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(nuovo)Partito
comunista italiano Commissione Provvisoria del Comitato Centrale Sito: http://lavoce-npci.samizdat.net e.mail: lavocenpci40@yahoo.com Delegazione BP3 4, rue Lénine 93451 L'Île St Denis (Francia) e.mail: delegazionecpnpci@yahoo.it |
Udienza
Preliminare dell’Ottavo
Procedimento Giudiziario
a carico della “carovana” del
(n)PCI, Bologna
Lotta
per instaurare il socialismo e lotte rivendicative L’unico futuro possibile per l’umanità è il socialismo! La lotta per instaurare il socialismo deve guidare ogni altra lotta! Contro l’economicismo, per la lotta politica rivoluzionaria per il comunismo! |
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Con le elezioni
di aprile la sinistra borghese ha fatto un altro tonfo.
Prima si era scissa in due parti. La parte maggiore aveva tirato la
conclusione
giusta che in questa fase la sinistra borghese non serve più a
nessuno,
né alla
borghesia né alle masse popolari, era passata armi e bagagli
alla
destra e
aveva costituito il PD. La parte minore aveva cercato di sopravvivere
creando
la Sinistra l’Arcobaleno che è appunto naufragata nelle
elezioni. Gli
sforzi in
corso per rimetterla in vita, con congressi, patti, ristrutturazioni,
accordi e
costituenti, pensate di vecchi guru alla Rossana Rossanda o alla Mario
Tronti,
approderanno a ben poco. Perché effettivamente in questa fase la
borghesia non
ha bisogno della sinistra borghese e le masse popolari non ne possono
più cavare
alcun guadagno. Il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti lo ha mostrato su
grande
scala. La sinistra borghese era quella parte del mondo politico
borghese che,
per conservare la Repubblica Pontificia, per decenni ha mediato tra la
borghesia imperialista e le masse popolari, moderando le voglie e gli
appetiti
della prima e concedendo qualcosa alle seconde. Da alcuni anni non
è
più il
momento delle mediazioni e delle concessioni! La sinistra borghese
oramai sopravviveva
al ruolo sociale che aveva effettivamente svolto nel passato. La forza
che le
restava era il residuo della forza conquistata dal movimento comunista
nella
lotta contro il fascismo, nella Resistenza e nella lotta condotta nel
dopoguerra
contro l’instaurazione della Repubblica Pontificia. I revisionisti
moderni
(Togliatti, Berlinguer & C) con un lavoro astuto, lungo e
paziente erano
riusciti a stravolgere la forza del movimento comunista e a ritorcerla
a favore
della Repubblica Pontificia. Da anni la sinistra borghese non viveva
quindi di
forza propria: viveva di rendita. Per questo oggi non ha le forze per
riprendersi dal tonfo fatto con le elezioni di aprile.
La borghesia
imperialista, la Corte Pontificia con il suo clero, le
Organizzazioni Criminali all’interno e i padrini esterni dell’attuale
regime,
gli imperialisti USA e i gruppi sionisti d’Israele, marciano verso
destra,
verso la mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la guerra
infinita e
la reazione più nera. Con oscillazioni e titubanze perché
è ancora viva
la
memoria di come per loro è finita male con il fascismo e il
nazismo, ma
quella
è la direzione in cui i loro interessi e la loro natura li
spingono.
Le masse
popolari non hanno altra via d’uscita dall’attuale marasma
economico, politico, sociale, morale, intellettuale e ambientale che
instaurare
il socialismo e riprendere a un livello superiore la strada indicata
dai primi
paesi socialisti.
Queste sono le
due direzioni alternative, entrambe possibili e
realistiche, per il nostro paese. In entrambi i casi nulla da fare per
la sinistra
borghese. Ma quale delle due direzioni prevarrà?
Nessuna delle
due direzioni traccia un percorso che inevitabilmente gli
avvenimenti seguiranno. Nessuno può garantire che le cose
andranno in
un modo
piuttosto che nell’altro, perché il percorso che effettivamente
gli
avvenimenti
seguiranno sarà determinato in primo luogo dall’azione che noi
comunisti
svilupperemo, dalle forze che riusciremo a mobilitare e a organizzare
in primo
luogo tra gli operai e in secondo luogo tra le altre classi delle masse
popolari,
da quanto svilupperemo con creatività e concretezza la guerra
popolare
rivoluzionaria che è la sola via per instaurare il socialismo,
dallo
sviluppo
della resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi e dalla
rinascita del
movimento comunista nel mondo, dall’atteggiamento del governo e delle
varie
componenti della borghesia, del Vaticano, degli imperialisti USA e dei
vari
altri attori del campo della borghesia imperialista.
Il maggior
ostacolo a che le masse popolari imbocchino con decisione la
strada dell’instaurazione del socialismo sta nelle arretratezze di noi
comunisti, nei nostri limiti intellettuali e morali: della nostra
comprensione
delle caratteristiche, delle forme e dei risultati della lotta di
classe in
corso a livello nazionale e internazionale e della nostra
determinazione e
audacia nello spingerla in avanti.
Uno dei grandi
limiti dei comunisti è il peso che ha l’economicismo nelle
nostre file. Molti di noi ancora oggi non fanno una netta distinzione
tra lotte
rivendicative e lotta per instaurare il socialismo. Quindi tanto meno
le
combinano in maniera giusta. Alcuni che pur onestamente si credono
comunisti
vanno addirittura proclamando che gli operai e il resto delle masse
popolari
arriveranno a instaurare il socialismo sviluppando lotte rivendicative
sempre
più larghe, sempre più coordinate, sempre più
combattive. Che compito
principale dei comunisti sarebbe promuovere lo sviluppo di lotte
rivendicative.
Che i comunisti raccoglierebbero e formerebbero forze rivoluzionarie
principalmente
se non unicamente tramite le lotte rivendicative. Che la via alla
rivoluzione
socialista consisterebbe nel “politicizzare le lotte rivendicative”.
Che le
lotte rivendicative giunte a un dato grado di sviluppo quantitativo, di
generalizzazione e di forza, si trasformerebbero inevitabilmente in
lotta
politica per instaurare il socialismo.
Questa
è la concezione che chiamiamo economicismo.
Questa
concezione è già stata più volte messa alla prova
dei fatti nei
paesi imperialisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria
e nel
nostro paese anche negli anni ’70. Si è sempre rivelata
fallimentare.
La via
alla rivoluzione consiste nel conquistare gli operai avanzati e gli
esponenti
avanzati delle altre classi delle masse popolari alla lotta per
instaurare il
socialismo. L’esperienza storica e l’analisi della società
borghese
hanno più
volte dimostrato che i comunisti possono compiere questa impresa, ci
forniscono
sufficienti insegnamenti per farlo ancora e ci mostrano anche il ruolo
importante ma ausiliario che le lotte rivendicative hanno in questa
impresa.
Per marciare con sicurezza verso la vittoria dobbiamo farci forti
dell’esperienza del movimento comunista e liberarci dalla concezione
economicista della lotta di classe. Volere per sé una parte
maggiore di
quello
che la società borghese offre oggi a chi ha i soldi per pagarlo,
non
porta allo
stesso tipo di attività e di organizzazione a cui porta volere
una
società
comunista. La concezione economicista della lotta di classe è
opposta a
quella
del movimento comunista cosciente e organizzato sintetizzata oggi nel
marxismo-leninismo-maoismo. L’economicismo inquina il movimento
comunista
cosciente e organizzato fin dalle sue origini e non a caso si è
riprodotto
sotto vesti un po’ cambiate nonostante i suoi fallimenti pratici e
nonostante
le ripetute confutazioni teoriche che ne hanno fatto numerosi dirigenti
comunisti,
tra i quali ricordiamo Lenin (Che fare?
1902) e Gramsci (nella sua polemica contro Trotski e i suoi seguaci).
Quali
sono le basi storiche
dell’economicismo?
A seguito
dell’affermarsi del modo di produzione capitalista, nella
società si sono formate due grandi classi contrapposte: la
borghesia e
la
classe operaia.
Al principio la
lotta tra queste due classi assunse la forma di lotta economica.
Un gruppo di operai si organizzava e scendeva in lotta contro un solo
capitalista, ora in una ora in un’altra fabbrica, per alleviare le
proprie
condizioni. Questa lotta riguardava solo la distribuzione del prodotto
e le
condizioni di lavoro. Non coinvolgeva ancora le basi del sistema di
sfruttamento (il sistema di produzione) e la sovrastruttura politica e
culturale che lo difende. L’obiettivo delle lotte degli operai non era
di
eliminare lo sfruttamento, ma di attenuarlo, di aumentare il salario e
migliorare
le condizioni di lavoro.
Benché limitata nei suoi obiettivi, dal punto di vista di tutte le classi dominanti questa lotta collettiva, aperta e organizzata sconvolgeva tuttavia “l’ordine naturale delle cose”: la soggezione degli sfruttati ai loro sfruttatori. Contro di essa scesero quindi in campo non solo i padroni direttamente interessati, ma tutte le potenze dell’ordinamento sociale, in primo luogo lo Stato con la sua forza e il clero con le sue prediche, i suoi anatemi, i suoi ricatti e le sue subdole manovre. Da parte loro i capitalisti, oltre a far ricorso a ricatti e licenziamenti, svilupparono su scala crescente metodi e tecniche di divisione tra gli operai. Contrapposero individui e piccoli gruppi alla massa dei lavoratori, alle loro organizzazioni di lotta e alla loro solidarietà di classe. La lotta puramente economica unisce gli sfruttati per lottare con successo contro i padroni. Ma essa può anche dividere gli sfruttati, portare alcuni ad accaparrarsi il favore dei padroni o a migliorare le proprie condizioni a danno di altri. La borghesia cerca sistematicamente di trasformare ogni contraddizione tra sé e gli sfruttati in contraddizioni tra gruppi di sfruttati.
Sono quindi evidenti i limiti e gli ostacoli che incontrava questa prima forma di lotta degli operai. Storicamente essa svolse tuttavia un ruolo importante, perché educò gli operai a lottare contro i capitalisti e li spinse ad organizzarsi. E proprio i suoi limiti contenevano le premesse per il superamento della sua forma primitiva.
L’intervento dello Stato e del clero a difesa dei capitalisti nella lotta economica, aiutò (e ancora aiuta) gli operai a comprendere che la loro lotta doveva assumere carattere politico e stravolgere l’intero ordinamento della società. La borghesia aveva aperto in un certo senso la strada agli operai: tramite propri organismi rappresentativi aveva imposto limiti alla libera attività dello Stato e leggi favorevoli alle proprie attività. Anche gli operai dovevano imporre allo Stato nemico leggi e regole a proprio favore (lotta politica per le riforme) e resistere alla sua repressione. Per difendere il loro potere, le classi sfruttatrici presentavano il loro Stato come un’istituzione al di sopra delle classi, espressione dell’intera società e depositario responsabile degli interessi generali della società. In effetti lo Stato democratico è al di sopra di ogni singolo capitalista ed è espressione dell’intera borghesia. Quindi gli sfruttati cercavano di obbligare lo Stato della borghesia a limitare lo sfruttamento e la repressione tramite leggi e regole. Per lottare liberamente, gli operai dovevano scuotersi di dosso l’influenza intellettuale e morale del clero.
È quello che è avvenuto in ogni paese man mano che esso diventava borghese. Con la mentalità (la filosofia) che lo sviluppo dell’economia mercantile e capitalista crea nella popolazione dei paesi borghesi o in via di divenirlo, gli operai potevano e dovevano condurre lotte rivendicative. A questo fine essi dovevano associarsi, costituirsi in sindacati, rivendicare collettivamente questo o quello dai proprietari e dalle Autorità.
In questo contesto Marx ed Engels elaborarono la concezione comunista del mondo. Le ricerche scientifiche, storiche e sociali dell’epoca avevano già messo in luce l’esistenza delle classi e le loro lotte. Gli storici borghesi avevano descritto lo sviluppo storico della lotta tra le classi nella società moderna. Gli economisti borghesi avevano descritto l’anatomia economica della borghesia e del proletariato. Marx ed Engels andarono oltre. Essi mostrarono che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione, che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato e che questa dittatura non costituisce altro che il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi.
Con il
contributo di Marx ed Engels la classe operaia ebbe a sua
disposizione la concezione comunista del mondo, grazie alla quale
riconoscere
il suo ruolo di classe dirigente del processo di superamento della
società
capitalista e di transizione verso il comunismo. La sua lotta
particolare
contro i padroni diventava la parte decisiva della lotta generale
dell’umanità
per andare oltre il capitalismo. La classe operaia era la classe
promotrice e
dirigente di questa lotta.
Da allora in poi
l’economicismo divenne una controtendenza del movimento
comunista, una concezione che si opponeva al marxismo, una concezione
che
sopravvalutava il ruolo delle lotte rivendicative a scapito della lotta
politica rivoluzionaria per instaurare il socialismo, una concezione
che
contrapponeva le lotte rivendicative spontanee, ossia che nascevano
anche sulla
base della concezione borghese del mondo, alla lotta per instaurare il
socialismo che si sviluppava solo sulla base dell’assimilazione della
concezione comunista del mondo.
Perché
l’economicismo ha
continuato ad esistere e a riprodursi?
L’economicismo è
contemporaneamente 1. la concezione spontanea del
proletario che già non si rassegna più ai maltrattamenti
cui è
sottoposto, ma
che è ancora ideologicamente succube della borghesia (ha ancora
la
mentalità
propria della società borghese) e 2. la politica borghese
(promossa
dalla
borghesia) per questi proletari. Da qui la sua persistenza e il suo
riprodursi
in mille forme diverse.
L’economicismo è
la concezione “spontanea” del proletario. Il proletario
educato dalla società borghese, con la mentalità (la
filosofia
spontanea) che
assorbe dalla società borghese, con la mentalità creata e
resa naturale
dalla
pratica mercantile, del vendere e comperare, arriva alla lotta
rivendicativa.
Il proletario è un venditore di forza lavoro, il padrone la
vuole
pagare il
meno possibile, il proletario cerca di venderla al prezzo più
alto
possibile. E
scopre la forza dell’associazione come mezzo atto a questo fine. Questo
è
l’organizzazione aziendale o professionale, il sindacato e da qui ha
avuto
origine e continuamente si rigenera la lotta sindacale, rivendicativa,
come che
la si chiami, dentro e fuori la fabbrica.
L’economicismo è
l’ambito intellettuale e morale in cui la borghesia
cerca di confinare il proletario quando le condizioni generali della
civiltà
sono tali che è impossibile impedire la lotta delle classi
proletarie
contro i
padroni e vietare la loro associazione professionale a questo scopo. In
Italia è
stata la filosofia su cui sono nate e vissute la CISL, la UIL, le ACLI,
i
sindacati gialli e corporativi: “l’operaio ha diritto a stare meglio e
finché
si limita a questo la sua lotta è legittima”. Ci sono paesi come
la
Germania
dove per legge e per contratto è proibito alle organizzazioni
aziendali
e
professionali di proletari di occuparsi d’altro. Nei paesi anglosassoni
(USA,
Gran Bretagna, Australia, ecc.) da decenni oramai, nell’ambito di
regimi di controrivoluzione
preventiva, i proletari hanno condotto lotte rivendicative anche
accanite,
organizzate da sindacati borghesi o comunque diretti da economicisti (a
volte
anche molto combattivi) e le organizzazioni aziendali e professionali
di
proletari non vanno oltre le rivendicazioni salariali e normative.
Le lotte
rivendicative sono indispensabili alle classi proletarie. Ai
padroni che spingono il salario più in basso possibile, che in
ogni
campo
cercano di spremere il più possibile i lavoratori, alle
Autorità che
estorcono
tasse, impongono restrizioni ed eliminano conquiste, i proletari
oppongono
lotte rivendicative, usano la forza dell’organizzazione e del numero,
fanno
leva sul bisogno che il padrone ha di essi come classe (può fare
a meno
di uno
o dell’altro operaio, ma non di tutti), del consenso e dei voti di cui
le
Autorità si avvalgono, per esigere salari, condizioni di lavoro
e
condizioni generali
migliori. Fin qui noi comunisti e gli economicisti siamo tutti
d’accordo. Fin
qui i disaccordi sono con chi invece sostiene la concertazione, la
compatibilità, la collaborazione dei lavoratori con i padroni,
le
politiche dei
sacrifici, la rassegnazione al meno peggio.
La divergenza
tra noi comunisti e gli economicisti incomincia da questo
punto. Gli economicisti sostengono che gli operai tramite le lotte
rivendicative prima o poi arrivano alla lotta politica.
In che cosa
consista la lotta politica, ecco il primo tema su cui molti
economicisti sono reticenti o ambigui. Lotta contro il governo e le
Autorità
per indurli a fare leggi e norme favorevoli o almeno meno inique, a
stanziare
sussidi, a costruire case popolari, ecc., oppure lotta per prendere il
potere e
instaurare il socialismo? Gli economicisti di casa nostra, quelli che
magari
onestamente si credono comunisti (quelli, per fare esempi concreti, che
dirigono Proletari Comunisti (RossOperaio), Rete dei Comunisti, ecc.
che
costituiscono varie gradazioni di economicisti) non vi diranno che per
loro la
lotta politica si limita alla prima cosa. Ma
di fatto agli operai parlano solo della
prima cosa, lasciano nell’ombra le questioni della strategia e della
tattica
per la conquista del potere, mischiano sindacato e partito,
organizzazioni per
la lotta rivendicativa e organizzazioni per la lotta politica, le
organizzazioni
che costruiscono sono adatte solo per il primo tipo di lotta politica.
I capi di Rete
dei Comunisti vi dicono anche esplicitamente che compito
dell’organizzazione politica è fare da sponda politica
(cioè nelle
istituzioni
borghesi) alle lotte rivendicative dei lavoratori, spingere le
autorità
borghesi a fare leggi e norme favorevoli ai lavoratori, sostenere le
lotte
rivendicative e le relative organizzazioni con il prestigio e
l’autorità delle
cariche istituzionali.
Gli economicisti
più vicini a noi comunisti, come esempio citiamo
Proletari Comunisti (RossOperaio), non negano che il compito dei
comunisti è
promuovere nei lavoratori una adeguata coscienza che occorre instaurare
il
socialismo e imparare a costruirlo, ma sostengono che le lotte
rivendicative
sono la via unica o principale attraverso cui gli operai arrivano a
capire che
devono lottare per impadronirsi del potere e instaurare il socialismo.
“Vogliamo
portare gli operai a lottare per instaurare il socialismo? Promuoviamo
lotte
rivendicative, organizziamoli perché conducano lotte
rivendicative
sempre più
spinte, sempre più generali, sempre più combattive
(“militanti”), con
obiettivi
sempre più ambiziosi e vedrete che prima o poi gli operai ci
arriveranno a
capire che bisogna farla finita con i padroni e prendere in mano il
potere”.
Perché lo Stato interviene in mille modi nelle lotte
rivendicative a
sostegno
del padrone: cosa certamente vera. Perché in molte lotte
rivendicative
lo Stato
stesso è direttamente il padrone, è la principale parte
nemica in
causa.
Infatti le condizioni normative e in alcuni casi anche economiche dei
proletari
dipendono dalla politica dello Stato. Cosa certamente vera e tanto
più
vera e
importante nei paesi imperialisti dove l’economia è altamente
collettiva, dove borghesia
e Stato sono fusi nel capitalismo monopolistico di Stato. Basta
considerare la
speculazione che in questo periodo sta portando alle stelle il prezzo
dei
carburanti, degli alimentari, di altri beni di consumo e di molti
servizi,
rovinando i lavoratori dipendenti, i pensionati e molti lavoratori
autonomi. “Quindi,
è la conclusione che traggono gli economicisti, chi vuole
instaurare il
socialismo deve promuovere e fomentare lotte rivendicative. Gli operai
ne
capiscono la necessità, mentre non capirebbero niente se
parlassimo
loro di
comunismo e di socialismo. Facendo lotte rivendicative andranno a
sbattere il
naso contro lo Stato e saranno costretti a rendersi conto che la lotta
politica
è indispensabile. Non bisogna parlare agli operai di comunismo e
di
socialismo.
Si spaventerebbero, si allontanerebbero da noi, non ci starebbero
neanche ad
ascoltare. Parliamo invece di salari, di condizioni di lavoro. Queste
sono cose
“concrete”: queste sono cose che gli operai capiscono perché le
sperimentano
direttamente (cioè, diciamo noi comunisti, ci arrivano anche
spontaneamente,
anche senza di noi comunisti). Se noi organizziamo delle rivendicazioni
vittoriose, gli operai saranno con noi e potremo poco per volta
portarli a
lottare anche per instaurare il socialismo”. Su questo nocciolo nascono
le
mille varianti di economicismo che inquinano il movimento comunista. In
certi
periodi e paesi arrivano fino a soffocarlo, perché i comunisti
non
combattono l’economicismo
abbastanza energicamente ed efficacemente.
Nel nostro paese
i sindacati di regime, in particolare la CGIL e i
sindacati di base (alternativi) sono pieni di comunisti sostenitori
(fautori)
di una specie di “lunga marcia verso il comunismo tramite le lotte
rivendicative”. Le FSRS sono imbevute di economicismo. Proletari
Comunisti
(RossOperaio) proclama che “solo la lotta sindacale è concreta”.
Che
per essere
un dirigente comunista bisogna essere “un riconosciuto dirigente
sindacale”.
Anche le nostre file non ne sono esenti. Quando un compagno arriva in
un nuovo
posto di lavoro, è “naturale”, è “inevitabile” che cerchi
di
organizzare
qualche rivendicazione. Se non sono in corso lotte rivendicative, in
fondo
(benché ripeta mille frasi del Partito che dicono il contrario)
gli
pare che lì
“non c’è lotta di classe”, che “tutti sono arretrati”. Quando un
organismo deve
stabilire cosa fare, spesso il pensiero corre solo
alle lotte
rivendicative che si possono promuovere. E ce n’è sempre in
abbondanza
di lotte
rivendicative utili e necessarie, sia per gli operai sia per le altre
classi
delle masse popolari, tante sono le malefatte dei padroni e delle
Autorità. In
questo periodo più ancora che negli anni scorsi. Tanto che ogni
organismo
comunista dovrebbe chiedersi quale lavoro di massa fa oltre che
promuovere
lotte rivendicative.
Le
lotte rivendicative e la
lotta dei comunisti
In effetti da
soli gli operai già fanno lotte rivendicative e fa loro
comodo che i comunisti li aiutino. Ma è questo l’aspetto
centrale del
compito
dei comunisti? È vero che le lotte rivendicative si estendono e
si
rafforzano e
prima o poi diventano inevitabilmente lotta politica per trasformare
l’ordinamento sociale?
L’esperienza
mostra cose ben diverse da quelle che dicono gli
economicisti. Anzitutto ci sono i lavoratori dei paesi anglosassoni, i
paesi
capitalisti più avanzati del mondo e anche lavoratori di altri
paesi
ivi
compreso il nostro, che hanno condotto e conducono lotte rivendicative
accanite, ma non sono arrivati e sono ancora lungi dall’arrivare ad
avere
coscienza che per risolvere i loro guai e smettere di dibattersi nella
stessa
rete (con alterne fortune, un passo avanti oggi e un passo indietro
domani se
non due, in balia all’iniziativa dei padroni, degli speculatori, dei
banchieri,
del clero e dei loro governi), devono instaurare il socialismo e ancora
più
lungi dall’aver costruito un’organizzazione adeguata allo scopo.
Dunque dove i
comunisti non conducono un’azione specifica per promuovere
quella coscienza e creare quell’organizzazione, le lotte rivendicative
non
portano gli operai né alla coscienza né
all’organizzazione di cui
parliamo.
Viceversa ci
sono numerosi esempi di paesi e di periodi storici in cui i
comunisti hanno svolto il lavoro di propaganda e di organizzazione che
diciamo
noi, combinandolo con le lotte rivendicative contro i padroni, con le
lotte
politiche contro i governi e le Autorità per avere riforme e con
ogni
altri
tipo di lotta per obiettivi circoscritti e immediati e usando ognuna di
esse
come scuola di comunismo. Qui i comunisti sono più volte
riusciti a
creare un
vasto movimento di operai e di membri di altre classi delle masse
popolari con
la coscienza e l’organizzazione adatte a lottare per instaurare il
socialismo.
Basti pensare da noi al Biennio Rosso (1919-1920) e alla Resistenza
(1943-1945)
con gli anni immediatamente successivi prima che i revisionisti moderni
prendessero il sopravvento nel partito comunista e un po’ alla volta,
con molto
sforzo, tatto e accortezza, lo trasformassero in un partito della
sinistra
borghese (che si occupa di lotte rivendicative, ma non di socialismo e
anzi denigra
il movimento comunista). Basti pensare alla Rivoluzione d’Ottobre e
all’Unione
Sovietica, alla rivoluzione cinese e alla Repubblica Popolare, alle
tante altre
rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia che i comunisti hanno
diretto nel
secolo scorso e a quelle che ancora dirigono oggi.
Consideriamo ora
più attentamente le cose. Per quanto siano avanzati e
grandi le richieste che facciamo ai padroni e le rivendicazioni che
avanziamo,
per quanto siano combattive le lotte rivendicative che conduciamo,
queste
restano sempre una cosa qualitativamente diversa dal volersi
impadronire del
potere, eliminare i padroni, instaurare il socialismo e costruire una
società
senza padroni e senza più divisione in classi. Sono due ordini
di cose
diverse.
C’è un salto tra le due. I movimenti rivendicativi quindi
differiscono
dalla
lotta per il socialismo anzitutto per l’obiettivo.
La storia di
tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole
forze, con la mentalità che la società borghese forma
negli operai, è
in grado
di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa, cioè la
convinzione
della
necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i
padroni, di
reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai,
ecc. La
dottrina del socialismo e del comunismo è sorta da teorie
filosofiche,
storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti
delle classi
possidenti, gli intellettuali e rielaborate da Marx ed Engels. È
una
concezione
del mondo che gli operai assimilano solo grazie ad un’azione specifica
condotta
dai comunisti.
La storia di
tutti i paesi moderni mostra però anche che gli operai sono
più ricettivi delle altre classi alla teoria comunista (al
marxismo). È
facile
capire il perché. Gli operai costituiscono, con la borghesia,
una delle
due
classi della grande produzione e la società moderna si fonda
sulla
grande
produzione, sulle forze produttive collettive, sulla divisione sempre
più
spinta del lavoro tra unità produttive e reparti e sulla loro
combinazione. Il
comunismo nel senso moderno, attuale del termine, riprende e continua
lo
sviluppo intellettuale, morale e pratico portato dalla borghesia nella
storia
umana e supera le contraddizioni che la borghesia, l’ultima delle
classi
sfruttatrici, non può superare, le contraddizioni (in campo
economico,
politico,
sociale, intellettuale, morale, ambientale) in cui si dibatte oggi
l’umanità e
che mettono in gioco la sua stessa sopravvivenza. Gli operai per la
loro
posizione sono in grado di capire tutto questo più di qualsiasi
altra
classe,
nonostante la condizione intellettuale e morale in cui la borghesia li
tiene,
perché il percorso che i comunisti propongono è anche la
loro
particolare
emancipazione dalla borghesia che essi vanamente cercano con le lotte
rivendicative alle quali arrivano anche spontaneamente, ovviamente con
la
spontaneità propria di un lavoratore della società
borghese.
La
lotta politica
rivoluzionaria per il socialismo e il comunismo
La sostituzione
del comunismo al capitalismo è una legge oggettiva della
società capitalista. L’umanità non può perseverare
indefinitamente nel
capitalismo: il marasma in cui la borghesia imperialista ha condotto
l’umanità
lo conferma. Questa legge è stata scoperta da Marx ed Engels
studiando
la
natura del capitalismo e fa parte della concezione comunista del mondo.
La
necessità di tale sostituzione non è dettata dalle
concezioni e dai
sentimenti
degli uomini: è dettata dalle relazioni pratiche che essi
vivono.
Queste hanno
fatto sorgere le concezioni e i sentimenti necessari per realizzare la
sostituzione. La classe operaia attua questa legge, trasforma la
realtà
in
conformità a questa legge con il suo partito comunista, le sue
organizzazioni
di massa, le sue lotte, la sua direzione sul resto del proletariato e
delle
masse popolari. Solo il partito comunista però è in grado
di dare alla
classe
operaia un orientamento rivoluzionario e rende la rivoluzione
socialista
un’impresa possibile. L’esperienza pratica spinge la classe operaia ad
assumere
il ruolo di dirigente di tutte le altre classi delle masse popolari
nella loro
lotta contro la borghesia imperialista. Ma l’esperienza pratica diventa
coscienza e linea d’azione sistematica e su larga scala solo attraverso
passaggi che, per la condizione sociale a cui la borghesia la relega,
la classe
operaia non può compiere spontaneamente e in massa. Gli operai
che si
mobilitano a questo scopo, gli operai avanzati, devono organizzarsi nel
partito
comunista. Il partito comunista, che così diventa il reparto
d’avanguardia e
organizzato della classe operaia, è l’espressione, al più
alto livello
di
coscienza e di organizzazione, del ruolo dirigente della classe operaia
e porta
il complesso della classe a svolgere questo ruolo verso il resto delle
masse
popolari. Esso fa leva in modo scientifico e organizzato
sull’esperienza
pratica della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari
per
sviluppare la loro coscienza e la loro organizzazione fino a renderle
capaci di
instaurare il socialismo.
Gli
economicisti, come tutti gli spontaneisti, negano o sottovalutano il
ruolo dell’elemento cosciente e organizzato nello sviluppo della lotta
degli
operai, si affidano unilateralmente alla spontaneità
anziché elaborare
l’esperienza dei movimenti spontanei, cioè predicano e
soprattutto
praticano lo
spontaneismo e lasciano alla borghesia il monopolio in campo
ideologico, non
lottano perché le masse assimilino su scala crescente la
concezione
comunista
del mondo e questa diventi la guida della loro attività.
Ovviamente nel
campo della lotta per il socialismo ci sono diversi
livelli di coscienza e diversi gradi di organizzazione. Anche noi
comunisti ne
siamo uno e il Partito comunista si propone di essere il livello
più
alto di
coscienza e il grado più alto di organizzazione. Per questo
mette in
opera una
conseguente politica di reclutamento, di formazione dei propri membri,
di
selezione dei propri dirigenti, di epurazione del propri ranghi,
pratica al suo
interno la critica-autocritica-trasformazione e la lotta tra le due
linee e
funziona secondo il principio del centralismo democratico. Chiede
insomma ai
membri del Partito anzitutto una coscienza, cioè l’adesione alla
concezione
comunista del mondo. In secondo luogo chiede una condotta, uno sforzo,
un
impegno e una dedizione alla causa del tutto eccezionali anche tra gli
operai.
Tutto ciò è attinto dall’esperienza del movimento
comunista che oramai
dura da
160 anni e ha raggiunto grandi successi, senza confronti nel corso
della storia
umana, anche se negli ultimi decenni del secolo scorso ha subito
rovesci e
sconfitte. Di fronte ad essi i comunisti non si sono persi d’animo.
Hanno
cercato i motivi di questi rovesci e hanno corretto gli errori e
superato i
limiti che avevano indebolito il movimento comunista al punto che la
borghesia
e il clero che erano in declino, hanno ripreso il sopravvento. La
rinascita del
movimento comunista in corso nel mondo e anche nel nostro paese,
all’insegna
del marxismo-leninismo-maoismo e seguendo la strategia della guerra
popolare rivoluzionaria
di lunga durata, conferma e verificherà la bontà delle
scoperte fatte e
delle
correzioni apportate. I successi raggiunti dal Partito comunista del
Nepal
(maoista) sono un segnale incoraggiante in questa direzione e un
esempio
importante.
La lotta per il
socialismo e il comunismo non è quindi la lotta
rivendicativa più avanzata, più radicale e più
generale: il socialismo
e il
comunismo non sono affatto rivendicazioni. C’è la differenza che
corre
tra un
ragazzo che reclama ed esige questo o quello dalla mamma e un adulto
che si
emancipa dalla mamma e fa la sua strada. Il comunismo e il socialismo
sono
prima di tutto un sogno, un sogno a occhi aperti, un sogno realista
come i
sogni di Pisariev di cui parla Lenin nel Che
fare? (il trattato classico contro l’economicismo, scritto
più di cento
anni fa: lo citiamo a riprova di quanto sia “nuovo” l’economicismo).
"C’è contrasto e
contrasto – scriveva Pisariev a proposito del
contrasto fra il sogno e la realtà. – Il mio sogno può
precorrere il
corso naturale
degli avvenimenti, ma anche deviare in una direzione verso la quale il
corso
naturale degli avvenimenti non può mai condurre. Nella prima
ipotesi,
non reca
alcun danno; anzi, può incoraggiare e rafforzare l’energia del
lavoratore. ...
In quei sogni non c’è nulla che possa pervertire o paralizzare
la forza
operaia; tutto al contrario. Se l’uomo fosse completamente sprovvisto
della
facoltà di sognare in tal maniera, se non sapesse ogni tanto
andare
oltre il
presente e contemplare con l’immaginazione il quadro compiuto
dell’opera che è
abbozzata dalle sue mani, quale impulso, mi domando, l’indurrebbe a
cominciare
e a condurre a termine grandi e faticosi lavori nell’arte, nella
scienza e
nella vita pratica? ... Il contrasto tra il sogno e la realtà
non è
affatto
dannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva
attentamente la
realtà, se confronta le sue osservazioni con le sue
fantasticherie, se,
in una
parola, lavora coscienziosamente per attuare il suo sogno. Quando vi
è
un
contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio".
Il comunismo e
il socialismo sono quindi un sogno, ma sono anche una
scoperta scientifica fatta da Marx ed Engels, i fondatori del movimento
comunista. Una scoperta la cui realtà è convalidata
dall’esperienza di
circa
160 anni di lotta pratica.
Gli economicisti
negano agli operai questo sogno e questa scoperta.
Vorrebbero che non parlassimo agli operai di essi, proprio mentre ne
hanno un
assoluto bisogno. Sono immersi nel marasma economico, politico,
sociale,
intellettuale, morale e ambientale in cui la borghesia li ha sospinti e
nessuno
altro parla loro di comunismo e di socialismo, salvo che per
demoralizzarli
ancora di più denigrando le grandi imprese compiute dal
movimento
comunista.
Noi comunisti invece poniamo quel sogno e quella scoperta al centro dei
nostri
discorsi e delle nostre aspirazioni. Diciamo agli operai e alle altre
classi
delle masse popolari non quello che già sanno e fanno, ma quello
che
hanno
bisogno di sapere per porre fine alle sofferenze di oggi e che nessun
altro
dice loro. La nostra abilità si misura da quanto riusciamo a
farci
ascoltare.
Altre
importanti differenze
tra comunisti ed economicisti
Ma i comunisti
non si differenziano dagli economicisti solo perché promuovono
fra i lavoratori fin da subito l’assimilazione della concezione
comunista del
mondo e la lotta per instaurare il socialismo, mentre gli economicisti
promuovono solo lotte rivendicative. Proprio da qui seguono altre
importanti
differenze.
Infatti i
movimenti rivendicativi e la lotta per il socialismo non si
differenziano solo per l’obiettivo. Anche la struttura di una
organizzazione
rivendicativa, le relazioni su cui è costruita, gli statuti che
la
reggono sono
per forza di cose diversi dalla struttura dei partiti comunisti che
hanno come
loro scopo centrale la lotta contro la borghesia e il suo Stato per
prendere il
potere e instaurare il socialismo. Proprio perché i due tipi di
organizzazione
hanno obiettivi diversi. Le caratteristiche dei membri e dei dirigenti,
le
attitudini richieste ad essi e la loro formazione sono differenti nei
due tipi
di organizzazione, perché diverse sono le lotte che devono
condurre, le
situazioni che devono affrontare, i compiti che devono svolgere.
L’organizzazione
per la lotta rivendicativa è “spontanea”. Non occorre
avere acquisito la concezione comunista del mondo per partecipare e
promuovere
lotte rivendicative. Quindi tutti i proletari possono partecipare alle
organizzazioni sindacali, a condizione che osservino le norme
statutarie che
devono essere solo quelle necessarie alla lotta rivendicativa. Per sua
natura
il sindacato e ogni organizzazione fatta per lotte rivendicative deve
essere
ampia e aperta alla più larga partecipazione. Dovunque vi sono o
occorrono
lotte rivendicative, bisogna costruire organizzazioni adatte a
promuoverle.
L’organizzazione
per instaurare il socialismo si costruisce invece anche
quando e dove non vi sono lotte rivendicative, perfino dove non possono
esserci
lotte rivendicative. I comunisti costruiscono cellule di partito
perfino in
campo nemico: nelle forze armate, nella polizia, nei carabinieri, tra i
magistrati, tra le guardie carcerarie, tra i funzionari dello Stato
borghese,
dovunque. Il comunista che entra in un ambiente, non cerca anzitutto e
sempre
quale lotta rivendicativa può promuovere. Cerca chi in
quell’ambiente è
più
accessibile agli ideali del comunismo, più capace di capirli e
abbastanza
generoso per aderirvi e arruolarsi nella lotta per farli valere.
In ogni ambiente
il comunista cerca gli elementi più avanzati e li
mobilita a partire da ciò che sono, raccogliendo il contributo
che
possono
dare, favorendo la loro formazione: facendo cioè di ogni lotta e
di
ogni
iniziativa una scuola di comunismo.
Chi sono gli
elementi avanzati? A grandi linee possiamo distinguere quattro
categorie di operai avanzati e di elementi avanzati delle altre classi
delle masse
popolari:
1.
quelli che
impersonano la tendenza a ricostruire il partito comunista: è
una
tendenza che
si esprime in vari modi: nell'aderire disinteressatamente a un partito
anche se
non soddisfatti della sua attività, nello sforzo di inquadrare
ogni
problema
particolare in un quadro generale di trasformazione-riforma della
società,
nella consapevolezza che "bisogna essere uniti", ecc.;
2.
quelli che
esercitano disinteressatamente un ruolo dirigente sui loro compagni
nelle lotte
di difesa, siano o non siano membri di organismi sindacali;
3.
quelli che in
qualche modo si pongono disinteressatamente il compito di unire e
mobilitare i
propri compagni di classe per risolvere i problemi specifici che via
via devono
affrontare;
4.
quelli che
impersonano altre tendenze positive che si sviluppano tra le masse,
come ad esempio
quelli che cercano di capire come va il mondo, quelli che sono curiosi
di
conoscere altre situazioni, quelli che sono curiosi di conoscere
programmi e
metodi degli organismi politici, quelli che vogliono rendersi utili,
ecc.
Sono quattro
categorie che
non si sovrappongono completamente. In ogni situazione il comunista
cerca di
individuare gli elementi avanzati, capire di ognuno in che senso
è
avanzato (a
quale delle quattro categorie appartiene) e sviluppare il rapporto con
lui sulla
base del suo aspetto positivo, di portarlo ad assimilare la concezione
comunista del mondo e ad arruolarsi nel partito comunista o almeno
collaborare
con esso.
L’organizzazione
comunista
infatti richiede ai suoi membri caratteristiche particolari che oggi
non sono
affatto comuni tra le masse popolari.
Quindi comunisti
ed
economicisti si differenziano anche per il tipo di organizzazioni che
costruiscono. I comunisti costruiscono sia organizzazioni per le lotte
rivendicative sia organizzazioni che lottano per instaurare il
socialismo: i
due tipi di organizzazioni sono diversi e i comunisti le combinano nel
modo più
opportuno ai fini della lotta per instaurare il socialismo. Gli
economicisti o
costruiscono solo organizzazioni per le lotte rivendicative oppure
mischiano le
due lotte nella stessa organizzazione: con questo producono
organizzazioni che
sono rachitiche come sindacati e
inadeguate come partiti comunisti.
Ma vi è altro.
Nei paesi imperialisti e in particolare nel corso della
crisi generale, si creano condizioni ben precise che ostacolano lo
sviluppo su
grande scala delle lotte rivendicative al di fuori del contesto della
lotta per
instaurare il socialismo e impediscono di realizzare conquiste
significative e
durature e anzi portano all’eliminazione delle conquiste già
fatte.
Consideriamo due tipi di esse.
1. Nelle società
capitaliste più sviluppate, dove il capitalismo ha
raggiunto lo stadio più alto del suo sviluppo, la società
è oramai
combinata in
modo tale, la sua struttura economica è tanto collettiva che
ogni
rivendicazione di una parte lede gli interessi di un’altra o come
minimo viene
usata dalla borghesia come pretesto per ledere gli interessi di
un’altra o
ricavarne un vantaggio politico (dividere e contrapporre le masse
popolari,
assoggettarle a sé, ecc.). Se gli operai della fabbrica X fanno
un’efficace
opposizione alla chiusura, il padrone chiude la fabbrica Y, magari in
un’altro
paese e indica agli operai della fabbrica Y gli operai della fabbrica X
come
responsabili della loro disgrazia. I pensionati che vogliono una
pensione
dignitosa sono la rovina dell’economia del paese. Se gli incidenti
stradali
diminuiscono, officine di riparazione, fabbriche d’auto, ambulatori e
pompe
funebri chiudono e molti lavoratori vengono licenziati. Se diminuisce
la gente
che fuma, operai e contadini del tabacco e tabaccai sono nei guai.
Tutta la
società è costruita così.
Orbene nel
socialismo c’è un posto e un ruolo dignitoso per chiunque
è disposto
a contribuire onestamente alla vita della società. Quindi la
lotta per
instaurare il socialismo unisce i lavoratori e le masse popolari che le
lotte
rivendicative nell’ambito della società borghese attuale
metterebbero
gli uni
contro gli altri. Quindi permette anche di sviluppare le lotte
rivendicative su
una scala a cui gli economicisti di fatto non arrivano.
2. In periodi di
crisi economica, quando la disoccupazione imperversa,
condurre lotte rivendicative diventa più difficile. Spesso si
lotta, si
sciopera e ci si guadagna poco o niente. L’inflazione mangerà
domani
l’aumento
che strappi oggi. Costringi il padrone a non licenziare e quello
dopodomani
fallisce o delocalizza. La lotta rivendicativa sembra senza senso.
Proprio in
questi periodi la lotta per il socialismo dà un senso anche
alle lotte rivendicative, se queste funzionano come efficaci scuole di
comunismo e avvicinano alla lotta per instaurare il socialismo gli
operai e le
masse popolari che partecipano alle lotte rivendicative, rafforzano la
loro
determinazione a lottare, allargano la loro organizzazione, spingono i
migliori
ad arruolarsi nel partito comunista. A loro volta la coscienza e
l’organizzazione comuniste infondono forza alle lotte rivendicative e
sviluppano la solidarietà tra lavoratori e masse popolari di
aziende,
settori e
paesi diversi, uniti contro i padroni, il clero e i loro governi per
instaurare
il socialismo.
Ma c’è di più.
In questo periodo si va estendendo anche un’altra
importante mobilitazione di una parte delle masse popolari: i
lavoratori
autonomi. Pescatori, trasportatori, piccoli commercianti, bottegai,
allevatori,
agricoltori, ecc. Il procedere della crisi e il susseguirsi delle bolle
speculative, l’aumento del prezzo del petrolio e le altre manovre che i
capitalisti, protetti e favoriti dalle autorità borghesi,
compiono,
costringono
milioni di lavoratori autonomi a dibattersi su due fronti pur di
restare a galla.
Alcuni di loro possono rivalersi sui proletari aumentando i prezzi, ma
vengono
colpiti dalla diminuzione delle vendite. Altri non hanno neanche questa
valvola
di sfogo perché i loro clienti sono i capitalisti. Vi sono
quindi ampie
condizioni perché anche i lavoratori autonomi si mobilitino su
larga
scala
contro il governo e contro i grandi capitalisti, i finanzieri, gli
speculatori
con l’obiettivo di imporre una politica economica che tenga conto delle
loro
difficoltà.
Se è guidata da
una strategia rivoluzionaria, derivata dalla concezione comunista
del mondo, la classe operaia tramite il suo partito comunista
può
dirigere il
resto delle masse popolari (quindi anche i lavoratori autonomi) a
vedere il
nemico comune e a unire contro di esso le proprie forze con quelle dei
proletari. Se i comunisti riescono a far porre agli operai avanzati
l’instaurazione
del socialismo come obiettivo centrale della loro lotta, la classe
operaia può
vedere e far vedere al resto delle masse popolari la soluzione
definitiva dei
loro problemi nell’unità nella lotta per liberarsi dai
capitalisti e
dal loro
marcio sistema e nella lotta per costruire nuovi paesi socialisti.
Tutte cose
che la classe operaia non può fare se è dedita solo a
lotte
rivendicative come
vogliono gli economicisti.
Quanto più la
classe operaia ha come obiettivo principale della sua lotta
la costruzione di una società in cui c’è posto per tutti
quelli che
sono
disposti a lavorare onestamente, tanto più essa può
giovarsi delle
lotte dei
lavoratori autonomi e anzi promuoverle come parte della sua lotta per
instaurare il socialismo. In definitiva essa può trascinare
nella
rivoluzione
socialista tutti quelli che per un motivo o l’altro sono malcontenti
del
capitalismo.
Non
“politicizzare le lotte
economiche”, ma “fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di
comunismo”
In conclusione
noi comunisti ci differenziamo dagli economicisti per
l’obiettivo centrale della lotta che conduciamo già oggi e per
il tipo
di
organizzazioni che creiamo. Inoltre proprio grazie a questo, a
differenza degli
economicisti, possiamo sviluppare lotte rivendicative su grande scala
anche
nelle condizioni attuali e possiamo allargare l’egemonia della classe
operaia
anche ai lavoratori autonomi e mobilitarli nella misura più
ampia
possibile
nella lotta per instaurare il socialismo sotto la direzione della
classe
operaia.
Mentre gli
economicisti agitano a vuoto l’obiettivo di grandi lotte
rivendicative, elaborano piattaforme rivendicative e “obiettivi
unificanti”,
lanciano a ogni piè sospinto la parola d’ordine di
“generalizzare le
lotte
rivendicative”, noi comunisti poniamo l’obiettivo di rovesciare la
Repubblica
Pontificia tramite la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e,
grazie
a questo, organizzeremo anche grandi lotte rivendicative, come
già più
volte e
in molti paesi abbiamo fatto.
Infatti noi
comunisti sosteniamo anche lotte rivendicative e lotte politiche
rivendicative, iniziative di ogni genere fatte per indurre le
Autorità
borghesi
a fare leggi e stabilire norme favorevoli alle masse popolari,
stanziare denaro
pubblico a favore delle masse popolari in sussidi, opere pubbliche,
scuole,
sistema sanitario, ecc. e a ridurre le esazioni fiscali e affini
(ticket,
bolli, ecc.), a contenere i prezzi che erodono i salari e gli stipendi
dei
lavoratori dipendenti e taglieggiano i lavoratori autonomi. Ma
promuoviamo nei
lavoratori la coscienza che loro e le altre classi delle masse popolari
hanno
bisogno di instaurare il socialismo e li spingiamo con ogni mezzo a
organizzarsi nella forma necessaria per realizzare questo obiettivo,
spazzando
via la Repubblica pontificia instaurata nel dopoguerra.
Noi comunisti
vediamo e facciamo vedere alle masse popolari nel
socialismo la nascita di un nuovo mondo, il mondo comunista che loro
stesse
progetteranno con la loro mente e forgeranno con le loro mani,
finalmente
libere di esplicare a pieno, al livello più alto raggiunto
dall’umanità, le
attività politiche, sociali, intellettuali e morali che
distinguono la
specie
umana dalle altre specie animali.
Il socialismo
non lo realizzeremo “politicizzando le lotte rivendicative”
e usando il proletariato come massa di manovra per sovvertire
l’ordinamento
sociale borghese approfittando della sua opposizione di classe alla
borghesia
nell’ambito della società borghese stessa. Arriveremo al
socialismo
facendo
leva sul fatto oggettivo che la società borghese ha costruito
nei
proletari il
tipo di uomo più simile all’uomo del futuro che si potesse
costruire al
di
fuori del futuro stesso.
La concezione
marxista ha mostrato che gli operai sono destinati a diventare
i migliori campioni e i dirigenti delle altre classi sfruttate nella
lotta per
instaurare un nuovo ordinamento sociale: grazie alla loro “spontanea”
opposizione e contesa con la borghesia, grazie all’aggregazione e
concentrazione che la loro particolare condizione sociale crea, grazie
all’organizzazione che la loro condizione economica li spinge a creare.
Nella
loro condizione è in germe la condizione dell’umanità
futura, un germe
che
fiorirà man mano che essi si libereranno dall’oppressione e
dallo
sfruttamento,
dall’emarginazione sociale e dall’alienazione che costituiscono
l’aspetto
negativo, vecchio della loro condizione. Non si tratta per noi
comunisti di “politicizzare
la lotta economica degli operai”, ma di portare agli operai la
coscienza del
nuovo mondo che è in germe nella condizione di cui essi soffrono
nella
società
borghese.
Nella loro
condizione è in germe il lavoro organizzato, collettivo,
l’associazione, la comune reciproca dipendenza e l’eguale
dignità
sociale, il
concorso di tutti a un obiettivo comune, che richiede unità
spirituale
e
pratica per un fine che trascende ogni singolo individuo ma è
opera
della loro
associazione.
Di fronte alle
lotte economiche e al resto delle lotte rivendicative, sia
politiche (rivolte cioè a indurre le Autorità politiche
dello Stato
nemico a
prendere determinate misure) sia rivolte contro singoli proprietari e
altri
notabili del regime, la parola d’ordine dei comunisti è “fare di
ogni
lotta rivendicativa
una scuola di comunismo”. La lotta per instaurare il socialismo
è il
contesto
necessario per sviluppare su larga scala e con più successi
immediati
le lotte
rivendicative, oltre che rispondere alle domande che il capitalismo,
giunto a
un avanzato grado di sviluppo, pone circa il futuro dell’umanità.
La
lotta per fare
dell’Italia un nuovo paese socialista è il contesto necessario
perché
crescano
su grande scala la coscienza politica e l’organizzazione delle masse
popolari
italiane autoctone e immigrate e si sviluppino con forza e con successo
la loro
lotta per la difesa e l’ampliamento delle conquiste e per un lavoro
dignitoso e
sicuro per tutti, la loro resistenza al procedere della crisi, la loro
lotta
contro il carovita, contro gli speculatori e contro la Corte Pontificia
e le
altre Autorità che li sostengono, contro lo squadrismo fascista
e
razzista e
contro le Organizzazioni Criminali, per la civiltà e il
benessere!
Che
i lavoratori, le donne,
i giovani più avanzati si arruolino nelle fila del Partito
comunista,
degli
organismi della resistenza e delle organizzazioni di massa e
contribuiscano
alla rinascita del movimento comunista!
Rafforzare la
struttura clandestina centrale del
(nuovo)Partito comunista italiano, moltiplicare il numero dei Comitati
di
Partito clandestini e migliorare il loro funzionamento, sviluppare il
lavoro
sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro!