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Società civile e lotta politica


Lettera di un compagno

Cari compagni, seguo con passione e con profitto La Voce. La rivista illumina la realtà in cui vivo e lavoro e mi fa vedere, attorno a me, cose che, senza, difficilmente noterei, cose che, comunque, non avevo notato. È vero che non è ricca di riferimenti alla realtà particolare che mi circonda e alla mia esperienza diretta: insomma, si sente che “viene da lontano”, che manca il contributo diretto di compagni che vivono sul mio terreno, il nostro contributo. Quindi richiede, per così dire, una traduzione. Ma da quando sono diventato un lettore critico e attivo, faccio io stesso la traduzione locale e particolare di cui ho bisogno. A questo punto la rivista è diventata utile e fertile per me e per i compagni che mi circondano. Vi troviamo anche molte e utili indicazione su cosa fare. Infatti stiamo costruendo un CdP nella nostra zona. Spero che presto sarà cosa fatta.

Proprio per l’interesse che ho per la rivista, vi segnalo una nota stonata nell’ultimo numero, il 22. Si tratta dell’articolo Il potere sociale nella società borghese della compagna Rosa L. Mi chiederete: “Cosa c’è di sbagliato nel-l’articolo?”. Proprio niente. Anzi è un articolo prezioso, utilissimo. Ma è “buttato lì”. Non solo con il titolo a fondo pagina e non curato (il “potere nella società” è già implicito che è un “potere sociale”), ma anche senza introduzione. È mal presentato. La mancanza di presentazione riduce l’efficacia dell’articolo. Ho paura che molti lettori non ne trarranno quello che potrebbero trarne.

Incomincia con “Consideriamo ad esempio un capitalista”. Ad esempio di cosa? L’autri-ce stava ruminando un suo pensiero, seguendo un suo ragionamento. E di colpo si mette a parlare ad alta voce. Eh no, cara Rosa. Devi introdurre spiegandoci di cosa parli! Potevi almeno mettere un sottotitolo, del genere “Critica della società civile borghese”. E potevi incominciare dicendo che prima dello Stato, alle spalle dello Stato, a fondamento dello Stato sta la rete dei rapporti determinati dalle attività economiche e culturali della vita corrente di tutti i giorni: l’insieme dei rapporti sociali, distinti dai rapporti propriamente politici, attinenti questi ultimi all’attività dello Stato e al suo funzionamento. Una rete di rapporti che Lenin chiamava “formazione economico-sociale”. Le classi si distinguono a questo livello. Lo Stato non fa che sanzionare la divisione esistente e conservarla: difende il ruolo della classe dominante, lo rafforza e reprime i movimenti delle classi subalterne che lo minacciano. Lo Stato nasce dalla società civile, esiste in funzione della società civile ed è in rapporto costante con la società civile. La rivoluzione proletaria riguarda la società civile, cambia la società civile. A questo scopo crea un suo Stato e distrugge lo Stato borghese. Per condurre in modo efficace la lotta politica, occorre avere una buona comprensione della società civile di cui lo Stato nemico è espressione, con cui “fa i conti” lo Stato concreto di cui ci occupiamo. Da qui la necessità tra l’altro dell’analisi delle classi (che si differenziano nella società civile) e il resto dell’analisi che la compagna svolge nel suo articolo. Da qui anche molta luce sul contrasto tra la forma democratica che la borghesia proclama per il suo Stato (tutti siamo cittadini eguali davanti alla legge e con gli stessi diritti politici) e gli effettivi rapporti sociali di cui lo Stato borghese è espressione e difensore.

Sarebbe stato utile anche rinviare il lettore ad alcuni dei tanti articoli di La Voce dove è trattato lo stesso tema, ma da altri punti di vista: ad esempio allo scritto La classe operaia ha bisogno del partito comunista. Senza partito, gli operai non hanno voce in campo politico del n. 19. Tratta lo stesso tema da un altro angolo, è complementare all’articolo della compagna Rosa.

Già che ci sono, vi trascrivo un testo di Gramsci. È il testo 35 del Quaderno 15 iniziato nel 1933. Riguarda il passaggio dal proletariato quale è individuato dalle relazioni della società civile, al proletariato che lotta per il potere (organizzato sotto la direzione della sua avanguardia, il partito comunista). Di passaggio spiega anche una questione che alcuni compagni certamente si pongono: “Come mai i proletari dei primi paesi socialisti non hanno resistito con successo ai revisionisti moderni, non hanno impedito il crollo del 1989-1991 (il passaggio alla “terza fase”) e stentano a sollevarsi contro la sciagurata e devastante condizione in cui quel crollo li ha precipitati?”.

“Ettore Ciccotti, durante il governo Giolitti di prima del 1914, soleva spesso ricordare un episodio della guerra dei Trent’Anni (1618-1648): pare che 45 cavalieri ungari si fossero stabiliti nelle Fiandre e poiché la popolazione era disarmata e demoralizzata dalla lunga guerra, siano riusciti per oltre sei mesi a tiranneggiare il paese. In realtà, in ogni occasione è possibile che sorgano “45 cavalieri ungari”, là dove non esiste un sistema protettivo delle popolazioni inermi, disperse, costrette al lavoro per vivere e quindi non in grado, in ogni momento, di respingere gli assalti, le scorrerie, le depredazioni, i colpi di mano eseguiti con un certo spirito di sistema e con un minimo di previsione “strategica”. Eppure a quasi tutti appare impossibile che una situazione come questa da “45 cavalieri ungari” possa mai verificarsi: e in questa “miscredenza” è da vedere un documento di innocenza politica. Elementi di tale “miscredenza” sono specialmente una serie di “feticismi”, di idoli, primo fra tutti quello del “popolo” sempre fremente e generoso contro i tiranni e le oppressioni. Ma forse che, proporzionalmente, sono più numerosi gli inglesi in India di quanto fossero i cavalieri ungari nelle Fiandre? E ancora: gli inglesi hanno i loro seguaci tra gli indiani, quelli che stanno sempre col più forte, non solo, ma anche dei seguaci “consapevoli”, coscienti, ecc. Non si capisce che in ogni situazione politica la parte attiva è sempre una minoranza, e che se questa, quando è seguita dalle moltitudini, non organizza stabilmente questo seguito, e viene dispersa, per un’occasione qualsiasi propizia alla minoranza avversa, tutto l’apparecchio si sfascia e se ne forma uno nuovo, in cui le vecchie moltitudini non contano nulla e non possono più muoversi e operare. Ciò che si chiama “massa” è stata polverizzata in tanti atomi senza volontà e orientamento e una nuova “massa” si forma, anche se di volume inferiore alla prima, ma più compatta e resistente, che ha la funzione di impedire che la primitiva massa si riformi e diventi efficiente. Tuttavia molti continuano a richiamarsi a questo fantasma del passato, lo immaginano sempre esistente, sempre fremente ecc. Così il Mazzini immaginava sempre l’Italia del 48 come un’entità permanente che occorreva solo indurre, con qualche artifizio, a ritornare in piazza, ecc. L’errore è anche legato a un’assenza di “sperimentalità”: il politico realista, che conosce le difficoltà di organizzare una volontà collettiva, non è portato a credere facilmente che essa si riforma meccanicamente dopo che si è disgregata. L’ideologo, che come il cuculo ha posto le uova in un nido già preparato e non sa costruire nidi, pensa che le volontà collettive siano un dato di fatto naturalistico, che sbocciano e si sviluppano per ragioni insite nelle cose, ecc.”.

Mi pare un testo ricco di insegnamenti utili, in questa fase. Nonostante l’alto livello di coscienza e di organizzazione già raggiunto dal proletariato e dalle masse popolari durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, un livello tutt’altro che azzerato, abbiamo tuttavia molte difficoltà a promuovere la rinascita del movimento comunista e in particolare a fare nuovamente della massa del proletariato una forza politica, un protagonista della lotta politica borghese e della lotta politica rivoluzionaria. Cordiali auguri di buon lavoro.

Renato (Brindisi)