(nuovo)Partito
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Comunicato CP 12/09 - 8 maggio 2009
Viva la campagna per assimilare a un livello più alto il Materialismo Dialettico!
Viva la terza Lotta Ideologica Attiva che rafforza il (n)PCI e la carovana del (n)PCI!
La rinascita del movimento comunista e la creazione del Nuovo Potere sono l’obiettivo della prima fase della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e così contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo!
Chi dopo la prima ondata della rivoluzione proletaria confonde la ricostruzione del Partito comunista con la nascita di un Partito “grande e autorevole” fin dalla sua nascita, rifinito fin dal suo sorgere, in realtà rinuncia alla costruzione del Partito. I fatti parlano chiaro: guardatevi attorno! Chiunque compie simile confusione, di fatto oggi disperde le sue energie in attività quanto si vuole brillanti, ma senza seguito e senza futuro, se non nella misura in cui noi e il Partito che abbiamo ricostruito e che stiamo consolidando e rafforzando, siamo capaci di valorizzare per la rinascita del movimento comunista, per la costruzione del Nuovo Potere, per il consolidamento e rafforzamento del Partito, in breve ai fini della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che farà dell’Italia un nuovo paese socialista e con cui contribuiremo alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo, anche gli effetti sociali che comunque quelle attività benché sparse producono, indipendentemente dalle intenzioni e dal futuro personale dei loro autori.
Consolidare e rafforzare il nuovo Partito comunista italiano significa anzitutto trasformarci e trasformare in comunisti, trasformare i nostri organismi e il Partito nel suo complesso per renderlo capace di eseguire i suoi compiti: questa trasformazione è la premessa, la condizione e il mezzo per svolgere l’attività che instaurerà il socialismo nel nostro paese e si verifica e si misura nell’efficacia dell’azione politica che svolgiamo.
Trasformazione significa sconvolgimento di quello che esiste e suo superamento: non c’è trasformazione senza divisione, senza sconvolgimento, senza tempeste e lacerazioni. Chi vuole diventare comunista, mettere fine al marasma della Repubblica Pontificia e contribuire a fare dell’Italia un nuovo paese socialista, deve essere disposto e deciso a trasformarsi, deve essere disposto e deciso a trasformare, non deve temere tempeste e lacerazioni.
Una piccola tempesta ha scosso e ancora scuote la piccola barca del (nuovo)Partito comunista italiano e quell’insieme di organizzazioni e quell’ambiente che convenzionalmente oramai si chiama “carovana del (n)PCI”.
Nel marzo 2008 con l’articolo Compagni, all’attacco! (La Voce n. 28 pag. 17-20) e con gli scritti sul metodo di lavoro che iniziammo a pubblicare in quell’epoca (Problemi di metodo 1 e Problemi di metodo 2) abbiamo lanciato nella carovana del (n)PCI la campagna per assimilare a un livello più alto il Materialismo Dialettico come concezione del mondo, come metodo per conoscere la realtà e come guida per trasformarla. La campagna è sfociata in una Lotta Ideologica Attiva (LIA), la terza da quando esiste la carovana e in una vasta epurazione che elimina dalle nostre file gli irriducibili e ostinati fautori della destra e, conseguentemente, nell’immediato riduce ulteriormente e significativamente le nostre già sparute file.
Di conseguenza esultano la borghesia, gli organi addetti alla controrivoluzione, la polizia e i nostri avversari, anche alcuni di quelli interni al campo delle masse popolari. Gli esponenti della destra che si dimettono o che cacciamo dalle nostre file, hanno buon gioco a dire che con loro se ne va “una buona parte” dei comunisti italiani. Modestamente proclamano anche che se ne va “la parte migliore”. Alcuni nostri amici sono spaventati e desolati della nuova divisione ed epurazione. Vorrebbero una crescita continua, armoniosa e concorde delle file dei comunisti: “siamo già pochi e ci dividiamo anche, litighiamo pure tra noi!”. Sono scandalizzati i fautori dell’unità dei comunisti a ogni costo. Si disperano quelli che hanno l’unità dei comunisti come linea e criterio principali se non unici di costruzione del nuovo partito comunista.
Eppure come è vero che l’unità del proletariato e l’unità delle masse popolari sono la bandiera del movimento comunista (“proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, unitevi!”), altrettanto vero è che, se consideriamo tutti quelli che in qualche modo si dichiarano comunisti, lungo tutti i poco più di 160 anni trascorsi dalla fondazione del movimento comunista, vediamo il movimento più litigioso e frammentato che si trovi. L’esperienza di tutta la storia del movimento comunista è lì a dimostrarlo. Giusto cento anni fa i bigotti e compassati Soloni della grande socialdemocrazia tedesca che stavano conducendo alla rovina il movimento comunista tedesco, trattavano Lenin e i suoi come fastidiosi attaccabrighe e intriganti in un contesto di russi rissosi.
Ma questo è del tutto comprensibile, è coerente con la natura del movimento comunista.
Chi non ha voglia o è incapace di pensare, vorrebbe dei criteri semplici, per distinguere i “veri comunisti” dagli altri. Ma criteri semplici non ci sono.
Chi soffre in maniera più acuta “le delizie della democrazia borghese” a cui la borghesia e il clero ci condannano, sarebbe disposto a qualsiasi sacrificio pur di liberarsene subito. Ma una via dritta, rapida e semplice non esiste.
Tra tutti quelli che non si rassegnano allo stato presente delle cose, “i comunisti sono quelli che hanno una comprensione superiore delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base la spingono sempre in avanti”, insegnava già K. Marx, il fondatore del movimento comunista come movimento cosciente e organizzato per la trasformazione della società borghese in società comunista.
I comunisti devono unire il proletariato e le masse popolari perché facciano quello che normalmente non fanno, che non hanno mai fatto, ma che tuttavia oggi è finalmente possibile: trasformare la loro propria vita, instaurare il socialismo, porre fine alla divisione dell’umanità in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori, di diretti e dirigenti. L’esperienza ha mostrato che i comunisti riescono a farlo, solo se hanno una linea e un metodo di lavoro giusti, quindi se hanno una concezione del mondo abbastanza aderente alla realtà e se non fanno troppi errori nell’analisi della situazione concreta e nell’elaborazione dell’esperienza. Tutte cose che non sono prodotte dalla borghesia e dal clero, non appartengono alla vecchia società, non cadono dal cielo. Si formano solo attraverso lotte, discussioni, prove e lacerazioni. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha mostrato su grande scala e in modo irrefutabile proprio questa lezione, in tutti i paesi imperialisti: per formare un vero partito comunista, un partito comunista all’altezza del suo compito storico, è indispensabile una lotta continua, accanita e intransigente nelle file del partito per affermare e far valere a ogni livello del partito la concezione comunista del mondo e il metodo materialista dialettico di conoscenza e di azione ed epurare le file del partito, in particolare le file dei dirigenti del partito, da quanti si ostinano a mantenere e far valere concezioni e metodi che derivano dalle classi dominanti. Non è possibile altrimenti né costruire un partito comunista all’altezza del suo compito né mantenerlo tale.
Noi abbiamo imparato molto dalla prima ondata della rivoluzione proletaria. Ne siamo gli eredi e i continuatori, ma non ne siamo i ripetitori. Quello che abbiamo imparato è sintetizzato nel Manifesto Programma del Partito che abbiamo pubblicato da poco. Tradurlo in pratica, trasformarlo in linee particolari, adeguate alle particolari situazioni, imparare ad intervenire in modo adeguato al concreto di tempo e luogo, è un lavoro che resta da fare. Un partito capace di fare questo, non ce lo regala nessuno. Chi persiste nell’illusione di costruirlo senza lotte e lacerazioni, prima o poi si scoraggerà e lascerà perdere.
Questo non significa però neanche che ogni lite è utile, che ogni discussione è fruttuosa, come gridavano alcuni dei nostri attuali destri. Essi invocavano a destra e a manca il “dibattito franco e aperto” senza ordine del giorno né conclusioni, come cento anni fa gli avversari di Lenin si fecero ad un certo punto sostenitori della “libertà di critica” senza distinzione tra giusto e sbagliato.
Noi affrontiamo responsabilmente ogni passaggio e ogni operazione necessaria. Uniamo finché si può unire, tagliamo quando è necessario.
Nei paesi imperialisti la costruzione del partito comunista è l’aspetto decisivo della nuova ondata della rivoluzione proletaria. La natura del partito comunista di cui abbiamo bisogno per condurre la rivoluzione socialista è strettamente legata alla strategia che il Partito deve attuare, la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.
Se andate a fondo delle cose, se grattate oltre la crosta superficiale delle obiezioni avanzate dai nostri attuali destri, sia quelli che lasciano la carovana sia quelli che restano, se considerate le logiche e inevitabili conseguenze di quello che i nostri attuali destri gridano nella maggior parte dei casi con superficialità (senza rendersi ben conto delle implicazioni di quello che dicono o fanno), vedrete che al fondo di tutte, o almeno della gran parte delle obiezioni dei nostri attuali destri, assieme ad appigli giusti c’è l’opposizione o l’incomprensione della strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e di quello che essa comporta, in particolare oggi da una parte la clandestinità del Partito e le difficili e complesse relazioni tra il partito clandestino e il suo lavoro pubblico, dall’altra la lotta per il governo di Blocco Popolare (GBP). Infatti quest’ultima è giusta solo nell’ambito della strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata ed è capita e attuata giustamente solo da chi ha una buona comprensione di questa strategia: gli altri la interpretano e o la praticano o la rifiutano come una deviazione di destra.
Non a caso i casi di maggiore insofferenza della disciplina che si sono manifestati nel corso della campagna e della terza LIA riguardano le relazioni tra il partito clandestino e il lavoro pubblico. Non a caso i dubbi più diffusi riguardano la linea del GBP.
Non a caso alcuni dei destri di oggi sono anni che sollevano problemi ed esprimono insofferenze sulle relazioni tra partito clandestino e lavoro pubblico. Non a caso gli scissionisti hanno già abbandonato la lotta per creare le condizioni perché si formi un GBP
Non a caso le defezioni sono maggiori nel Partito clandestino che nelle altre organizzazioni della carovana.
Altrettanti sintomi che ci confortano nella convinzione che stiamo conducendo una sana per quanto dolorosa operazione di potatura, di rafforzamento, indispensabile per crescere, per diventare il partito capace di condurre alla vittoria la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che metterà fine alla Repubblica Pontificia e farà dell’Italia un nuovo paese socialista.
Un partito comunista come quello che stiamo costruendo è indispensabile. Non sono le lotte delle masse popolari che oggi mancano nei paesi imperialisti.
Nelle masse popolari dei paesi imperialisti l’apatia, l’indifferenza, la rassegnazione e la vigliaccheria sono solo manifestazioni superficiali dell’impotenza. Sono solo reazioni epidermiche alla mancanza di una avanguardia capace, alla mancanza di un partito comunista già capace di sfruttare su larga scala le debolezze del regime e di usare ogni lotta e conquista per portare a un livello superiore la lotta contro la Repubblica Pontificia e per instaurare il socialismo: è quello che noi dobbiamo diventare, quello che stiamo diventando.
Nei paesi imperialisti per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari sono necessari un obiettivo, un progetto di società fondato sui presupposti già presenti, un’organizzazione che lo persegua con continuità e determinazione.
La controrivoluzione preventiva, dettagliatamente illustrata nel Manifesto Programma del Partito, consiste proprio anche in questo: distogliere, deviare, neutralizzare, eliminare organismi e individui capaci di essere il Partito comunista, per impedire che lo diventino. E la controrivoluzione preventiva è efficace, se noi comunisti non ci attrezziamo adeguatamente sul piano ideologico e organizzativo. Lo abbiamo visto per decenni e decenni, lo vediamo sotto i nostri occhi.
Nei paesi imperialisti le lotte (sindacali, rivendicative, politiche, culturali, ambientali) delle masse popolari contro il maledetto sistema che ci soffoca e contro la borghesia, il clero e le altre classi che lo difendono e lo impongono, non si sviluppano oltre un livello elementare, oltre mobilitazioni grandiose ma episodiche e senza seguito, oltre azioni eroiche ma individuali, proprio perché non hanno prospettive. Perché le mobilitazioni delle masse popolari sono dirette da mestieranti, carrieristi o avventurieri alla Cofferati, alla Bertinotti o alla Epifani che le usano come ingredienti delle loro beghe e contrattazioni interne al regime. Perché le mobilitazioni delle masse popolari non sono battaglie di una guerra con un obiettivo definito e condiviso, l’instaurazione del socialismo, che le masse, almeno la parte più cosciente e attiva, conosca e condivida. Non si traducono in un superiore livello di organizzazione delle masse popolari, in un superiore livello di coscienza politica e in nuove relazioni di potere delle masse popolari.
Noi incarniamo quel progetto, perseguiamo quell’obiettivo e dobbiamo imparare, stiamo imparando a realizzarlo passo dopo passo, avanzando nel concreto della situazione attuale, sfruttando ogni appiglio, ogni spiraglio, ogni situazione che ci può avvantaggiare, che può accrescere le nostre forze, che può indebolire i sostenitori dell’attuale sistema sociale. Non aspettiamo che scoppi la rivoluzione. Costruiamo giorno dopo giorno il Nuovo Potere. Esso giunto ad un certo livello di sviluppo surclasserà, rovescerà e sostituirà il vecchio potere, la Repubblica Pontificia che ci avvelena la vita.
La prima ondata della rivoluzione proletaria ha in definitiva subito una sconfitta. Il movimento comunista cosciente e organizzato mancava della strategia giusta, la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Quindi non è riuscito ad instaurare il socialismo in nessun paese imperialista. Quindi tutte le grandi conquiste realizzate, i primi paesi socialisti, dall’Unione Sovietica alla Repubblica Popolare Cinese, le abbiamo perse. I vecchi partiti comunisti per lo più si sono corrotti e vergognosamente dissolti.
Ma in definitiva la prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato grandi tracce nella coscienza e nell’esperienza delle masse popolari. Nonostante tutti gli sforzi della borghesia, del clero e delle altre classi reazionarie, l’umanità non è retrocessa al livello precedente. In definitiva dalla prima ondata della rivoluzione proletaria ci è rimasto un grande laboratorio da cui dobbiamo e possiamo imparare come avanzare e molti elementi per avanzare più rapidamente e meglio nella seconda ondata della rivoluzione proletaria.
Di fronte a questa situazione, noi dobbiamo combattere nelle nostre fila
- sia l’anticomunismo sostanziale di chi trae dal bilancio fallimentare della prima ondata una lezione antipartito e gode di ogni difficoltà, di ogni scissione, di ogni problema che incontriamo e che dobbiamo risolvere,
- sia il dogmatismo, il conservatorismo di chi sogna di ripetere tal quale l’esperienza gloriosa ma in definitiva perdente della prima ondata, di quei compagni per cui il marxismo, il leninismo, il maoismo si riduce alla citazione che quadra con il loro pregiudizio, che rifuggono dall’analisi concreta della situazione concreta che è l’anima vivente del marxismo-leninismo-maoismo.
Quindi non ci spaventano scissioni ed espulsioni, lotte e contrasti. Non ci spaventa restare in pochi, quando la condizione per essere di più sarebbe seguire i destri nel pantano dell’inconcludenza, delle lotte senza progetto e partito, della morte. Non siamo però neanche fautori incondizionati di lotte e scissioni. Non ci accontentiamo di proclamare la verità che epurandosi il partito si rafforza. Non ci culliamo nell’esperienza che dalla prima e dalla seconda LIA la carovana del (n)PCI è uscita rafforzata. Siamo decisi ad avanzare passo dopo passo, sfruttando ogni appiglio e occasione, raccogliendo tutte le forze disponibili sia quelle principali e di prospettiva sia quelle incerte e temporanee, valorizzando ogni contributo, liberandoci da ogni freno e inciampo quando il negativo che produce è più del positivo che ne ricaviamo. Quindi impariamo dall’esperienza e raccogliamo tutte le forze che ci sono in qualche misura utili, senza paura dell’inquinamento e delle arretratezze che inevitabilmente, come aspetto secondario, portano nelle nostre fila.
Per questo qui di seguito illustriamo, ad uso e beneficio di tutti quelli che vogliono imparare anche dalla nostra esperienza, gli aspetti e i risultati principali della nostra campagna e della terza LIA.
La campagna per assimilare a un livello superiore il Materialismo Dialettico e la terza LIA.
La campagna che abbiamo lanciato nel marzo del 2008 mirava a produrre una trasformazione nelle nostre fila per renderci capaci di affrontare i compiti superiori che, stante il completamento della stesura del Manifesto Programma del Partito e l’ingresso nella fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo, presenta la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che stiamo conducendo.
Come ogni trasformazione, essa implicava la divisione del nostro vecchio modo di essere (del nostro passato) in due parti, l’avanzato e l’arretrato e l’affermazione dell’avanzato. Come in ogni trasformazione, fin dall’inizio e lungo tutto il suo corso, vi sono stati compagni, non necessariamente gli stessi lungo tutto il corso, che si sono fatti promotori della trasformazione (i compagni più avanzati, la sinistra) e compagni che hanno frenato o che vi si sono opposti (i compagni più arretrati, la destra). I promotori della campagna hanno elaborato una comprensione via via maggiore dei vari aspetti della trasformazione da compiere: essi hanno costituito una sinistra via via più mobilitata, più cosciente e più compatta. Di contro ad essi alcuni dei vecchi compagni si sono via via sempre più qualificati come ostinati sostenitori dell’arretrato e sono diventati una destra incorreggibile e in definitiva frazionista e scissionista.
La Lotta Ideologica Attiva risolve infine il contrasto tra la sinistra e la destra ed epura il Partito da quella parte della destra che ostinatamente rifiuta sia di trasformarsi che di seguire lealmente e creativamente la direzione della sinistra.
Il senso generale della terza LIA e il NML.
Il senso generale della terza LIA è quindi chiaro. Essa è lo sbocco e la continuazione della campagna per l’assimilazione a un livello superiore del Materialismo Dialettico come concezione del mondo e come metodo di conoscenza e metodo di azione nel concreto della fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo.
Il risultato immediato e visibile, nel Partito e in tutta la carovana del (n)PCI, della campagna e della terza LIA, è l’affermazione, prima soprattutto nella coscienza e via via anche nella pratica di un numero crescente di collettivi e di compagni, del Nuovo Metodo di Lavoro (NML).
Il NML riguarda ogni aspetto del nostro lavoro nella fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo. Implica quindi innumerevoli aspetti. Molti di essi sono illustrati negli articoli, negli opuscoli, nei documenti e nei dibattiti della campagna e della terza LIA. Altri saranno messi in chiaro man mano che l’applicazione del NML si estenderà. Ma a grandi linee e per contrasto con i difetti che il nostro metodo di lavoro presentava e che volevamo correggere, il NML può essere sintetizzato nei seguenti sedici punti, che costituiscono un elenco certamente destinato ad allungarsi.
1. Tradurre sistematicamente la nostra strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata in piani tattici adeguati alla fase (come il Piano Generale di Lavoro, l’instaurazione del Governo di Blocco Popolare, l’uso sistematico del “sistema delle leve”) e via via più particolareggiati, articolare sistematicamente le nostre parole d’ordine e i nostri appelli in lotte per realizzarli, in campagne, battaglie e operazioni tattiche, muovere le nostre forze in modo coordinato, applicare sistematicamente il “sistema delle leve” con cui una forza piccola determina e orienta il movimento di una forza maggiore e perfino di un movimento di massa su grande scala.
2. Ogni volta che è possibile, nell’analizzare la situazione, nel definire la linea, nello stendere il piano, nell’esecuzione del piano e nell’elaborazione del bilancio valorizzare ad ogni livello il collettivo nel modo più ampio di cui siamo capaci: mettere in gioco sia la responsabilità del collettivo sia la responsabilità individuale, attenersi alla divisione delle istanze, praticare la divisione del lavoro e osservare il centralismo democratico.
3. Applicare ad un livello superiore il centralismo democratico, contro l’adesione formale alla linea e contro l’adozione di una pratica non conseguente e non coerente, contro le dichiarazioni di condivisione della linea mentre nella pratica ci si mobilita lealmente solo nell’attuazione di quegli aspetti della linea e di quelle decisioni che si condividono e quindi si determina un’attuazione unilaterale e deformata: il centralismo democratico non è solo una risorsa pratica per combinare l’iniziativa e l’attività degli individui nell’iniziativa e attività collettiva e trasformare la realtà. È anche un metodo per raggiungere una superiore comprensione della realtà da parte degli individui e dei collettivi.
4. Compiere l’analisi concreta di ogni situazione concreta in cui dobbiamo operare e di ogni cosa su cui dobbiamo agire: non agire mai alla cieca e fecondare nella misura più ampia di cui siamo capaci la spontaneità con la scienza della rivoluzione socialista e con l’iniziativa organizzata da essa guidata, praticare il dibattito franco e aperto come mezzo per fare l’analisi concreta della situazione concreta e per elaborare linee d’azione.
5. Di ogni iniziativa, situazione, persona e organismo definire le relazioni con il contesto nel modo più ampio e dettagliato di cui siamo capaci.
6. Di ogni iniziativa, situazione, persona e organismo individuare meglio che ne siamo capaci le parti e gli aspetti in cui è articolata, definire nel modo più approfondito e completo di cui siamo capaci le contraddizioni che ne determinano la natura e la trasformazione, le relazioni tra di esse e le leggi del loro sviluppo.
7. Ad ogni livello tradurre il generale dell’analisi e della linea del Partito nel particolare della situazione in cui operiamo e nel concreto di tempo e di luogo.
8. In ogni aggregato in cui dobbiamo intervenire, preliminarmente individuare la sinistra, il centro e la destra, nell’intervento puntare principalmente sulla mobilitazione e sul rafforzamento della sinistra, aggiornare sistematicamente e periodicamente l’analisi.
9. Prima di intraprendere un’operazione, definire chiaramente gli obiettivi principali e secondari e tracciare un piano di lavoro il più dettagliato di cui siamo capaci, combinare sempre la semina e la raccolta;
10. Praticare ad ogni livello la sinergia e suonare il pianoforte con dieci dita: nello stendere i piani e nell’attuarli valorizzare il fatto che ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e anche più.
11. Ad operazione compiuta verificare il raggiungimento degli obiettivi e verificare il generale dell’analisi e della linea del Partito nel particolare e nel concreto in cui abbiamo operato, confermarla e arricchirla, praticare il dibattito franco e aperto come mezzo per fare il bilancio.
12. Nel bilancio, “partire dalla testa” (cioè dai dirigenti) anziché scaricare sui compagni di livello inferiore la responsabilità (per un’iniziativa non riuscita, per errori commessi o per limiti emersi), sviluppare ad un livello superiore il processo critica-autocritica-trasformazione (CAT) a partire dai dirigenti e in funzione della trasformazione.
13. In ogni individuo e collettivo, individuare, distinguere e contrapporre gli aspetti positivi e gli aspetti negativi, trovare metodi e iniziative per mobilitare il positivo affinché prevalga sul negativo. In ogni individuo e in ogni collettivo promuovere la critica, l’autocritica e la trasformazione (CAT).
14. Sfruttare con spregiudicatezza in ogni situazione i rapporti di forze, le contraddizioni in campo nemico e la dipendenza della borghesia e del clero dalle masse popolari nell’ambito del regime di controrivoluzione preventiva, contrastando sistematicamente il legalitarismo. Attuare i piani tattici attraverso appropriate campagne, battaglie e operazioni tattiche, contrastando anche nella pratica la concezione legalitaria della lotta. L’ordinamento politico e sociale della borghesia imperialista si traduce anche in un sistema di leggi e regole che per costruire il Nuovo Potere le masse popolari devono violare e rifiutare. Applicare su grande scala il principio “non è legale, ma è legittimo”, cioè non è conforme alle leggi e regole della Repubblica Pontificia, ma è conforme agli interessi delle masse popolari.
15. Con iniziative appropriate volgere sistematicamente la repressione a nostro favore e riversarla contro gli oppressori stessi. Contrastare nell’individuo e nel collettivo l’idea che la repressione è una disgrazia e una malattia di cui vergognarsi e da temere. Far valere che essa è anche la dimostrazione dell’efficacia delle azioni che le masse popolari e i comunisti compiono contro gli oppressori.
16. Usare sistematicamente il “metodo delle leve” per operare con efficacia per il rinnovamento del movimento sindacale.
Il ruolo e la sorte degli individui e dei singoli collettivi.
Se il senso generale della terza LIA è quindi chiaro e riguarda tutti, la storia di ogni individuo e di ogni singolo collettivo e la sua evoluzione le si capiscono solo tenendo conto sia del generale sia del particolare.
Nel caso del singolo individuo e collettivo, nella posizione e nel ruolo di ogni individuo e collettivo, nel posizionamento di ognuno (individuo o collettivo) e nella sua sorte, in tutto questo si combina il generale (il senso generale della terza LIA) con la particolare formazione psichico-ideologica (fisico-spirituale, fisico-psichica, ideologico-culturale) dell’individuo e la particolare conformazione del collettivo, frutto della particolare storia di ognuno (individuo o collettivo). Per capire e dirigere il particolare, bisogna tener conto sia del generale sia del particolare.
Stante la clandestinità e la compartimentazione, in questo contesto non ci dilunghiamo sui casi di singoli collettivi e individui. Ci basta avere indicato la chiave di lettura perché ogni compagno e ogni collettivo possa fare l’analisi e la direzione di sua competenza.
La CP si limita, a scanso di equivoci e manovre, a rendere pubblico che Enrico Levoni non fa parte del (nuovo) Partito comunista italiano e tanto meno di alcun suo organo dirigente, né esercita alcun mandato per conto del Partito.
Organizzazioni, istanze, clandestinità e compartimentazione.
La terza LIA si è sviluppata in una fase in cui la costruzione del Partito comunista è a un livello più avanzato rispetto alle due precedenti:
la LIA del 1997 in cui lo scontro era tra avanzare nella ricostruzione del partito comunista o restare un gruppo di sostegno alle lotte rivendicative delle masse popolari e di azione culturale;
la LIA del 1999 in cui lo scontro era tra costituire la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del nuovo Partito comunista italiano o diventare un gruppo dedito unilateralmente ad azioni militanti slegate dalla strategia della GPRdiLD e dal suo piano tattico.
Per questo la terza LIA si è svolta in modo differente e in una certa misura separatamente nei vari organismi del Partito e nelle varie organizzazioni della carovana del (n)PCI. Ha preso la forma di tante lotte distinte e per alcuni versi con caratteristiche e manifestazioni diverse nei vari organismi. Ogni organizzazione e ogni istanza ha infatti tradotto la campagna per assimilare a un livello superiore il Materialismo Dialettico nelle forme proprie della sua natura, dei passi in avanti particolari che deve compiere.
Questo ha dato luogo a problemi nuovi. In che misura i compagni di un’organizzazione o di un’istanza prendono parte alle lotte che si svolgono nelle altre organizzazioni o istanze? In che misura i compagni delle istanze inferiori prendono parte alla lotta che si svolge nelle istanze superiori e viceversa? Come si combinano la clandestinità e la compartimentazione con la Lotta Ideologica Attiva che ha aspetti comuni alle varie istanze, ma anche aspetti specifici di ogni istanza?
Anche nell’affrontare questi problemi abbiamo avuto una chiara manifestazione della destra e del suo carattere regressivo.
I compagni che tendevano a cancellare la differenza delle istanze e delle organizzazioni, a ritornare alle assemblee e allo stile apparentemente assembleare in realtà personalistico (di dipendenza da capi di fatto, non investiti ufficialmente di alcuna responsabilità, quindi irresponsabili) delle FSRS, i membri del Partito che tendevano a travolgere la compartimentazione e a violare i principi e i criteri della clandestinità: tutti questi sono confluiti nella destra.
I destri più ostinati reclamavano ed esigevano l’azzeramento del percorso già fatto nella costruzione del Partito. Sono arrivati a pretendere che il Partito non diriga i suoi membri e le sue istanze nel lavoro che essi fanno in organizzazioni pubbliche. I più avventuristi addirittura hanno messo in pratica in modo arbitrario e frazionista, per iniziativa personale, l’azzeramento della struttura e delle relazioni di Partito.
Per non andare avanti, i destri cancellavano quello che negli anni scorsi abbiamo costruito: la divisione del lavoro, la distinzione delle varie istanze, la compartimentazione, la clandestinità. Retrocedevano dal Partito al livello di FSRS. Volevano che ritornassimo a essere un aggregato indistinto di militanti, tutti sullo stesso livello, senza distinzione di istanze e di responsabilità, un circolo dove tutti si occuperebbero e chiacchiererebbero di tutto: questa per i nostri destri sarebbe la democrazia del centralismo democratico, una democrazia analoga a quella sbandierata dalla borghesia quando decanta le sue campagne elettorali, tanto utile alla borghesia e al clero per sfruttare e opprimere le masse popolari nei “paesi democratici”! Il nostro centralismo democratico è principio guida della costruzione del Partito comunista, della formazione dei comunisti, della mobilitazione delle masse popolari, dello sviluppo della lotta di classe, della formazione di una armata capace di abbattere la Repubblica Pontificia, instaurare il socialismo e marciare verso il comunismo.
La sinistra a sua volta, di contro, ha imparato a meglio distinguere e combinare il generale (ciò che è comune o è alla fonte di tutte le manifestazioni) e il particolare (ciò che è specifico di una organizzazione o di un’istanza), a meglio usare il generale per dirigere il particolare, a meglio tradurre il generale nel particolare, a meglio verificare il generale nel particolare, a meglio ricavare il generale dal particolare, a meglio combinare lavoro clandestino e lavoro pubblico, partito clandestino e organizzazioni pubbliche, il partito clandestino e il suo lavoro in organismi pubblici. Quindi a distinguere in modo più pratico organizzazioni, livelli e istanze, pur agendo nell’ambito di un piano generale e di una linea generale comune.
Per fare la stessa cosa, istanze diverse devono fare concretamente cose diverse. Il Partito clandestino deve adattarsi al lavoro pubblico nelle forme (un Comitato di Partito per ogni organismo pubblico, osservanza della disciplina di ogni organismo pubblico, ecc.), ma deve far valere e trasfondere il suo contenuto (la sua concezione e la sua linea) nel lavoro pubblico, nel lavoro delle istanze e degli organismi pubblici.
I nostri errori e limiti - gli arretramenti, i cedimenti e i tradimenti dei nostri destri.
A seguito della terza LIA alcuni dei vecchi compagni abbandonano l’opera di consolidamento e rafforzamento del Partito, il lavoro per la rinascita del movimento comunista e per la costruzione del Nuovo Potere, la Guerra popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Ovviamente (calunnie, menzogne, fantasie e pregiudizi a parte) ognuno di quelli che abbandonano l’opera accampa molte buone ragioni, si appiglia a questo o quel fatto reale. Quali che siano le motivazioni particolari della sua rottura che chiunque lascia la carovana del (n)PCI adduce (gli errori, i limiti, i torti del Partito o delle altre organizzazioni della sua carovana), esse sono irrilevanti come motivazioni per abbandonare la carovana. Ancora meno rilevanti sono come motivazioni per abbandonare la lotta per la rinascita del movimento comunista e, ovviamente ma stante le circostanze bisogna ricordarlo e ribadirlo, assolutamente non giustificano in nessun modo e in nessun caso il mettersi a collaborare con la controrivoluzione e con la polizia, alla Bombacci o alla Silone per ricordare due diversi casi del vecchio PCI o alla Franceschini per ricordare le Brigate Rosse.
Il nuovo Partito comunista è una forza in costruzione. Sono molti i nostri errori e innumerevoli i nostri limiti. Chiunque cerca pretesti “di sinistra” per dire che siamo pochi, brutti, sporchi, cattivi, ecc., che non meritiamo la sua partecipazione, che non meritiamo di esistere, in sostanza per dare nobili ragioni al suo abbandono, ne trova quanti ne vuole: basta che egli ci confronti con un ideale che non esiste, con un partito immaginario.
Noi siamo il Partito comunista che si sta costruendo, che da anni avanza passo dopo passo e che continuerà ad avanzare, correggendo ogni errore ogni volta che emerge, superando ogni limite man mano che lo incontriamo sul nostro cammino. Nella misura in cui alcune motivazioni riguardano problemi reali, solo noi membri del Partito possiamo trarre beneficio dalla loro denuncia e dalla loro comprensione e risolvere i problemi reali in modo positivo per la causa del comunismo.
Chi vuole fare un discorso serio, deve parlare della situazione attuale e del movimento in corso (analisi della situazione) e della linea con cui vi operiamo: che obiezioni ha alla nostra analisi della situazione? In cosa la nostra linea è sbagliata? In quale aspetto può essere migliorata? Chi è capace di indicarci un errore, di illustrarci un limite, di mostrarci come superare un limite, è il benvenuto! A chi è capace di capire meglio o di fare meglio, noi non chiudiamo la strada. Anzi! Chi pensa che noi gliela chiudiamo, che provi, che si misuri con la realtà, che faccia meglio per la causa del comunismo!
Gli scissionisti fanno un gran danno alla causa del comunismo, perché disperdono energie, sia pure in alcuni casi in attività che sarebbero preziose se fossero aspetti e parti dell’attività complessiva del Partito. Noi siamo contrari alle scissioni e le combattiamo. Ma non le temiamo. Meglio che gli scissionisti formino gruppetti come il Collettivo Comunista Piemontese (CCP), che si misurino in attività sia pure disperse e slegate tra loro e dal processo complessivo di rinascita del movimento comunista e di costruzione del Nuovo Potere, in breve dalla Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che stiamo conducendo, piuttosto che diventare collaboratori di polizia: una strada su cui le forze della repressione faranno quanto in loro potere per spingerli e su cui li spinge anche la logica di cedimento alla borghesia in cui si sono messi.
Nella situazione attuale, finché non collaborano né apertamente né in forma riservata, né con la polizia ufficiale né con le polizie ausiliarie, gli scissionisti restano in seno alle masse popolari e come tali li tratteremo, quale che sia il livore che via via dispiegheranno contro il Partito. Li tratteremo come trattiamo le altre FSRS. Come trattammo nel passato “Linearossa” (la FSRS formata dai transfughi della prima LIA) e “Rivoluzione” (la FSRS formata dai transfughi della seconda LIA).
Dal punto di vista del rapporto di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, la loro propaganda contro il Partito sarà solo una goccia d’acqua in più nel torrente limaccioso della controrivoluzione preventiva che agisce in seno alle masse popolari. Invece le attività unilaterali e sparse che eventualmente essi faranno a sostegno di lotte rivendicative delle masse popolari o della resistenza delle masse popolari al procedere della seconda crisi generale del capitalismo, noi del Partito (quelli che hanno senso del Partito e vi si attengono coerentemente) potremo farle confluire nella rinascita del movimento comunista e nella costruzione del Nuovo Potere. Farlo dipenderà solo da noi, basterà che noi ne siamo capaci, che abbiamo una concezione e una creatività adeguate.
L’importante ai fini dell’avanzamento della Guerra Popolare Rivoluzionaria per l’instaurazione del socialismo non sono il numero, le chiacchiere, le manovre e i traffici degli avversari e dei nemici. Tutto questo lo possiamo usare e volgere a nostro favore. Importante è che il grosso dei comunisti, quelli che persistono nel consolidamento e rafforzamento del Partito, lavorino con una concezione, una linea e un metodo migliori, una concezione, una linea e un metodo che migliorano per meglio adeguarsi alla situazione.
Dura o facile che sia, questa è la strada che bisogna percorrere e che percorreremo!
La costruzione dei Comitati di Partito (CdP).
Nell’ambito della campagna sopra ricordata e della terza LIA, la CP ha fatto il riesame e il bilancio della costruzione del Centro, della costruzione del sistema dei Comitati di Partito e della costruzione del sistema delle relazioni che lega Centro e CdP nel Partito.
Di interesse diretto e universale per i destinatari di questo Comunicato è il bilancio relativo alla creazione dei CdP: infatti la maggior parte dei destinatari dei nostri Comunicati sono potenziali promotori di nuovi Comitati di Partito. Ne diamo quindi gli elementi essenziali.
Il processo di creazione dei CdP ha attraversato quattro periodi.
1. Dalla costituzione della CP (gennaio ’99) alla fondazione del (n)PCI (3 ottobre 04).
In questo periodo la costituzione di CdP avviene secondo il “piano in due punti” (La Voce n. 1 pag. 9, La Voce n. 3 pag. 17, La Voce n. 5 pag. 47, La Voce n. 6 pag. 11).
2. Dalla fondazione del (n)PCI (3 ottobre 04) alla redazione del Programma per il rafforzamento dei CdP (7 ottobre 06).
La Risoluzione della CP allargata che stabilisce la fondazione del (n)PCI (La Voce n. 18 pag. 3) fa il bilancio della costituzione e del lavoro dei CdP e indica linee per il loro consolidamento e rafforzamento e la loro moltiplicazione. La CP affida la direzione di questo lavoro al compagno Dario, nominato “commissario politico ai CdP”.
3. Dalla messa in opera del Programma per il rafforzamento dei CdP (7 ottobre 06) fino all’incorporazione nella CP del responsabile della direzione dei CdP (del commissario politico ai CdP), il compagno Dario (8 dicembre 07).
La realizzazione del Programma per il rafforzamento dei CdP nel nord e nel centro dell’Italia (fino alla fascia Toscana, Umbria e Marche compresa) è affidata direttamente al commissario politico ai CdP, il compagno Dario. A sud della fascia Toscana, Umbria e Marche la direzione dei CdP e la loro moltiplicazione sono affidati al compagno Leo, sotto la direzione complessiva del commissario politico ai CdP.
4. Dall’incorporazione nella CP del commissario politico ai CdP (8 dicembre 07) fino alle sue dimissioni (16 marzo 09).
Nel tentativo di far fronte alla separazione tra teoria e pratica, il lavoro del commissario politico ai CdP in questo periodo è stato sottoposto a una direzione più di dettaglio da parte della CP grazie all’incorporazione del commissario politico ai CdP nella CP.
Nell’ambito della campagna sopra ricordata e poi della terza LIA il bilancio della direzione svolta dalla CP sui CdP esistenti e del lavoro svolto per la costituzione di nuovi CdP è diventato campo di lotta tra due linee.
Dal bilancio la CP ha tratto la conclusione che la sua direzione nel settore CdP negli ultimi tre periodi non è stata all’altezza di quanto era necessario (per lo sviluppo della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata) e possibile (stante la concezione elaborata e la definizione fatta di linee, principi e criteri corrispondenti). Questo è il motivo principale per cui il livello del lavoro dei Comitati di Partito non si è alzato in misura adeguata ai bisogni di direzione del movimento delle masse popolari e per cui il numero dei CdP non è cresciuto in misura corrispondente alla situazione favorevole.
Il vecchio commissario politico ai CdP, il compagno Dario, per anni era stato il massimo responsabile per conto della CP del lavoro per dirigere i CdP esistenti e per curare la costituzione di nuovi CdP. Quindi era il responsabile diretto degli aspetti particolari della direzione dei singoli CdP e dei rapporti per trasformare i singoli contatti del Partito in nuovi CdP. La campagna e il bilancio lo chiamavano direttamente in causa in prima persona. Anziché mettersi alla testa del bilancio e del processo di critica, autocritica e trasformazione (CAT) facendo tesoro dell’esperienza diretta di cui disponeva, il compagno Dario durante la campagna ha oscillato ripetutamente tra sinistra e destra, nella LIA si è schierato con la destra e non ha accettato il bilancio fatto dalla CP del lavoro nel campo dei CdP. A suo giudizio la costruzione dei CdP non avanzava un po’ perché i compagni non seguivano le direttive, un po’ perché la situazione era arretrata, un po’ perché lavoro clandestino e lavoro pubblico per loro natura si sovrapponevano, un po’ perché la CP non aveva in generale un metodo di lavoro collettivo. Sotto l’incalzare della lotta condotta dalla CP, infine Dario ha dato le dimissioni dall’incarico che finora aveva ricoperto. La CP ha accettato le dimissioni e deciso di affidare l’incarico al compagno Nicola.
Il cambiamento dell’incaricato non è principalmente un avvicendamento di persone. È uno dei risultati della campagna per un livello superiore di assimilazione del Materialismo Dialettico come metodo per conoscere la realtà e come guida per trasformarla e della terza LIA in cui la campagna è sfociata. La rimozione del vecchio commissario politico si è combinata con la constatazione del fallimento della sua incorporazione nella CP. Dario è “ritornato a casa” e si è dimesso dal Partito.
La sua vicenda è un aspetto della terza LIA della carovana del (n)PCI. La terza LIA è una storia di avanzamento che oltre all’aspetto positivo dell’affermazione del NML, di gran lunga principale, ha anche risvolti tristi: non tutti i vecchi compagni tengono il passo. Il caso del compagno Dario non è l’unico. Il comportamento della Responsabile Nazionale del Settore Organizzazione del P-CARC e del segretario della sua Sezione di Torino che ha portato alla loro espulsione dal P-CARC, le dimissioni del segretario federale del Lazio del P-CARC e le dimissioni dei compagni di Torino sono le maggiori ricadute negative della marcia in avanti che la situazione ci chiede. La clandestinità impedisce di rendere di pubblico dominio altre analoghe trasformazioni negative che pur ci sono state.
La perdita di dirigenti e di membri sono il prezzo che dobbiamo pagare per avanzare, per non cadere nell’immobilismo e retrocedere. Ogni avanzamento avviene secondo la legge dell’uno che si divide in due. Oltre che nel campo dei comportamenti, dei sentimenti e delle idee, questa legge in linea di massima si realizza anche negli organismi e negli individui. La storia del movimento comunista, anche del movimento comunista del nostro paese, ci mostra molti casi del genere, anche defezioni e persino tradimenti, anche ai massimi livelli (Bombacci, Bordiga, Silone, Tresso, Ravazzoli, Leonetti e altri nel primo PCI, per non parlare della degenerazione di vari fondatori e dirigenti delle Brigate Rosse).
Quelli che ne approfittano per fare del sarcasmo o per ribadire i loro pregiudizi anticomunisti o addirittura antipartito, mostrano di non conoscere la storia del movimento comunista e comunque di non tener conto dell’esperienza. Il movimento comunista è avanzato e ha svolto un ruolo decisivo negli ultimi 160 anni della storia dell’umanità non nonostante, ma grazie alle lotte e alle contraddizioni che ha affrontato al suo interno, epurandosi e trasformandosi. Il movimento comunista non è una parte della vecchia umanità che prende il sopravvento sull’altra: è l’avvio di una nuova fase della storia della specie umana, la trasformazione della sua natura. La vecchia umanità si divide in due: ciò che progredisce e ciò che va a morire. Chi non affronta la traversata dell’oceano, certo non conosce le intemperie e le tempeste, ma non raggiunge neanche mai la “nuova terra”. Chi non scende in guerra non conosce ferite né sconfitte, ma neanche raggiunge mai la vittoria. L’esperienza storica ci conferma che la lotta tra le due linee, l’epurazione dei compagni che non tengono il passo (a volte fino al punto di tradire e di passare al nemico) e la selezione di membri e dirigenti sono fenomeni che accompagnano la crescita qualitativa e quantitativa del Partito. Non solo la disponibilità ma addirittura la volontà di trasformare la concezione del mondo con cui ci si ritrova, la propria mentalità, la propria personalità sono caratteristiche indispensabili dei comunisti. Non dobbiamo né scoraggiarci né demoralizzarci perché vi sono lotte e contrasti, perché vi sono defezioni e perfino tradimenti. Dobbiamo invece studiare attentamente ogni caso concreto (tanto più quanto più da vicino ognuno di noi può conoscerlo rispettando la compartimentazione) e tendere tutte le nostre capacità per dirigerlo nel modo migliore e trarne la maggior quantità di lezioni generali, trarne lezioni di livello superiore. Queste vanno diffuse perché la cosa è compatibile con la compartimentazione e la clandestinità. Anche per questa via costruiamo la scienza della rivoluzione socialista.
Costruire un CdP clandestino in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa!
La sostituzione del responsabile della direzione della CP sui CdP esistenti e sul lavoro per la costituzione di nuovi CdP è la conseguenza di uno scontro tra linee e conferma la volontà della CP di adottare un linea più avanzata nella direzione dei CdP esistenti e nella costituzione di nuovi CdP. È quindi importante che chi vuole costituire nuovi CdP comprenda bene il significato della campagna e della terza LIA nel campo della costruzione e del rafforzamento dei CdP.
In cosa è consistito lo scontro tra linee non solo in generale nella terza LIA ma più particolarmente in questo campo?
La dimostrazione che la campagna e la terza LIA sono stati per noi dei movimenti di crescita, sani, vitali, sta nel fatto che è la sinistra che ha scatenato la lotta e che ha guidato il movimento, nonostante oscillazioni e ritardi (abbiamo cercato di “salvare l’ammalato” tirando le cose in lungo, perfino sacrificando altri aspetti importanti del nostro lavoro). In tutta la campagna e nella terza LIA, la destra è sempre stata sulla difensiva, alla rincorsa della sinistra, occupata nel tentativo di far fronte alle iniziative della sinistra, di attenuarle, smorzarle, deviarle. Il contrario di quello che ha caratterizzato la lotta nel vecchio PCI dopo la vittoria della Resistenza: allora era la destra (Togliatti) che guidava la danza e la sinistra (Secchia) arrancava dietro la destra per salvare il salvabile: per questo fallì (vedasi La Voce n. 26 Pietro Secchia e due importanti lezioni)
Come succede quando la sinistra propugna e sostiene con forza una linea, anche in questa campagna abbiamo visto la destra sgusciare, camuffarsi, fare piccole obiezioni, contorcersi, ritrattare quello che aveva detto, minimizzare le differenze, alzare grandi lamenti, denunciare offese statutarie, violazioni della democrazia (in generale) e il soffocamento del dibattito franco e aperto (di cui non specificava l’oggetto, usando il DFA come gli opportunisti di cui tratta Lenin nel Che fare? usavano la “libertà di critica”), piangere di essere usata come capro espiatorio, giocare tra il detto e il non detto (a volte più che quello che la destra dice di sbagliato, è importante quello che non dice ma che nelle circostanze è necessario dire; a volte più che quello che la destra fa di sbagliato, è importante quello che non fa ma che nelle circostanze è necessario fare), adottare posizioni contrastanti, usare librescamente principi e citazioni senza analisi concreta della situazione di cui sta parlando e della situazione per la quale sono stati formulati, passare da una posizione a quella opposta, evitare di indicare il senso generale del particolare, di elaborare l’esperienza, di costruire la scienza del processo in corso, usare il patrimonio teorico del movimento comunista senza tener conto dell’insegnamento che bisogna ricavare dall’esperienza dell’applicazione di esso nelle varie situazioni concrete (che per lo più ne ha verificato la giustezza ma anche ne ha messo in luce i limiti), ecc. Insomma la destra si avvale di tutte le arretratezze correnti nel metodo di pensare e di agire, di ogni pregiudizio e di ogni appiglio formale. Quando la sinistra incalza, la destra non oppone chiaramente alla sinistra una sua linea, si guarda bene dal formularne organicamente una: il suo seguito si ridurrebbe ulteriormente e risalterebbe l’inconsistenza della sua posizione in termini di scienza della rivoluzione socialista, a fronte dell’esperienza. La destra è eclettica (dice una cosa e anche il suo contrario), ambigua, ricorre alla sofistica (è vero che c’è questo ma c’è anche quello: senza indicare cosa nel particolare o nel concreto è principale) che contrabbanda come dialettica, è contro “le esagerazioni” della sinistra, si appiglia a ogni errore della sinistra, cerca di mettere in campo limiti che non hanno nulla a che vedere con la campagna in corso, scambia limiti (quello che non siamo ancora arrivati a capire o a fare) per errori (gli arretramenti rispetto ad analisi già fatte, a linee già stabilite o a posizioni già conquistate).
In una situazione in cui la sinistra incalza, è difficile se non impossibile caratterizzare in modo inoppugnabile e univoco la destra: ogni esponente della destra può sempre con qualche appiglio dire: ma io non ho detto (fatto) ..., ma io non volevo dire ..., al contrario io ho detto (fatto) ..., anch’io ho detto (fatto) ..., ecc. Abbiamo visto i fautori accaniti della “disciplina senza linea e senza formazione” diventare fautori del “dibattito franco e aperto senza oggetto né discriminanti”. Abbiamo visto i predicatori dogmatici del centralismo democratico costruire cricche e promuovere il liberalismo fino alla scissione. Per capire chi è la destra, bisogna capire quali sono l’obiettivo e la linea della sinistra. Infatti quando è la sinistra che guida la danza, la linea della destra è dettata dalla sinistra: la destra si caratterizza come opposizione alla sinistra.
Per individuare e caratterizzare in modo giusto la destra nel Partito, dobbiamo inoltre tener conto che stiamo comunque parlando della destra del Partito comunista. Politicamente (nell’analisi delle contraddizioni immediate del paese, nelle parole d’ordine politiche, nelle azioni concrete, ecc.) finché è in corso la lotta tra la destra e la sinistra per la direzione del Partito, la destra del nostro Partito è di regola più a sinistra della sinistra delle altre organizzazioni politiche, che sono ben più largamente influenzate ideologicamente e politicamente dalla borghesia e ben meno influenzate dalla concezione comunista del mondo e dalle relazioni proprie del Partito comunista. La destra del Partito comunista deve adattare l’influenza della borghesia alla necessità di egemonia all’interno del Partito. Quindi di regola sul piano politico la nostra destra si contrappone alla sinistra su alcuni punti che in questo momento sono decisivi ai fini del percorso che il Partito deve seguire, ma non di più. Non a caso appena possono i nostri destri si affrettano a dire che l’analisi del Partito è giusta, che la linea generale del Partito è giusta (sono i dirigenti che sbagliano, salvo i destri, che “sono i migliori”): aspettate qualche settimana e vedrete che pezzo dopo pezzo butteranno alle ortiche analisi e linea generale del Partito, che fino a ieri hanno condiviso.
Per distinguere già oggi destra e sinistra nel Partito, bisogna quindi aver chiaro quali sono, nella fase concreta dello sviluppo del Partito e della situazione in cui il Partito opera, le questioni decisive per l’ulteriore sviluppo del Partito e del suo lavoro di massa. Chi non partecipa alla vita del Partito, chi non si occupa e preoccupa del suo sviluppo, chi è esterno o ai margini della vita del Partito o vi partecipa poco o superficialmente, chi non partecipa al suo lavoro per comprendere meglio la realtà e operare efficacemente per trasformarla, per lo più è sorpreso dallo scoppio dello scontro. Difficilmente capisce cosa è decisivo in un determinato concreto momento. Difficilmente capisce, tra le mille contraddizioni, errori e limiti, quali sono le questioni la cui soluzione in un senso o in un altro in quel momento decide del progresso o della decadenza del Partito. Difficilmente capisce perché una questione è in questo momento tanto importante da meritare e anzi esigere uno scontro antagonista. Per chi è ai margini del lavoro del Partito, ogni scontro e ogni epurazione è solo o principalmente un fatto negativo, inutile, dannoso.
I membri del Partito che sono sorpresi dagli eventi della lotta tra le due linee, devono onestamente chiedersi se in realtà hanno vissuto e vivono opportunisticamente ai margini della vita del Partito (si interessano poco alla sua vita); o se sono ideologicamente ciechi: cioè se per un malinteso amor del Partito (per dogmatismo) si rifiutano, sono incapaci di vedere i problemi, come i genitori che sono gli ultimi ad accorgersi e ad ammettere le turpitudini del loro amato figliolo.
Gli esponenti della sinistra non devono mai stancarsi di spiegare le ragioni della lotta in corso a chiunque mostra volontà di capire, a chiunque pone onestamente domande. Ma d’altra parte diciamo chiaramente che chiunque, collettivo o semplice compagno, è mobilitato senza riserve nella lotta per la rinascita del movimento comunista, troverà anche da solo ispirazione e risposte ai suoi slanci migliori nei discorsi della sinistra del (n)PCI e della sua carovana, mentre nella destra troverà comprensione e conforto per i suoi difetti e le sue riserve, sospiri contro le “esagerazioni della sinistra” oppure, a compenso dell’abbandono già iniziato della strategia (GPRdiLD) e del piano strategico (PGL e GBP), la fuga unilaterale in iniziative o in rivendicazioni che sono (e nel giro di un po’ di tempo anche appariranno) slegate dal contesto di operazioni, di progetti, di lavoro organizzativo che costituisce la rinascita del movimento comunista e la costruzione del Nuovo Potere. Quelle che oggi sono ancora solo “piccole riserve” o “innocenti dimenticanze” di questo o quell’aspetto della nostra concezione, della nostra linea o del nostro piano di lavoro (la Guerra Popolare Rivoluzionaria, l’instaurazione del socialismo, il Piano Generale di Lavoro, la creazione delle condizioni per la nascita del GBP, la lotta per mettere fine alla Repubblica Pontificia, ecc.), nel giro di poco tempo si riveleranno essere l’indizio di una concezione e di una linea del tutto diverse e della mancanza di un piano di lavoro degno di questo nome. Così è successo anche nella LIA del 1997. Così è successo anche nella LIA del 1999.
Nel nostro Partito in questa fase è la sinistra che è all’attacco ed ha lanciato la lotta per una superiore assimilazione del Materialismo Dialettico come metodo per conoscere la realtà e come metodo per trasformarla. La sinistra vuole dividere il passato in due parti, vuole superare il passato per un avvenire superiore. La sinistra non rivendica i suoi meriti passati, ma propone nuove conquiste. Non a caso invece i maggiori esponenti della destra (quelli che possono, che nel passato hanno compiuto qualcosa di meritevole) rivendicano il loro passato come opera e merito individuali. Nonostante il loro ruolo attuale, cercano di accreditarsi con le loro azioni passate (“tu mi conosci bene...”, “tu ti ricordi...”, “tu sai chi ha fatto questo o quello”, ecc.). La destra attribuisce all’individuo e a suo merito personale, quello che un membro del partito ha compiuto grazie al contesto, allo stimolo, alla direzione e alle risorse del Partito intero.
La sinistra al contrario fa leva sulle acquisizioni passate, sul cammino percorso per andare oltre: per compiere i passi avanti che la nuova situazione richiede e che le acquisizioni passate rendono possibile compiere, per superare i limiti che sono diventati incompatibili con i compiti che la nuova situazione pone, che sono un freno e un ostacolo all’attuazione dei compiti che la nuova situazione pone. La sinistra non nega né contesta i meriti e le azioni passate di questo o quello, grazie a cui il Partito è cresciuto. Perché la sinistra vuole superare tutto il passato del Partito e portare il Partito più avanti.
La destra è fatta
- di compagni che sono convinti di aver già fatto grandi sacrifici per la causa, mentre in realtà siamo ancora solo agli inizi del nostro cammino,
- di compagni che sono convinti di avere acquisito grandi meriti (di avere loro grandi crediti nei confronti del Partito), perché il Partito ha dato loro la possibilità di dedicarsi a tempo pieno al lavoro rivoluzionario, di fare i rivoluzionari di professione,
- di compagni che ingenuamente (cioè per assenza di esperienza e di riflessione, per poca assimilazione del materialismo dialettico, per cui non concepiscono che chi ha fatto cose positive può anche fare cose negative, che positivo e negativo sono entrambi sempre presenti in ogni situazione, in ogni ambiente, in ogni collettivo e in ogni individuo e decisivo è quale dei due prevale e dirige, che l’organizzazione è più affidabile dell’individuo, ecc.), portati dalla mentalità e dalla concezione individualiste correnti, ammirano un individuo per questo o quello che ha fatto e lo seguono anche nei suoi errori, dimenticando che all’origine di così “grandi sacrifici” e di così “grandi imprese” fatti da individui, c’è il Partito con la sua opera di formazione, di organizzazione e di direzione e non l’individuo che ora se ne fa vanto come di suo merito e opera personali.
Non è un caso che la destra fatta di simili “grandi lottatori”, in realtà raccoglie anche i dubbiosi, i compagni in affanno, i compagni che scoppiano, i compagni che hanno l’acqua alla gola e approfittano della corda (di obiezioni, di denunce, di calunnie, ecc.) che i caporioni della destra loro offrono per abbandonare il campo.
Non è quindi strano che in questa fase è difficile caratterizzare inequivocabilmente, univocamente e incontestabilmente la destra. È invece semplice caratterizzare la linea per cui si batte la sinistra in questa fase, la linea che la sinistra propugna per far fronte alla fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo e alla crisi specifica della Repubblica Pontificia. Caratteristiche della destra sono:
- alla base della carovana, l’opporsi alla sinistra;
- tra i dirigenti della carovana, non impegnarsi, scantonare, guadagnare tempo, frenare, demoralizzare, minimizzare; non battersi assieme alla sinistra per definire i compiti della fase, tracciare linee, trovare soluzioni, metterle in pratica; cercare su questa base di arretratezze di coalizzare il centro.
Esistono le condizioni per un avanzamento qualitativo e quantitativo dei CdP.
La destra nel nostro Partito è quella che si oppone e che ostacola i passi in avanti necessari e possibili, a volte contrapponendo che sono difficili da farsi, a volte contrapponendo passi e propositi campati in aria.
Quanto ai CdP, la sinistra invece sostiene che esistono le condizioni per un avanzamento qualitativo (migliorare il lavoro dei Comitati esistenti) e quantitativo (moltiplicare il numero dei Comitati e incrementare il reclutamento dei CdP esistenti). Abbiamo pubblicato il Manifesto Programma del Partito. Siamo entrati nella fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo. La situazione è favorevole alla rinascita del movimento comunista. Esistono le condizioni esterne al Partito (nella lotta di classe, nella contraddizione tra il campo della borghesia imperialista e il campo delle masse popolari, nella crisi della sinistra borghese, nelle condizioni intellettuali, morali e organizzative della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari, nel fermento della base rossa, nello sviluppo di organismi e movimenti di resistenza e di movimenti e organismi di lotta) e interne al Partito (nelle acquisizioni fatte dal Partito in termini di linee e di metodi di lavoro e di risorse) per migliorare il lavoro dei CdP esistenti, per aumentare il reclutamento e per moltiplicare il numero dei CdP.
Invece la destra accampa difficoltà che nel migliore dei casi sono oggettive, vede e ingigantisce gli ostacoli, non vede e non mette in evidenza gli appigli e i punti di forza che pure sono reali, non trova soluzioni alle difficoltà reali, riversa la responsabilità sui livelli inferiori e sulle masse popolari: “i compagni non fanno ...”, “cosa ci posso fare io se i compagni ...”, “le masse popolari non capiscono che ...”, ecc. Nega i successi e i passi compiuti nel passato in nome dei limiti presenti (mentre è grazie a quanto siamo venuti costruendo fino a qui che possiamo e dobbiamo essere determinati a superare ciò che è diventato un limite, che abbiamo in mano gli strumenti per superare ciò che è diventato un limite: caratteristico della destra è sostenere che l’analisi è giusta, la linea è giusta, il partito ha fatto passi avanti però i dirigenti, esclusi gli esponenti della destra, hanno sbagliato e sbagliano). Oppure attribuisce a sé i successi e agli altri dirigenti gli insuccessi, anziché vedere ed educare a vedere e rafforzare la combinazione del lavoro collettivo e della responsabilità individuale. Misura i risultati della propria azione di direzione in termini prevalentemente quantitativi oppure pragmatici (funziona o non funziona), anziché vedere ed educare a vedere i processi in corso e imparare a mettere dei semi dalle radici robuste che germoglieranno rigogliosi per diventare delle piante solide distinguendoli dai semi che seppur piantati in quantità non germogliano o germogliano in modo magari vistoso ma poi seccano. Mette al centro se stessa e le proprie buone ragioni, anziché il Partito, la linea, i passi da fare per avanzare. Misura le cose in termine “ho ragione o non ho ragione io” anziché “questa linea, questa operazione, questo passo è giusto e va fatto perché ci farà superare questo limite, raggiungere questo obiettivo, ecc.”: caratteristico a tale proposito il fatto che nei comunicati del CCP sono già spariti il governo di Blocco Popolare, il PGL e il (n)PCI.
La destra ingigantisce le sconfitte e minimizza i successi, piange su quello che non c’è ancora, anziché valorizzare quello che c’è già, spegne l’entusiasmo e lo slancio, si limita a gestire l’esistente e contrappone il suo lavoro di gestione dell’esistente al lavoro di sviluppo, che invece il lavoro di gestione deve servire e di cui il lavoro di gestione deve avvalersi. Da una parte per minare l’autorità dei dirigenti e minare il morale del Partito grida che se le cose non funzionano, è sempre colpa dei dirigenti (degli altri, esclusi loro). Dall’altra rifiuta di applicare a se stessa il criterio e addirittura rifiuta perfino di capire che dirigere non vuol dire solo fare l’elenco delle difficoltà e degli ostacoli o dire agli altri cosa devono fare. Ma vuole dire anche mobilitare a fare, trovare soluzioni che rimuovano gli ostacoli che impediscono a noi di avanzare, trovare soluzioni che ci fanno avanzare. Insomma misurarsi con i risultati.
Quali sono in questa fase i passi in avanti necessari e possibili nel campo dei CdP?
Il freno principale allo sviluppo qualitativo e quantitativo dei CdP negli ultimi tre anni è stato l’empirismo e il dogmatismo che si sono combinati nel lavoro svolto dalla CP per dirigere i CdP esistenti e nella promozione della costituzione di nuovi CdP (nel lavoro con i contatti). Il vecchio commissario politico ai CdP non solo per vari anni è stato la personificazione al più alto livello nelle nostre fila di queste due deviazioni, ma nell’ambito della campagna e della LIA si è intestardito a perpetuare proprio queste deviazioni man mano che esse venivano isolate, smascherate e messe in luce.
Quando non si fa uno sforzo adeguato per tradurre la linea del Partito nel particolare di un CdP e di caso in caso nel suo concreto di tempo e luogo, le possibilità sono due:
- o si segue la corrente e il tran tran, si naviga a vista, non si elabora l’esperienza per costruire una scienza e una tecnica della rivoluzione socialista (opportunismo, empirismo),
- oppure si trasferiscono pari pari i termini generali della linea del Partito allo stesso modo in qualsiasi CdP senza tener conto delle sue particolarità e caso per caso della sua situazione concreta (dogmatismo).
O si è liberali (lasciar correre) o si è dogmatici (fautori della disciplina formale, della stessa forma per tutti senza tener conto delle particolarità e del concreto). Il lavoro del commissario politico ai CdP è stato di volta in volta e di caso in caso caratterizzato principalmente da una di queste due deviazioni. Nel corso della campagna e della terza LIA il commissario politico ai CdP è diventato il campione delle due deviazioni e ha rifiutato ostinatamente la critica e l’autocritica a proposito di esse. Non che egli fosse l’unico responsabile delle deviazioni che con il bilancio abbiamo messo in luce. Ma è stato quello che si è ostinato a non riconoscerle e a riversare su altro e su altri la responsabilità dei limiti dei risultati conseguiti.
In che cosa è consistito l’empirismo nel nostro lavoro di direzione nel settore dei CdP?
1. Nella mancanza di una chiara concezione del ruolo e dei compiti dei CdP nel lavoro della carovana del Partito (sintetizzato dal Piano Generale di Lavoro (PGL) definito nell’Ottobre 2004).
Vi è stato nella direzione di ogni CdP un continuo oscillare tra un lavoro clandestino di mobilitazione delle masse nelle lotte rivendicative (economicismo) e un lavoro di direzione volto all’attuazione del PGL del (n)PCI nella propria zona di competenza e al proprio livello. Vi è stato nella direzione di ogni CdP un continuo oscillare tra un lavoro da CdP di base e un lavoro da CdP intermedio senza chiara definizione della natura del singolo CdP e della sua zona di competenza e del suo livello. Vi è stato nella direzione di ogni CdP un continuo oscillare tra un lavoro inteso principalmente, già nelle intenzioni, a propagandare l’esistenza del (n)PCI e la sue parole d’ordine (cosa che già facevano le organizzazioni modello dei fronti previsti dal PGL, donde sovrapposizione e confusione tra ruoli e attività del lavoro clandestino e del lavoro legale a scapito del lavoro clandestino) e un lavoro inteso a dirigere l’attuazione del PGL al proprio livello e nella propria zona. Tale confusione era nei membri dei CdP, ma era anzitutto nella testa del commissario politico ai CdP e la CP non è riuscita a sradicarla.
Il commissario politico ai CdP ha persistito nei fatti nel cercare di impedire che le organizzazioni pubbliche parlassero del (n)PCI e propagandassero le sue analisi e le sue parole d’ordine: contraddizione emersa apertamente nella SE nel 2003, che allora venne criticata e messa in minoranza, ma che Dario ha periodicamente rivendicato come linea, mostrando che la sottomissione della minoranza alla maggioranza era solo di facciata, formale, provvisoria in attesa delle condizioni per la rivincita.
Tale tendenza andava di pari passo con il limitato e comunque non diretto né pianificato sfruttamento delle conquiste ottenute e dell’agibilità politica conquistata per le organizzazioni pubbliche con la brillante e vittoriosa campagna condotta dal (n)PCI e dalle stesse organizzazioni pubbliche contro il procedimento francese e l’OPG. Questa campagna comune contro il procedimento francese e l’OPG aveva e ha aperto ampie prospettive di lavoro per noi. In particolare ha ampliato l’agibilità politica delle organizzazioni pubbliche e messo in difficoltà la controrivoluzione preventiva. Non avendo sradicato al vertice la tendenza impersonata nel 2003 da Dario, tanto meno siamo riusciti a sradicarla nei CdP e a sfruttare a fondo la nostra vittoria nella campagna contro il procedimento francese e l’OPG.
Questo è stato il maggior ostacolo al lavoro clandestino in generale e al consolidamento e al rafforzamento dei CdP e alla moltiplicazione del loro numero. Il legalitarismo è la piaga che non è stata sradicata, nonostante l’adesione formale alla settima discriminante. Questo a partire dalla testa.
2. Nella mancanza di una chiara e ben definita concezione del rapporto e della combinazione tra lavoro clandestino e lavoro legale, tra clandestinità e semiclandestinità.
Questa deviazione è la traduzione a livello operativo e di metodo di lavoro della deviazione vista al primo punto.
Lo schema di lavoro dei CdP è stato più volte elaborato e distribuito. Ma o era dimenticato nella direzione particolare del singolo CdP o era proposto pari pari nella sua integralità e nella sua formulazione generale a ogni CdP senza tener conto del grado di sviluppo del singolo CdP e delle condizioni particolari e concrete in cui operava.
Il ruolo del CdP e del singolo membro del (n)PCI nelle organizzazioni pubbliche è stato definito chiaramente dalla CP. Ma la direzione data ai singoli CdP e ai rispettivi segretari nella sua attuazione è sempre stata confusionaria.
La CP ha messo a punto molti strumenti per ben dirigere i CdP: protocollo del ruolo del Partito clandestino nelle organizzazioni pubbliche, procedura in quattro fasi per il reclutamento di nuovi membri dei CdP, procedura per la formazione di nuovi CdP, procedimento per il collegamento clandestino col centro del promotore di un nuovo CdP, ecc. Ma il responsabile della direzione particolare non li ha mai usati adeguatamente, principalmente perché non li ha adattati al particolare e al concreto. Il nuovo responsabile può farlo, sfruttando l’unico campo in cui abbiamo fatto passi significativi in avanti: il collegamento clandestino tra il Centro e i singoli segretari dei CdP e il metodo per instaurare tale collegamento con i segretari e i promotori di nuovi CdP.
3. Nella conservazione di un metodo di lavoro approssimativo, abitudinario, superficiale, ereditato dalla storia recente di disfacimento e dissoluzione del movimento comunista sotto la direzione dei revisionisti moderni e dalla prassi delle FSRS.
Quanto detto a proposito del NML e del vecchio metodo di lavoro che il NML doveva correggere, vale interamente per i CdP.
4. Nel mancato inserimento delle iniziative particolari per la crescita del livello del lavoro e del numero dei CdP nei movimenti particolari della lotta di classe che si sta svolgendo nel nostro paese (legame del generale con il particolare, dell’universale con il concreto, creatività, sinergia, uso del “metodo delle leve”, ecc.).
Nella direzione particolare dei CdP non abbiamo mai tradotto in pratica, in operazioni tattiche, la concezione della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e della creazione del Nuovo Potere, la concezione leninista che la rivoluzione socialista la si organizza, che la spontaneità va valorizzata con l’azione consapevole e pianificata, che è grazie a questa che l’azione spontanea delle masse dilaga in misura e forme che la controrivoluzione non riesce a contenere.
La combinazione tra liberalismo (spontaneismo ed economicismo) e dogmatismo (settarismo) impediva l’elaborazione e tanto più la messa in opera di un vasto sistema di tattiche e di operazioni tattiche.
Le resistenze del vecchio commissario politico ai CdP perfino all’operazione del sito Caccia allo sbirro! è stata solo l’ultima manifestazione esemplare di un atteggiamento e di un comportamento.
Insomma nella direzione particolare dei CdP ha dominato un orientamento del tutto contrario dell’orientamento indicato nell’articolo Compagni, all’attacco! che nel 2008 ha lanciato la lotta per una superiore assimilazione del Materialismo Dialettico come metodo per conoscere la realtà e come guida per trasformarla.
Tutto questo si è tradotto in navigare a vista, nel fare un po’ di una cosa e un po’ dell’altra. Invece di tradurre il generale (l’analisi, l’orientamento, la linea del Partito) nel particolare (della composizione di classe e della lotta di classe della zona e della composizione del comitato) di ogni CdP e di dirigere ogni CdP a compiere esso stesso sempre meglio questo lavoro di traduzione e a verificare il generale nella pratica, la direzione scambiava l’eclettismo per dialettica. Contrabbandava la mancanza di un orientamento generale come valorizzazione della particolarità di ogni singolo CdP e come tener conto delle condizioni particolari e concrete. Faceva passare il soggettivismo della stessa direzione (“quello che io credo giusto”, “quello che io sono abituato a fare”) per concezione e linea del Partito.
In cosa è consistito il dogmatismo nel nostro lavoro di direzione nel settore dei CdP?
La correzione all’empirismo e al liberalismo è stato il richiamo alla disciplina, allo slancio, alla dedizione alla causa senza formazione, senza analisi concreta della situazione concreta. Insomma la deviazione che era chiaramente illustrata e denunciata già nel Programma per il rafforzamento dei CdP elaborato dalla CP il 7 ottobre 2006.
Non è un caso che proprio i compagni che negli ultimi tre anni hanno oscillato dall’essere fautori della “disciplina senza linea e senza formazione” all’essere liberali e “comprensivi” verso limiti ed errori, sono diventati i caporioni della destra attuale. Quando hanno smesso di agitare la bandiera della disciplina degli altri ai loro ordini e alle loro direttive (e ammettiamo pure che fossero giuste), hanno alzato la bandiera del “dibattito franco e aperto” senza metterlo al servizio della analisi concreta della situazione concreta, dell’elaborazione della linea dall’esperienza e della verifica della linea nell’esperienza, del processo di critica, autocritica, trasformazione (CAT).
Nei promotori e dirigenti del Partito comunista la dedizione alla causa è solo il punto di partenza per riuscire a capire la situazione e i nostri compiti, mentre la giusta comprensione della situazione e dei nostri compiti è il punto di partenza perché i nostri dirigenti riescano a consolidare e rafforzare la dedizione alla causa in nuovi compagni e a mobilitarli. Senza giusta comprensione della situazione e dei nostri compiti e senza formazione, l’appello alla disciplina, alla dedizione alla causa, allo spirito di sacrificio sulla bocca dei dirigenti del Partito comunista diventano discorsi ipocriti, da preti. Andate a scavare e troverete che la pratica personale di simili individui cozza con gli appelli che fanno agli altri. La manifestazione principale della dedizione alla causa di un dirigente è il suo sforzo per comprendere giustamente la situazione e i nostri compiti e per illustrarli e farli capire agli altri.
Conclusioni.
Ovviamente non tutto è già chiaro neanche alla sinistra. Non è che i compagni della sinistra sono immuni da errori e limiti. Non è che in ogni campo e in ogni aspetto del lavoro due linee si sono già contrapposte chiaramente ed esaurientemente. Per avere pronta una linea giusta in ogni aspetto sia pure importante della nostra attività, per tradurre il generale nel particolare, l’astratto nel concreto, non basterà dire, sia pure onestamente e sinceramente, con decisione e con ferma determinazione: basta con l’empirismo, basta con l’eclettismo, basta col dogmatismo, viva il materialismo dialettico. Ma è quanto occorre, il punto di partenza per cercare una linea giusta, per non tirare a campare, per non nascondersi difficoltà e contraddizioni, per non sperare in dio, per cercare in ogni caso e condizione una linea per avanzare, per trovare soluzioni.
La sinistra è composta dai compagni che si battono per trasformarsi e per trasformare, per correggersi e per correggere, per superare i limiti che in questa fase ostacolano e frenano il nostro lavoro. La sinistra non è composta dai compagni che non hanno mai fatto errori, che non hanno già più limiti anche rispetto ai compiti della fase attuale.
Il compagno della sinistra non è uno che ha già tutto chiaro: è uno che cerca con onestà, slancio, tenacia e disinteresse individuale, senza essere ancorato a interessi personali e ad arretratezze al punto che gli impediscono di vedere, comprendere, sperimentare.
Ai singoli compagni e in particolare al segretario di un CdP la sinistra non chiede di sapere già cosa fare in ogni concreta circostanza e di fronte a ogni particolare compito. La sinistra gli chiede di affrontare onestamente, apertamente e senza riserve la difficoltà, di porre apertamente ai propri organismi dirigenti le richieste del caso, mettendo a disposizione le informazioni richieste, di sperimentare lealmente le soluzioni suggerite.
La destra non è composta dai compagni (in alcuni casi oramai si tratta di ex compagni) che hanno fatto solo errori, che hanno solo frenato. È composta dai compagni (o ex compagni) che si ostinano a far valere posizioni arretrate. È composta dai compagni che, pur occupando posti di direzione, non hanno slancio nel correggere gli errori, che rifiutano di mettere in discussione se stessi, la loro concezione del mondo, la loro mentalità, la loro personalità, questo o quell’aspetto della loro vita, che cercano di conservare i limiti che dobbiamo superare, che tirano a campare, che non cercano di capire la situazione e i nostri compiti abbastanza a fondo per trovare soluzioni alle nostre difficoltà, per avanzare con più efficacia e più rapidamente. È composta dai compagni (o ex compagni) che, pur occupando posti di direzione, non dicono quando occorre dire, che invece di cercare con accanimento dicono che non capiscono, che rimandano a domani le scelte necessarie perché dicono che ora sono confusi, che hanno tempo per tutto ma non per andare a fondo ai compiti della fase. Nei casi più gravi la destra è composta da compagni che non dicono chiaramente e fino in fondo le ragioni delle loro posizioni e delle loro azioni. L’indisciplina e la violazione del centralismo democratico sono solo casi estremi e rari, a cui arrivano i più ostinati quando sono messi con le spalle al muro, quando le loro tergiversazioni sono chiaramente smascherate.
La sinistra non ha la soluzione pronta per ogni cosa e per ogni circostanza. Ma è decisa a cercarla ad ogni costo, giovandosi del livello più alto di elaborazione del Partito e delle esperienze più avanzate del movimento comunista. Quello che ci proponiamo di fare, è navigare sempre meno a vista, cercare costantemente di mettere in chiaro il legame tra il generale e il particolare, definire chiaramente linee e criteri e verificarli mettendoli in pratica.
Nell’articolo Moltiplicare i Comitati di Partito e migliorare il loro lavoro (La Voce n. 31) abbiamo definito chiaramente il ruolo e i compiti dei CdP.
Il Partito ha oramai un concezione chiara della relazione tra il partito clandestino, il suo lavoro clandestino e il suo lavoro legale e pubblico. L’articolo Sulla direzione di dettaglio (La Voce n. 31) indica come dirigere i CdP in questo campo.
Negli scritti della campagna abbiamo indicato la trasformazione che in questa fase dobbiamo compiere nel nostro metodo di lavoro.
Negli articoli Guerra popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e Governo di Blocco Popolare (La Voce n. 31) e Sulla strategia e sulla tattica: tre principi, due limiti e tre soluzioni frutto del bilancio dell’esperienza (La Voce n. 28) abbiamo indicato quanto oggi ci occorre per sviluppare in largo e in lungo l’iniziativa tattica offensiva nell’ambito della strategia difensiva che caratterizza l’attuale fase della GPRdiLD per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
La campagna e la terza LIA hanno messo in chiaro, se non già eliminato, l’ostacolo ideologico che per quattro anni ha frenato il nostro lavoro: la tolleranza che abbiamo avuto nelle nostre file, in particolare proprio ai massimi livelli di direzione, verso la destra e le sue arretratezze. Ora ce ne siamo liberati e in più abbiamo imparato come liberarcene nel futuro. Abbiamo il campo libero per sviluppare il nostro lavoro. Abbiamo tutti gli strumenti ideologici, politici e organizzativi per svilupparlo. Quindi il lavoro della CP per il consolidamento, il rafforzamento e la moltiplicazione dei CdP partirà a un livello superiore.
Che al livello superiore del lavoro della CP corrisponda una entusiastica vasta risposta da parte dei Comitati di Partito esistenti e da parte dei contatti e dei simpatizzanti del Partito, di tutti gli operai avanzati, degli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari, in particolare dei giovani, delle donne e degli immigrati! Ad essi ci appelliamo perché costituiscano nuovi Comitati di Partito.
Possiamo uscire dal marasma in cui si è infognata la Repubblica Pontificia! Dipende solo da noi! Dipende da ognuno di noi!
Possiamo contribuire alla rinascita del movimento comunista e alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo! Dipende solo da noi! Dipende da ognuno di noi!
La fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo, oltre a produrre sofferenze atroci per le masse popolari e a spingere la borghesia e il clero a compiere azioni di una ferocia estrema da abbrutiti, crea anche condizioni favorevoli alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari: sta a noi comunisti approfittarne!
I comunisti che nel Nepal, in India, nelle Filippine, in Perù, in Turchia, in Colombia e in altri paesi sono già impegnati in armi contro il sistema imperialista mondiale e i suoi rappresentanti locali, i rivoluzionari che in Palestina, in Afghanistan, in Iraq, in Somalia e altrove tengono in scacco gli imperialisti americani ed europei, compresi i mercenari del governo italiano, ci siano di esempio quanto allo slancio e al coraggio con cui affrontare la lotta per instaurare il socialismo!
Al lavoro, per creare un Comitato di Partito clandestino in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa!
Mettiamo a frutto i risultati e gli insegnamenti della campagna condotta dalla carovana del (n)PCI per assimilare a un livello superiore il Materialismo Dialettico come concezione del mondo, come metodo per comprendere la realtà, come guida per trasformarla!
Mettiamo a frutto i risultati e gli insegnamenti della terza LIA condotta dalla carovana del (n)PCI per epurare le proprie file dalla destra irriducibile e per rendersi capaci di proseguire la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che farà dell’Italia un nuovo paese socialista!
Viva il marxismo-leninismo-maoismo!