Ritorna all’indice de La Voce n° 18
Appello ai comunisti e ai lavoratori avanzati, a tutte le
Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista
***
Costituire liste comuniste che partecipino
alle elezioni regionali del 2005 e alle elezioni politiche del 2006
Manchette
La
borghesia imperialista sta concentrando l’attenzione di vaste masse del
nostro paese sulle prossime scadenze elettorali che essa organizza nel 2005
(elezioni amministrative e regionali) e nel 2006 (elezioni politiche
nazionali) e sulla lotta tra le sue due coalizioni politiche raccolte
rispettivamente attorno a Berlusconi e attorno a Prodi. Le due coalizioni
hanno volti e modi di fare diversi, ma entrambe cercheranno di realizzare la
stessa politica antipopolare delle borghesia imperialista, quella che il
governo Berlusconi ha cercato e cerca di realizzare. Con la loro
mobilitazione le masse popolari hanno resistito con una certa efficacia al
governo Berlusconi. La mobilitazione delle masse popolari oggi ha raggiunto
una certa ampiezza, ma non è ancora ideologicamente, politicamente e
organizzativamente abbastanza autonoma dalla borghesia imperialista da poter
prescindere dall’operazione che la classe dominante sta montando. O la volge
a suo vantaggio o quell’operazione la indebolirà, quale che sia l’esito
della contesa tra le due coalizioni politiche della borghesia imperialista.
La vittoria della “armata Brancaleone” di Prodi la priverà di puntelli che
le sono stati indispensabili. La vittoria della banda Berlusconi genererà
demoralizzazione nelle sue fila. La mobilitazione delle masse popolari
quindi non può prescindere dall’operazione che la borghesia imperialista sta
montando, neanche se noi comunisti ci impegnassimo con tutte le nostre forze
in questo senso. Noi siamo ancora nella fase dell’accumulazione delle forze
rivoluzionarie, siamo ancora nella prima fase della guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata che si concluderà solo con la conquista del
potere da parte delle masse popolari dirette dalla classe operaia e dal suo
partito comunista e con l’instaurazione del socialismo. Oggi la classe
operaia non ha ancora accumulato forze sufficienti per instaurare il suo
potere, attuare le Dieci Misure Immediate e guidare le masse popolari a
realizzare la loro politica. Può però mantenere e anche rendere più efficace
la loro resistenza alla politica antipopolare della borghesia imperialista,
quale che sia la coalizione politica che cercherà di applicarla. Ma per
contrastare con qualche efficacia la politica antipopolare della borghesia
imperialista quale che sia l’esito della contesa tra le sue due coalizioni
politiche, bisogna rafforzare l’autonomia ideologica, politica e
organizzativa delle masse popolari dalla borghesia imperialista. Quindi noi
comunisti dobbiamo approfittare dell’operazione che la borghesia
imperialista, con tutta la potenza dei suoi mezzi e della sua influenza
sociale, sta mettendo in piedi, dobbiamo volgerla a favore della
mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Dobbiamo usarla 1. per
rafforzare l’aggregazione delle masse popolari sotto la bandiera del
comunismo, cioè sia per estendere la loro mobilitazione sia, e questo oggi è
l’anello principale della catena, per rafforzare la loro autonomia
ideologica, politica e organizzativa dalla borghesia, 2. per creare
condizioni più favorevoli a uno sviluppo ancora maggiore della mobilitazione
e della sua autonomia dopo le elezioni, contro il prossimo governo borghese.
I movimentisti e gli opportunisti si accontentano che la
mobilitazione delle masse popolari cresca quantitativamente: non si
preoccupano della sua autonomia dalla borghesia, non si preoccupano di quale
classe ne ha la direzione.
Gli estremisti di sinistra sostengono la famigerata
concezione della “sostituzione, a tempo determinato o a tempo indeterminato,
della classe operaia da parte di questo o quel gruppo nel fare la
rivoluzione”. Loro si accontentano dell’autonomia del proprio gruppo. Quella
concezione sciagurata li esime dal lavorare per la mobilitazione delle masse
popolari sotto la direzione della classe operaia e del suo partito, ossia
per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
Noi comunisti dobbiamo occuparci dell’ampiezza della
mobilitazione delle masse popolari e quindi oggi principalmente della sua
autonomia dalla borghesia imperialista. Solo una mobilitazione delle masse
popolari più autonoma dalla borghesia imperialista, cioè diretta dalla
classe operaia e dal suo partito comunista, riuscirà ad ampliarsi e
rafforzarsi fino ad essere in grado di instaurare un nuovo superiore
ordinamento sociale. Approfittare dell’azione della borghesia per rafforzare
l’autonomia della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia e
creare condizioni più favorevoli al suo ulteriore sviluppo è il senso e
l’obiettivo principale della presentazione di liste comuniste alle prossime
elezioni. Nell’attuale situazione la presentazione di liste comuniste è
anche quanto possiamo fare di meglio sul piano elettorale per la difesa
delle conquiste di civiltà e di benessere, per l’ampliamento dei diritti e
il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari,
per acuire i contrasti tra quei gruppi imperialisti che puntano sul blandire
le masse popolari, imbrogliare le carte, indorare le pillole e servirsi
della collaborazione dell’aristocrazia operaia e quelli che puntano
semplicemente sulla forza e l’arroganza.
A che punto è la mobilitazione delle masse
popolari nel nostro paese? Quanto è vasta e quanto è autonoma dalla
borghesia imperialista?
Nei mesi che abbiamo alle spalle la mobilitazione delle
masse popolari si è estesa ed è stata tale da riuscire a far esaurire
l’attacco che tutta la borghesia imperialista aveva lanciato contro gli
operai e le masse popolari quattro anni fa, quando aveva affidato il governo
del paese a Berlusconi e alla sua banda di fascisti, mafiosi, razzisti,
speculatori, clericali e avventurieri. Berlusconi aveva convinto la
borghesia che sotto la sua guida sarebbe riuscita a imporre molto
rapidamente agli operai e al resto delle masse popolari quello che i governi
del centro-sinistra imponevano a piccoli passi. Che sotto la sua guida
avrebbe ridotto gli operai e il resto delle masse popolari ad ingoiare senza
fare storie la liquidazione di quanto ancora restava dei contratti
collettivi nazionali di lavoro, delle pensioni pubbliche, delle imposte
dirette e proporzionali al reddito, dei diritti sul posto di lavoro (vedasi
ad es. l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori), dei diritti e pratiche
sindacali, dei diritti delle donne, delle liquidazioni (TFR), della scuola
pubblica, della sanità pubblica, dei servizi pubblici, dei diritti delle
minoranze, di tutte le altre conquiste di civiltà e di benessere che le
masse popolari avevano strappato alla borghesia imperialista nella prima
parte del secolo scorso, nell’ambito della prima ondata della rivoluzione
proletaria. Per dirla con le parole del dirigente sindacale venduto ai
padroni, Giorgio Benvenuto (UIL), gli operai e il resto delle masse popolari
avrebbero infine restituito completamente, rapidamente e senza fare storie
alla borghesia quello che le avevano strappato quando il movimento comunista
era una potenza mondiale. Berlusconi aveva inoltre convinto la borghesia
italiana che sotto la sua guida avrebbe partecipato su scala più vasta e con
una quota maggiore al saccheggio del resto mondo, in particolare dei paesi
oppressi e degli ex paesi socialisti.
Le agitazioni condotte dalle varie classi delle masse
popolari nelle aziende, nelle scuole, nelle strade e nelle piazze; il
rafforzamento del nuovo partito comunista, delle Forze Soggettive della
Rivoluzione Socialista e delle organizzazioni autonome dalla borghesia; la
resistenza opposta dai popoli oppressi, in primo luogo dai popoli iracheno e
palestinese all’aggressione imperialista: ecco i tre fattori principali che
hanno impedito a Berlusconi e alla sua banda di mantenere le promesse che
avevano fatto agli altri gruppi imperialisti. Invano, appena insediati al
governo, Berlusconi e il suo “camerata” Fini hanno imitato e superato le
imprese compiute dal governo del centro-sinistra (Amato presidente del
Consiglio, Bianco ministro degli Interni, Diliberto ministro della
Giustizia) con la Polizia e i Carabinieri a Napoli nel marzo 2001. Nel
luglio 2001 essi hanno lanciato Polizia e Carabinieri contro quanti a Genova
manifestavano contro il G8, hanno maltrattato selvaggiamente centinaia di
manifestanti e hanno ucciso Carlo Giuliani. Con questo colpo volevano creare
nel paese un clima di terrore, volevano intimidire le masse popolari,
volevano indurre tutti ad obbedire docilmente. Ma hanno fallito: è stato il
loro primo fallimento. Non dovuto a chi (Bertinotti & C) si è affrettato a
predicare alle masse popolari la calma e a proporre una Commissione
Parlamentare di inchiesta, ma dovuto a chi ha chiamato le masse popolari a
manifestare nelle strade e nelle piazze. La risposta al colpo di Genova è
stata la maggiore mobilitazione che si è sviluppata da allora a oggi nelle
strade, nelle piazze, nelle scuole e nelle aziende: da Mirafiori a Termini
Imerese, dall’AlfaRomeo a Melfi, dagli autoferrotranvieri di Milano, ai
metallurgici di Terni, alla popolazione di Montecorvino e di Acerra. In
queste lotte la mobilitazione delle masse popolari si è estesa ed è
diventata più autonoma dalla borghesia: il movimento comunista si è
rafforzato, la ricostruzione del partito comunista ha fatto passi in avanti.
Per tre anni i padroni non hanno avuto tregua. Sono falliti i ripetuti
tentativi degli “oppositori” di Berlusconi, da Ciampi, a Cofferati, a
Bertinotti, di calmare gli animi delle masse popolari, di chiamare “tutti”
alla concertazione tra i padroni, il loro governo e le organizzazioni
sindacali e politiche sotto la loro influenza, alla loro “unità nazionale”
(per le delocalizzazioni e le aggressioni), di ridurre lo scontro tra le
classi a un “civile confronto” nel Parlamento dove per di più Berlusconi
aveva una comoda maggioranza. Berlusconi riusciva abbastanza facilmente a
far passare alcune parti importanti della sua controriforma in Parlamento,
ma produceva agitazione e resistenza nel paese. Gli Agnelli hanno dovuto
(per il momento) persino rinunciare a chiudere le fabbriche d’auto e a
vendere la loro quota di mercato a General Motors, come già avevano pattuito
con la copertura della banda Berlusconi e dei suoi “oppositori”, da Prodi a
Bertinotti. Lo scoppio della lotta e la vittoria degli operai a Melfi sono
l’espressione concentrata del fallimento dell’attacco lanciato quattro anni
fa dalla borghesia imperialista sotto la guida di Berlusconi.
Nel frattempo, grazie alla resistenza dei popoli oppressi e
aggrediti, le spedizioni in Afganistan e in Iraq si sono trasformate in un
pantano senza fine e senza vantaggi che si è sommato all’impresa disperata
di colonizzare la Palestina. Per di più i gruppi imperialisti USA hanno
continuato a monopolizzare per se stessi il bottino del saccheggio del
mondo. Questo bottino è del resto una base importante della tenuta del loro
regime negli USA, anche per loro è veramente un problema della loro
“sicurezza nazionale”.
Questi risultati del governo Berlusconi hanno indotto la
borghesia a togliere la fiducia a Berlusconi e alla sua banda. Il Vaticano,
la Confindustria, gli Agnelli, i gruppi imperialisti franco-tedeschi hanno
via via preso le distanze dal suo governo. Persino la Mafia ha preso le
distanze da Berlusconi e si è ricompattata con il Vaticano: l’assoluzione di
Andreotti è l’espressione della pace fatta. Solo i gruppi imperialisti
sionisti e USA continuano ancora ad appoggiare Berlusconi e la sua banda.
Questi infatti li sostengono con mercenari, soldi e mezzi logistici nella
loro aggressione ai paesi arabi, in particolare in Palestina e in Iraq, che
è oggi la principale espressione della lotta dei gruppi imperialisti USA per
conservare la loro egemonia nel mondo. Ma Berlusconi è oramai talmente
legato alla contraddizione tra gruppi imperialisti USA e gruppi imperialisti
franco-tedeschi che un’eventuale e probabile tregua tra questi toglierebbe a
Berlusconi anche l’ultima potente sponda che gli resta. Tanto più che i suoi
oppositori, da Prodi a Bertinotti, sono disposti a subentrare nell’impresa,
salvo travestire mercenari e bombardieri con le bandiere dell’ONU. Gli
orientamenti della classe dominante si ripercuotono già anche all’interno
della banda Berlusconi: i suoi soci sono sempre più inquieti. Ognuno cerca
di assicurarsi un futuro oltre il governo Berlusconi. Prodi sta mettendo
assieme la sua “armata Brancaleone” che dovrebbe ricevere dalla borghesia
l’investitura per succedere a Berlusconi e alla sua banda. Le elezioni
europee del 13 giugno 2004 hanno mostrato che Berlusconi non domina la
macchina elettorale come la dominava il regime DC. Se la banda Berlusconi e
i gruppi imperialisti USA e sionisti non ricorreranno ai mezzi estremi della
strategia della tensione, i passaggi della successione dovrebbero
realizzarsi tramite le elezioni regionali del 2005 e le elezioni politiche
del 2006. Queste quindi sono un importante passaggio della crisi politica
del nostro paese, della putrefazione del regime democristiano che dura
oramai da quindici anni. La mobilitazione delle masse popolari ha sconfitto
probabilmente in modo definitivo la banda Berlusconi, ma se questa cadrà la
sua successione sarà presa da un altro governo della borghesia imperialista:
la mobilitazione delle masse popolari non è ancora abbastanza autonoma dalla
borghesia imperialista per imporre il proprio potere e attuare le Dieci
Misure Immediate.
Cosa ricaveranno dalla vittoria ottenuta
sul campo gli operai e le altre classi delle masse popolari che hanno
resistito all’attacco della borghesia fino a farla desistere?
Il programma con cui la Grande Alleanza Democratica (GAD) di
Prodi si presenterà alle elezioni è il programma di un governo per conto
della borghesia imperialista. In sostanza è analogo a quello che la banda
Berlusconi ha cercato di attuare. Cambia la combinazione delle forze
politiche che comporranno il governo, ma per quanto riguarda direttamente le
masse popolari i punti su cui il suo programma si differenzia sono pochi e
anche quei pochi non avranno alcuna attuazione pratica. Si tratta di buoni
propositi senza conseguenze pratiche, di promesse che contrastano con gli
interessi dei mandanti di Prodi e che quindi non saranno attuate, di parole
buone per accaparrarsi voti a tradimento, di puri e semplici imbrogli
elettorali che le società di marketing hanno elaborato studiando ciò che
“alla gente più piace sentirsi dire” come ce n’erano anche nel programma del
governo Berlusconi. Non c’è nulla nella classe dominante e nella nuova
coalizione messa insieme da Prodi che faccia ragionevolmente credere che un
eventuale nuovo governo Prodi-Bertinotti farà nella pratica una politica
diversa da quella che ha fatto negli anni 1996-1998. La politica
antipopolare fatta dal governo Berlusconi è stata la continuazione della
politica antipopolare fatta negli anni 1995-2001 dai precedenti governi di
centro-sinistra presieduti da Dini, Prodi, D’Alema e Amato. Berlusconi e la
sua banda si erano solo impegnati ad attuarla più rapidamente e
drasticamente: quello che la mobilitazione delle masse popolari ha impedito.
Questa politica non è frutto di errori e di equivoci. Al contrario
corrisponde a precise e reali necessità della borghesia imperialista. È la
versione italiana della politica che la borghesia imperialista ha imposto e
sta imponendo in tutti gli altri paesi imperialisti: privatizzazioni,
riduzione dei servizi pubblici veramente a disposizione della massa della
popolazione, la scuola ridotta ad azienda che insegna mestieri a chi può
pagare, gli ospedali ridotti ad aziende che somministrano cure a chi può
pagare, abbassamento della qualità dei servizi che restano ancora,
eliminazione dei diritti sindacali e politici dei lavoratori, rapporti di
lavoro più precari, sfruttamento e persecuzione degli immigrati,
disoccupazione cronica, devastazione dell’ambiente, militarizzazione della
vita quotidiana, crescenti restrizioni di ogni genere per la gente comune,
ogni libertà per i capitalisti e i ricchi, emarginazione e abbrutimento di
parti crescenti della popolazione, criminalità e prostituzione dilaganti,
delocalizzazioni, esternalizzazioni, i lavoratori e la massa della
popolazione ridotti sempre più a “variabile dipendente” dai profitti,
mobilitazione crescente di parti della popolazione contro altre,
ricolonizzazione dei paesi oppressi, aggressione e occupazione dei paesi i
cui governi oppongono resistenza al saccheggio dei maggiori gruppi
imperialisti. Di fronte alla crisi del loro ordinamento sociale i
capitalisti non concepiscono altra risposta che una violenza maggiore per
imporlo. Ogni governo investito dalla borghesia imperialista cercherà di
attuare questa politica. È la sola politica che la borghesia imperialista
può attuare. I due poli raccolti rispettivamente attorno a Berlusconi e a
Prodi si disputano l’”onore” di essere più capaci di attuarla, sono zuppa e
pan bagnato. Proprio perché i due poli non sono sostanzialmente differenti,
essi possono alternarsi. Può addirittura avvenire che nelle prossime
elezioni Berlusconi e la sua banda recuperino consensi e voti e si
mantengano al potere, nonostante l’ostilità crescente di una parte
importante della borghesia imperialista. Come avvenne nel 1994 col primo
governo Berlusconi.
Solo una forte mobilitazione delle masse popolari sempre più
autonoma dalla borghesia può da subito imporre limiti all’attuazione di
simile politica. Il rafforzamento del movimento comunista e la solidarietà
con la resistenza dei popoli oppressi all’aggressione imperialista e
sionista sono un aspetto indispensabile di essa. Sono la fonte della sua
autonomia dalla borghesia, l’indice della misura della sua autonomia e la
garanzia della sua possibilità di allargamento a masse più vaste. La
mobilitazione delle masse popolari può crescere oltre un certo limite solo
se è autonoma dalla borghesia, cioè se è diretta dalla classe operaia e dal
suo partito comunista. In caso contrario si impantana nelle contraddizioni
tra frazioni delle masse popolari. La borghesia imperialista trasforma
programmaticamente e anche spontaneamente la contraddizione tra sé e le
masse popolari in mille contraddizioni tra parti delle masse popolari, le
divide, suscita tra le masse popolari la contesa su chi subirà i colpi
peggiori della crisi del suo ordinamento sociale, su chi sarà licenziato per
primo, se patire la disoccupazione o ammalarsi d’inquinamento, ecc. Finché
l’influenza della borghesia è determinante e non esce per i suoi obiettivi
dall’orizzonte dell’ordinamento borghese della società, la mobilitazione
delle masse popolari non riesce ad estendersi oltre certi limiti; per
restare nell’ambito dell’ordinamento sociale borghese essa sostiene gli
interessi di una parte delle masse popolari contrapponendoli agli interessi
di altre parti; crea divisioni tra le masse popolari: lo si è visto anche
recentemente nel “movimento dei girotondi” e nel “movimento
altermondialista”. La crescita quantitativa della mobilitazione delle masse
popolari dipende dalla sua trasformazione qualitativa. Bisogna quindi
rafforzare l’autonomia dalla borghesia della mobilitazione delle masse
popolari. Questo è il principale problema politico del momento sul terreno
del lavoro di massa. Il rafforzamento della mobilitazione delle masse
popolari contro la borghesia imperialista e contro il suo ordinamento
sociale che essa cerca di mantenere in vita a ogni costo è il migliore
ostacolo sia a un rinnovo del mandato di governo a Berlusconi e alla sua
banda sia alla continuazione della sua politica antipopolare da parte del
governo di Prodi e della sua “armata Brancaleone”.
Ma nella lotta contro il governo di Berlusconi e della sua
banda la mobilitazione delle masse popolari si è fatta forte politicamente e
soprattutto organizzativamente anche della confluenza con l’opposizione
borghese alla banda Berlusconi, con chi voleva un’alternativa borghese alla
banda Berlusconi, con chi era solo preoccupato perché l’azione della banda
Berlusconi rafforzava il particolare gruppo finanziario e la particolare
rete criminale di Berlusconi contro gli altri e suscitava fermento tra le
masse popolari. L’aristocrazia operaia ideologicamente e politicamente
dipendente dalla borghesia (i cui capi sono i Cofferati, gli Epifani, i
Bertinotti, i Salvi) domina nei sindacati di regime e in alcuni partiti di
regime. Anch’essa era nel bersaglio della banda Berlusconi. Contro l’attacco
lanciato dalla borghesia sotto la guida di Berlusconi, la mobilitazione
delle masse popolari si è giustamente avvalsa anche di questi concorrenti e
“oppositori” di Berlusconi. Stante la sua debolezza non poteva essere
diversamente. In particolare si è avvalsa della CGIL, della FIOM, del PRC e
della sinistra DS. I capi di questi organismi sono stati ideologicamente e
politicamente un freno all’autonomia della mobilitazione delle masse
popolari dalla borghesia imperialista. Hanno fatto il massimo sforzo per
mantenerla nell’ambito delle compatibilità dell’ordinamento sociale borghese
che soffoca le masse popolari. Quindi ne hanno anche limitato lo slancio e
la forza. Ma organizzativamente sono stati, certo per i loro interessi ben
distinti da quelli delle masse popolari, il puntello principale della
mobilitazione delle masse popolari. Quindi sono stati contemporaneamente
causa dei limiti di essa e strumento della sua forza.
I capi di quegli organismi rientrano in pieno nella
coalizione guidata da Prodi e quindi probabilmente nel prossimo governo
della borghesia imperialista che succederà al governo Berlusconi. La
borghesia sta mettendo a punto una nuova manovra che si basa anche sul
maggiore coinvolgimento e una maggiore responsabilizzazione
dell’aristocrazia operaia: sulla collaborazione dei sindacati di regime, in
particolare della CGIL e della FIOM che la banda Berlusconi invece mirava a
ridimensionare e sulla collaborazione del PRC di Bertinotti.
Se l’operazione Prodi ha successo, la mobilitazione delle
masse popolari contro il nuovo governo non potrà più giovarsi di questi
organismi, e tanto meno degli altri sindacati e di altri partiti di regime.
Senza una crescita dell’autonomia, contro il governo Prodi l’opposizione
alla politica antipopolare della borghesia sarà meno efficace di quanto lo è
stata contro il governo Berlusconi. Le masse popolari riusciranno a
contrastare la politica antipopolare della borghesia con tanta più efficacia
quanto più si renderanno autonome dalla borghesia; quanto più avranno un
vertice politico deciso a sostenere in ogni modo, anche dalle assemblee
elettive, la mobilitazione nelle piazze, nelle strade, nelle scuole e nelle
aziende; quanto più i comunisti e i lavoratori avanzati faranno fronte alla
direzione della borghesia nei sindacati di regime e nel movimento sindacale;
quanto più porteranno la lotta o almeno il dubbio anche tra gli elettori e i
militanti dei partiti di regime che sono membri delle masse popolari.
Se l’operazione Prodi non avrà successo e la banda
Berlusconi rafforzerà la sua presa di possesso dello Stato, l’opposizione
alla politica antipopolare della borghesia imperialista riuscirà a
mantenersi al livello attuale, a non cedere alla delusione e allo
scoraggiamento che invaderà quelli che avevano riposto tutte i loro
obiettivi in Prodi e nella sua “armata Brancaleone”, solo se la
mobilitazione delle masse popolari diventa più autonoma dalla borghesia e
predominano in essa obiettivi e prospettive che vanno oltre l’alternativa a
Berlusconi. In questo caso essa può diventare anche più efficace di quanto
lo è stata finora, valorizzando anche quelli che il rafforzamento del potere
della banda Berlusconi indurrà a lottare con più forza, ad abbandonare le
loro illusioni.
Ogni sviluppo positivo per le masse popolari della crisi
politica richiede quindi anzitutto il rafforzamento della autonomia
ideologica, politica e organizzativa della mobilitazione delle masse
popolari dalla borghesia imperialista. Cioè richiede il rafforzamento del
ruolo dei comunisti.
Cosa dobbiamo fare noi comunisti per
rafforzare la causa degli operai e delle masse popolari nella situazione
attuale? Come usare le elezioni dei prossimi mesi per allargare la
mobilitazione delle masse popolari e anzitutto rafforzare la sua autonomia
dalla borghesia?
Possiamo e dobbiamo presentare liste comuniste nel numero
più alto di località concentrando le forze dove esistono le condizioni più
favorevoli e condurre un’energica campagna di agitazione e organizzazione a
loro favore.
Per liste comuniste intendiamo coalizioni elettorali che
hanno il programma
1. di favorire la mobilitazione e organizzazione delle masse
popolari contro la borghesia imperialista per difendere con intransigenza e
onestà tutte le conquiste strappate nel passato da ogni gruppo delle masse
popolari deciso a battersi per difenderle, per ampliare i propri diritti e
migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, per portare
solidarietà alla resistenza dei popoli oppressi all’aggressione dei gruppi
imperialisti e ostacolare la partecipazione della borghesia italiana
all’aggressione e la sua collaborazione con gli aggressori (in particolare
in Iraq e in Palestina);
2. di favorire l’accumulazione delle forze per la lotta per
fare dell’Italia un nuovo paese socialista, quindi favorire ogni forma di
aggregazione e di organizzazione delle masse popolari autonoma dalla
borghesia imperialista e il rafforzamento dell’orientamento comunista nella
mobilitazione delle masse popolari.
Quindi in particolare coalizioni che programmaticamente
escludono ogni forma di concertazione con la borghesia: nelle attuali
condizioni ogni concertazione è certamente a danno degli interessi delle
masse popolari. Coalizioni programmaticamente contrarie ai tentativi di
scaricare, con la scusa della compatibilità, sulle masse popolari
responsabilità da cui l’ordinamento sociale borghese le esclude. Le singole
aziende sono in dissesto perché il sistema non funziona più. Ogni crisi
aziendale è la particolare manifestazione di un problema politico, di un
problema di ordinamento sociale. La società attuale non può reggersi su un
ordinamento sociale che è l’estrema produzione di un mondo di trogloditi che
erano costretti a strappare alla natura di che vivere, incerti del proprio
domani; su un ordinamento sociale che rispecchia ancora la loro condizione e
la loro mentalità. Le crisi aziendali non si risolvono nell’ambito delle
singole aziende, con ristrutturazioni aziendali: si risolvono
temporaneamente in sede politica e fondamentalmente in sede di ordinamento
sociale. Non è un caso che le crisi aziendali si succedono l’una all’altra;
che colpiscono indifferentemente aziende private e pubbliche, in ogni
settore; che dopo ogni ristrutturazione aziendale, a distanza di qualche
anno o mese ne occorre un’altra; che si presentano in tutti i paesi
imperialisti. Le finanze pubbliche sono in dissesto perché l’ordinamento
borghese non è più adatto all’attuale società. I sistemi previdenziali sono
in preda alla crisi finanziaria, quelli pubblici come quelli privati, in
Italia e negli altri paesi imperialisti, perché il sistema finanziario,
ingrandito dalla borghesia per sfuggire alla conseguenze immediate della
crisi del suo ordinamento sociale, è diventato una camicia di forza, che
soffoca la produzione, la circolazione e la distribuzione della ricchezza
reale; che impedisce la produzione pressoché illimitata di ricchezza oggi
possibile; che crea occlusioni nei canali di distribuzione della ricchezza
prodotta. In ogni particolare problema, la pressione politica delle masse
popolari sulla borghesia imperialista è la condizione principale per una
soluzione temporanea favorevole alle masse popolari o almeno per limitare i
danni per le masse popolari. Nello scontro quotidiano e caso per caso tra
borghesia imperialista e una frazione delle masse popolari non si tratta di
trovare “una giusta ripartizione dei sacrifici e dei vantaggi”. Si tratta di
rapporti di forza per costringere la borghesia, contro la sua natura, a
usare a vantaggio delle masse popolari le risorse praticamente illimitate
che le attuali forze produttive consentono e per contrastare lo spreco e la
distruzione di risorse, il marasma sociale e la disgregazione della società
causati dalla sopravvivenza dell’ordinamento sociale capitalista. La
soluzione definitiva e complessiva di tutto questo immane, multiforme e
continuo conflitto di classe, la libera produzione di tutte le ricchezze
necessarie e il loro universale godimento possono iniziare solo con
l’instaurazione del socialismo. Oggi ogni soluzione favorevole a una parte
delle masse popolari o avviene a spese di altre parti delle masse popolari o
è incompatibile con l’ordinamento sociale attuale: perché questo è obsoleto,
è un residuo del passato, è di per se stesso in preda ad una crisi che non
può risolvere con i suoi mezzi e meccanismi ordinari. L’imposizione caso per
caso alla borghesia di soluzioni temporanee, contrarie alla sua natura e
favorevoli all’insieme delle masse popolari, non è una questione puramente
sindacale, puramente rivendicativa. È una questione politica, può risultare
solo dallo scontro politico e da rapporti di forza generali. L’imposizione
di tali misure aggraverà certamente la crisi generale del suo ordinamento
sociale, esse finiranno col diventare insopportabili e intollerabili per la
borghesia. L’accumulazione e la moltiplicazione di queste soluzioni non
porta direttamente al socialismo: porta alla guerra civile che la borghesia
non mancherà di scatenare piuttosto che lasciare il potere, accettare la
scomparsa dei suoi privilegi, del suo mondo, della civiltà per come il
capitalista può concepirla con la sua mentalità da “ultimo dei trogloditi”.
Ma facendo fronte passo dopo passo a questa situazione la mobilitazione
delle masse popolare avrà raggiunto l’autonomia dalla borghesia e la forza
necessarie per instaurare un nuovo ordinamento sociale. Solo instaurando un
nuovo superiore ordinamento sociale le masse popolari possono risolvere i
problemi che l’ordinamento sociale borghese crea. Ma allora le masse
popolari gestiranno tutta l’economia nazionale e l’intera vita del paese per
soddisfare i loro stessi bisogni. Il profitto non sarà più l’obiettivo delle
aziende né la misura della bontà del loro funzionamento. Le Dieci Misure
Immediate sono le linee guida del nuovo superiore ordinamento sociale di cui
la nostra società ha bisogno.
La presenza diffusa di liste comuniste nelle elezioni
amministrative, regionali e politiche dei prossimi mesi è quanto di meglio
oggi i comunisti possono fare sul terreno delle elezioni indette dalla
borghesia imperialista e nell’ambito della lotta politica borghese 1. per
creare condizioni più favorevoli per mobilitare le masse popolari a lottare
per i loro interessi strategici e 2. per mobilitare su più grande scala le
masse popolari a difesa dei loro interessi immediati.
Quale che sia il polo borghese che prenderà in mano il
governo, la presentazione di liste comuniste obbliga da subito i due poli a
una maggiore demagogia o a una maggiore esibizione d’arroganza, li obbliga a
sbilanciarsi in maggiori promesse o in maggiori minacce. Nel prossimo futuro
la libertà di manovra del polo vincente sarà tanto minore quanto maggiore
sarà la mobilitazione delle masse popolari che con queste liste riusciremo a
realizzare nelle campagne elettorali e dopo. La mobilitazione delle masse
popolari attorno ai comunisti sul terreno elettorale e nella lotta
parlamentare è, nel nostro paese nella fase attuale, uno strumento
indispensabile per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
Diventa quindi importante che i comunisti creino da subito, anche
nell’ambito della politica borghese, centri che operino a favore
dell’aggregazione e della mobilitazione delle masse popolari. Bisogna dare
rappresentanza anche sul terreno della lotta politica borghese alla lotta
degli operai e delle altre classi delle masse popolari. Bisogna usare anche
la lotta politica borghese per coalizzare gli operai e le altre classi delle
masse popolari sotto le bandiere del comunismo. Dobbiamo rovesciare contro
la borghesia imperialista la sua attività elettorale e parlamentare.
L’iniziativa che noi proponiamo ai comunisti, ai lavoratori
avanzati, alle FSRS è possibile, è realistica. La borghesia imperialista
deve fare convalidare il suo governo con elezioni a suffragio universale. Il
suffragio universale è una conquista strappata dalle masse popolari e
completata alla fine della Resistenza, nel 1946, dopo che il Fascismo aveva
soppresso anche il suffragio limitato che le masse popolari avevano
strappato negli anni ‘20. Grazie anche ai revisionisti moderni la borghesia
ha stravolto questa conquista e ha imbrogliato le carte: con la
disinformazione e l’intossicazione dell’opinione pubblica, col voto di
scambio, con ricatti morali ed economici di ogni genere, con le minacce e
con la corruzione, in mille modi la borghesia ha aggiunto forza alla forza
sociale che essa già possiede stante il suo ruolo nella società. Ma non ha
ancora eliminato il suffragio universale. In mancanza di un movimento
realmente comunista il suffragio universale è principalmente un elemento di
forza per la borghesia che rafforza l’oppressione del suo Stato con
l’aureola di un’autorità legittimata dal consenso della maggioranza delle
masse popolari che essa opprime e sfrutta. Ma in presenza di un movimento
realmente comunista il suffragio universale è principalmente un elemento di
debolezza per la borghesia che deve strappare il consenso della maggioranza
delle masse popolari per le sue autorità. Ogni volta che un vero partito
comunista si è misurato con le forze borghesi nella mobilitazione
elettorale, esso ha dato tanto filo da torcere alla borghesia che, se ha
persistito, la borghesia ha finito per abolire il suffragio universale. In
Italia è avvenuto nel 1926 ad opera del Fascismo. In altri paesi è avvenuto
in date diverse. Gli avversari di principio della partecipazione dei
comunisti alla mobilitazione elettorale, possono solo appellarsi al triste
precedente dei partiti riformisti e revisionisti, all’inglorioso ruolo che i
revisionisti moderni hanno fatto svolgere al vecchio PCI. Senza dirlo e
forse anche senza capirlo, essi semplicemente cancellano la differenza tra
un vero partito comunista e un partito revisionista. I loro ragionamenti si
possono applicare pari pari anche al campo della lotta sindacale e a ogni
campo dell’attività delle masse popolari. Ogni cosa che il partito comunista
aveva costruito e usato per rafforzare la mobilitazione rivoluzionaria delle
masse popolari, dalla lotta rivendicativa al centralismo democratico, i
revisionisti moderni l’hanno stravolta e usata per promuovere e ribadire la
soggezione delle masse popolari alla borghesia. Gli astensionisti di
principio “buttano via il bambino con l’acqua sporca”. Essi attenuano le
responsabilità del revisionismo moderno nella sconfitta del movimento
comunista, lo assolvono da ogni responsabilità, lo rivalutano e
contemporaneamente denigrano il movimento comunista: senza dirlo e forse
anche senza capirlo. Dato il ruolo che essa ha nella vita sociale, è vero
che la borghesia dispone di mezzi tali che la partita elettorale è comunque
sostanzialmente una partita truccata. Ma il numero organizzato dà alla
classe operaia la forza sociale che il capitale dà al borghese. Sappiamo
inoltre bene che se dovesse perdere la partita elettorale, la borghesia non
accetterebbe il risultato e ricorrerebbe ad altri mezzi. Lo ha già mostrato
centinaia di volte, in paesi di ogni genere. Ma oggi non è questo il
problema che dobbiamo risolvere. Noi comunisti dobbiamo tenere fin da oggi
conto in modo adeguato che certamente arriveremo a quel punto. Dobbiamo fin
da oggi prepararci a farvi fronte. Ma non dobbiamo rinunciare già ora a
crescere e ad avanzare per non arrivare a quel punto. Non dobbiamo né oggi
né domani rinunciare alla lotta per il comunismo, dobbiamo avanzare oggi e
attrezzarci adeguatamente ai compiti di domani. Per arrivare ad una fase più
avanzata della lotta con la borghesia, noi comunisti oggi dobbiamo anzitutto
promuovere una più vasta aggregazione delle masse popolari sotto la bandiera
del comunismo; dobbiamo rompere tra le masse popolari la sfiducia nella
possibilità di vittoria del movimento comunista; dobbiamo infondere nelle
masse popolari, con la parole e con l’esperienza pratica della loro stessa
mobilitazione, una maggiore fiducia nella loro forza. La mobilitazione delle
masse popolari contro la borghesia oggi è principalmente limitata dal fatto
che noi comunisti non portiamo con forza tra le masse popolari un
orientamento comunista e non ci presentiamo tra le masse popolari come
centro di aggregazione, di organizzazione e di direzione. Nella nostra
situazione concreta non sono principalmente la forza economica e politica
della borghesia né la repressione che essa esercita quello che limita il
nostro ruolo tra le masse popolari. Il limite principale al nostro ruolo
come centro di aggregazione, organizzazione e direzione delle masse popolari
oggi è costituito proprio dalla nostra esitazione ad assumere questo
compito. La nostra assenza dal terreno della lotta politica borghese è una
conferma di questa esitazione. Gli astensionisti di principio sono i
portabandiera di questa esitazione, come lo furono i bordighisti negli anni
20 del secolo scorso, anche se si dichiarano e magari davvero si credono dei
grandi rivoluzionari. La lotta politica borghese presenta un terreno per
così dire ideale, particolarmente facile e semplice, per esercitare il
nostro ruolo e per imparare a farlo. Dobbiamo occupare risolutamente questo
terreno e far tesoro degli insegnamenti che, per la lotta su questo terreno,
il vecchio movimento comunista internazionale e italiano ci ha lasciato.
Per fare la rivoluzione bisogna
capire che, a partire dalla situazione attuale quale essa è, occorre
compiere una trasformazione quantitativa. Si arriva al salto qualitativo
(la rivoluzione) solo compiendo una trasformazione quantitativa
(evoluzione). Senza questa evoluzione (trasformazione quantitativa) la
rivoluzione (il salto di qualità) è impossibile. Esso ci appare un
obiettivo necessario ma impossibile da raggiungere, finché non capiamo
la semplice trasformazione quantitativa che dobbiamo compiere. Solo
compiendo questa evoluzione (trasformazione quantitativa) raggiungeremo
il salto qualitativo (la rivoluzione). La rivoluzione si fa con
l’evoluzione, l’evoluzione porta alla rivoluzione. Se parliamo solo di
rivoluzione senza evoluzione, restiamo paralizzati. Ogni meta si
raggiunge compiendo piccoli passi.
L’astensione dalle elezioni di una parte ragguardevole delle
masse popolari, tra il 20 e il 30%, è una sana reazione spontanea delle
masse popolari alla condotta dei partiti borghesi, riformisti e
revisionisti. Da quando un partito revisionista ha preso il posto del vero
partito comunista, la borghesia ha dato libero corso alla sua necessità di
nascondere la sua vera attività politica alle masse popolari. I partiti
borghesi, con la complicità dei revisionisti moderni, hanno ridotto la loro
azione politica svolta sotto gli occhi delle masse e tra le masse
all’imbroglio sistematico, a un “teatrino della politica” per dirla con
Berlusconi, a “politica spettacolo” per dirla con le teste d’uovo della
sinistra borghese. L’astensione delle masse popolari è una sana reazione
spontanea all’azione dei partiti borghesi. La borghesia imperialista ha
spostato altrove la sede della propria azione politica e ha ridotto le
elezioni e l’azione parlamentare dei suoi partiti a spettacolo, schermaglie,
imbroglio, teatro. Una parte importante delle masse popolari ha voltato le
spalle disgustata a questo sconcio spettacolo. Ciò è verissimo. Ma ciò vale
appunto per l’azione dei partiti borghesi. Non ha nulla a che vedere col
fatto che noi comunisti dobbiamo usare e volgere a nostro favore la lotta
politica borghese, aggregare e mobilitare le masse popolari in questa lotta
per rafforzare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Noi
rifiutiamo di confonderci con i partiti borghesi, riformisti o revisionisti.
Gli astensionisti di principio coinvolgono comunisti, revisionisti,
riformisti e borghesi, lotta per il socialismo e lotta per conservare il
capitalismo in un’unica condanna interclassista. Le masse popolari non
confonderanno noi comunisti con revisionisti, riformisti e borghesi, se noi
svilupperemo con dedizione, costanza e da comunisti il nostro lavoro per
l’emancipazione della classe operaia e del resto delle masse popolari dalla
borghesia, per la difesa delle conquiste di civiltà e di benessere, per il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutte le masse
popolari, per l’ampliamento dei loro diritti.
L’astensionismo che alcuni comunisti hanno elevato a
concezione e linea politica è nient’altro che codismo e opportunismo. Che
non è possibile instaurare il socialismo, instaurare il potere della classe
operaia tramite le elezioni, è un’obiezione giusta contro quanti si illudono
o comunque propongono di farlo. Ma ciò non ha nulla a che fare con
l’intervento dei comunisti nella lotta politica borghese per rafforzare la
mobilitazione rivoluzionaria e l’organizzazione della classe operaia e delle
masse popolari. Che per portare a compimento la lotta per l’emancipazione
della classe operaia e del resto delle masse popolari dalla borghesia non
basti aggregare e mobilitare le masse popolari sul terreno elettorale e
parlamentare è verissimo. La storia del movimento comunista l’ha più volte
amaramente e sanguinosamente mostrato ogni volta che i comunisti lo avevano
dimenticato. In Italia avvenne negli anni ‘20 del secolo scorso. In altri
paesi è avvenuto in altri momenti. I comunisti si propongono di aggregare e
mobilitare le masse popolari in una rivoluzione politica e sociale. Ma che
essi non riescano ad aggregare e mobilitare in una certa misura le masse
popolari anche sul terreno elettorale e parlamentare governato dalla
borghesia e fatto su sua misura, sarebbe una dimostrazione ben strana della
loro capacità di riportare il successo nell’impresa ben maggiore che si
propongono di realizzare. Cosa dire di chi si propone di spostare le
montagne, ma si dichiara incapace di muovere un macigno? Che essi non
riescano a farlo senza farsi corrompere dalla borghesia, sarebbe una
confessione di impotenza altrettanto conclusiva. La realtà è che dovunque i
comunisti hanno sfruttato la lotta politica borghese per accumulare forze
rivoluzionarie, essi hanno ottenuto successi importanti, tanto da indurre la
borghesia ad eliminare le elezioni e a ricorrere ad altri mezzi di governo.
Tanto cioè da precipitare la crisi del regime politico borghese creando le
condizioni più favorevoli che mai si siano date in un paese imperialista al
successo della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Temere
l’intervento dei comunisti nella lotta politica borghese è, in definitiva e
a ben guardare, temere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari;
temere la rivoluzione; optare per la conservazione dell’attuale tran tran in
cui “si fa l’opposizione” che serve a temperare il sistema più o meno come i
lamenti biascicati da Woityla attenuano le malefatte dei gruppi
imperialisti, anziché fare l’opposizione che porta le masse popolari a
sovvertire l’attuale tran tran e le porta alla rivoluzione. È una scelta
rinunciataria. È anche un’illusione perché l’attuale tran tran avrà comunque
fine.
Come una fonte luminosa che
solo innalzandosi a un livello superiore riesce a illuminare di sé una
zona più ampia. Così la mobilitazione delle masse popolari riesce a
coinvolgere masse più vaste solo se cresce di livello, se diventa più
autonoma ideologicamente, politicamente e organizzativamente dalla
borghesia imperialista, se la direzione della classe operaia e del suo
partito comunista assume un ruolo maggiore.
La presentazione di liste comuniste è un
argine alla mobilitazione reazionaria e un contributo alla mobilitazione
rivoluzionaria, unica via d’uscita positiva per le masse popolari
dall’attuale crisi generale del capitalismo
Forse che la presentazione di liste comuniste costituisce
una dispersione di voti, la promozione di “voti inutili”, un aiuto dato alla
parte più arrogante e violenta della borghesia? È l’obiezione che certamente
i sostenitori della borghesia di sinistra e molti compagni del PRC
muoveranno alla nostra proposta. La risposta sarà chiara per chi considera
ragionevolmente anche solo come sono andate le cose nel nostro paese nel
passato prossimo e come vanno. Dopo il 1994 la sinistra borghese ha
continuato la politica antipopolare di Berlusconi: clamoroso il caso della
“riforma” delle pensioni del governo Dini. La sinistra borghese ha aperto la
strada alla banda Berlusconi. Con la sua politica antipopolare ha spento lo
slancio che aveva portato milioni di lavoratori a manifestare contro il
primo governo Berlusconi e ha alienato il loro consenso. Con l’aggressione
dell’Jugoslavia ha violato la Costituzione che vieta il ricorso alla guerra
come mezzo per risolvere conflitti internazionali, senza neanche avere il
coraggio di proporne l’emendamento e perfino senza il consenso dell’ONU. Ha
lasciato intatto l’impero finanziario e mediatico e la rete di criminalità
organizzata che Berlusconi aveva costruito con i soldi della Mafia, con
l’evasione fiscale e con altre attività criminali. Ha evitato di affrontare
il “conflitto di interessi”.
Il sistema parlamentare, anche
il più democratico, non può essere né la via al socialismo né il regime
politico della società socialista. Non solo e non tanto perché la
borghesia non consente la vittoria elettorale dei comunisti e nemmeno
perché non rispetterebbe un’eventuale vittoria. Cosa più e più volte
dimostrata nella pratica. Ma anche e principalmente perché il sistema
parlamentare non è adatto a promuovere l’emancipazione del proletariato
dalla borghesia. E senza emancipazione del proletariato niente è
stabilmente acquisito. Il naufragio di tutti i governi di sinistra hanno
più volte confermato questa verità. Per comprendere meglio cosa
significa “emancipazione del proletariato dalla borghesia” studiare
l’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo (Edizioni
Rapporti Sociali) (nella seziuone EiLE del sito il testo in
francese e
spagnolo).
Ha concesso l’ingresso in Borsa a Mediaset carica di debiti
consentendo a Berlusconi di disporre di una massa ingente di denaro e di
legare al suo successo politico centinaia di migliaia di risparmiatori e
piccoli capitalisti diventati azionisti delle sue aziende: cosa che a suo
tempo perfino La Malfa aveva negato al più illustre dei predecessori di
Berlusconi, Michele Sindona. Ha trattato con Berlusconi la riforma
costituzionale, facendosi per di più beffare. Ora nel migliore dei casi il
governo Prodi-Bertinotti prenderà il posto del governo Berlusconi,
sfruttando la mobilitazione delle masse popolari, ma per continuare con
altre facce e con altri modi la sua politica antipopolare. Dare fiducia alla
sinistra borghese vuol dire votare la mobilitazione rivoluzionaria delle
masse popolari al fallimento e aprire la strada alla mobilitazione
reazionaria delle masse popolari. Proprio in questi giorni General Motors ha
annunciato 12.000 espulsioni dai suoi stabilimenti Opel solo in Germania.
Ecco quello che GM avrebbe fatto con le fabbriche FIAT se gli operai non
avessero impedito l’indecente mercato che Giovanni e Umberto Agnelli avevano
già stipulato con GM e che tutta la classe dirigente italiana (dal Vaticano
a Berlusconi, da Prodi a Bertinotti, da Ciampi a Cofferati, da Pezzotta a
Fini) conosceva, ha approvato e ha tenuto nascosto ai lavoratori fino
all’ultimo momento. Che fiducia può riscuotere dalle masse popolari simile
classe dirigente? Per sua natura, al di là della coscienza e della sorte dei
singoli suoi esponenti, essa aprirà la strada a ogni disgrazia e alla
peggiore mobilitazione reazionaria, come l’ha già aperta alla guerra e
all’aggressione, se non sarà la mobilitazione rivoluzionaria delle masse
popolari a sbarrarle la strada. Il meno peggio apre la strada al peggio.
Solo nel rafforzamento della mobilitazione rivoluzionaria sta la nostra
salvezza. È a questo che devono servire anche le elezioni, non a dare
qualche seggio in più al PRC, al PDCI o ai Verdi. Quanto maggiore sarà il
successo elettorale delle liste comuniste, tanto minore sarà la libertà
dell’uno e dell’altro polo di colpire gli interessi delle masse popolari.
Anche se nell’immediato non avessimo alcun eletto, la sola presenza delle
nostre liste limiterebbe la libertà d’azione dei due poli contro le masse
popolari, li costringerebbe a fare quello che in nostra assenza non
farebbero: perché sarebbe l’inizio di una contestazione al loro consenso
elettorale di cui pure hanno bisogno. E sarebbe inoltre e soprattutto il
segno della decisione dei comunisti di costruire il terzo polo, il polo
comunista, senza del quale a livello nazionale come a livello internazionale
non c’è salvezza dalla barbarie in cui la borghesia imperialista ci sta
riportando. Insomma non ci sono buone ragioni per astenerci dallo sfruttare
le prossime elezioni per aumentare l’aggregazione delle masse popolari sotto
le bandiere del comunismo, per temprare le nostre forze, per imparare a
svolgere il nostro ruolo di orientamento, mobilitazione, aggregazione,
organizzazione e direzione delle masse popolari. La presentazione di liste
comuniste è in ogni caso un argine immediato ai cedimenti e allo
scivolamento a destra e l’inizio della costruzione di una prospettiva
realistica di uscire dal marasma sociale prodotto dagli sforzi disperati
della borghesia di mantenere in vita l’ordinamento capitalista della
società.
Avanti dunque, compagni, nella lotta per far dell’Italia
un nuovo paese socialista!
Approfittiamo dell’azione della borghesia per rafforzare
l’autonomia della mobilitazione delle masse popolari dalla borghesia e
creare condizioni più favorevoli al suo ulteriore sviluppo!
Formiamo ovunque coalizioni elettorali comuniste e
buttiamoci nella lotta!
Uniamo le forze per presentare ovunque liste comuniste!
Superiamo il settarismo! Osiamo pensare in grande!
Che ogni comunista abbia fiducia nella giustezza della
nostra causa!
Il comunismo vincerà grazie alla lotta dei comunisti e
alla mobilitazione delle masse popolari!
Il comunismo è il futuro dell’umanità!