diedero pubblicamente al governo polacco una garanzia unilaterale contro la Germania, comprensiva del mantenimento della situazione esistente a Danzica e nel “corridoio polacco”, oramai divenuta insostenibile. Il governo polacco del colonnello Beck era in buoni rapporti con Hitler, del tutto impreparato a resistere alla Germania, disposto a venire a patti sul corridoio e su Danzica, ma la garanzia unilaterale pubblica della Gran Bretagna e della Francia lo metteva nell’impossibilità di cedere alle pretese di Hitler se voleva mantenersi al potere.

Nelle intenzioni di Chamberlain e di Daladier la loro garanzia unilaterale della Polonia doveva servire solo a costringere Hitler a ritornare, sotto la minaccia della guerra sui due fronti, alle intese raggiunte ai tempi di Monaco e a rinunciare quindi alla campagna sul fronte occidentale. Essi dissuasero addirittura fino al 30 agosto il governo polacco dal mobilitare l’esercito, con la scusa che sarebbe stata “una provocazione contro la Germania”. In realtà Hitler decise invece di sconvolgere egli i piani della borghesia dei “paesi democratici”: concluse un accordo (provvisorio) con il comune nemico, l’Unione Sovietica, a cui cedette le regioni ucraine della Polonia e i Paesi Baltici e occupò il resto della Polonia (accordo Molotov-Ribbentrop, agosto del 1939). A questo punto la borghesia dei “paesi democratici” fu posta di fronte al bivio: o accettare il fatto compiuto e cedere o far fronte alla campagna tedesca sul fronte occidentale.

I governi Daladier (marzo 1940) e Chamberlain (maggio 1940) vennero rovesciati dalla disgregazione delle loro stesse maggioranze e i nazisti lanciarono la loro offensiva sul fronte occidentale. Tuttavia le manovre e i tentativi della borghesia imperialista anglo-americana di accordarsi con Hitler e i nazisti moderati per una spartizione di sfere d’influenza e un’alleanza contro l’Unione Sovietica continuarono lungo tutta la Seconda Guerra Mondiale (minaccia del rovesciamento del fronte). Quando il 22 giugno 1941 Hitler lanciò l’offensiva contro l’Unione Sovietica, lo schieramento dei “paesi democratici” a fianco dell’URSS anziché a fianco della Germania nazista non era scontato e fu contrastato all’interno delle classi dominanti dei due paesi: persino un personaggio ufficiale come Harry Truman (1884-1972) fece pubblicamente campagna per l’equidistanza.

La conduzione militare della guerra da parte della borghesia imperialista anglo-americana risulta razionale solo se si tiene ben presente il suo interesse, al di là della retorica antifascista e antinazista di facciata, a far logorare il più possibile l’Unione Sovietica e contenere il movimento comunista in Europa e in Asia. È tuttavia probabile che sia la borghesia imperialista anglo-americana sia il movimento comunista abbiano sopravvalutato la reale capacità della prima di “rovesciare il fronte” e allearsi con la Germania nazista contro l’Unione Sovietica, stante le relazioni tra borghesia imperialista e masse popolari nei rispettivi paesi e i contrasti di interessi e di vedute nella borghesia imperialista.(18)

  

18. Un fenomeno come quello dei “cinque Magnifici” di Cambridge (Kim Philby (1912-1988), Guy Burgess (1911-1963), Donald Maclean (1913-1983), Anthony Blunt (1907-1983), John Cairncross (1913-1982)), i cinque brillanti esponenti dell’alta società britannica che si misero al servizio dell’Unione Sovietica, è incomprensibile, se non si tiene conto dei profondi contrasti che dividevano la borghesia imperialista britannica.

  

La disponibilità del movimento nazista ad accordarsi con la borghesia imperialista anglo-americana per una comune crociata antisovietica è confermata dal viaggio avventuroso di Rudolf Hess (1894-1987) in Gran Bretagna (1941) e dalle proposte che dal campo nazista e tedesco arrivarono agli anglo-americani fino alla fine della guerra.

Riassumendo: la borghesia imperialista aveva fatto quanto poteva per unire le forze contro il movimento comunista e contro l’Unione Sovietica, ma il suo sforzo si concluse con una coalizione dei “paesi democratici” e dell’Unione Sovietica contro le potenze dell’Asse Berlino-Roma-Tokyo e quello che ne seguì: la Resistenza antifascista in Europa e in Asia, il successo dell’URSS, la creazione del campo socialista, la vittoria della rivoluzione cinese, il rafforzamento del movimento comunista in Europa occidentale e negli USA, i movimenti antimperialisti di liberazione nazionale nelle colonie, il cambiamento dei rapporti di forza a livello mondiale tra il movimento comunista e la borghesia imperialista.

  

 

I due autori illustrano bene il ruolo dell’opinione pubblica dei “paesi democratici” nel movimento politico degli anni ’30. Essi tuttavia danno per ovvio (“naturale”) che l’opinione pubblica in Francia e in Gran Bretagna (e negli USA) fosse prevalentemente antifascista. Per noi comunisti invece la lezione più importante sta proprio qui. L’orientamento antifascista dell’opinione pubblica costrinse le Autorità dei “paesi democratici” a invischiarsi sempre più strettamente nelle contraddizioni della loro posizione fino al punto da dover prendere decisioni che le portarono dove non avrebbero mai voluto arrivare stante i loro interessi. Come poté formarsi, resistere nel tempo e addirittura rafforzarsi nei “paesi democratici” un’opinione pubblica antifascista nonostante i regimi di controrivoluzione preventiva e nonostante la volontà, gli sforzi, gli interessi e la tendenza della borghesia imperialista a valorizzare il nazismo e appoggiarne l’opera?

Il fascismo, il nazismo e i movimenti affini erano sorti nei rispettivi paesi per soffocare l’autonomia politica della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari e per far fronte alla loro aspirazione a un maggior benessere immediato a danno delle classi privilegiate. In breve per “rimettere i lavoratori al loro posto”.

Essi avevano dovuto introdurre la dittatura anche tra i gruppi imperialisti, sopprimere la loro libertà politica: ma questo era solo un sacrificio necessario, per la borghesia un male minore.(19) Avevano avuto successo nel mobilitare una parte relativamente piccola delle masse popolari contro il grosso delle masse popolari, nello sfruttare a favore delle classi privilegiate i contrasti esistenti in seno alle masse popolari, nel mobilitare quanto di più arretrato (i miti, le delusioni, l’antisemitismo, ecc.) esisteva in ogni paese e associarlo all’insofferenza per la situazione esistente e ad aspirazioni progressiste, slegarle però queste dalle forze sociali che potevano concretamente realizzarle.

  

19. Omologare al fascismo ogni regime dittatoriale o comunque violento, significa perdere di vista proprio l’essenza, la sostanza del fascismo e il suo ruolo nella storia: dittatura terroristica della borghesia imperialista, quindi fenomeno politico specifico solo dei paesi imperialisti, basato sulla mobilitazione reazionaria di una parte delle masse popolari. Significa eludere la composizione di classe del paese, il ruolo storico del regime e tutto quanto è specifico del fascismo e lo distingue dall’uso della violenza nell’esercizio del potere (uso che è diffuso lungo tutta la storia dell’umanità divisa in classi e comune a tutti gli Stati, anche ai più democratici: per cui quella omologazione è in realtà abbellimento degli Stati democratici e occultamento della loro vera natura). Sconfina nella equiparazione del fascismo al comportamento violento o autoritario degli individui nelle loro relazioni personali. Ai fini di capire la realtà e di usare la conoscenza per trasformarla, vale tanto quanto confondere col capitalismo tutti i modi di produzione chiamando capitale i mezzi di produzione.

  

Grazie a questo successo avevano soffocato e decimato il movimento comunista e sottoposto le masse popolari ad un regime terroristico. Avevano approfittato delle condizioni terribili in cui la stessa borghesia aveva precipitato larga parte delle masse popolari (con la guerra, con gli effetti della pace imperialista, con la disoccupazione di massa: insomma con la crisi generale del capitalismo), per imporre una disciplina reazionaria e terroristica condita con misure e rimedi paternalistici ed assistenziali e con promesse di un futuro benessere da conquistare con il saccheggio di altri paesi e la spoliazione di altri popoli e gruppi sociali (politica del bastone e della carota).

Il fascismo e il nazismo si erano imposti come rimedi efficaci di fronte a condizioni che le masse popolari sentivano come intollerabili, ma da cui non riuscivano ad uscire con le proprie forze rivoluzionarie (a causa dei limiti nella concezione del mondo che queste presentavano). Erano condizioni analoghe a quelle che le masse popolari negli anni ’30 vivevano anche nei paesi imperialisti “democratici”. La borghesia imperialista di questi paesi doveva far fronte ad una situazione analoga per molti aspetti a quella che la borghesia imperialista aveva dovuto affrontare in Italia e in Germania.

Come era nella natura della borghesia imperialista la simpatia per il fascismo e il nazismo, era nella natura delle masse popolari l’ostilità per simili movimenti. L’orientamento antifascista e antinazista delle masse popolari dei “paesi democratici” era innanzitutto resistenza all’applicazione anche nel proprio paese delle soluzioni reazionarie e terroristiche che fascisti e nazisti erano riusciti ad imporre nei rispettivi paesi. Le masse popolari che combattevano il fascismo e il nazismo a livello internazionale, combattevano per se stesse, per impedire che nel proprio paese la borghesia imperialista imponesse soluzioni simili a quelle che fascisti e nazisti avevano imposto in Italia, in Germania e in altri paesi. Quindi l’orientamento antifascista e antinazista dell’opinione pubblica in politica estera corrispondeva agli interessi sia immediati sia strategici delle masse popolari, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione.

Ma ciò non comportava automaticamente che quell’orientamento prevalesse e si esprimesse sul piano politico con una forza sufficiente a condizionare il comportamento della classe dominante. Il dato di fondo doveva essere trasformato e organizzato come forza politica nell’ambito dello scontro politico della società borghese, come orientamento e schieramento di fronte a precisi problemi. Doveva essere tradotto in schieramenti politici per impedire che si ripetesse la sconfitta che la classe operaia e le masse popolari avevano subito in Italia prima e in Germania poi.

Il contrasto di classe si acuiva per forza di cose, lo scontro politico diventava quindi più acuto. Era compito del movimento comunista cosciente e organizzato fare in modo che la crescita delle forze rivoluzionarie procedesse in parallelo con l’acuirsi dello scontro politico. Era la condizione indispensabile per impedire che si ripetesse la sconfitta subita nei paesi fascisti e per creare condizioni via via più favorevoli per la vittoria.

È quello che il movimento comunista dell’epoca riuscì sostanzialmente a fare, grazie all’azione politica illuminata e lungimirante, multiforme e continua, tenace e ben mirata sanzionata dal VII Congresso dell’Internazionale Comunista (1935) e attuata dalla stessa IC, dall’Unione Sovietica e dai vari partiti comunisti dei singoli paesi: la linea del Fronte Popolare Antifascista.

Alcuni compagni negano ogni ruolo, ai fini della politica rivoluzionaria, all’opinione pubblica nei regimi di controrivoluzione preventiva. Essi sostengono che l’opinione pubblica nei regimi di controrivoluzione preventiva è completamente manipolata dalla classe dominante. Il libro di Leibovitz e Finkel mostra che questa tesi è sbagliata: ed è per noi comunisti l’insegnamento principale dell’opera.

Lascio perdere qui le giuste considerazioni che sono opposte ai sostenitori, in buona o cattiva fede, ingenui o imbroglioni qui poco importa, del cretinismo parlamentare, della via parlamentare ed elettorale al socialismo. Le lezioni della Spagna e della Francia del 1936 e del Cile del 1973 bastano. Qui la questione non è se le campagne elettorali, le elezioni, la partecipazione alla lotta politica borghese, l’attività parlamentare sono o no mezzi per instaurare il socialismo. È ovvio che non lo sono. La questione qui è il ruolo che possono avere, ai fini della politica rivoluzionaria del movimento comunista, la partecipazione alle attività della politica borghese e lo sfruttamento delle libertà politiche che i regimi di controrivoluzione preventiva consentono, dando per scontati i limiti posti dalla condizione economica e sociale delle masse popolari e le costrizioni e le manipolazioni economiche, pubblicitarie, giudiziarie, legali o poliziesche, l’intossicazione, la confusione e la diversione, le pressioni, i ricatti e l’intimidazione, le condizioni di ignoranza e di abbrutimento che sono propri di ogni regime di controrivoluzione preventiva. Riprendendo le argomentazioni già svolte in vari articoli comparsi su La Voce, la questione qui è il ruolo che la partecipazione della classe operaia e del resto delle masse popolari alla lotta politica borghese può avere per limitare la libertà d’azione della borghesia imperialista e per passare, in un paese imperialista, dalla prima alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD).

Orbene il resoconto fatto da Leibovitz e Finkel sulla condotta delle Autorità britanniche e francesi negli anni ’30 conferma la tesi già esposta dal (nuovo)PCI rispetto al passaggio nei paesi imperialisti dalla prima alla seconda fase della GPRdiLD.

  

 

L’intervento della classe operaia e del resto delle masse popolari nel teatrino della politica borghese, se è ricco di iniziativa e abbastanza autonomo dall’influenza della borghesia imperialista, abbastanza illuminato e anticapitalista (cioè sia contro gli interessi economici sia contro gli interessi politici e culturali della borghesia), a difesa dei propri interessi materiali e spirituali, non limitato nelle strettoie e costrizioni degli interessi e delle compatibilità della borghesia, dei suoi privilegi e dei suoi miti, delle leggi della sua economia e del mercato, lungimirante, universale (riguardante tutti gli aspetti della vita delle masse popolari, non solo quelli economici), coerente e senza sosta, assiduo, continuo e duraturo, costringe la borghesia dei “paesi democratici” ad avvolgersi sempre più strettamente ed inestricabilmente in una spirale di impegni ed iniziative contraddittori, di menzogne, di promesse e di intrighi nella politica interna e internazionale. Essa anzitutto è così indotta a dividersi in una destra e in una sinistra sempre più contrastanti. Proprio grazie alla qualità dell’intervento della classe operaia e del resto delle masse popolari, questa divisione cambia natura: cessa di essere principalmente una iniziativa della borghesia imperialista per turlupinare le masse popolari, per esercitare più profondamente e da più lati la sua influenza sulle masse popolari, una divisione dei ruoli nella classe dominante, una divisione in cui quindi la sinistra della borghesia imperialista è diretta dalla destra e al suo rimorchio (questo è oggi il rapporto tra il circo Prodi e la banda Berlusconi); diventa invece l’espressione di un reale contrasto nella borghesia imperialista sul modo migliore per salvaguardare i suoi interessi di fronte all’iniziativa autonoma della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari. In questo contesto la sinistra della borghesia imperialista è a rimorchio della classe operaia; è il partito delle concessioni, ovviamente le minime ritenute indispensabili per raggiungere l’obiettivo di pacificare le masse popolari, dividerle, riportarle all’antica subordinazione e rassegnazione; è il partito delle riforme, ovviamente intese nel modo più gretto e più ristretto, in cui gli obiettivi della classe operaia sono trasformati in misure compatibili con l’ordinamento, la mentalità e gli interessi borghesi, soprattutto in chiacchiere e procedure affidate a funzionari della borghesia; in misure e istituzioni che escludono l’iniziativa della classe operaia e del resto delle masse popolari, che impediscono che le riforme funzionino come “scuole di comunismo” per le masse popolari.

Se la sinistra della borghesia imperialista non raggiunge l’obiettivo comune di tutta la borghesia imperialista, prima o poi la destra della borghesia imperialista prenderà l’iniziativa di rompere anche apertamente (non solo nel modo subdolo proprio della controrivoluzione preventiva) con la forma democratica del suo dominio. La destra della borghesia imperialista passerà “per disperazione” alla dittatura terroristica e alla guerra civile. Avverrà quello che F. Engels indica chiaramente nella sua celebre Introduzione del 1895 allo scritto di Marx (Lotte di classe in Francia 1848-1850) e che già in effetti è avvenuto più volte da allora in qui, ora in un paese ora in un altro.

Con la controrivoluzione preventiva la borghesia imperialista anziché abolirle, ha cambiato la natura delle elezioni, delle campagne elettorali, dell’attività parlamentare e del resto delle attività attinenti alle libertà politiche: ne ha fatto una truffa organizzata e sistematica ai danni delle masse popolari. Ciò è un male, ma è anche un bene: e, soprattutto, è la realtà con cui dobbiamo fare i conti per avanzare, salvo avvenimenti eccezionali e straordinari. L’attuale truffa è il risultato e l’indizio dell’incompatibilità degli interessi della borghesia imperialista con l’intervento autonomo delle masse popolari nella politica borghese: è una conferma della verità del marxismo.

È il partito comunista in grado di trasformare questa necessità della borghesia imperialista in strumento della rivoluzione, in un’arma contro la borghesia imperialista? L’esperienza, anche quella degli anni ’30 dice di sì, però a certe condizioni.

Occorre anzitutto che il partito comunista, ossia l’avanguardia organizzata della classe operaia, il partito degli operai avanzati comunisti, sia capace di instaurare e mantenere (combinando organizzazione e linea di massa) la sua direzione sulla classe operaia e, attraverso di essa, sul resto delle masse popolari.

In secondo luogo occorre che il partito comunista diriga l’intervento delle masse popolari nel teatrino della politica borghese e sia capace di mantenerlo autonomo dagli interessi della borghesia imperialista: qui non si tratta solo di buona volontà né solo di una questione organizzativa. Si tratta anche di linea politica, di obiettivi che non devono essere determinati principalmente sulla base di quello che la sinistra della borghesia imperialista può accettare, ma piuttosto di quello che le masse popolari sono già in grado di concepire e di fare. Proprio su questo terreno negli anni ’30 i partiti comunisti dell’Europa occidentale in generale non furono all’altezza dei loro compiti: celebre è il criterio adottato dal Partito comunista francese: “tutto attraverso il Fronte Popolare”. Esso implicava rinunciare all’autonomia politica del partito comunista. La conseguenza fu che negli USA, nella Gran Bretagna e in Francia, sia pure in misure diverse, la sinistra borghese riuscì ad assumere e a mantenere la direzione della guerra contro il nazifascismo e a subordinare a sé in questa guerra persino il rispettivo partito comunista.

Se il partito comunista è capace di realizzare queste condizioni, sarà la borghesia imperialista ad abbandonare il teatro della politica borghese, a buttare in aria il tavolo da gioco truccato a cui il truffatore si trova gabbato dalla vittima che voleva spogliare. La borghesia imperialista porterà lo scontro di classe ad un aperto scontro di interessi, alla guerra civile. Ma in questo caso ciò avverrà nelle condizioni più favorevoli alle forze rivoluzionarie, perché persino una parte della borghesia rifiuterà di seguire o esiterà a seguire la destra della borghesia in questo ultimo estremo gioco d’azzardo. La guerra civile incomincerà nelle condizioni del massimo isolamento possibile della destra della borghesia imperialista.

Ovviamente si tratta pur sempre di come vincere in una guerra civile, cosa che non interessa chi vuole evitarla a tutti i costi: anche a costo di obbligare la classe operaia e il resto delle masse popolari a sottostare all’intollerabile. Per chi invece vuole realmente un mondo nuovo e vuole realmente porre fine alla guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo del mondo, per chi sa che l’instaurazione del socialismo è l’unica via di progresso e di sopravvivenza per l’umanità, vale anche la considerazione che porsi nelle condizioni più favorevoli per vincere, è anche il modo migliore per evitare che la borghesia imperialista ricorra alla guerra civile, sempre che ve ne sia uno.

È il partito comunista in grado di attuare la strategia indicata o si tratta di “un piano costruito a tavolino” (o di una trasposizione al nostro paese dell’esperienza compiuta in paesi socialmente tanto diversi dal nostro da rendere assurda la trasposizione, come dicono alcuni critici del (n)PCI)?

Non ciò che è avvenuto in Cina o in Vietnam, ma ciò che è avvenuto in Europa durante la prima ondata della rivoluzione proletaria insegna che è possibile. A condizione anzitutto che il partito comunista non identifichi la sua lotta, la lotta politica rivoluzionaria, con la partecipazione alla lotta politica borghese (la citata parola d’ordine del PCF erige invece a linea del partito questa identificazione). Così come non la deve identificare né con la lotta rivendicativa né con la costruzione di organismi di aggregazione delle masse (cooperative, centri sociali, ecc.). A condizione, in secondo luogo, che il partito sia anche organizzativamente autonomo dalla borghesia, capace di continuare a svolgere la sua attività quali che siano gli sforzi fatti dalla borghesia per eliminarlo. Riassumendo: la condizione è il partito comunista clandestino che dirige la lotta sui quattro fronti indicati nel Piano Generale di Lavoro del nuovo Partito comunista italiano (La Voce n. 18, novembre 2004). D’altra parte un intervento nel teatro della politica borghese come quello prima indicato non è possibile sul lungo periodo, cioè per tutto il tempo necessario, se non è sostenuto da un partito comunista come quello indicato, le cui caratteristiche sono più analiticamente formulate dal compagno Nicola P. nell’articolo Il nuovo partito comunista (in La Voce n. 19, marzo 2005).

La nostra strategia è la legge oggettiva della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti scoperta e assunta come guida della nostra attività. Essa deriva e deve essere derivata elaborando l’esperienza del movimento comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale proprio nei paesi imperialisti: l’esperienza dei suoi successi e delle sue sconfitte.

L’opera di Leibovitz e Finkel non entra nel merito: questa questione esula completamente dagli interessi dei due autori. Ma quanto essi espongono conferma pienamente la tesi che il limite principale dei partiti comunisti dei paesi dell’Europa occidentale nella loro applicazione della linea del Fronte Popolare Antifascista, consistette nella mancanza di una visione abbastanza di lungo respiro, nella sottovalutazione dell’appoggio delle Autorità dei “paesi democratici” al regime e al progetto nazisti (cioè in cedimenti alla tesi dell’appeasement) e quindi in una unità senza lotta con gli avversari borghesi della Germania. Questo limite dei partiti comunisti facilitò la direzione dei loro avversari borghesi nella guerra e nel dopoguerra. Impedì il passaggio dalla guerra contro il nazifascismo alla instaurazione del socialismo.

Ma un esercito che impara dai propri errori è un esercito destinato a vincere.

Umberto C.