Indice generale dei supplementi alla voce

Commissione Preparatoria

del congresso di fondazione del

(nuovo)Partito comunista italiano

 

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Supplemento 2 a La Voce n. 9

marzo 2002

 indice

1. Chi sono i comunisti e quali sono i loro compiti in questa fase

2. La ricerca quadriennale su "dove va il mondo?" (1998-2001)

3. Alla ricerca dell'identità del movimento comunista

4. La posizione di classe

5. Il bilancio dell'esperienza presente

6. Ma se non ora, quando costituire il partito comunista?

 

A proposito del Documento Politico per l’Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti di Roma (23 marzo 2002)Se non ora, quando? La necessità dell’alternativa sociale. Un contributo alla riflessione. Una proposta ai comunisti”.

Articolo di Nicola P. (membro della redazione di La Voce del (nuovo)Partito comunista italiano)

 

Il Documento Politico [DP] pubblicato in preparazione dell'Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti ha due titoli Se non ora, quando? e La necessità dell’alternativa sociale. Il duplice titolo annuncia le due anime che di fatto si contendono il terreno lungo tutto il documento. Situazione feconda perché "senza contraddizione non c'è vita". Questo è il lato positivo della questione, è uno dei pregi del DP. Questo e il lavoro politico che sta alle sue spalle rendono utile il suo studio. Il difetto principale del DP sta in questo: tesi e obiettivi incompatibili si mescolano ancora confusamente anziché contrapporsi apertamente, tesi e obiettivi semplicemente diversi sono accostati senza indicare e forse senza aver compreso quale è in questa fase il preciso rapporto tra essi, quale di essi è principale in questa fase e quindi qual è l'anello che i comunisti devono afferrare per muovere l'intera catena: ricostruzione del "partito dei comunisti" ("riorganizzazione strategica dei comunisti") o "rappresentanza politica di un nuovo blocco sociale antagonista" e "costruzione del sindacato di classe"? creare le condizioni per riunire i comunisti in partito o "formare quadri e militanti capaci di agire al meglio nelle organizzazioni di massa valorizzandone l'autonomia"? chiamata a raccolta dei comunisti o chiamata a raccolta dei militanti del sindacalismo indipendente e dei movimenti politici rivendicativi e di protesta? costituzione dei comunisti in partito con un programma ben definito o continuazione del lavoro artigianale di individui e piccoli gruppi? identità comunista che continua il vecchio movimento comunista e lo supera o ricerca di una nuova identità? lavorare alla definizione del programma del partito o "lavorare nel campo della teoria"? unire i comunisti o "accumulare forze politiche e sindacali"? Nel seguito cercherò di mettere in luce i principali casi dell'eclettismo che ho enunciato, con una critica che rientra nell'ambito del confronto e scontro in atto nelle FSRS del nostro paese e che costituisce il processo che crea le condizioni per la convocazione del congresso di fondazione del nuovo partito comunista e che fa esprimere a ogni FSRS quanto può dare per la costituzione del partito. Nel novembre 2000 la CP ha proposto a tutte le FSRS di costituire un Fronte per la costruzione del partito comunista (La Voce n. 6). Ciò implicava un programma di lavoro comune per l'obiettivo comune della costituzione del partito. Finora poche FSRS hanno accettato apertamente la proposta, ma di fatto un confronto e uno scontro si stanno producendo tra un numero crescente di FSRS e in ognuna di esse. A questo "lavoro comune" appartiene anche questo mio contributo all'Assemblea Nazionale della Rete dei comunisti, come ad esso appartiene la critica di Umberto C. alle Tesi Programmatiche che Rossoperaio ha pubblicato nel gennaio 01 (Supplemento 1 a La Voce n. 7).

 

1. Chi sono i comunisti e quali sono i loro compiti in questa fase

 

La questione della "identità dei comunisti" percorre tutto il DP.

È comunista chi non solo riconosce l'esistenza delle classi e della lotta tra le classi (questo lo riconoscono anche i borghesi colti - la borghesia di sinistra, diremmo noi oggi), ma arriva a riconoscere che l'instaurazione della dittatura politica della classe operaia è il risultato cui inevitabilmente conduce la lotta tra le classi che si svolge nella società borghese e lavora per la sua instaurazione. Così pressappoco Lenin indicava l'identità dei comunisti. Oggi, a 90 anni di distanza, credo si debba in più dire che è comunista chi, inoltre, 1. si riconosce come erede e continuatore della prima ondata della rivoluzione proletaria (1900-1950), delle grandi realizzazioni operate nel suo corso (i primi paesi socialisti, i partiti comunisti costituiti in gran parte dei paesi, le rivoluzioni di nuova democrazia, la fine del sistema coloniale, le conquiste della classe operaia e delle masse popolari dei paesi imperialisti, i grandi passi in avanti fatti dall'emancipazione delle donne e dalla liberazione delle razze e nazionalità oppresse) e della temporanea sconfitta subita dal movimento comunista nella seconda metà del secolo XX ad opera del revisionismo moderno, in definitiva ad opera della borghesia imperialista che ha agito per mano e sotto le vesti del revisionismo moderno dall'interno del movimento comunista fino a condurlo al collasso verificatosi negli ultimi anni del secolo XX e 2. trae, da questa grande esperienza e dal corrispondente patrimonio teorico, insegnamenti e metodi per individuare e superare i limiti del vecchio movimento comunista (che non ha saputo lottare vittoriosamente contro il revisionismo moderno, un cancro cresciuto al suo interno) e per promuovere, organizzare e dirigere la nuova ondata della rivoluzione proletaria che monta in tutto il mondo ("la boje", come cantavano i braccianti del Mantovano cento anni fa).

Da decenni in Italia e in gran parte del mondo si dichiarano invece comunisti anche una parte di quelli che sono (o anche solo vogliono mostrare di essere) schierati a favore delle rivendicazioni delle masse popolari e dei popoli oppressi e aspirano a un qualche sistema migliore o alternativo al sistema attuale. Ma c'è di più. Addirittura si dichiarano comunisti anche una parte di quelli che ignorano, rifiutano e si oppongono a quell'eredità e a quegli insegnamenti; si ispirano alla cultura borghese di sinistra (quella che riconosce che la società attuale è "contraria alle aspirazioni umane profonde" e alle "necessità umane generali" e "in contraddizione con le aspirazioni umane generali", quella che avrebbe "colto alcune esigenze di fondo, non solo materiali ma anche ideali, che riguardano tutta l'umanità", ma resta estranea al comunismo perché non comprende la sostanza del modo di produzione capitalista e le leggi del suo superamento, tanto meno è riflesso intellettuale della classe operaia che lotta per  instaurare la sua dittatura politica e, al contrario, rappresenta la cattiva coscienza della borghesia in declino); cercano di giustificare e specificare le loro aspirazioni ad un sistema alternativo e di indirizzare la loro azione in difesa delle classi e dei popoli oppressi dall'imperialismo, con teorie "credibili" per il mondo colto della borghesia di sinistra (ma che credenziale o "criterio di verità" sarebbe ricevere "consolidata attenzione e rispetto sia in Italia e all'estero" da personaggi e strutture la cui concezione del mondo non è stata in alcun modo certificata dalla pratica come atta a guidare la classe operaia all'instaurazione del socialismo?).

La questione di chi sono i comunisti (della "identità dei comunisti") e cosa devono fare in questa fase percorre tutto il DP, ma esso la "risolve" facendo a chi è disposto a ricercare una proposta di ricerca sulla identità dei comunisti. La ricerca della Rete, che dal 1998 a oggi ha riguardato il "dove va il mondo?", dall'Assemblea Nazionale al prossimo appuntamento tra qualche anno dovrebbe riguardare il bilancio del movimento comunista e quindi l'identità dei comunisti. Vista in positivo, la proposta avanzata dal DP, siccome chiama allo studio dei 150 anni di storia del movimento comunista e concentra l'attenzione su questa storia reale e non su fantasticherie e vaghe aspirazioni di "amici del popolo", lascia aperta la porta all'accettazione di quello che i comunisti sono stati e sono: se non ora, nel futuro! Vista in negativo, rimanda la cosa a una data da stabilirsi e accetta già, come verità indiscutibile e premessa alla ricerca, che il crollo dell'89 ha "colpito e reso incerto un pensiero che era sembrato (solo sembrato? inciso mio) effettivamente, per la prima volta, incidere sulle vicende umane in modo progettuale". Cioè, in sostanza, accetta come premessa della ricerca la tesi che nell'89 il comunismo è morto o quasi morto, cioè accetta come premessa la "manipolazione ideologica" della borghesia e già in premessa esclude la tesi dei comunisti: che il crollo dell'89 ha confermato il carattere anticomunista e borghese del revisionismo moderno. Da qui, per i difensori o rappresentanti delle classi oppresse, per gli esponenti delle organizzazioni rivendicative e di protesta, per i "militanti del sindacalismo indipendente" e insomma per tutti quelli che vogliono ascoltare (il DP non pone discriminanti, se non contro i "settari" - e vedremo più avanti di chi precisamente si tratta), la necessità di ricercarsi una nuova identità. È quindi irrisolto (e sottaciuto) nel DP il contrasto tra chi cerca di capire il ruolo svolto dai comunisti nella storia della società borghese e in che modo esso deve essere continuato nella situazione attuale e chi invece vuole condurre una specie di "ricerca di mercato" per trovare quale nicchia nel mondo culturale, politico e sindacale dovrebbero con successo occupare quelli che oggi si chiamano comunisti. Che sono due cose molto diverse!

Io sono convinto che tutti quelli che hanno seguito il lavoro condotto in questi anni dalle FSRS sanno che, con il Progetto di Manifesto Programma del nuovo Partito comunista italiano [PMP] pubblicato dalla SN dei CARC nell'ottobre '98, con le tesi pubblicate nel n. 1 di La Voce circa la via di avvicinamento all'instaurazione del socialismo (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata) e la natura del nuovo partito comunista (clandestino e guidato dal marxismo-leninismo-maoismo), con il dibattito svolto negli ultimi quattro anni sul PMP e con il "piano in due punti per la costituzione del partito" in via di attuazione, sia la definizione del "punto di vista comunista" in relazione alla situazione attuale sia il connesso lavoro per la costruzione organizzativa del partito comunista sono, nel nostro paese, più avanti di quanto traspare dal DP. Ma il DP sembra ignorarlo e ciò non è un caso, come mostrerò più avanti.

 

2. La ricerca quadriennale su "dove va il mondo?" (1998-2001)

 

La ricerca quasi quadriennale su "dove va il mondo?" condotta dalla Rete è approdata a una concezione dello stato attuale della società, enunciata nella parte II del DP, che ha vari punti di somiglianza con la teoria della seconda crisi generale (economica, politica e culturale) del capitalismo per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata a metà degli anni '70. Questa teoria nell'ambito delle FSRS ha corso dal 1985 (Don Chisciotte, n. 0 di Rapporti Sociali) ed è fondata sullo studio dei fenomeni attuali e sulla scienza del capitalismo illustrata da Marx in Il capitale e in particolare nei capitoli 13, 14 e 15 del libro III. Essa è riassunta anche nel Progetto di Manifesto Programma sopraccitato. Ma, come gli stessi autori del DP riconoscono (punto 5 della parte II del DP), l'analisi elaborata dalla Rete in quattro anni di ricerca "ha il difetto di descrivere i fenomeni, anche di coglierli correttamente nella loro forma, ma non li spiega a fondo". E per "l'approfondimento teorico" che raggiunga la "spiegazione di fondo", il DP suggerisce una successione di fasi che riecheggia (ma a onor del vero il DP non rivendica questa paternità) la teoria dei cicli di J.A. Schumpeter (1883-1950) secondo cui l'introduzione a grappoli di innovazioni tecnologiche (all'inizio del secolo XX sarebbero state la produzione di massa e la lavorazione alla catena di H. Ford (1863-1947), a cavallo tra i secoli XX e XXI sarebbero l'applicazione dell'informatica e la produzione capitalista di servizi) farebbe sì che la società borghese proceda attraverso un ciclo di vigorosa espansione seguito da un ciclo di recessione che a sua volta è seguito da un nuovo ciclo di espansione. Una teoria niente affatto scientifica (se non secondo i canoni dell'empirismo), perché avulsa da una concezione organica della natura del modo di produzione capitalista, delle contraddizioni che lo muovono e delle leggi che le governano. Una teoria che, a ben vedere, riconosce alcune delle cose che non si possono nascondere (cioè le crisi di lungo periodo attraversate dalla società borghese durante l'epoca imperialista e i successivi periodi di ripresa) e ne da una spiegazione che vale come altre (perché non le fasi solari o corsi e ricorsi tra individualismo libertario e statalismo keynesiano nell'orientamento politico delle élite o l'alterno prevalere della volontà di costruzione (eros) e della volontà di distruzione (tanatos) o altre ancora?), lascia da parte altre che non potrebbe spiegare (ad esempio le guerre interimperialiste, la concorrenza tra i monopoli e i gruppi imperialisti, la divisione del mondo in paesi imperialisti e paesi oppressi, le contraddizioni di classe, il ruolo della classe operaia e il movimento comunista), ma fa balenare una perpetuazione all'infinito della società borghese, cioè nega il suo carattere storico e transitorio, l'essere destinata per sua propria natura ad essere sostituita da una società superiore, la società comunista (una tesi essenziale del marxismo). Cioè, per dirla in vecchio italiano, una teoria apologetica del capitalismo appena un po' più realistica, come inquadramento di alcuni avvenimenti della storia contemporanea, della "fine della storia" di Fukuyama. Sono sicuro che sulla strada ispirata a Schumpeter e simili, i compagni non approderanno neanche tra altri quattro anni a una "visione scientifica del mondo - nel senso in cui Marx e Lenin usano il termine" che il DP auspica. La teoria del capitalismo illustrata da Marx e la teoria dell'imperialismo illustrata da Lenin danno infatti la chiave esauriente per interpretare i fenomeni attuali della società borghese e per elaborare dalla comprensione scientifica di essi una linea per mettersi alla testa del processo di trasformazione dello stato presente delle cose e della lotta per l'instaurazione del socialismo che è la fase di transizione dal capitalismo al comunismo. A condizione di assimilarle e usarle, quelle teorie, per vedere scientificamente

- sia l'evoluzione della società borghese (le "nuove situazioni") tramite l'elaborazione di nuove Forme Antitetiche dell'Unità Sociale (già indicate da Marx nei Grundrisse), come il capitalismo monopolistico di Stato, il denaro fiduciario mondiale, le organizzazioni finanziarie, commerciali e politiche mondiali, ecc. che costituiscono mediazioni via via più avanzate tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione capitalisti e limitano, in una certa misura e per un certo tempo, le conseguenze più distruttive della sopravvivenza di questi;

- sia le crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale (1873-1895, 1910-1945, dal 1975 in poi) attraverso cui la società borghese passa a partire dalla seconda metà del secolo XIX, quando vengono meno le crisi cicliche decennali che avevano caratterizzato i primi tre quarti del secolo, benché permangano cicli di breve periodo sia durante le crisi generali sia durante i periodi di ripresa (1895-1910, 1945-1975);

- sia i tentativi e le approssimazioni successive attraverso cui prende forma la futura società comunista che non può calare bell'e pronta dal cielo né uscire da qualche manuale.

Non è un caso che nel DP l'approdo della ricerca su "dove va il mondo?" (una crisi del capitalismo che "non lascia più margini per le riforme" favorevoli alle masse popolari e quindi decreta la fine dei riformisti, sentenza che è già stata eseguita anche nella pratica proprio alla fine degli anni '80) convive con tesi che fanno a pugni con essa.

Ad esempio con la tesi che "si vanno costituendo blocchi economici e statuali che ricreano la dimensione di nuovo storicamente adeguata per lo sviluppo delle potenzialità attuali delle forze produttive". Ma se questi nuovi blocchi sono una "dimensione adeguata", da dove nascono sia in generale le contraddizioni tra questi blocchi sia più in particolare la tendenza alla guerra interimperialista che per altro verso il DP riconosce? Si potrebbe per altro chiedere agli autori del DP anche da dove attingono la convinzione che "agli inizi del '900 la dimensione nazionale era quella storicamente adeguata a creare le condizioni migliori per lo sviluppo delle forze produttive di quell'epoca", visto che nella realtà gli Stati imperialisti agli inizi del '900 avevano già superato di molti chilometri quadrati la "dimensione nazionale" e si erano già spartiti tra di loro tutto il mondo (sistema coloniale) e i monopoli avevano incominciato a spartirselo a loro volta, come Lenin ha ben illustrato nella sua teoria dell'imperialismo indicando la premessa della guerra mondiale tra Stati e gruppi imperialisti proprio in questa già completa spartizione del mondo in pochi grandi imperi.

Con la tesi, per fare un secondo esempio, che le conquiste strappate dalle masse popolari alla borghesia sarebbero principalmente frutto di un "concetto di società avanzata e di civiltà che aveva inaugurato l'ingresso nella modernità capitalista", o "forme di convivenza civile determinate dal modello di mediazione sociale di forma keynesiana", oppure frutto della necessità della borghesia di tenere alta la domanda di merci (di consumo) e quindi i redditi delle masse popolari, frutto insomma della lungimiranza e della capacità di direzione dei capitalisti sulla loro società.

Con la tesi, per fare un terzo ed ultimo esempio, di una "ripresa dell'imperialismo" che sarebbe in atto o di una "tenuta del capitalismo". Proprio su questa tesi sono esplicitamente o logicamente fondate molte interpretazioni di singoli fenomeni date dal DP: il "voto al centro" del maggio '01, la "tenuta dei riformisti", la solidità delle "direzioni riformiste dei sindacati" e dell'aristocrazia operaia, il carattere non antagonista dell'attuale movimento di massa, ecc. Fenomeni che, nella misura in cui sono reali, hanno cause non strutturali (cioè non legate ad una "ripresa dell'imperialismo" o "tenuta del capitalismo"), ma di natura politica su cui tornerò più avanti. Proprio su questa tesi sono sostanzialmente fondate anche tutte le indicazioni operative, sia in campo politico sia in campo sociale-sindacale, del DP: la rinuncia a operare nei sindacati di regime e la rassegnazione ad operare nel "sindacalismo indipendente" pur riconosciuto come inevitabilmente minoritario, la rinuncia alla "rappresentanza politica" del nuovo blocco sociale antagonista di cui il DP non solo afferma il carattere non antagonista (reale, ma non potrebbe che essere così per ragioni politiche di cui appresso), ma la stabilità di questo carattere non antagonista (ma su questa stabilità il DP qualche dubbio lo accenna) "data la stabilità del quadro generale e il livello di democrazia formale" e dato che "il dato economico delle specifiche condizioni dei settori sociali ... è sommerso da quello ideologico prodotto dalla egemonia borghese".

Insomma, la negazione di quello che noi chiamiamo "situazione rivoluzionaria in sviluppo" e che è un aspetto della crisi generale del capitalismo in corso: una società che va irresistibilmente o verso la mobilitazione reazionaria delle masse o verso la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e comunque verso lo scontro (nazionale o internazionale) tra le due perché sia le contraddizioni tra gruppi e Stati imperialisti, sia la contraddizione tra paesi imperialisti e paesi oppressi, sia la contraddizione tra la borghesia imperialista e le varie classi popolari, ma in particolare la classe operaia assunta dai capitalisti per la produzione di merci (beni o servizi che siano), si vanno aggravando inesorabilmente, per cause insite nello stesso modo di produzione capitalista, quali che siano gli sforzi messi in atto per "impedire che i contrasti degenerino".

Questa convivenza eclettica di tesi incompatibili è possibile proprio perché l'approdo della ricerca su "dove va il mondo?" (di cui ho tuttavia già segnalato i punti di contatto con la teoria della crisi generale del capitalismo per sovrapproduzione assoluta di capitale) resta ancora empirico (e nell'analisi empirica la Rete ha svolto effettivamente un certo lavoro di cui tutti i comunisti devono avvalersi), cioè non è ancora inquadrato in una organica concezione scientifica del mondo, del modo di produzione capitalista e della società borghese che si riverberi e si rifletta coerentemente in ogni aspetto dell'analisi della fase e della linea (che da questa analisi deriva) che quindi agiscono anche come verifica e arricchimento di quella concezione scientifica generale: la concezione marxista, il patrimonio teorico accumulato dal movimento comunista nei sui 150 anni di storia.

In sintesi: la ricerca condotta dalla Rete dal 1998 al 2001 non è partita dal patrimonio teorico del movimento comunista, ma è arrivata a conclusioni che hanno punti in comune con le conclusioni a cui si arriva se si parte da quel patrimonio. Ma proprio perché non è partita da quel patrimonio, le sue conclusioni restano empiriche e quindi danno spontaneamente luogo all'eclettismo.

 

3. Alla ricerca dell'identità del movimento comunista

 

Avrà un risultato migliore la ricerca lanciata ora dal DP sull'identità dei comunisti? Se essa procederà sulla base delle indicazioni date nella parte III del documento, questa ricerca non potrà andare lontano. Perché? Perché alcune di queste indicazioni negano proprio il movimento comunista e le contraddizioni del movimento comunista, altre confondono come se fosse un tutto unico ("dal 1917 al 1989") il movimento comunista e la sua negazione, altre propongono come materiale da cui ricavare l'identità comunista la negazione del comunismo.

"Bisogna cominciare dagli aspetti negativi": eh no, se volete cercare l'identità comunista, partite dalle vittorie e dalle conquiste del movimento comunista e studiate come e perché esso dalla vittoria poteva, per la sua stessa natura, passare alla sconfitta (come di fatto è passato), oppure poteva proseguire la sua marcia trionfale (come di fatto non è però avvenuto).

La parte III del DP indica un movimento comunista che arriverebbe grosso modo fino alla fine degli anni '80 e in Italia fino allo scioglimento del PCI. Ora è giocoforza riconoscere, e anche il DP qua e là lo riconosce (ma il difetto è che lo riconosce solo qua e là, di sfuggita, come un fatto quasi trascurabile, anziché porlo come oggetto centrale del bilancio), che il movimento comunista fino alla metà del secolo XX e un po' oltre ha raggiunto grandi e insperati successi, quali nessun movimento riformatore, politico o religioso, aveva mai prima raggiunto nella storia. Quindi per noi comunisti oggi il problema è definire meglio la nostra identità, cioè definirla anche relativamente ai compiti che il vecchio movimento comunista non è riuscito a risolvere (cioè ai suoi limiti) e relativamente ai compiti specifici e particolari della fase attuale. Non solo non si tratta di inventarsi un'identità di successo (la "ricerca di mercato" che indicavo sopra), come se non ne avessimo già una. Ma si tratta di scoprire, fare propria e innovare l'identità del movimento comunista che ha condotto vittoriosamente la prima ondata della rivoluzione proletaria "criticando" il movimento comunista che ha liquidato le vittorie conseguite. È la borghesia che sostiene che il comunismo è morto nell'89, ma ciò è "manipolazione ideologica". Il comunismo è oggi meno morto di quanto lo fosse il capitalismo trent'anni fa ed è ora chiaro a tutti che non era morto, come invece i revisionisti moderni sostenevano, anche se aveva subito tremende sconfitte! Per definire meglio la propria identità i comunisti devono risolvere il seguente problema: "Perché, da un certo periodo in poi, invece che proseguire nella sua marcia trionfale, il movimento comunista ha incominciato e ha poi continuato a ripiegare fino al collasso, alla fine degli anni '80, di una buona parte delle conquiste che aveva raggiunto e al sorgere di una reazione terribile e potente solo vincendo la quale il movimento comunista potrà rinascere e assurgere a nuove e maggiori vittorie?". Non vale porre le mani avanti e dire che se ripiegamento e sconfitta ci sono stati, è semplicistico addebitarli a tradimenti di individui. Ciò è vero: la storia non la fanno i personaggi, neanche i grandi personaggi. Ma proprio per questo occorre

- da una parte, capire quali erano i problemi nuovi che gli stessi successi riportati ponevano al movimento comunista;

- dall'altra, studiare i programmi, le linee e i metodi con cui per alcuni decenni li hanno affrontati fino alla rovina finale i "comunisti" che sono riusciti ad imporsi nel movimento comunista negando i comunisti (le loro concezioni, le loro linee e i loro metodi) che avevano guidato l'avanzata;

- dall'altra ancora, capire i limiti del vecchio movimento comunista, cioè capire perché l'ala sinistra del movimento comunista, la cui volontà e il cui atteggiamento rivoluzionari sono certi, non ha contrastato con successo il corso preso dal movimento comunista e che lo ha portato alla sconfitta.

Invece il DP confonde i "comunisti" (le loro concezioni, le loro linee e i loro metodi) che hanno diretto la liquidazione del movimento comunista (quelli che noi chiamiamo revisionisti moderni: i Kruscev, i Breznev, persino i Gorbaciov, i Togliatti, i Berlinguer, i Teng Hsiao-ping, ecc.), con i comunisti (le loro concezioni, le loro linee e i loro metodi) che avevano guidato l'avanzata del movimento comunista: anzi in alcuni passi li sostituisce ad essi come unici veri comunisti e propone di studiare su di essi l'identità comunista. Invece che porre al centro della ricerca la svolta innegabile che c'è stata nel movimento comunista tra gli anni '50 e '60, il DP tace su questa svolta e pone l'inizio della crisi del movimento comunista alla fine degli anni '80. Di conseguenza la attribuisce all'attacco del capitalismo e implicitamente accetta per buone le vanterie di Reagan con la sua "guerra all'impero del Male" e di Woityla con la sua Madonna di Fatima che sarebbero riusciti a fare, contro un campo socialista enorme e dopo la fuga degli imperialisti americani da Saigon (1975), il miracolo che né Churchill né Hitler erano riusciti a compiere contro la sola Unione Sovietica. Eppure anche in questo campo il DP è eclettico perché riconosce qua e là che sì, i paesi socialisti avevano smesso di essere "propulsivi" dello sviluppo mondiale già qualche anno prima (come disse anche Berlinguer, senza però guardarsi allo specchio e anzi rifugiandosi a "costruire il socialismo" sotto l'ombrello della NATO). Ma lo dice qua e là e l'unico spunto di spiegazione che offre di questo ripiegamento è ... la burocrazia, è la spinta a vedere come piaga dei paesi socialisti la "burocratizzazione" (al modo degli anarchici e dei trotzkisti) anziché la lotta tra le due linee che accompagna tutto il processo di transizione dal capitalismo al comunismo. Ma può esistere uno Stato senza burocrazia? Non esisteva una burocrazia nell'URSS fin dal suo inizio e per tutto il periodo di ascesa del movimento comunista? Non hanno avuto una burocrazia tutti i partiti comunisti che hanno impersonato l'ascesa del movimento comunista? In realtà in ogni paese socialista come in ogni partito comunista si svolge una lotta tra due linee, riflesso della lotta tra due classi e della oggettiva possibilità di due sistemi: come il maoismo ha ampiamente e notoriamente illustrato. E nei paesi socialisti, una volta eliminata per l'essenziale la proprietà privata dei mezzi di produzione, la borghesia è costituita proprio da quei dirigenti del partito, dello Stato e delle istituzioni sociali in generale che ripiegano verso il capitalismo, si oppongono ai passi in avanti necessari e possibili della trasformazione dei rapporti di produzione, del complesso dei rapporti sociali e delle idee e dei sentimenti ad essi connessi. Questioni che il maoismo ha ampiamente e notoriamente illustrato.

In sintesi: in molte sue parti il DP indica per la nuova ricerca riferimenti che non coincidono col movimento comunista reale, ma col movimento comunista quale è a volte dipinto da una certa borghesia che "vede rosso" e per la quale Mao o Teng, Stalin o Kruscev, Gramsci o Togliatti, tutti comunisti sono.

 

4. La posizione di classe

 

Neanche la convivenza di queste parti nella posizione di partenza della nuova ricerca è un caso. Essa deriva dal fatto che gli autori del DP non si pongono consapevolmente e chiaramente come eredi e continuatori di quella sinistra che a livello nazionale e internazionale ha dato battaglia contro i revisionisti moderni. Essi (o almeno alcuni di essi) pongono le loro radici nel crollo dei revisionisti, verificatosi negli anni 1989-1991, come se volessero essere "quei revisionisti che non sono crollati", cioè "revisionisti duri a morire"! Essi datano l'inizio della loro storia da questo crollo, anche se qua e là riconoscono che le cose non andavano bene nel movimento comunista già da un po' di tempo. Gli autori del DP, che pure vogliono arrivare al partito dei comunisti, dichiarano ripetutamente di "muoversi con decisione contro due deviazioni: la mitologia e il politicismo", ma di fatto in tutte le loro analisi e in tutte le loro polemiche considerano come punti di riferimento, di confronto e di scontro, il PRC di F. Bertinotti (e in qualche misura persino l'Autonomia di A. Negri con la sua "Teoria dell'Impero"), mentre evitano accuratamente e sistematicamente di considerare, ma anzi confinano per definizione e a priori nell'ambito della mitologia (dei "gruppi d'avanguardia", dei cultori del "partito-feticcio", dello schematismo, dell'atteggiamento schematico e difensivo, degli scimmiottamenti, delle liturgie e via denigrando)

- tutti quei comunisti che dagli anni '60 in poi nel nostro paese hanno cercato di ricostruire un vero partito comunista: dal PCd'I di Nuova Unità, alle Brigate Rosse prima del prevalere della deviazione militarista, alla Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano, ai CARC e alle altre FSRS che oggi lavorano alla ricostruzione di un vero partito comunista: questo se limitiamo lo sguardo al nostro paese (ed è sintomatico che nel DP manchi un qualsiasi bilancio di tutto questo lavoro),

- se allarghiamo lo sguardo al livello mondiale (come occorre fare se si vuole arrivare a conclusioni giuste), le lotte condotte per anni in tutto il mondo dai comunisti capeggiati dal Partito comunista cinese e dal Partito del Lavoro d'Albania contro il revisionismo moderno.

II DP passa sotto silenzio Mao Tse-tung, il maoismo e le lotte condotte attualmente in molti angoli del mondo per la rinascita del movimento comunista. Il revisionismo moderno è il grande assente del DP. Ma come volete scoprire l'identità comunista se considerate comunisti quelli che hanno abbandonato la concezione dell'identità comunista confermata dalle conquiste pratiche raggiunte, per abbracciare, pur mantenendo l'insegna della bottega, una "via pacifica e democratica al socialismo" che ha portato, di sconfitta in sconfitta e di rinuncia in rinuncia, dalla collusione con la borghesia a una collaborazione servile fino al collasso della fine degli anni '80? Cosa direste di un chimico che vuole cercare le caratteristiche dell'oro e analizza pezzi di pirite benché da decenni sia universalmente nota e dichiarata la differenza tra l'oro e la pirite? Buona parte del DP ha gli occhi puntati proprio sui revisionisti moderni, come se essi e solo essi fossero i depositari dell'identità comunista, solo perché si dichiarano comunisti e sono "credibili" per la borghesia di sinistra, perché suoi collaboratori e sua parte. E tra i contemporanei, personalizzando, solo Bertinotti e Negri sono i referenti che il DP considera degni di attenzione. Quale identità comunista volete scoprire su questa strada? Il DP vorrebbe far sprigionare una nuova vita dai cadaveri dei revisionisti, si considera continuatore e rifondatore della via che li ha condotti alla morte e se ne differenzia  solo perché non accetta la conclusione a cui questi sono già arrivati. Al modo in cui Bertinotti non ha accettato la conclusione del PCI, ma ha accettato la strada che ha condotto il PCI alla fine che il PCI ha fatto. Come se la fine che il PCI ha fatto fosse un caso, un errore di Occhetto o di chi per lui. Bertinotti si è opposto allo scioglimento del PCI, anziché opporsi alla via fallimentare che il PCI da anni stava seguendo: appunto!

Se seguiranno questa strada, gli autori del DP, neanche quelli che più fortemente e onestamente (ma in questa sede è fuor di luogo ogni processo alle intenzioni perché in politica spesso il risultato non dipende dalle intenzioni) aspirano alla costituzione del partito dei comunisti, non scopriranno una identità comunista. Ma continueranno a considerare comunista una "alternativa sociale" fatta di rivendicazioni radicali cui proprio l'attuale fase del capitalismo, che è di crisi e non di ripresa dell'imperialismo, ha tolto possibilità di vita.

Il DP giustamente denuncia il "determinismo comunista" di quelli che consideravano irreversibili le conquiste raggiunte dal movimento comunista con la prima ondata della rivoluzione proletaria. Ma omette di dire che Stalin già nel 1952 (Problemi economici del socialismo in Unione Sovietica) metteva in guardia i comunisti indicando che certe contraddizioni presenti nella società sovietica, se non trattate correttamente, sarebbero diventate antagoniste. Come omette, cosa ancora più paradossale ma proprio per questo più significativa dell'orientamento che predomina nel DP, che Mao Tse-tung già negli anni '50 e più apertamente ancora negli anni '60 aveva indicato che nei paesi socialisti era in atto una lotta antagonista tra proseguire verso il comunismo e ripiegare verso il capitalismo, aveva condotto la Rivoluzione Culturale Proletaria che per anni sconvolse l'intera Cina e infine aveva indicato come quasi certa benché provvisoria la vittoria proprio della destra che avrebbe portato alla liquidazione delle sconfitte fino allora raggiunte. Come omette di dire che al contrario proprio Kruscev, Togliatti e gli altri capi del revisionismo moderno hanno loro sì proclamato che oramai nel mondo le forze del socialismo erano diventate così forti che oramai non occorreva più alcuna lotta rivoluzionaria per concludere l'opera di eliminazione del capitalismo, hanno promesso il primo il comunismo entro 20 anni e il secondo il socialismo tramite le riforme di struttura, hanno tutti sostenuto che oramai bastava l'evoluzione pacifica e quasi spontanea delle cose. Perché il DP nasconde tutto ciò quando imposta la ricerca sull'identità dei comunisti? Inutilmente si cerca l'identità dei comunisti in casa dei revisionisti moderni, dei negatori del comunismo, dei nemici del comunismo, di quelli di cui oramai anche i risultati pratici della loro direzione hanno mostrato, proprio nell'89, la vera natura, nonostante continuassero a chiamarsi comunisti. Il DP ignora tutto questo e anziché vedere nel crollo dell'89 quello che è (la conferma della concezione comunista di quelli che avevano lanciato l'allarme contro il crollo in arrivo - salvo capire perché non sono stati in grado di evitarlo), vi vede quello che la borghesia predica che è: la confutazione (almeno apparente, concedono gli autori del DP) della concezione scientifica marxista.

Di conseguenza nel DP non è chiaro che la stagione dei revisionisti moderni e dei riformisti in generale è finita con l'inizio della seconda crisi generale del capitalismo alla metà degli anni '70. Essa ha chiuso ogni spazio per riforme favorevoli alle masse popolari e quindi ha segnato l'inizio del declino della fortuna dei riformisti come capi riconosciuti e amati delle masse popolari, sia nei paesi imperialisti sia nei paesi oppressi sia nei paesi socialisti (dove i revisionisti avevano cercato per decenni di ripiegare gradualmente, pacificamente e nell'ordine verso il capitalismo). Altro che "svolta riformista e revisionista degli anni '90"! Dalla metà degli anni '70 in qua assistiamo in Italia e nel mondo alla sistematica benché graduale (e limitata) eliminazione delle conquiste precedentemente strappate dalle masse popolari nell'ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria e come sottoprodotto della sua sconfitta, anche se l'eliminazione è guidata da governi "di sinistra" (ma della sinistra della borghesia che il DP non distingue sempre e sistematicamente dal movimento comunista) che in certe condizioni, e non solo in Italia, sono i più adatti a fare una politica di destra (come sprezzantemente disse l'Agnelli). Non è la forza dei riformisti ciò che oggi frena lo sviluppo dei comunisti e della loro direzione tra le masse popolari. Al contrario, il residuo seguito elettorale e d'opinione dei "riformisti senza riforme", degli illusionisti delle riforme (alla Bertinotti), è solo un sintomo del terreno favorevole al movimento comunista che esiste in Italia. Se l'Agnoletto ha fortuna, è perché nella società esiste un movimento che la mobilitazione reazionaria delle masse non ha catturato ma che, al contrario, spinge in avanti. Esso, finché non trova capi adeguati al ruolo storico che può svolgere, porta in alto, tra le figure della società esistente, quelle che meglio si prestano a tradurre la sua natura nella lingua dell'attuale società.

L'ostacolo principale allo sviluppo della direzione dei comunisti tra le masse popolari sta nei comunisti stessi, nell'arretratezza delle loro concezioni, nella loro resistenza a individuare e superare i limiti reali del vecchio movimento comunista (quelli che hanno permesso al revisionismo moderno di imporsi e di svolgere il suo sporco lavoro di corruzione e di erosione), nelle loro mille resistenze a lasciare l'ambito di un lavoro artigianale di piccoli gruppi, le piccole soddisfazioni di un lavoro artistico individuale e il tran tran della vita quotidiana, nella loro resistenza ad assimilare il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista, che è, in sintesi, sia la comprensione dei limiti del vecchio movimento comunista sia l'indicazione della via per il loro superamento.

 

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