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Edizioni Rapporti Sociali

Georgi Dimitrov

L’OFFENSIVA DEL FASCISMO

E I COMPITI DELL’INTERNAZIONALE COMUNISTA

NELLA LOTTA PER L’UNITÀ DELLA CLASSE OPERAIA CONTRO IL FASCISMO


RAPPORTO PRESENTATO AL VII CONGRESSO DELL’INTERNAZIONALE COMUNISTA

2 AGOSTO 1935


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INDICE


INTRODUZIONE ALLA LETTURA

A cura del Comitato Centrale del (nuovo)PCI pag. 5



L’offensiva del fascismo e i compiti dell’internazionale comunista

Georgi Dimitrov


Capitolo I: Il fascismo e la classe operaia pag. 15

Il carattere di classe del fascismo

Che cosa porta alle masse la vittoria del fascismo?

È inevitabile la vittoria del fascismo?

Il fascismo è un potere feroce, ma instabile


Capitolo II: Il fronte unico della classe operaia contro il fascismo pag. 32

Importanza del Fronte unico

Principali argomenti degli avversari del Fronte unico

Contenuto e forme del Fronte unico

Il Fronte popolare antifascista

Le questioni centrali del Fronte unico nei diversi paesi

Il Fronte unico e le organizzazioni di massa fasciste

Il Fronte unico nei paesi dove i socialdemocratici sono al governo

La lotta per l’unità sindacale

Il Fronte unico e la gioventù

Il Fronte unico e le donne

Il Fronte unico antimperialista

Il governo di Fronte unico

La lotta ideologica contro il fascismo


Capitolo III: Il rafforzamento dei partiti comunisti e la lotta per l’unitÀ politica del proletariato pag. 73

Il rafforzamento dei partiti comunisti

L’unità politica della classe operaia

Conclusione pag. 80


APPENDICE


IL MOVIMENTO POLITICO DEGLI ANNI TRENTA IN EUROPA

da Rapporti Sociali n. 21 - febbraio 1999 pag. 86

L’ATTIVITÀ DELLA PRIMA INTERNAZIONALE COMUNISTA IN EUROPA E IL MAOISMO

da La Voce del (nuovo)PCI n. 10 - marzo 2002 pag. 107

IL RUOLO STORICO DELL’INTERNAZIONALE COMUNISTA - LE CONQUISTE E I LIMITI DA SUPERARE

da La Voce del (nuovo)PCI n. 63 - novembre 2019 pag. 117




Introduzione alla lettura


Il VII Congresso dell’IC si tenne a Mosca dal 25 luglio al 31 agosto 1935. Vi parteciparono, provenienti da tutti i continenti, 510 delegati di 65 partiti comunisti, di cui solo 22 legali (tra essi 11 europei). Fu il primo congresso dell’IC dopo lo scoppio della grande crisi del 1929, la crisi politica (1930-1931) che in Spagna aveva posto fine alla dittatura di Primo De Rivera e alla monarchia, la sconfitta in Germania del Partito Comunista e l’instaurazione del regime nazista (gennaio 1933), il completamento anticipato del primo (1928-1932) piano quinquennale in Unione Sovietica e l’avvio del secondo (1933-1937). Il VI Congresso dell’IC si era svolto tra luglio e settembre 1928, in un periodo che l’IC, ferma alla concezione delle crisi cicliche, aveva a torto qualificato di “stabilizzazione del capitalismo”.

Durante il VII Congresso si svolsero in successione la presentazione e discussione di quattro Rapporti. Il primo sull’attività del Comitato Esecutivo dell’IC nei sette anni successivi al VI Congresso fu presentato da Wilhelm Pieck (PC tedesco). Il secondo (L’offensiva del fascismo e i compiti dell’IC) fu presentato da Georgi Dimitrov (PC bulgaro, ma reduce dalla Germania dopo l’arresto e la vittoriosa resistenza del marzo-settembre 1933 terminata con l’assoluzione al processo di Lipsia e l’espulsione) che il VII Congresso elesse segretario generale dell’IC e tale restò fino allo scioglimento dell’IC nel 1943. Il Rapporto di Dimitrov fu integrato dal Rapporto sulla rivoluzione nei paesi oppressi dall’imperialismo, presentato da Wang Ming (PC cinese) benché alla Conferenza di Tsunyi (gennaio 1935 - vedi Risoluzione della conferenza di Tsunyi 8 gennaio 1935 in Opere di Mao Tse-tung vol. 4, Edizioni Rapporti Sociali) la linea di cui Wang Ming era esponente fosse stata messa in minoranza rispetto alla linea sostenuta da Mao Tse-tung (che tuttavia il VII Congresso elesse membro del Comitato Esecutivo insieme a Chou En-lai, Chang Kuo-tao e lo stesso Wang Ming). Il terzo (La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell’IC) fu presentato da Palmiro Togliatti (PC italiano). Il quarto (Il bilancio dell’edificazione socialista nell’Unione Sovietica) fu presentato da Dmitri Zacharovic Manuilski (PC dell’Unione Sovietica).

Il Rapporto presentato da Dimitrov ebbe un ruolo centrale nell’indirizzare a livello mondiale l’opera del movimento comunista cosciente e organizzato negli anni successivi ed è oggi, nel 2020, ricco di insegnamenti per chi nella crisi generale in corso vuole spingere avanti la lotta di classe fino a instaurare il socialismo. Esso illustra chiaramente quello che i comunisti dovevano fare per avanzare verso l’instaurazione del socialismo tramite la mobilitazione delle masse popolari contro le misure reazionarie e antipopolari della borghesia, tramite la mobilitazione delle masse popolari a impedire che la parte più reazionaria e criminale della borghesia instaurasse il fascismo facendo leva proprio sul malcontento e la ribellione delle masse popolari stesse, tramite la lotta contro l’inizio della guerra mondiale in cui la borghesia imperialista stava nuovamente coinvolgendo tutto il mondo, costretta da due imperativi ai quali i capitalisti per la stessa natura del sistema sociale di cui sono gli esponenti non potevano sottrarsi.

1. I capitalisti di ogni paese dovevano ognuno espandere i propri affari, sfruttare più proletari e impadronirsi di nuove risorse e di nuovi mercati. Ogni gruppo capitalista a causa della sovrapproduzione assoluta di capitale doveva quindi sottrarre terreno agli altri gruppi capitalisti e impedire che gli altri gruppi capitalisti gli sottraessero il suo. Da qui la tendenza alla guerra tra le principali potenze imperialiste emerse dalla prima Guerra Mondiale (1914-1918): Inghilterra, Francia, Stati Uniti d’America, Italia, Germania, Giappone.

2. I capitalisti di ogni paese dovevano sfruttare maggiormente i proletari che già sfruttavano, stroncare ognuno nel proprio paese la resistenza del proletariato e la rivoluzione socialista che il partito comunista promuoveva. Questo portava tutte le potenze imperialiste ad adattare il proprio sistema politico alle esigenze della controrivoluzione e anche a coalizzarsi contro l’Unione Sovietica, il paese dove il proletariato aveva già preso il potere, avanzava costruendo il socialismo e quindi costituiva un faro e una base per lo sviluppo della resistenza dei proletari e delle altre classi oppresse di ogni paese imperialista e della lotta di liberazione nazionale dei popoli oppressi delle colonie e semicolonie di tutto il mondo.

Il fascismo era in ogni paese lo strumento della parte più reazionaria e criminale della borghesia imperialista che prendeva il potere mobilitando al suo comando, contro il resto della borghesia, una parte delle masse oppresse del proprio paese compreso il proletariato, promettendo di porre fine agli effetti delle misure antipopolari del resto della borghesia e in particolare anche di impedire l’invadenza dei gruppi imperialisti degli altri paesi.

Il Rapporto di Dimitrov insegna ai comunisti di ogni paese che il fascismo non è la sostituzione ordinaria di un governo più reazionario a un altro governo borghese. Esso è l’imposizione di un governo costituito dalla parte più reazionaria della borghesia che mobilita a proprio favore una parte importante delle masse popolari contro gli esistenti governi borghesi e contro il movimento comunista cosciente e organizzato promettendo l’eliminazione degli effetti delle misure antipopolari dei governi borghesi.

Il Rapporto di Dimitrov indica ai comunisti di ogni paese il compito di lottare senza riserve contro gli effetti delle misure antipopolari della borghesia, mezzo indispensabile per prevenire il fascismo e la guerra mondiale e il compito di impedire la coalizione delle potenze imperialiste contro l’Unione Sovietica. Il Fronte Popolare doveva essere in ogni paese lo strumento per realizzare questi due compiti. Esso avrebbe portato ogni partito comunista a prendere il potere nel proprio paese e a contribuire così alla vittoria del proletariato e delle altre classi sfruttate e dei popoli oppressi di tutto il mondo. Nel contesto della crisi generale del capitalismo (ma il Rapporto di Dimitrov non tratta dell’origine di essa: la sovrapproduzione assoluta di capitale) il Rapporto di Dimitrov mette in risalto che anche nei paesi imperialisti che si dicevano “democratici” il regime politico non è più la democrazia borghese che si era affermata in Europa nel corso degli ultimi secoli fino alla Comune di Parigi (1871). Il Rapporto non entra però in dettaglio in merito alla natura del nuovo regime in cui la manipolazione sentimentale e intellettuale delle masse popolari da parte della borghesia imperialista ha un ruolo centrale che solo il movimento comunista cosciente e organizzato è potenzialmente in grado di contrastare con successo.

Il lettore che oggi legge il Rapporto presentato il 2 agosto 1935 da Dimitrov trarrà da esso lezioni tanto più importanti ai fini della propria attività nella lotta di classe in corso attualmente, quanto più conosce e tiene presente gli avvenimenti degli anni successivi al VII Congresso, dei quali furono protagonisti l’IC nel mondo e i singoli partiti comunisti (compreso quello italiano) nel proprio paese. Il VII Congresso fu l’ultimo e l’IC si sciolse formalmente nel 1943 ma realmente solo nel 1956, a seguito della linea presa dal PCUS (XX Congresso) e da altri partiti comunisti guidati da Kruscev, Togliatti, Thorez e altri revisionisti moderni del marxismo (che era diventato marxismo-leninismo). Essi svolsero nell’IC un ruolo analogo a quello che i revisionisti alla Eduard Bernstein avevano svolto nella II Internazionale dalla fine del XIX secolo in poi: consolidare l’influenza borghese fino a rendere il movimento comunista cosciente e organizzato impotente nel guidare il proletariato alla conquista del potere e disgregarlo. Il marxismo-leninismo-maoismo è diventato la terza superiore tappa del marxismo proprio come risultato del bilancio dell’opera del movimento comunista cosciente e organizzato e del revisionismo moderno.

La sintesi degli avvenimenti successivi al VII Congresso è che, giovandosi dell’opera del movimento comunista cosciente e organizzato nei singoli paesi e in particolare in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, l’URSS guidata dal PCUS con alla testa Stalin (morto nel 1953) sfruttò abilmente le contraddizioni in seno alla borghesia imperialista mondiale e impedì che attorno alla Germania nazista si consolidasse la coalizione delle potenze imperialiste che ebbe tuttavia un importante ruolo nefasto nell’occupazione italiana dell’Etiopia (1935-1936), nella sconfitta del governo del Fronte Popolare e l’instaurazione del regime franchista in Spagna (1936-1939), nella disfatta del governo del Fronte Popolare in Francia (1936-1938), nell’occupazione della Cina lanciata su grande scala nel 1937 dal Giappone che nel 1931 aveva già occupato la Manciuria.

L’opera dell’IC e dell’URSS non riuscì ad evitare la guerra mondiale, ma portò la Francia, la Gran Bretagna e perfino gli USA a schierarsi in essa contro l’asse fascista Germania - Italia - Giappone. I gruppi imperialisti francesi, britannici e americani, finché la Germania nazista marciava verso l’aggressione dell’Unione Sovietica, le avevano permesso di riarmare, occupare l’Austria e la Cecoslovacchia ed estendere la sua influenza in tutta l’Europa orientale compresa la Polonia e i paesi scandinavi e baltici e perfino in Spagna. Ma nel settembre 1939, quando la Germania invece di aggredire l’Unione Sovietica spartì la Polonia fascista con essa (Accordo Molotov-Ribbentrop, Mosca 13 agosto 1939), Francia e Gran Bretagna facendo leva sui sentimenti antifascisti delle masse popolari dichiararono guerra alla Germania. Diedero così inizio a una nuova guerra interimperialista e quando, nel giugno 1941, la Germania lanciò l’aggressione all’URSS, le potenze imperialiste non poterono più unirsi ad essa ma si allearono con l’URSS, pur facendo costantemente aleggiare, fino alle lunghe trattative che terminarono con le capitolazioni delle armate nazitedesche firmate a Reims (7 maggio 1945) e a Berlino (8 maggio 1945 - 9 maggio all’orario di Mosca), la speranza per i nazifascisti e la minaccia per l’URSS e le masse popolari di un rovesciamento delle alleanze. Rimandiamo chi vuole conoscere in dettaglio come il movimento comunista cosciente e organizzato impedì che le potenze imperialiste si coalizzassero tutte contro l’URSS all’articolo Un libro e alcune lezioni pubblicato in La Voce 24 (novembre 2006) e agli scritti presi da Rapporti Sociali e La Voce inclusi in questa pubblicazione in appendice al Rapporto di Dimitrov. Solo l’Italia fascista, la Spagna franchista, la Repubblica francese di Vichy e altri paesi di forza minore inviarono truppe a collaborare con le armate naziste contro l’URSS. Pur con grandi sacrifici l’URSS venne a capo dell’aggressione nazifascista e promosse in tutta l’Europa un’ampia mobilitazione armata delle masse popolari contro il nazifascismo (la Resistenza). L’Armata Rossa liberò dalle armate nazitedesche la Germania non avanzando oltre l’Elba solo perché ligia agli accordi presi con USA e Gran Bretagna alla conferenza di Jalta (febbraio 1945) a proposito dell’occupazione militare della Germania. Nei paesi dell’Europa orientale si costituirono Repubbliche Popolari con alla testa le forze che avevano guidato la Resistenza all’occupazione nazifascista. La rivoluzione antimperialista di liberazione nazionale dilagò in Asia e in Africa fino a costituire la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Popolare Democratica di Corea e a porre in Vietnam radici tali che né la Francia né gli USA riuscirono più a sradicare. Il prestigio dell’URSS e del socialismo divenne grandissimo in tutto il mondo.

In questa marcia vittoriosa, in questo quadro luminoso si formò tuttavia un’ombra oscura che il movimento comunista cosciente e organizzato non riuscì a dissipare: in nessuno dei paesi imperialisti il partito comunista superò i propri limiti e instaurò il socialismo e nei paesi dell’America Latina e dei Caraibi i movimenti rivoluzionari presero il potere solo a Cuba e in misura meno solida nel Nicaragua.

Grazie al ruolo assunto nei singoli paesi e nel mondo dal movimento comunista cosciente e organizzato le masse popolari dei paesi coloniali strapparono l’indipendenza politica e nei paesi imperialisti strapparono grandi conquiste di civiltà e di benessere che solo a partire dagli anni ‘70 la borghesia incominciò gradualmente a erodere e cancellare, dando luogo all’epoca di nera e sfrenata reazione (1976-2016) che Stalin aveva lucidamente indicato (vedi Il carattere internazionale della Rivoluzione d’Ottobre - per il decimo anniversario dell’Ottobre, 6-7 novembre 1927, in Opere Ed. Rinascita 1956, vol. 10) che sarebbe sopravvenuta nel mondo se la borghesia imperialista fosse venuta a capo dell’URSS.

Che cosa rese tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti impotenti a instaurare il socialismo?

Già Lenin nei primi anni ‘20 aveva lucidamente indicato che trasformare le frazioni dei partiti socialisti dei paesi imperialisti che avevano aderito alla linea lanciata dal Partito bolscevico con la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, in partiti comunisti realmente rivoluzionari sarebbe stata impresa possibile ma difficile. L’IC aveva cercato di pervenirvi lanciando nel V Congresso (giugno-dicembre 1924) “la bolscevizzazione” e aveva fatto ricorso, come lo Statuto dell’IC prevedeva, persino alla nomina di segretari nazionali (fu il caso del PC italiano alla testa del quale l’IC nell’autunno del 1923 pose Antonio Gramsci). L’imprigionamento di Gramsci nel 1926 e la confitta subita nel 1933 dal PC tedesco mostrarono che era ancora lungi dall’esservi pervenuta. Neanche la linea del Fronte Popolare lanciata dal VII Congresso ed esposta nel Rapporto di Dimitrov fece fare il salto necessario a nessuno dei PC dei paesi imperialisti, pur ricchi di combattenti eroici. Il loro eroismo è testimoniato dalle imprese che compirono attuando linee particolari indicate dall’IC come fu il caso per il PC italiano dell’aiuto alla Repubblica in Spagna nel 1936 (Brigate Internazionali) e della linea della Resistenza lanciata da radio Mosca dopo l’8 settembre 1943. Quello che mancò in questi partiti fu la capacità, anche degli esponenti più devoti alla causa della rivoluzione socialista, di tradurre la linea generale elaborata in sede internazionale in strategia e tattiche per l’instaurazione del socialismo nel proprio paese. Il limite non fu nazionale, dato che nessuno dei PC dei paesi imperialisti fece il salto necessario. Quest’ombra oscura nel quadro luminoso dell’opera realizzata dal movimento comunista cosciente e organizzato dopo il VII Congresso, ombra che a lungo andare contribuì all’esaurimento dell’ondata rivoluzionaria sollevata nel mondo dalla vittoria dell’Ottobre 1917, dalla costruzione dell’URSS socialista e dalla direzione dell’IC e facilitò l’opera distruttiva degli stessi esponenti del revisionismo moderno sovietici, è una questione alla quale noi comunisti, che abbiamo preso in mano la causa della rinascita del movimento comunista e dell’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti, dovevamo dare e abbiamo dato risposte scientifiche esaurienti, risposte la cui validità ovviamente dobbiamo però ancora confermare nella pratica, come avviene per ogni scienza: cosa che stiamo facendo.

L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) è ricca di insegnamenti e il maoismo ci fornisce la chiave per dare risposta alla questione. La sconfitta della Rivoluzione Culturale Proletaria del popolo cinese, lanciata dal PC cinese nel 1966 e stroncata nel 1976, è stata la sconfitta dell’applicazione particolare alla RPC (Repubblica Popolare Cinese) del bilancio tratto da Mao Tse-tung dalla svolta imposta in URSS con il XX Congresso del PCUS (1956) e dal fallimento, nonostante la linea del Fronte Popolare lanciata dal VII Congresso dell’IC, dei partiti comunisti dei paesi imperialisti nell’instaurazione del socialismo dopo le vittorie conseguite nella guerra contro il nazifascismo. Mao Tse-tung, fautore della linea del Fronte Popolare che applicò nella vittoriosa direzione della rivoluzione in Cina culminata nella fondazione della RPC (ottobre 1949), già nel 1938 aveva messo ben in chiaro che in Cina il PC cinese non avrebbe seguito il criterio dichiarato dal PC francese a proposito dell’applicazione della linea del Fronte Popolare e seguito anche dal PC spagnolo e, dopo il colpo di mano monarchico contro il fascismo (25 luglio 1943), dal PC italiano. Il criterio che venne seguito con esiti fallimentari anche da partiti comunisti di paesi occupati dai nazifascisti italiani e tedeschi o dai militaristi giapponesi in Europa (ad esempio in Grecia), in Africa e in Asia (ad esempio in Indonesia). Il criterio era riassunto nell’espressione inalberata dal PC francese “tutto attraverso il Fronte”. Il volume 7 (1938-1940) delle Opere di Mao Tse-tung (Edizioni Rapporti Sociali) riporta vari interventi (citiamo in particolare Il ruolo del PCC nella guerra nazionale, pagg. 29-45 e La questione dell’indipendenza e dell’autonomia nel Fronte Unito Nazionale Antigiapponese, pagg. 49-53) in cui Mao dichiara e spiega che il PCC doveva partecipare lealmente e senza riserve al Fronte Unito Antigiapponese con il Kuomintang e tutte le forze che si mobilitavano nella resistenza all’occupazione giapponese, ma che doveva mantenere la propria libertà di iniziativa per fare anche quello che le altre organizzazioni del Fronte non facevano e dare l’esempio a quelle che volevano contribuire con più forza e a un livello superiore alla lotta comune contro l’occupazione giapponese. Questa è una questione di grande attualità oggi in Italia e in altri paesi dove, nel contesto della fase acuta e terminale della seconda crisi generale del capitalismo, i comunisti e i gruppi della sinistra borghese di vecchio e di nuovo tipo devono lottare insieme in coalizioni e fronti contro partiti e governi fautori del “programma comune” della borghesia imperialista (le Larghe Intese) e contro esponenti e partiti fautori di governi ancora più reazionari (in Italia la Lega e Fratelli d’Italia).

Per capire a fondo la questione basta confrontare con la posizione del PC cinese la linea seguita dal PC spagnolo (segretario José Diaz) nella lotta diretta dal governo del Fronte Popolare formatosi nel febbraio 1936 contro la rivolta fascista dei generali. Il PCE arrivò addirittura a sciogliere il V Reggimento (un esercito forte di decine di migliaia di soldati, creato e diretto dai comunisti) anziché farne la forza modello per tutte le forze armate della Repubblica Spagnola (in proposito vedi PCE(r) La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista, ERS 1997 e Per il bilancio del Fronte Popolare in Spagna, in La Voce 53, luglio 2016).

Basta confrontare con la posizione del PC cinese la linea seguita dal PC francese (segretario Maurice Thorez) dopo la costituzione del governo del Fronte Popolare presieduto da Léon Blum a seguito delle elezioni del 26 aprile-3 maggio 1936. Il PCF tollerò che il governo cedesse al ricatto dello Stato Maggiore francese e boicottasse il governo di Fronte Popolare della Repubblica Spagnola alle prese con la rivolta fascista dei generali, mentre i gruppi imperialisti francesi e lo Stato Maggiore collaboravano a preparare la sconfitta nello scontro con la Germania nazista all’insegna della parola d’ordine “mieux Hitler que le Front Populaire!”, come ha dettagliatamente mostrato la rinomata ricercatrice Annie Lacroix-Riz nella sua opera Le choix de la défaite (Colin éditeur, Parigi 2014). Molti deputati comunisti e persino il segretario nazionale Maurice Thorez obbedirono nel settembre 1939 alla chiamata alle armi decretata dal governo anticomunista Daladier che con il governo britannico aveva lanciato la guerra interimperialista contro la Germania nazista (che si era provvisoriamente accordata con l’Unione Sovietica: Accordo Molotov-Ribbentrop e spartizione della Polonia).

Basta confrontare con la posizione del PC cinese la linea seguita dal PC italiano (segretario Palmiro Togliatti) durante la Resistenza, dopo la vittoria dell’insurrezione del 25 aprile 1945 e durante il governo presieduto da Ferruccio Parri (giugno-dicembre 1945), fino alla estromissione del PCI e del PSI dal governo di Alcide De Gasperi nel maggio 1947 e alle elezioni del 18 aprile 1948.

L’applicazione fallimentare della linea del Fronte Popolare da parte dei PC dei paesi imperialisti non è dovuta al tradimento di alcuni dirigenti, ma ai limiti non superati neanche dai migliori dirigenti di questi partiti nella comprensione delle condizioni della lotta di classe e della forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Quali sono questi limiti? I principali sono tre e riguardano precisamente l’andamento delle attività economiche, la natura dei sistemi politici, la forma della rivoluzione socialista.

1. La natura della crisi economica delle società imperialiste: nel secolo XIX nei paesi capitalisti la produzione e circolazione di beni e servizi procedette per alcuni decenni attraverso crisi cicliche decennali, ma dagli anni ‘70 del secolo XIX in poi l’andamento ciclico proseguì, benché attenuato dalle misure delle pubbliche autorità nel contesto del capitalismo monopolistico di Stato, ma venne surclassato dalla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, prevista da K. Marx e da lui descritta scientificamente nei capitoli 13 - 15 del libro III di Il capitale. Ad essa accenna F. Engels nella prefazione (1886) dell’edizione inglese del libro I di Il capitale. Per la descrizione della natura di essa rimandiamo alla nota 41 del nostro Manifesto Programma e agli scritti indicati nella nota. Questa trasformazione non viene menzionata dal Rapporto Dimitrov: nei documenti dell’IC le analisi dell’andamento economico (curate principalmente dall’economista ungherese E.S. Varga) fanno costantemente riferimento solo alle crisi cicliche.

2. La natura dei regimi politici dei paesi imperialisti: per inerzia i partiti comunisti hanno continuato anche nella fase imperialista del capitalismo a indicare con l’espressione “democrazia borghese” il sistema politico dei paesi imperialisti, ma questo nasconde la profonda trasformazione che essi hanno compiuto nel passaggio alla fase imperialista del capitalismo. Nella sua celebre opera L’imperialismo (1917) in cui analizza la trasformazione della società borghese a livello mondiale, al di là del contesto della Russia zarista, Lenin dice esplicitamente che egli si è occupato solo delle caratteristiche economiche dell’imperialismo e non di quelle politiche. Tratto caratteristico dei nuovi regimi è la creazione in tutti i paesi imperialisti di sistemi di controrivoluzione preventiva: per l’illustrazione dettagliata di essi rimandiamo al capitolo 1.3.3 del nostro Manifesto Programma. Nel Rapporto Dimitrov questa trasformazione è accennata fin dall’inizio, ma non con l’enfasi necessaria per sradicare nei PC dei paesi imperialisti la storica deviazione parlamentarista dei partiti socialisti ereditata dai partiti comunisti.

3. La forma della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti: già F. Engels nell’Introduzione del 1895 a K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 aveva criticato la concezione della “rivolta delle masse popolari che prima o poi scoppierà”, una rivolta alla quale il partito comunista si prepara onde approfittarne per prendere il potere e il cui scoppio facilita con la propaganda e l’agitazione politica, con le denunce, organizzando proteste e promuovendo rivendicazioni sindacali e politiche. Nell’ambito dell’IC, Lenin e poi Stalin si occuparono in più casi delle “forme di transizione o di avvicinamento alla rivoluzione proletaria” (dove per rivoluzione proletaria intendono sempre l’operazione conclusiva dell’instaurazione della dittatura del proletariato e quindi senza considerare chiaramente la guerra popolare rivoluzionaria come forma necessaria della rivoluzione socialista). Ma l’idea di una transizione graduale e pacifica dal capitalismo al comunismo continuò a covare nei PC dei paesi imperialisti e venne chiaramente alla luce dopo la svolta del 1956. In Italia fu formulata da Togliatti & C come “via parlamentare e pacifica al socialismo tramite riforme di struttura”. Per la critica di questa concezione e l’illustrazione della tesi che nei paesi imperialisti la rivoluzione socialista deve assumere la forma della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, rimandiamo a La Voce 1 (marzo 1999) e al cap. 3.3 del nostro Manifesto Programma.

Nel contesto attuale l’assimilazione delle lezioni del Rapporto Dimitrov e la comprensione dei suoi limiti sono di decisiva importanza per noi comunisti. La nuova crisi generale del capitalismo iniziata negli anni ‘70 del secolo scorso è entrata nel 2008 nella sua fase acuta e terminale. La direzione che la borghesia imperialista ha dato al mondo negli ultimi quarant’anni non funziona più. In ognuno dei paesi imperialisti e a livello internazionale i sistemi politici della borghesia imperialista sono in crisi. Le masse popolari sono torturate in tutti i campi dalla crisi economica, sociale, ambientale e sanitaria. La loro resistenza agli effetti della crisi non ancora diretta dal movimento comunista cosciente e organizzato si esprime in fronti e coordinamenti rivendicativi, elettorali o misti. I comunisti devono e possono compiere l’opera che i nostri eroici predecessori non hanno compiuto: elevare in ogni paese passo dopo passo la resistenza delle masse popolari fino a instaurare il socialismo. Questo è la combinazione in ogni paese di tre elementi ognuno indispensabile: il potere delle masse popolari organizzate aggregate attorno al Partito comunista (dittatura del proletariato); la gestione pubblica dell’intera attività economica per produrre i beni e servizi necessari alla popolazione del paese e alle relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con gli altri paesi; la promozione sistematica della partecipazione di ogni individuo nella massima misura di cui è capace alle attività specificamente umane (politiche, culturali, creative e ricreative) e la formazione onnilaterale delle nuove generazioni.

Questa è l’opera che dà senso alla vita di ogni comunista e il marxismo-leninismo-maoismo è la scienza che ci guida nell’opera storica collettiva di cui l’umanità ha bisogno.

Comitato Centrale del (nuovo)PCI, 30 giugno 2020



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L’OFFENSIVA DEL FASCISMO

E I COMPITI DELL’INTERNAZIONALE COMUNISTA

NELLA LOTTA PER L’UNITÀ DELLA CLASSE OPERAIA

CONTRO IL FASCISMO

Georgi Dimitrov


I

IL FASCISMO E LA CLASSE OPERAIA


Compagni!

Il VI Congresso dell’Internazionale comunista aveva già avvertito il proletariato internazionale della maturazione di una nuova offensiva fascista e lo aveva incitato alla lotta contro di essa. Il Congresso aveva rilevato che «esistono quasi dappertutto delle tendenze fasciste e dei movimenti fascisti embrionali, sotto una forma più o meno sviluppata».

Nella situazione creata dallo scatenarsi di una profondissima crisi economica, dal repentino acuirsi della crisi generale del capitalismo e dal processo di rivoluzionarizzazione delle masse lavoratrici, il fascismo è passato all’offensiva su ampia scala. La borghesia dominante cerca, in misura sempre più larga, la propria salvezza nel fascismo, allo scopo di applicare contro i lavoratori delle misure eccezionali di spoliazione, di aggredire l’Unione Sovietica, di soggiogare e spartire la Cina e di sbarrare, in questo modo, la via alla rivoluzione.

I circoli imperialisti tentano di scaricare tutto il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori. Per questo hanno bisogno del fascismo.

Essi mirano a risolvere il problema dei mercati soggiogando i popoli deboli, aggravando l’oppressione coloniale e dividendosi un’altra volta il mondo per mezzo della guerra. Per questo hanno bisogno del fascismo.

Essi si sforzano di prevenire lo sviluppo delle forze della rivoluzione mediante la distruzione del movimento rivoluzionario degli operai e dei contadini e mediante l’aggressione militare contro l’Unione Sovietica, baluardo del proletariato mondiale. Per questo hanno bisogno del fascismo.

In una serie di paesi, particolarmente in Germania, queste sfere imperialiste sono riuscite a infliggere una sconfitta al proletariato e a instaurare la dittatura fascista, prima che le masse si mettessero decisamente sulla via della rivoluzione.

Vi è, però, una circostanza caratteristica nella vittoria del fascismo: e cioè che tale vittoria, se da una parte attesta la debolezza del proletariato, disorganizzato e paralizzato dalla politica socialdemocratica scissionista di collaborazione di classe con la borghesia, è d’altra parte un segno della debolezza della stessa borghesia, la quale è presa da spavento davanti all’attuazione dell’unità di lotta della classe operaia e, davanti alla rivoluzione, non è in grado di mantenere la sua dittatura sulle masse con i vecchi metodi della democrazia borghese e del parlamentarismo.

Al XVII Congresso del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS, il compagno Stalin ha detto:

«La vittoria del fascismo in Germania non deve essere soltanto considerata come un segno di debolezza della classe operaia e come il risultato del tradimento della classe operaia da parte della socialdemocrazia, che ha aperto la strada al fascismo. Deve essere anche considerata come un segno della debolezza della borghesia, come un segno del fatto che la borghesia non è più in grado di dominare con i vecchi metodi del parlamentarismo e della democrazia borghese e si vede perciò costretta a ricorrere, nella politica interna, ai metodi terroristici di governo; come un segno del fatto che essa non è più in grado di trovare una via d’uscita dalla situazione attuale sulla base di una politica estera di pace ed è perciò costretta a ricorrere ad una politica di guerra».(1)

1. I. Stalin, Due mondi - Rapporto al XVII Congresso del Partito Comunista dell’URSS (gennaio 1934), il Rapporto è incluso nell’antologia Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita (Roma 1952) pagg. 520-592.

Per maggiori informazioni vedere Storia del Partito comunista (bolscevico)dell’URSS, cap. XI.3, Edizioni Rapporti Sociali – Red Star Press (2018).



Il carattere di classe del fascismo

Il fascismo al potere, come lo ha giustamente definito la XIII Sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista, è la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario.

La varietà più reazionaria di fascismo è il fascismo di tipo tedesco. Esso si chiama impudentemente nazional-socialismo, senza aver nulla di comune con il socialismo. Il fascismo hitleriano non è soltanto nazionalismo borghese: è sciovinismo bestiale. È un sistema governativo di banditismo politico, un sistema di provocazioni e di torture ai danni della classe operaia e degli elementi rivoluzionari contadini, della piccola borghesia e degli intellettuali. È barbarie, è ferocia medioevale. È l’aggressione sfrenata contro gli altri popoli e paesi.

Il fascismo tedesco scende in campo come reparto di assalto della controrivoluzione internazionale, come principale fomentatore della guerra imperialista, come iniziatore della crociata contro l’Unione dei Soviet, la grande patria dei lavoratori di tutto il mondo.

Il fascismo non è una forma di potere statale che sta «al di sopra di tutte e due le classi, del proletariato e della borghesia», come ha affermato, ad esempio, Otto Bauer. Non è la «piccola borghesia insorta che si è impadronita della macchina statale», come afferma il socialista inglese Brailsford. No! Il fascismo non è né un potere al di sopra delle classi, né il potere della piccola borghesia o del sottoproletariato sul capitale finanziario. Il fascismo è il potere dello stesso capitale finanziario. È l’organizzazione della repressione terroristica contro la classe operaia e contro la parte rivoluzionaria dei contadini e degli intellettuali. Il fascismo, in politica estera, è lo sciovinismo nella sua forma più rozza, lo sciovinismo che coltiva l’odio bestiale contro gli altri popoli.

È necessario sottolineare con grande forza specialmente questo reale carattere del fascismo, perché, ammantandosi di demagogia sociale, il fascismo ha potuto trascinare al suo seguito, in parecchi paesi, le masse della piccola borghesia disorientata dalla crisi e anche una parte degli strati arretrati del proletariato, i quali non avrebbero mai seguito il fascismo se ne avessero compreso il reale carattere di classe, la sua vera natura.

Lo sviluppo del fascismo e la dittatura fascista stessa assumono forme diverse nei diversi paesi, a seconda delle condizioni storiche, sociali e politiche, nonché delle particolarità nazionali e della posizione internazionale dei singoli paesi. In alcuni paesi, prevalentemente là dove il fascismo non ha una base di massa estesa e dove la lotta fra i singoli gruppi nel campo stesso della borghesia fascista è abbastanza forte, il fascismo non si decide a liquidare senz’altro il Parlamento e lascia agli altri partiti borghesi e anche alla socialdemocrazia un certo margine di legalità. In altri paesi, dove la borghesia dominante teme uno scoppio imminente della rivoluzione, il fascismo instaura il suo monopolio politico illimitato o di colpo o rafforzando sempre più il terrore e la repressione contro tutti i partiti e gruppi concorrenti. Ciò non esclude che il fascismo, nei momenti in cui la situazione è particolarmente grave, tenti di allargare la sua base e di combinare la dittatura terroristica aperta con una grossolana falsificazione del parlamentarismo, senza modificare la propria essenza di classe.

L’avvento del fascismo al potere non è l’ordinaria sostituzione di un governo borghese con un altro, ma è il cambiamento di una forma statale del dominio di classe della borghesia – la democrazia borghese – con un’altra sua forma, con la dittatura terroristica aperta. Ignorare questa distinzione sarebbe un gravissimo errore. Ciò impedirebbe al proletariato rivoluzionario di mobilitare i più larghi strati di lavoratori della città e della campagna per la lotta contro la minaccia della presa del potere da parte dei fascisti e anche di utilizzare le contraddizioni che esistono nel campo stesso della borghesia. Ma è un errore non meno grave e pericoloso sottovalutare l’importanza che hanno per l’instaurazione della dittatura fascista le misure reazionarie della borghesia che sono oggi rafforzate nei paesi della democrazia borghese e sopprimono le libertà democratiche dei lavoratori, falsificano e restringono i diritti del Parlamento, intensificano la repressione contro il movimento rivoluzionario.

Non si può, compagni, immaginare l’andata del fascismo al potere in modo semplice e piano, come se un comitato qualsiasi del capitale finanziario decidesse di instaurare la dittatura fascista a una data fissa. In realtà, il fascismo giunge ordinariamente al potere attraverso una lotta, talvolta acuta, con i vecchi partiti borghesi o con una determinata parte di essi, attraverso una lotta nel campo fascista stesso, lotta che, in qualche caso, giunge fino a conflitti armati, come abbiamo visto in Germania, in Austria e in altri paesi. Tutto ciò non diminuisce comunque l’importanza del fatto che, prima dell’instaurazione della dittatura fascista, i governi borghesi passano, ordinariamente, attraverso un serie di tappe preparatorie e applicano una serie di misure reazionarie, le quali favoriscono direttamente l’andata del fascismo al potere. Chi non lotta durante queste tappe preparatorie contro le misure reazionarie della borghesia e contro il fascismo che si sviluppa, non è in grado di impedire, anzi facilita la vittoria del fascismo.

I capi della socialdemocrazia attenuarono e nascosero alle masse il carattere di classe del fascismo e non le chiamarono a lottare contro le misure reazionarie, sempre più gravi, della borghesia. Essi hanno la grande responsabilità storica del fatto che, nel momento decisivo dell’offensiva fascista, una parte considerevole delle masse lavoratrici in Germania e in parecchi altri paesi fascisti non riconobbero nel fascismo il loro più spietato nemico, il predone della finanza, avido di sangue e non furono pronte a reagire.

Quali sono le fonti dell’influenza del fascismo sulle masse? Il fascismo riesce ad attirare una parte delle masse perché si richiama demagogicamente ai loro bisogni e alle loro aspirazioni più sentite. Il fascismo non attizza soltanto i pregiudizi profondamente radicati nelle masse, ma specula anche sui migliori sentimenti delle masse, sul loro senso di giustizia e qualche volta persino sulle loro tradizioni rivoluzionarie. Perché i fascisti tedeschi, questi lacchè della grande borghesia, nemici mortali del socialismo, si spacciano per “socialisti” davanti alle masse e presentano la loro andata al potere come una “rivoluzione”? Perché tentano di sfruttare la fede nella rivoluzione e l’aspirazione al socialismo che vivono nei cuori delle grandi masse lavoratrici della Germania.

Il fascismo agisce nell’interesse degli imperialisti più sfrenati, ma si presenta di fronte alle masse sotto la maschera di difensore della nazione offesa e si richiama al sentimento nazionale ferito. Come, ad esempio, il fascismo tedesco, che ha trascinato dietro di sé le masse piccolo-borghesi con la parola d’ordine «contro Versailles!»

Il fascismo tende allo sfruttamento più sfrenato delle masse, ma le avvicina con un’abile demagogia anticapitalista, sfruttando l’odio profondo che i lavoratori nutrono contro la borghesia rapace, contro le banche, i trust e i magnati della finanza e lancia le parole d’ordine più suggestive, in questo momento, per le masse politicamente immature. In Germania «il bene comune al di sopra di quello privato»; in Italia «il nostro non è uno Stato capitalista, ma uno Stato corporativo»; in Giappone «per un Giappone senza sfruttamento»; negli Stati Uniti d’America «per la spartizione delle ricchezze»; ecc.

Il fascismo abbandona il popolo alla crudeltà degli elementi venali più corrotti, ma si presenta al popolo con la rivendicazione di un «potere onesto e incorruttibile». Il fascismo specula sul profondo sentimento di delusione suscitato nelle masse dai governi della democrazia borghese e si mostra ipocritamente indignato contro la corruzione (ad esempio gli affari Barmat e Sklareck in Germania, l’affare Staviski in Francia e molti altri).

Nell’interesse dei gruppi più reazionari della borghesia, il fascismo conquista le masse deluse che si staccano dai vecchi partiti borghesi. Ma suggestiona queste masse con la violenza dei suoi attacchi contro i borghesi, con il suo atteggiamento intransigente verso i vecchi partiti della borghesia.

Superando nel cinismo e nell’ipocrisia tutte le altre varietà di reazione borghese, il fascismo adatta la sua demagogia alle particolarità nazionali di ogni paese e anche alle particolarità dei diversi strati sociali di uno stesso paese. E le masse della piccola borghesia, e persino una parte degli operai ridotti alla disperazione dalla miseria, dalla disoccupazione e dalla precarietà della loro esistenza, cadono vittime della demagogia sociale e sciovinista del fascismo.

Il fascismo giunge al potere come partito d’assalto contro il movimento rivoluzionario del proletariato, contro la massa popolare in fermento; ma presenta la sua andata al potere come un movimento “rivoluzionario” contro la borghesia, in nome di “tutta la nazione” e per la “salvezza” della nazione (ricordiamo la “marcia su Roma” di Mussolini, la “marcia” di Piłsudski su Varsavia, la “rivoluzione” nazional-socialista di Hitler in Germania, ecc.).

Ma qualunque sia la maschera sotto cui il fascismo si nasconde, quali che siano le forme nelle quali si presenta, quali che siano le vie per le quali giunge al potere,

il fascismo è la più feroce offensiva del capitale contro le masse lavoratrici;

il fascismo è lo sciovinismo sfrenato e la guerra di conquista;

il fascismo è forsennata reazione e controrivoluzione;

il fascismo è il peggior nemico della classe operaia e di tutti i lavoratori!

Che cosa porta alle masse la vittoria del fascismo?

Il fascismo aveva promesso agli operai un salario equo: in realtà ha portato loro un livello di vita ancora più basso, ancor più miserabile. Aveva promesso lavoro ai disoccupati: in realtà ha dato loro tormenti ancora più duri della fame, il lavoro forzato, da schiavi. In realtà il fascismo trasforma gli operai e i disoccupati in paria della società capitalista, privi di qualsiasi diritto; distrugge i loro sindacati, li priva della libertà di sciopero e della stampa operaia, li costringe a entrare nelle sue organizzazioni, dilapida i fondi delle loro assicurazioni sociali e trasforma le fabbriche e le officine in caserme nelle quali regna l’arbitrio sfrenato dei capitalisti.

Il fascismo aveva promesso alla gioventù lavoratrice di aprire un’ampia via verso un brillante avvenire. In realtà le ha dato i licenziamenti in massa dei giovani dagli stabilimenti, i campi di lavoro e l’incessante allenamento militare per una guerra di conquista.

Il fascismo aveva promesso agli impiegati, ai funzionari subalterni, agli intellettuali di assicurare loro l’esistenza, di distruggere l’onnipotenza dei trust e le speculazioni del capitale bancario. In realtà ha portato loro un’incertezza e una sfiducia ancora maggiori nel futuro, li ha sottoposti a una burocrazia composta dai suoi più docili partigiani, ha instaurato la dittatura insopportabile dei trust, ha seminato in proporzioni inaudite la corruzione e la disgregazione sociale.

Il fascismo aveva promesso ai contadini, rovinati, ridotti alla fame, la soppressione del giogo dei debiti, l’abolizione degli affitti e persino la cessione, senza indennità, delle terre dei latifondisti ai contadini immiseriti e senza terra. In realtà ha instaurato un asservimento inaudito del contadino lavoratore verso i trust e verso l’apparato statale fascista e spinge ai limiti estremi lo sfruttamento delle masse fondamentali dei contadini da parte dei latifondisti, delle banche e degli usurai.

«La Germania sarà un paese contadino o non sarà affatto», ha dichiarato solennemente Hitler. E che cosa hanno ricevuto i contadini, in Germania, sotto il potere di Hitler? La moratoria, che è già stata annullata? Oppure la legge sull’eredità delle aziende contadine, che scaccia dalla campagna milioni di figli e figlie di contadini e ne fa dei mendicanti? I braccianti agricoli sono stati ridotti nella condizione di semi-servi, privati persino del diritto elementare di trasferirsi liberamente altrove. Ai contadini lavoratori è stata tolta la possibilità di vendere sul mercato i prodotti della loro azienda.

«I contadini polacchi – scrive il giornale polacco Czas (Il Tempo) – si servono di metodi e di mezzi che erano in uso forse soltanto nel Medio Evo: fanno covare il fuoco della stufa e lo prestano ai vicini, dividono i fiammiferi in parecchie parti, si prestano l’un l’altro dei residui di acqua insaponata sporca, fanno bollire l’acqua nei barili da aringhe per trarne l’acqua salata. Questa non è una favola, ma è la situazione reale della campagna, situazione di cui ciascuno può convincersi».

E queste cose, compagni, sono scritte non già da comunisti, bensì da un giornale reazionario polacco!

Ma siamo ancora ben lontani dall’aver detto tutto.

Ogni giorno, nei campi di concentramento della Germania fascista, nei sotterranei della «Gestapo», nelle galere polacche, nei posti di polizia bulgari e finlandesi, nella «Glavniacia» di Belgrado, nella «Siguranza» rumena, nelle isole di deportazione italiane, i migliori figli della classe operaia, i contadini rivoluzionari, i combattenti per un avvenire migliore dell’umanità sono sottoposti a violenze e a insulti così ripugnanti, da far impallidire le azioni più infami dell’«Okhrana» zarista. Lo scellerato fascismo tedesco riduce a un ammasso sanguinolento il marito in presenza della moglie, spedisce per pacco postale alle madri le ceneri dei figli uccisi. La sterilizzazione è trasformata in strumento di lotta politica. Nelle camere di tortura, ai prigionieri antifascisti si iniettano a viva forza delle sostanze velenose, si spezzano loro le braccia, si cavano loro gli occhi; essi vengono strangolati, affogati, si incide loro sulla carne viva l’emblema fascista.

Ho davanti a me i dati statistici forniti dal Soccorso Rosso Internazionale sul numero degli uccisi, dei feriti, degli arrestati, degli storpiati e dei torturati in Germania, in Polonia, in Italia, in Austria, in Bulgaria, in Jugoslavia. Nella sola Germania, gli operai, i contadini, gli impiegati, gli intellettuali antifascisti, comunisti, socialdemocratici, membri delle organizzazioni cristiane di opposizione, uccisi dal momento dell’andata al potere dei nazional-socialisti, sono più di 4.200; gli arrestati sono 317.800, di cui 218.600 sono stati feriti e sottoposti a torture strazianti. In Austria, il governo fascista “cristiano” dal momento dei combattimenti di febbraio dell’anno scorso ha ucciso 1.900 operai rivoluzionari, ne ha feriti e mutilati 10.000 e ne ha arrestati 40.000. E questi dati, compagni, sono ben lungi dall’essere completi.

Mi è difficile trovare le parole per esprimere tutta l’indignazione che si impadronisce di noi all’idea delle torture a cui vengono sottoposti oggi i lavoratori in molti paesi fascisti. Le cifre e i fatti che citiamo non riflettono neanche la centesima parte del quadro reale dello sfruttamento e delle sofferenze senza limiti che il terrore bianco reca quotidianamente alla classe operaia nei diversi paesi capitalisti.

Nessun libro può dare un’idea chiara delle innumerevoli crudeltà commesse dal fascismo sui lavoratori.

Con profonda commozione e con odio profondo contro i carnefici fascisti, noi inchiniamo le bandiere dell’Internazionale Comunista dinanzi alla memoria imperitura dei compagni tedeschi John Scheer, Fiete Schultze e Lüttgens, dei compagni austriaci Koloman Wallisch e Münichreiter, dei compagni ungheresi Sciallai e Fürst, dei compagni bulgari Kofargiev, Liutibrodski e Voikov, alla memoria delle migliaia e migliaia di operai, di contadini, di rappresentanti degli intellettuali progressisti, comunisti, socialdemocratici e senza partito, che hanno dato la vita nella lotta contro il fascismo.

Dalla tribuna di questo Congresso, noi salutiamo il capo del proletariato tedesco e presidente onorario del nostro Congresso, il compagno Thaelmann (applausi fragorosi, tutti si alzano). Salutiamo i compagni Rakosi, Gramsci (applausi fragorosi, tutti si alzano), Antikainen, Jonko Panov. Salutiamo il capo dei socialisti spagnoli, Largo Caballero, gettato in prigione dai controrivoluzionari; Tom Mooney, che già da 18 anni langue in prigione e le migliaia di altri prigionieri del capitale e del fascismo (applausi fragorosi). E noi diciamo loro: «Fratelli di lotta, fratelli d’arme! Voi non siete dimenticati. Noi siamo con voi. Daremo ogni ora della nostra vita, ogni goccia del nostro sangue per la vostra liberazione e per la liberazione di tutti i lavoratori dall’infame regime fascista!» (applausi scroscianti, tutta la sala è in piedi).

Compagni! Lenin ci aveva già avvertiti che la borghesia può riuscire a scatenare contro i lavoratori un feroce terrore e a respingere per un periodo di tempo più o meno breve le forze crescenti della rivoluzione, ma che, ciononostante, non si salverà dalla rovina.

«La vita – scriveva Lenin – vincerà. La borghesia può dimenarsi: può esasperarsi, fino a perdere la ragione; può esagerare, commettere sciocchezze, vendicarsi a priori dei bolscevichi e ammazzare ancora a centinaia, a migliaia, a centinaia di migliaia i bolscevichi di ieri e di domani (come in India, in Ungheria, in Germania, ecc.). Nell’agire così la borghesia agisce come agirono tutte le classi condannate dalla storia alla morte. I comunisti devono sapere che l’avvenire appartiene a loro in ogni caso; perciò noi possiamo e dobbiamo coniugare la massima passione nella grande lotta rivoluzionaria con la valutazione più fredda e spassionata dei furibondi soprassalti della borghesia».(2)

2. V.I. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 2019.


Sì, se noi e il proletariato di tutto il mondo seguiremo senza deviare la via tracciata da Lenin e da Stalin, la borghesia, malgrado tutto, perirà! (applausi).


È inevitabile la vittoria del fascismo?

Perché e in quale modo il fascismo ha potuto vincere?

Il fascismo è il peggior nemico della classe operaia e dei lavoratori. Il fascismo è il nemico dei nove decimi del popolo tedesco, dei nove decimi del popolo austriaco, dei nove decimi degli altri popoli dei paesi fascisti. Come, in quale modo, questo acerrimo nemico ha potuto vincere?

Il fascismo ha potuto giungere al potere prima di tutto perché la classe operaia, a causa della politica di collaborazione di classe dei capi della socialdemocrazia con la borghesia, si trovò divisa, disarmata politicamente e organizzativamente di fronte alla borghesia che passava all’offensiva. E i partiti comunisti non erano abbastanza forti per salvare le masse, senza e contro la socialdemocrazia, e condurle alla battaglia decisiva contro il fascismo.

Infatti, che i milioni di operai socialdemocratici, i quali oggi insieme ai loro fratelli comunisti subiscono gli orrori della barbarie fascista, riflettano seriamente: se nel 1918, quando scoppiò la rivoluzione in Germania e in Austria, il proletariato austriaco e quello tedesco non avessero seguito la direzione socialdemocratica di Otto Bauer, Federico Adler e Renner in Austria, di Ebert e di Scheidemann in Germania, ma avessero invece seguito la via dei bolscevichi russi, la via di Lenin e di Stalin, oggi non esisterebbe fascismo né in Austria né in Germania, né in Italia, né in Ungheria, né in Polonia, né nei Balcani. Non la borghesia, ma la classe operaia sarebbe da molto tempo padrona della situazione in Europa (applausi).

Prendiamo, per esempio, la socialdemocrazia austriaca. La rivoluzione del 1918 le fece compiere un prodigioso balzo in avanti. Essa aveva il potere nelle mani, aveva delle salde posizioni nell’esercito, nell’apparato statale. Grazie a queste posizioni avrebbe potuto distruggere in germe il fascismo nascente. Ma cedette una dopo l’altra, senza resistenza, le posizioni della classe operaia. Permise alla borghesia di rafforzare il proprio potere, di abrogare la Costituzione, di epurare l’apparato statale, l’esercito e la polizia dai militanti socialdemocratici, di strappare l’arsenale agli operai. Essa permise ai banditi fascisti di assassinare impunemente gli operai socialdemocratici, accettò le condizioni del patto Hüttenberg, il quale aprì le porte delle officine agli elementi fascisti. Nello stesso tempo, i capi della socialdemocrazia prendevano in giro gli operai con il programma di Linz, che prevedeva l’eventualità della violenza armata contro la borghesia e dell’instaurazione della dittatura del proletariato, assicurando agli operai stessi che il partito avrebbe proclamato lo sciopero generale e la lotta armata se le classi dirigenti fossero ricorse alla violenza contro la classe operaia. Come se tutta la politica di preparazione dell’attacco fascista non fosse un susseguirsi di violenze, coperte di forme costituzionali, contro la classe operaia! Persino alla vigilia delle lotte di febbraio, e nel corso della battaglia, la direzione della socialdemocrazia austriaca lasciò isolato dalle grandi masse lo «Schutzbund» (3) che lottava eroicamente e condannò il proletariato austriaco alla sconfitta.

3. Organizzazione paramilitare socialdemocratica austriaca fondata nel 1923.


Era forse inevitabile la vittoria del fascismo in Germania? No, la classe operaia tedesca poteva impedirla. Ma per poterla impedire avrebbe dovuto riuscire a formare il Fronte unico proletario antifascista, avrebbe dovuto costringere i capi della socialdemocrazia a cessare la campagna contro i comunisti e ad accettare le reiterate proposte del Partito comunista per l’unità d’azione contro il fascismo.

Essa avrebbe dovuto impedire che il governo Braun-Severing sciogliesse l’Unione dei combattenti rossi e stabilire un saldo collegamento di lotta tra questi e i membri della «Reichsbanner»,(4) che erano quasi un milione, costringendo Braun e Severing ad armare gli uni e gli altri per resistere alle bande fasciste e schiacciarle.

4. Lega della «Bandiera dell’Impero», organizzazione semi-militare di massa della socialdemocrazia.


Essa avrebbe dovuto costringere i capi della socialdemocrazia, che erano alla testa del governo della Prussia, a prendere dei provvedimenti di difesa contro il fascismo, ad arrestare i capi fascisti, a sopprimere la loro stampa, a confiscare i loro mezzi materiali e i mezzi dei capitalisti che finanziavano il movimento fascista, a sciogliere le organizzazioni fasciste, a toglier loro le armi, ecc.

Inoltre, essa avrebbe dovuto esigere il ripristino e l’allargamento di tutte le forme di assistenza sociale e l’introduzione della moratoria e dei sussidi per i contadini rovinati dalla crisi, coprendo le spese con un’imposta sulle banche e sui trust e assicurarsi così l’appoggio dei contadini lavoratori. Ciò non fu fatto, per colpa della socialdemocrazia tedesca e per questa ragione il fascismo riuscì a vincere.

Era forse inevitabile il trionfo della borghesia e dei nobili in Spagna, in un paese nel quale le forze dell’insurrezione proletaria si combinano così favorevolmente con la guerra contadina?(5)

5. Il riferimento è alla crisi politica spagnola del 1930-31 che pose fine alla dittatura di Miguel Primo de Rivera e mise in fuga re Alfonso XIII che l’aveva sostenuta fin dal 1923. Con le elezioni municipali del 12 aprile 1931 un imponente schieramento di forze politiche fece scelte repubblicane, mettendo così fine a una delle più antiche monarchie europee e sancendo la nascita della Repubblica Spagnola, la cui Carta costituzionale mirò a ridurre il potere e l’influenza dell’esercito, della Chiesa cattolica e dei proprietari terrieri nelle attività dello Stato e ad avviare la riforma agraria. Pochi anni dopo, nel 1934, vi fu il primo rovescio di fronte, con la vittoria di uno schieramento conservatore, mentre la rivoluzione socialista che prendeva corpo nelle Asturie (regione della Spagna nord-occidentale) veniva repressa dal generale Francisco Franco, allontanato al varo della Repubblica per le sue posizioni fasciste e poi richiamato in funzione anticomunista, che chiese pieni poteri.


I socialisti spagnoli erano al governo fin dai primi giorni della rivoluzione. Orbene, stabilirono forse il collegamento per la lotta comune fra le organizzazioni operaie di tutte le correnti politiche, compresi i comunisti e gli anarchici? Riunirono forse la classe operaia in un’unica organizzazione sindacale? Reclamarono forse la confisca delle terre dei latifondisti, della chiesa e dei monasteri a favore dei contadini, allo scopo di conquistare questi ultimi alla rivoluzione? Si provarono forse a lottare per l’autodecisione nazionale dei catalani, dei baschi, per la liberazione del Marocco?

Procedettero forse all’epurazione dell’esercito dagli elementi monarchici e fascisti, per preparare il passaggio dell’esercito dalla parte degli operai e dei contadini? Sciolsero forse la Guardia civile, odiata dal popolo, carnefice di tutti i movimenti popolari? Colpirono forse il partito fascista di Gil Robles, colpirono la potenza della Chiesa cattolica? No, essi non fecero nulla di tutto ciò! Essi respinsero le reiterate proposte de comunisti per l’unità d’azione contro l’offensiva della reazione borghese-latifondista e del fascismo.

Promulgarono delle leggi elettorali che permisero alla reazione la conquista della maggioranza delle Cortes, delle leggi in forza delle quali si processano oggi gli eroici minatori delle Asturie. Essi, con le armi della Guardia civile, spararono sui contadini che lottavano per la terra; e via seguitando...

La socialdemocrazia ha così aperto la strada al fascismo, sia in Germania che in Austria e in Spagna, disorganizzando e dividendo le fila della classe operaia.

Compagni, il fascismo ha vinto anche perché il proletariato si trovò isolato dai suoi alleati naturali. Il fascismo ha vinto perché è riuscito a trascinare con sé le grandi masse dei contadini, grazie alla politica sostanzialmente anticontadina condotta dalla socialdemocrazia a nome della classe operaia. Il contadino ha visto susseguirsi al potere una serie di governi socialdemocratici, i quali rappresentavano per lui il potere della classe operaia; ma nessuno di questi governi mise fine alla miseria dei contadini, nessuno diede ai contadini la terra. La socialdemocrazia in Germania non toccò i latifondisti, si oppose agli scioperi dei salariati agricoli e, di conseguenza, molto tempo prima che Hitler giungesse al potere, gli operai agricoli abbandonarono i sindacati riformisti e passarono per lo più agli «Elmi di Acciaio» e ai nazional-socialisti.

Il fascismo ha vinto anche perché è riuscito a penetrare tra la gioventù, mentre la socialdemocrazia distoglieva la gioventù operaia dalla lotta di classe e il proletariato rivoluzionario non svolgeva tra i giovani il necessario lavoro di educazione e non dedicava sufficiente attenzione ai loro interessi e ai loro bisogni specifici. Il fascismo ha fatto leva sul bisogno di attività combattiva, particolarmente acuto nei giovani e ha attirato una parte considerevole della gioventù nelle sue squadre di combattimento. La nuova generazione della gioventù maschile e femminile non è passata attraverso gli orrori della guerra. Sente sulle sue spalle tutto il peso della crisi economica, della disoccupazione e della disgregazione della democrazia borghese. Privi di prospettive per l’avvenire, strati considerevoli di giovani si sono mostrati particolarmente sensibili alla demagogia fascista, che prometteva loro un avvenire allettante dopo la vittoria del fascismo.

A questo proposito, non possiamo non rilevare anche una serie di errori dei partiti comunisti, errori che frenarono la nostra lotta contro il fascismo. Nelle nostre fila si è verificata una intollerabile sottovalutazione del pericolo fascista, sottovalutazione che non è ancora superata dappertutto.

Questa sottovalutazione che si verificava per il passato nei nostri partiti, si esprimeva nell’affermazione che «la Germania non è l’Italia», nel senso che il fascismo aveva potuto vincere in Italia, ma che la sua vittoria era da escludersi in Germania, dove l’industria e la cultura erano altamente sviluppate, dove esisteva una tradizione di 40 anni di movimento operaio e dove il fascismo era perciò impossibile. Così dicasi delle opinioni che si riscontrano attualmente e secondo le quali nei paesi della democrazia borghese “classica” non vi è terreno per il fascismo. Tali opinioni hanno potuto e possono contribuire a rallentare la vigilanza nei confronti del pericolo fascista e a ostacolare la mobilitazione del proletariato nella lotta contro il fascismo.

Si possono anche citare non pochi casi nei quali i comunisti furono colti di sorpresa dal colpo di Stato fascista. Ricordate la Bulgaria, quando la direzione del nostro Partito prese una posizione “neutrale”, e in sostanza opportunista, di fronte al colpo di Stato del 9 giugno 1923; ricordate la Polonia, quando nel maggio 1926 la direzione del Partito comunista, valutando in modo sbagliato le forze motrici della rivoluzione polacca, non seppe scoprire il carattere fascista del colpo di Stato di Piłsudski e restò alla coda degli avvenimenti; ricordate la Finlandia, dove il nostro Partito, mosso dal preconcetto di una fascistizzazione lenta e graduale, non vide il colpo di Stato fascista che il gruppo dirigente della borghesia preparava e che colse di sorpresa il Partito e la classe operaia.

Quando il nazional-socialismo, in Germania, era già divenuto un minaccioso movimento di massa, certi compagni, per i quali il governo di Brüning (6) era già un governo di dittatura fascista, affermavano presuntuosamente: «Se il “terzo impero” hitleriano verrà mai al mondo, verrà al mondo un metro e mezzo sotto terra e sopra vi sorgerà il potere operaio vittorioso».

6. Il governo Brüning, sostenuto da una coalizione centrista con l’appoggio esterno dal Partito Socialdemocratico di Germania, fu in carica per un primo mandato dal 30 marzo 1930 al 7 ottobre 1931. Poi, dopo un rimpasto dovuto alle dimissioni del ministro degli esteri, fu di nuovo in carica, come governo di minoranza sostenuto dagli stessi partiti borghesi di centro ad esclusione del DVP, dal 10 ottobre 1931 al 30 maggio 1932.


I nostri compagni in Germania per molto tempo non tennero nella dovuta considerazione il sentimento nazionale offeso e l’indignazione delle masse contro Versailles, trascurarono le oscillazioni dei contadini e della piccola borghesia, si occuparono in ritardo del programma di liberazione sociale e nazionale e quando lo presentarono non seppero adattarlo ai bisogni concreti e al livello delle masse, non seppero neanche farlo conoscere largamente tra le masse stesse.

In parecchi paesi lo sviluppo indispensabile della lotta di massa contro il fascismo fu sostituito da sterili ragionamenti sul carattere del fascismo “in generale” e da una ristrettezza settaria nell’impostazione e nella soluzione dei compiti politici attuali del Partito.

Compagni, non è per il semplice desiderio di rovistare nel passato che noi parliamo delle cause della vittoria del fascismo e rileviamo la responsabilità storica della socialdemocrazia e anche i nostri errori nella lotta contro il fascismo. Noi non siamo degli storici avulsi dalla vita, noi siamo dei combattenti della classe operaia e abbiamo l’obbligo di rispondere alla domanda che tormenta milioni di lavoratori: «È possibile e per quali vie impedire la vittoria del fascismo?». E a questi milioni di operai rispondiamo: «Sì compagni, è possibile sbarrare la strada al fascismo! È del tutto possibile; ciò dipende da noi stessi, dagli operai, dai contadini, da tutti i lavoratori!».

La possibilità di prevenire la vittoria del fascismo dipende prima di tutto dalla combattività della classe operaia stessa, dalla compattezza delle sue forze, strette in un unico battagliero esercito che lotti contro l’offensiva del capitale e del fascismo. Il proletariato, attuando l’unità per la lotta, paralizzerebbe l’influenza del fascismo sui contadini, sulla piccola borghesia urbana, sulla gioventù e sugli intellettuali, riuscirebbe a neutralizzarne una parte e ad attirare l’altra nel suo campo.

In secondo luogo, ciò dipende dall’esistenza di un forte partito rivoluzionario che diriga in modo giusto la lotta dei lavoratori contro il fascismo. Un partito che invece spinga sistematicamente gli operai a ritirarsi di fronte al fascismo e permetta alla borghesia fascista di rafforzare le sue posizioni, un partito siffatto porta inevitabilmente gli operai alla sconfitta.

In terzo luogo, ciò dipende dalla giusta politica della classe operaia rispetto ai contadini e alle masse piccolo-borghesi della città. Queste masse bisogna prenderle come sono e non come si vorrebbe che fossero. Soltanto nel corso della lotta esse elimineranno i loro dubbi e le loro esitazioni; soltanto con un atteggiamento di pazienza rispetto alle loro inevitabili esitazioni e con l’aiuto politico del proletariato esse perverranno a un grado più elevato di coscienza e di attività rivoluzionaria.

In quarto luogo, ciò dipende dalla vigilanza e dall’azione tempestiva del proletariato rivoluzionario. Non dare la possibilità al fascismo di prenderci di sorpresa, non lasciargli l’iniziativa, vibrargli dei colpi decisivi quando non è ancora riuscito a raccogliere le sue forze, non permettergli di rafforzarsi, opporgli resistenza a ogni passo, ovunque si manifesti, non permettergli la conquista di nuove posizioni, come cerca di fare con successo il proletariato francese (applausi).

Ecco le condizioni principali per impedire lo sviluppo del fascismo e la sua andata al potere.

Il fascismo è un potere feroce, ma instabile

La dittatura fascista della borghesia è un potere feroce, ma instabile. Quali sono le cause principali dell’instabilità del fascismo?

Il fascismo, che si propone di superare le divergenze e le contraddizioni nel campo della borghesia, acuisce ancora di più queste contraddizioni. Il fascismo si sforza di instaurare il suo monopolio politico distruggendo con la violenza gli altri partiti politici. Ma l’esistenza del sistema capitalista, l’esistenza di diverse classi e l’inasprimento delle contraddizioni di classe scuotono e fanno crollare inevitabilmente il monopolio politico del fascismo. Non è come nel paese dei Soviet, dove la dittatura del proletariato è attuata anch’essa da un partito che ha il monopolio, ma dove questo monopolio politico corrisponde agli interessi di milioni di lavoratori e poggia sempre più sulla costruzione della società senza classi. In un paese fascista, il partito dei fascisti non può conservare a lungo il suo monopolio, perché non è in grado di porsi il compito di distruggere le classi e le contraddizioni di classe. Distrugge l’esistenza legale dei partiti borghesi, ma parecchi di essi continuano a esistere illegalmente. E il Partito comunista, anche nell’illegalità, avanza, si tempra e dirige la lotta del proletariato contro la dittatura fascista. In questo modo, il monopolio politico del fascismo, sotto i colpi delle contraddizioni di classe, deve crollare.

Un’altra causa dell’instabilità della dittatura fascista sta nel fatto che il contrasto tra la demagogia anticapitalista del fascismo e la politica del più brigantesco arricchimento della borghesia monopolista permette di smascherare più facilmente l’essenza di classe del fascismo e giunge a scalzare e a restringere la sua base di massa.

La vittoria del fascismo suscita inoltre l’odio profondo e l’indignazione delle masse, favorisce la loro rivoluzionarizzazione e dà un impulso potente al Fronte unico del proletariato contro il fascismo.

Il fascismo, facendo una politica di nazionalismo economico (autarchia) e assorbendo la maggior parte del reddito nazionale nella preparazione della guerra, mina tutta l’economia del paese e acutizza la lotta economica tra gli Stati capitalisti. Esso dà ai conflitti che sorgono in seno alla borghesia il carattere di scontri violenti e non di rado cruenti e ciò mina la stabilità del potere statale agli occhi del popolo. Un potere che assassina i suoi propri partigiani, come è avvenuto il 30 giugno dell’anno scorso in Germania,(7) un potere fascista contro il quale una parte della borghesia fascista lotta con le armi alla mano (“putsch” nazional-socialista in Austria, attacchi violenti di alcuni gruppi fascisti contro il governo fascista in Polonia, in Bulgaria, in Finlandia e in altri paesi) è un potere che non può a lungo conservare la propria autorità agli occhi delle grandi masse piccolo-borghesi.

7. È la “notte dei lunghi coltelli”, ricordata in Germania con l’espressione nazista “Röhm-Putsch”. Si tratta di un’operazione (avvenuta per mano delle SS e che coinvolse, su ordine diretto di Hitler, le SA naziste - le squadre d’assalto - nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934 nella cittadina di Bad Wiessee) con la quale i nazisti trucidarono oppositori del regime, vecchi nemici e finanche ex compagni politici di Hitler. I dati ufficiali diffusi dal Reich il 13 luglio parlano di 71 persone uccise, ma il totale stimato delle vittime ammonta a circa 200.


La classe operaia deve saper utilizzare le contraddizioni e i conflitti che sorgono nel campo della borghesia, ma non deve illudersi che il fascismo si esaurisca da sé. Il fascismo non cade automaticamente. Soltanto l’attività rivoluzionaria della classe operaia permette di utilizzare i conflitti che sorgono inevitabilmente nel campo della borghesia per minare la dittatura fascista e abbatterla.

Il fascismo elimina gli ultimi resti della democrazia borghese, erige la violenza aperta a sistema di governo e scalza con ciò le illusioni democratiche e l’autorità delle leggi agli occhi delle masse lavoratrici. Questo avviene in special modo in quei paesi, come ad esempio l’Austria e la Spagna, dove gli operai si sono battuti contro il fascismo con le armi alla mano. La lotta eroica dello «Schutzbund» e dei comunisti in Austria, malgrado la sconfitta, ha scosso fin dal primo momento la solidità della dittatura fascista. In Spagna, la borghesia non è riuscita ad imporre il bavaglio fascista ai lavoratori. Grazie alle lotte armate che si sono svolte in Spagna e in Austria, la necessità della lotta di classe rivoluzionaria è compresa da strati sempre più larghi della classe operaia.

Solo dei filistei incancreniti, dei lacchè della borghesia, come il più vecchio teorico della II Internazionale, Karl Kautsky, possono rimproverare gli operai dicendo che non bisognava prendere le armi in Austria e in Spagna. Che cosa sarebbe oggi il movimento operaio in Austria e in Spagna, se la classe operaia di questi paesi avesse seguito i consigli di tradimento che Kautsky le dava? Una profonda demoralizzazione sarebbe penetrata nelle fila della classe operaia.

«La scuola della guerra civile – dice Lenin – non è vana per i popoli. Essa è una scuola severa e i suoi corsi completi comprendono inevitabilmente delle vittorie della controrivoluzione, delle orge sanguinose dei reazionari inferociti, delle repressioni selvagge del vecchio potere contro i ribelli, ecc. Ma soltanto dei pedanti inveterati e delle mummie senza cervello possono versare delle lacrime per il fatto che i popoli passano attraverso questa scuola dolorosa. Questa scuola insegna alle classi oppresse come si conduce la guerra civile, come si giunge alla rivoluzione vittoriosa; concentra nella massa degli schiavi moderni quell’odio che gli schiavi umiliati, istupiditi, ignoranti, eternamente accumulano nel loro seno, ma che suscita le più grandi rivolte storiche degli schiavi coscienti dell’obbrobrio della loro schiavitù».(8)

8. V.I. Lenin, Sostanze infiammabili nella politica mondiale (agosto 1908), in Opere vol. 15, Editori Riuniti (1967).


La vittoria del fascismo in Germania ha scatenato, com’è noto, una nuova ondata offensiva del fascismo, la quale ha condotto alla provocazione di Dollfuss in Austria, a nuovi attacchi della controrivoluzione contro le conquiste rivoluzionarie delle masse in Spagna, alla riforma fascista della costituzione in Polonia e ha incoraggiato in Francia le squadre armate dei fascisti a tentare un colpo di Stato nel febbraio 1934. Ma questa stessa vittoria e la sfrenatezza della dittatura fascista hanno suscitato un movimento di Fronte unico proletario contro il fascismo su scala internazionale. L’incendio del Reichstag, che fu il segnale dell’offensiva generale del fascismo contro la classe operaia, l’occupazione e il saccheggio dei Sindacati e delle altre organizzazioni operaie, i gemiti degli antifascisti torturati che salgono dai sotterranei delle caserme e dai campi di concentramento fascisti, mostrano alle masse, in modo evidente, quali sono le conseguenze della condotta scissionista e reazionaria dei capi della socialdemocrazia tedesca, che respinsero le proposte dei comunisti per la lotta comune contro l’offensiva fascista e convincono della necessità di unire tutte le forze della classe operaia per abbattere il fascismo.

La vittoria di Hitler ha dato, inoltre, una spinta decisiva alla creazione in Francia del Fronte unico della classe operaia contro il fascismo. La vittoria di Hitler non solo ha allarmato gli operai francesi per la sorte degli operai tedeschi, non solo ha attizzato il loro odio contro i carnefici dei loro fratelli di classe tedeschi, ma ha altresì rafforzato la loro decisione di non permettere a nessun costo che avvenga nel loro paese ciò che è avvenuto alla classe operaia in Germania.

La potente aspirazione al Fronte unico in tutti i paesi capitalisti dimostra che gli insegnamenti della disfatta non vanno perduti. La classe operaia incomincia ad agire in modo nuovo. L’iniziativa del Partito comunista nell’organizzazione del Fronte unico e l’abnegazione illimitata dei comunisti, degli operai rivoluzionari nella lotta contro il fascismo hanno fruttato un aumento senza precedenti dell’autorità dell’Internazionale Comunista. Nello stesso tempo si sviluppa una crisi profonda della II Internazionale, crisi che si manifesta con particolare chiarezza e si aggrava dopo la bancarotta della socialdemocrazia tedesca. Gli operai socialdemocratici possono convincersi sempre più che, in fin dei conti, la Germania fascista, con tutti i suoi orrori e le sue barbarie, altro non è che una conseguenza della politica socialdemocratica di collaborazione di classe con la borghesia. Le masse comprendono sempre più che non bisogna rimettersi sulla strada per la quale i capi della socialdemocrazia tedesca hanno condotto il proletariato. Nel campo della II Internazionale non si era mai visto uno sbandamento ideologico simile a quello che si nota oggi. In tutti i partiti socialdemocratici si svolge un processo di differenziazione.

Dalle loro fila si vanno staccando due campi fondamentali: accanto al campo degli elementi reazionari, i quali fanno di tutto per conservare il blocco della socialdemocrazia con la borghesia e respingono furiosamente il Fronte unico con i comunisti, incomincia a formarsi il campo degli elementi rivoluzionari, i quali dubitano che la politica di collaborazione di classe con la borghesia sia giusta, sono favorevoli alla creazione del Fronte unico con i comunisti e incominciano a passare in misura sempre maggiore sulle posizioni della lotta di classe rivoluzionaria.

Il fascismo, dunque, che si è manifestato come il risultato della decadenza del sistema capitalista, agisce, in ultima analisi, come un fattore della sua ulteriore decomposizione. Perciò il fascismo, che si assume il compito di seppellire il marxismo, di seppellire il movimento rivoluzionario della classe operaia, conduce esso stesso, in seguito alla dialettica della vita e della lotta di classe, a uno sviluppo ulteriore di quelle forze che devono divenire il suo becchino, il becchino del capitalismo (applausi).


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II

IL FRONTE UNICO DELLA CLASSE OPERAIA CONTRO IL FASCISMO


Compagni, milioni di operai e di lavoratori dei paesi capitalisti si domandano: «Come impedire l’andata del fascismo al potere e come abbatterlo là dove è al potere?». L’Internazionale Comunista risponde: «La prima cosa che bisogna fare, il punto dal quale bisogna incominciare, è la creazione del Fronte unico, la realizzazione dell’unità d’azione degli operai in ogni luogo di lavoro, in ogni provincia, in ogni regione, in ogni paese, in tutto il mondo. L’unità d’azione del proletariato su scala nazionale e internazionale: ecco l’arma possente che dà alla classe operaia non solo la capacità di difendersi vittoriosamente, ma anche di passare con successo alla controffensiva contro il fascismo, contro il nemico di classe».


Importanza del Fronte unico

Non è forse evidente che l’azione comune degli aderenti ai partiti e alle organizzazioni delle due Internazionali – l’Internazionale Comunista e la II Internazionale – faciliterebbe la resistenza delle masse contro l’assalto fascista e aumenterebbe il peso politico della classe operaia?

Ma l’azione comune dei partiti delle due Internazionali non eserciterebbe soltanto la sua influenza sui loro partigiani attuali, sui comunisti e sui socialdemocratici; essa esercirebbe una vigorosa influenza sugli operai cattolici, sugli operai anarchici, sugli operai non organizzati, persino su quegli stessi operai che temporaneamente sono caduti vittime della demagogia fascista.

Il possente Fronte unico del proletariato eserciterebbe inoltre un’influenza immensa su tutti gli altri strati del popolo lavoratore, sui contadini, sulla piccola borghesia urbana, sugli intellettuali. Il Fronte unico ispirerebbe agli strati esitanti la fiducia nella forza della classe operaia.

Ma non è ancora tutto. Il proletariato di un paese imperialista ha la possibilità di avere come alleati non soltanto i lavoratori del proprio paese, ma anche le nazionalità oppresse delle colonie e dei paesi semi-coloniali. Se il proletariato è diviso su scala nazionale e internazionale, se una delle sue frazioni appoggia la politica di collaborazione con la borghesia e in modo particolare il regime di oppressione nelle colonie e nei paesi semi-coloniali, questa divisione respinge i popoli delle colonie e dei paesi semi-coloniali dalla classe operaia e indebolisce il fronte antimperialista mondiale.

Ogni passo del proletariato delle metropoli imperialiste sulla via dell’unità d’azione per sostenere la lotta di liberazione dei popoli coloniali, contribuisce a trasformare le colonie e i paesi semi-coloniali in una delle principali riserve del proletariato mondiale.

Infine, se consideriamo che l’unità d’azione internazionale del proletariato poggia sulla forza sempre crescente dello Stato proletario, del paese del socialismo, dell’Unione dei Soviet, comprendiamo quali ampie prospettive apra la realizzazione dell’unità d’azione del proletariato su scala nazionale e internazionale.

È necessario che l’unità d’azione di tutti i settori della classe operaia, indipendentemente dal partito o dall’organizzazione ai quali appartengono, si realizzi ancor prima che la maggioranza della classe operaia si unisca nella lotta per l’abbattimento del capitalismo e per la vittoria della rivoluzione proletaria.

È possibile realizzare questa unità d’azione del proletariato nei singoli paesi e nel mondo intero? Sì, è possibile; è possibile fin d’ora. L’Internazionale Comunista non pone nessuna condizione all’unità d’azione, a eccezione di una sola, elementare, che tutti i lavoratori possono accettare. E precisamente che l’unità d’azione sia diretta contro il fascismo, contro l’offensiva del capitale, contro la minaccia di guerra, contro il nemico di classe. Ecco la nostra condizione.


Principali argomenti degli avversari del Fronte unico

Che cosa possono obbiettare e che cosa obbiettano gli avversari del Fronte unico?

- «Per i comunisti, la parola d’ordine del Fronte unico non è che una manovra», dicono gli uni. «Ma – rispondiamo noi – se è una manovra, perché non smascherate la “manovra comunista” con una vostra onesta partecipazione al Fronte unico?». Noi dichiariamo apertamente: «Vogliamo l’unità d’azione della classe operaia affinché il proletariato sia più forte nella sua lotta contro la borghesia e, difendendo oggi i suoi interessi quotidiani contro l’offensiva del capitale, contro il fascismo, sia in grado domani di creare le premesse per la sua definitiva emancipazione».

- «I comunisti ci attaccano», dicono gli altri. Ma ascoltate: abbiamo già dichiarato più di una volta che non attaccheremo nessuno: né le persone, né le organizzazioni, né i partiti che sono per il Fronte unico della classe operaia contro il nemico di classe. Ma allo stesso tempo, nell’interesse del proletariato e della sua causa, siamo costretti a criticare le persone, le organizzazioni e i partiti che ostacolano l’unità d’azione degli operai.

- «Non possiamo concludere un accordo per il Fronte unico con i comunisti – dicono i terzi – perché essi hanno un altro programma». Ma voi stessi affermate che il vostro programma è diverso dal programma dei partiti borghesi, e tuttavia ciò non vi ha impedito e non vi impedisce di entrare in coalizione con questi partiti!

- «I partiti democratici borghesi – dicono gli avversari del Fronte unico e i difensori della coalizione con la borghesia – sono migliori dei comunisti come alleati contro il fascismo». Ma che cosa ci insegna l’esperienza della Germania? I socialdemocratici avevano ben formato un blocco con questi alleati “migliori”. E quali ne sono stati i risultati?

- «Se applichiamo il Fronte unico con i comunisti, i piccoli borghesi si impauriranno del “pericolo rosso” e si getteranno nelle braccia dei fascisti», sentiamo dire. Ma il Fronte unico è forse una minaccia per i contadini, per i piccoli commercianti, per gli artigiani, per gli intellettuali lavoratori? No, il Fronte unico è una minaccia per la grande borghesia, per i magnati della finanza, per i signorotti feudali e per gli altri sfruttatori, il cui regime porta la rovina completa a tutti questi strati.

- «La socialdemocrazia è per la democrazia, i comunisti sono invece per la dittatura; perciò non possiamo attuare il Fronte unico con i comunisti», dicono molti capi socialdemocratici. Ma noi, oggi, proponiamo forse il Fronte unico per proclamare la dittatura del proletariato? No, per il momento non proponiamo questo, non è vero?

- «Che i comunisti riconoscano la democrazia e scendano in campo per la sua difesa; allora, saremo pronti ad accettare il Fonte unico». Rispondiamo: «Noi siamo partigiani della democrazia sovietica, della democrazia dei lavoratori, della democrazia più coerente che esista al mondo. Ma difendiamo e difenderemo palmo a palmo, nei paesi capitalisti, le libertà democratiche borghesi, contro le quali si scagliano il fascismo e la reazione borghese, perché così vogliono gli interessi della lotta di classe del proletariato».

- «Ma la partecipazione dei piccoli partiti comunisti non aggiunge nulla al Fronte unico già realizzato dal Partito laburista», dicono, ad esempio, i capi laburisti in Inghilterra. Ma non dimenticate che i capi socialdemocratici austriaci dicevano le stesse cose a proposito del piccolo Partito Comunista Austriaco? E che cosa hanno dimostrato gli avvenimenti? Chi aveva ragione non era già la socialdemocrazia austriaca con Otto Bauer e Renner alla testa, ma il piccolo Partito Comunista Austriaco, che denunciò a tempo il pericolo fascista in Austria e chiamò gli operai alla lotta. Tutta l’esperienza del movimento operaio ha dimostrato che i comunisti, nonostante il loro numero relativamente ristretto, sono il motore delle lotte del proletariato. Non bisogna dimenticare inoltre che i partiti comunisti d’Austria o d’Inghilterra non rappresentano soltanto le decine di migliaia di operai che seguono il Partito, ma sono un distaccamento del movimento comunista mondiale, sono delle sezioni dell’Internazionale Comunista, il cui Partito dirigente è il partito del proletariato che ha già vinto e che governa nella sesta parte del globo.

- «Ma il Fronte unico non ha impedito la vittoria del fascismo nella Saar», obbiettano gli avversari del Fronte unico. Strana logica quella di questi signori! Prima fanno di tutto per assicurare la vittoria del fascismo e poi malignano perché il Fronte unico, che hanno accettato soltanto all’ultimo momento, non ha condotto gli operai alla vittoria.

- «Se costituissimo il Fronte unico con i comunisti, dovremmo uscire dalla coalizione e i partiti reazionari e fascisti andranno al governo», affermano i capi socialdemocratici che sono al governo in vari paesi. Bene. Ma la socialdemocrazia tedesca non faceva forse parte di un governo di coalizione? Certo. La socialdemocrazia austriaca era o no al governo? Senza dubbio. I socialisti spagnoli non erano forse al governo insieme con la borghesia? Anche questo è innegabile. La partecipazione della socialdemocrazia ai governi borghesi di coalizione ha forse impedito in questi paesi l’attacco del fascismo contro il proletariato? No, non lo ha impedito. È dunque chiaro come la luce del sole che la partecipazione dei ministri socialdemocratici ai governi borghesi non è una barriera contro il fascismo.

- «I comunisti agiscono come dei dittatori; vogliono prescriverci e imporci tutto». No! Noi non prescriviamo e non imponiamo nulla. Noi presentiamo soltanto le nostre proposte, convinti che la loro attuazione risponde agli interessi del popolo lavoratore. Questo non è soltanto un diritto, ma un dovere di tutti coloro che parlano a nome degli operai. Voi temete la “dittatura” dei comunisti? Avanti, presentiamo in comune agli operai tutte le proposte: le vostre e le nostre. Discutiamole in comune con tutti gli operai e scegliamo quelle che sono più utili per la causa della classe operaia.

Come si vede, tutti questi argomenti contro il Fronte unico non resistono a nessuna critica. Si tratta piuttosto di pretesti dei capi reazionari della socialdemocrazia, i quali preferiscono il Fronte unico con la borghesia al Fronte unico del proletariato.

No, questi pretesti non reggono! Il proletariato internazionale ha troppo sofferto delle conseguenze della scissione del movimento operaio e si convince sempre più che il Fronte unico, l’unità d’azione del proletariato su scala nazionale e internazionale sono necessari e completamente possibili.



Contenuto e forme del Fronte unico

Qual è e quale deve essere il contenuto fondamentale del Fronte unico nella tappa attuale?

La difesa degli interessi economici e politici immediati della classe operaia, la difesa della classe operaia contro il fascismo deve essere il punto di partenza e deve costituire il contenuto fondamentale del Fronte unico in tutti i paesi capitalisti.

Noi non dobbiamo limitarci a lanciare dei semplici appelli alla lotta per la dittatura del proletariato, ma dobbiamo trovare e propugnare le parole d’ordine e le forme di lotta dedotte dalle esigenze vitali delle masse, dal livello della loro capacità di lotta nel momento presente.

Dobbiamo dire alle masse che cosa devono fare oggi per difendersi dal brigantaggio capitalista e dalla barbarie fascista.

Dobbiamo tendere a creare il più ampio Fronte unico, con l’ausilio di azioni comuni delle organizzazioni operaie delle diverse tendenze, per la difesa degli interessi vitali delle masse lavoratrici.

Ciò significa, in primo luogo, condurre una lotta comune per far ricadere effettivamente le conseguenze della crisi sulle spalle delle classi dominanti, sulle spalle dei capitalisti, dei latifondisti, in una parola sulle spalle dei ricchi.

In secondo luogo, ciò significa condurre una lotta comune contro tutte le forme di offensiva fascista, in difesa delle conquiste e dei diritti dei lavoratori, contro la soppressione delle libertà democratiche borghesi.

In terzo luogo, ciò significa condurre una lotta comune contro il pericolo imminente di una nuova guerra imperialista, una lotta che ostacoli la preparazione della guerra.

Noi dobbiamo preparare instancabilmente la classe operaia a modificare rapidamente le forme e i metodi di lotta quando si modifica la situazione. Di mano in mano che il movimento si sviluppa e che l’unità della classe operaia si rafforza, dobbiamo andare più avanti: preparare il passaggio dalla difensiva all’offensiva contro il capitale, orientandoci verso l’organizzazione dello sciopero politico di massa. E la condizione assoluta di un tale sciopero deve essere la partecipazione dei sindacati principali in ogni dato paese.

I comunisti, evidentemente, non possono e non devono rinunciare neanche per un minuto al loro lavoro indipendente per l’educazione comunista, per l’organizzazione e la mobilitazione delle masse. Tuttavia, allo scopo di aprire agli operai la via dell’unità d’azione, è necessario adoperarsi in pari tempo a stringere degli accordi sia di breve sia di lunga durata per delle azioni comuni con i partiti socialdemocratici, con i sindacati riformisti e con le altre organizzazioni di lavoratori, contro i nemici di classe del proletariato. In particolar modo bisogna adoperarsi a sviluppare le azioni di massa alla base, condotte dalle organizzazioni di base, per mezzo di accordi locali. Noi osserveremo lealmente le condizioni di tutti gli accordi conclusi e smaschereremo senza pietà ogni sabotaggio dell’azione comune da parte di persone e organizzazioni aderenti al Fronte unico. A ogni tentativo di rompere l’accordo – e non è da escludere che questi tentativi siano fatti – noi risponderemo facendo appello alle masse e continuando la nostra lotta instancabile per ristabilire l’unità d’azione.

È ovvio che l’attuazione concreta del Fronte unico nei diversi paesi procederà in modo diverso, assumerà forme diverse secondo lo stato e il carattere delle organizzazioni operaie, secondo il loro livello politico, secondo la situazione concreta del paese, secondo gli spostamenti che si produrranno nel movimento operaio internazionale, ecc.

Il Fronte unico può, ad esempio, prendere la forma di accordi in vista di azioni comuni degli operai caso per caso, per motivi concreti, per singole rivendicazioni o in base a una piattaforma generale; di azioni concordate nei singoli stabilimenti o per rami di produzione; di azioni concordate su scala locale, regionale, nazionale o internazionale; accordi per organizzare la lotta economica degli operai, per condurre delle azioni politiche di massa, per organizzare l’autodifesa comune contro le aggressioni fasciste; di azioni concordate per aiutare i prigionieri politici e le loro famiglie, nel campo della lotta contro la reazione sociale; infine, di azioni concordate per la difesa degli interessi della gioventù e delle donne, nel campo della cooperazione, della cultura, dello sport e così via.

Ma non ci si deve accontentare della sola conclusione di un patto per azioni comuni o della creazione di commissioni di contatto composte dai partiti e dalle organizzazioni aderenti al Fronte unico, simili a quelle, per esempio, che abbiamo in Francia. Questo non è che il primo passo. Il patto è un mezzo ausiliario per condurre delle azioni comuni, ma di per se stesso non è ancora il Fronte unico. La commissione di contatto tra le direzioni del Partito comunista e del Partito socialista è necessaria per facilitare le azioni comuni. Ma di per se stessa è di gran lunga insufficiente per un effettivo sviluppo del Fronte unico, per attirare le grandi masse alla lotta contro il fascismo.

I comunisti e tutti gli operai rivoluzionari devono adoperarsi a creare negli stabilimenti, tra i disoccupati, nei quartieri operai, tra la gente minuta della città, nelle campagne, organismi di Fronte unico di classe, al di fuori del Partito, elettivi (e nei paesi a dittatura fascista scelti tra gli elementi più autorevoli che partecipano al movimento di Fronte unico). Soltanto degli organi di questo genere possono conquistare al movimento di Fronte unico anche l’enorme massa di lavoratori non organizzati, possono contribuire allo sviluppo dell’iniziativa delle masse nella lotta contro l’offensiva del capitale, contro il fascismo e contro la reazione e, su questa base, alla formazione necessaria di un numeroso strato operaio di militanti attivi del Fronte unico, alla formazione di centinaia e di migliaia di bolscevichi senza partito nei paesi capitalisti.

L’azione comune degli operai organizzati è l’inizio, la base. Ma non dobbiamo dimenticare che le masse non organizzate formano la stragrande maggioranza degli operai. Così, in Francia, gli operai organizzati, comunisti, socialisti, iscritti a sindacati delle varie tendenze, sono in tutto circa un milione, mentre il numero totale degli operai è di undici milioni. In Inghilterra, i sindacati e i partiti di tutte le tendenze contano circa cinque milioni di operai, mentre il loro numero complessivo si aggira sui quattordici milioni. Negli Stati Uniti d’America, su trentotto milioni di operai, gli organizzati sono soltanto cinque milioni circa. Le stesse proporzioni, approssimativamente, valgono anche per molti altri paesi. In tempi “normali”, la massa degli operai non organizzati, in complesso, resta fuori della vita politica. Ma oggi questa massa gigantesca entra sempre più nel movimento, è attratta alla vita politica, interviene nell’arena politica.

La creazione di organi di classe, al di fuori dal Partito, è la forma migliore per attuare, estendere e rafforzare il Fronte unico tra gli strati più profondi delle grandi masse. Questi organi saranno anche la barriera più efficace contro tutti i tentativi degli avversari del Fronte unico di spezzare l’unità d’azione della classe operaia.


Il Fronte popolare antifascista

Per la mobilitazione delle masse lavoratrici contro il fascismo è particolarmente importante la creazione di un largo Fronte popolare antifascista sulla base del Fronte unico proletario. Il buon successo di tutta la lotta del proletariato è strettamente connesso allo stabilirsi di un’alleanza di lotta del proletariato con i contadini lavoratori e con le masse fondamentali della piccola borghesia urbana, che costituiscono la maggioranza della popolazione anche nei paesi industrialmente più sviluppati.

Il fascismo, che vuole conquistare queste masse, tenta nella sua agitazione di contrapporle al proletariato rivoluzionario e cerca di spaventare il piccolo borghese con lo spauracchio del “pericolo rosso”. Noi dobbiamo ritorcere quest’arma contro il fascismo stesso e mostrare ai contadini lavoratori, agli artigiani e ai lavoratori intellettuali dov’è il vero pericolo che li minaccia: dobbiamo mostrare loro in modo concreto chi addossa al contadino il fardello delle imposte e dei tributi, chi estorce loro interessi da strozzino, chi, possedendo le terre migliori e tutte le ricchezze, scaccia il contadino e la sua famiglia dal suo pezzetto di terra e lo condanna alla disoccupazione e alla miseria. Dobbiamo spiegare concretamente, con pazienza e perseveranza, chi rovina gli artigiani e i piccoli produttori con le tasse, con le imposte, con gli alti fitti e con una concorrenza che non possono sopportare; chi getta sulla strada e priva del lavoro le grandi masse dei lavoratori intellettuali.

Ma questo non basta. Ciò che è fondamentale, che ha un’importanza decisiva per la costituzione del Fronte popolare antifascista, è l’azione risoluta del proletariato rivoluzionario in difesa delle rivendicazioni di questi strati e in modo particolare dei contadini lavoratori, rivendicazioni che sono sulla linea degli interessi fondamentali del proletariato e che devono essere coordinate, nel corso della lotta, con le rivendicazioni della classe operaia.

È di grande importanza, nella creazione del Fronte popolare antifascista, avere un giusto atteggiamento verso le organizzazioni e i partiti ai quali appartengono in numero considerevole i contadini lavoratori e le masse fondamentali della piccola borghesia urbana.

Nei paesi capitalisti, la maggioranza di questi partiti e di queste organizzazioni, sia politiche che economiche, è ancora sotto l’influenza della borghesia e marcia al suo seguito. La composizione sociale di questi partiti e organizzazioni non è omogenea. Nelle loro fila si trovano contadini ricchi accanto a contadini senza terra, grandi affaristi accanto a piccoli bottegai; ma la direzione è sempre nelle mani dei primi, che sono agenti del grande capitale. Dobbiamo perciò procedere in modo differenziato nei riguardi di queste organizzazioni, tenendo conto che spesso la massa degli aderenti non conosce la vera fisionomia politica della propria direzione. In circostanze determinate, possiamo e dobbiamo far convergere tutti gli sforzi per attirare questi partiti e queste organizzazioni, o singole loro parti, malgrado la loro direzione borghese, dalla parte del Fronte popolare antifascista. Questa è, ad esempio, la situazione attuale in Francia per quanto riguarda il Partito radicale, negli Stati Uniti d’America per quanto concerne le diverse organizzazioni di «farmers», in Polonia per l’organizzazione «Stronnictwo Ludowe»,(9) in Jugoslavia per il Partito contadino croato, in Bulgaria per l’Unione agricola, in Grecia per gli aderenti al Partito agrario, ecc. Ma, indipendentemente dalla probabilità di riuscire ad attirare questi partiti e organizzazioni dalla parte del Fronte popolare, la nostra tattica, in tutte le condizioni, deve tendere ad attirare nel Fronte popolare antifascista i piccoli contadini, gli artigiani, i piccoli produttori e gli altri elementi che aderiscono a quei partiti e a quelle organizzazioni.

9. Partito popolare polacco.


Vedete, dunque, che è ormai tempo di farla finita su tutta la linea con l’abitudine, non rara nella nostra pratica, di ignorare o considerare con indifferenza le varie organizzazioni e i vari partiti dei contadini, degli artigiani e delle masse piccolo-borghesi urbane.


Le questioni centrali del Fronte unico nei diversi paesi

In ogni paese vi sono delle questioni centrali che, nel momento presente, mettono in movimento le più vaste masse e attorno alle quali deve essere sviluppata la lotta per la creazione del Fronte unico. Determinare giustamente questi punti vitali, queste questioni centrali, significa assicurare e accelerare la formazione del Fronte unico.


Stati Uniti d’America

Prendiamo, ad esempio, un paese così importante nel mondo capitalista come gli Stati Uniti d’America. Qui la crisi ha messo in movimento milioni di uomini. Il programma di risanamento del capitalismo è crollato. Masse enormi incominciano ad allontanarsi dai partiti borghesi e si trovano oggi di fronte a un bivio.

Il nascente fascismo americano tenta di incanalare la delusione e il malcontento di queste masse nel solco della reazione fascista. Inoltre, il fascismo americano ha questo di particolare: nella fase attuale del suo sviluppo, si presenta prevalentemente sotto le vesti di un’opposizione al fascismo come corrente “non americana”, importata dall’estero. A differenza del fascismo tedesco, il quale scese in campo con delle parole d’ordine anticostituzionali, il fascismo americano tenta di presentarsi in veste di paladino della costituzione e della “democrazia americana”. Esso non costituisce ancora una minaccia immediata. Ma se riuscisse a penetrare tra le grandi masse che hanno perso le loro illusioni sui vecchi partiti borghesi, potrebbe divenire, in breve, una grande minaccia.

E che cosa significherebbe la vittoria del fascismo negli Stati Uniti? Per le masse lavoratrici significherebbe, è chiaro, una intensificazione senza ritegno del regime di sfruttamento e la disfatta del movimento operaio. Ma quale sarebbe la portata internazionale di questa vittoria del fascismo? Gli Stati Uniti, come è noto, non sono né l’Ungheria, né la Finlandia, né la Bulgaria, né la Lettonia. La vittoria del fascismo negli Stati Uniti modificherebbe in modo molto profondo tutta la situazione internazionale.

In queste condizioni, il proletariato americano può forse accontentarsi dell’organizzazione della sua sola avanguardia cosciente di classe, pronta a marciare sulla via rivoluzionaria? No.

È del tutto evidente che gli interessi del proletariato americano esigono che tutte le sue forze si delimitino, senza indugio, dai partiti capitalisti. È necessario che esso trovi le vie e le forme adatte per grandi masse di lavoratori malcontenti. E qui dobbiamo dire che la forma adatta, nelle condizioni americane, potrebbe essere la creazione di un partito di massa dei lavoratori, “il Partito degli operai e dei farmers”. Un partito simile sarebbe la forma specifica del Fronte popolare di massa in America, in contrapposizione ai partiti dei trust e delle banche e al fascismo in via di sviluppo. È chiaro che un tale partito non sarebbe né socialista, né comunista. Ma deve essere un partito antifascista e non deve essere un partito anticomunista. Il suo programma deve essere rivolto contro le banche, i trusts e i monopoli, contro i principali nemici del popolo, contro coloro che speculano sulla miseria del popolo. Un tale partito potrà rispondere al suo scopo soltanto se difenderà le rivendicazioni quotidiane della classe operaia, se lotterà per un’effettiva legislazione sociale, per l’assicurazione contro la disoccupazione, se lotterà per dare la terra ai mezzadri di razza bianca e nera e per liberarli dal fardello dei debiti, se lotterà per ottenere l’annullamento dei debiti dei contadini, se lotterà per l’uguaglianza giuridica dei neri, per la difesa delle rivendicazioni dei reduci di guerra, per la difesa degli interessi dei liberi professionisti, dei piccoli commercianti e degli artigiani. E così via...

È ovvio che un tale partito lotterà per inviare i suoi rappresentanti agli organi amministrativi locali, agli organismi rappresentativi dei vari Stati, come pure al Congresso e al Senato.

I nostri compagni degli Stati Uniti hanno agito giustamente prendendo l’iniziativa della creazione di un simile partito. Ma devono ancora compiere dei passi effettivi perché quest’opera diventi la causa delle masse stesse. La questione dell’organizzazione di un “Partito degli operai e dei farmers” e del suo programma deve essere discussa in riunioni popolari di massa. È necessario sviluppare il più vasto movimento per la creazione di questo partito e mettersi alla sua testa.

Non si deve permettere in nessun caso che l’iniziativa dell’organizzazione del partito cada nelle mani di elementi che vogliono sfruttare il malcontento delle masse deluse da entrambi i partiti borghesi, il democratico e il repubblicano, per creare negli Stati Uniti un “terzo” partito, un partito anticomunista, un partito rivolto contro il movimento rivoluzionario.


Inghilterra

In Inghilterra, l’organizzazione fascista di Mosley, grazie alle azioni di massa degli operai inglesi, è passata temporaneamente in secondo piano. Ma noi non dobbiamo chiudere gli occhi sul fatto che il cosiddetto “governo nazionale” applica una serie di misure reazionarie contro la classe operaia, per mezzo delle quali si creano anche in Inghilterra le condizioni che, in caso di necessità, faciliteranno alla borghesia il passaggio al regime fascista. Lottare contro il pericolo fascista in Inghilterra, nel momento presente, significa lottare prima di tutto contro il governo nazionale, contro le sue misure reazionarie, contro l’offensiva del capitale, in difesa delle rivendicazioni dei disoccupati, contro le riduzioni dei salari, per l’abrogazione di tutte le leggi mediante le quali la borghesia inglese abbassa il livello di vita delle masse.

Ma l’odio crescente della classe operaia contro il governo nazionale unisce masse sempre più vaste attorno alla parola d’ordine della costituzione di un nuovo governo laburista in Inghilterra. I comunisti possono forse ignorare questo stato d’animo delle grandi masse, che hanno ancora fiducia in un governo laburista? No, compagni. Dobbiamo trovare la via per giungere a queste masse. Noi diciamo loro apertamente, come ha fatto il XIII Congresso del Partito Comunista Inglese: «noi, comunisti, siamo partigiani del potere sovietico, il quale è l’unico potere che possa liberare gli operai dal giogo del capitale. Ma voi volete un governo laburista? Va bene. Abbiamo lottato e lottiamo al vostro fianco per battere il governo nazionale. Siamo pronti a sostenere la vostra lotta per la formazione di un nuovo governo laburista, sebbene i due precedenti governi laburisti non abbiano mantenuto le promesse fatte dal Partito laburista alla classe operaia. Non ci attendiamo da questo governo l’attuazione di provvedimenti socialisti. Ma a nome di milioni di operai gli chiederemo di difendere gli interessi politici ed economici più urgenti della classe operaia e di tutti i lavoratori. Avanti, discutiamo insieme il programma comune di queste rivendicazioni e realizziamo l’unità d’azione che è necessaria al proletariato per respingere l’offensiva reazionaria del governo nazionale, l’offensiva del capitale e del fascismo, per impedire la preparazione di una nuova guerra. Su questa base, i compagni inglesi sono pronti a intervenire assieme alle organizzazioni del Partito laburista nelle imminenti elezioni legislative, contro il governo nazionale, come pure contro Lloyd George, che tenta a modo suo di trascinare con sé le masse contro la causa della classe operaia nell’interesse della borghesia inglese».

Questa posizione dei comunisti inglesi è giusta. Essa renderà loro più facile la realizzazione del Fronte unico di lotta con i milioni di lavoratori delle Trades-Unions e del Partito laburista. I comunisti saranno sempre nelle prime file del proletariato in lotta e additeranno alle masse l’unica via giusta: quella della lotta per l’abbattimento rivoluzionario del dominio della borghesia e per l’instaurazione del potere sovietico; ma nel determinare i loro compiti politici attuali, i comunisti non devono tentare di saltare le tappe necessarie del movimento di massa, nel corso del quale le masse operaie si liberano, per esperienza propria, delle loro illusioni e passano dalla parte del comunismo.


Francia

La Francia è il paese nel quale, come è noto, la classe operaia mostra con il suo esempio a tutto il proletariato internazionale come bisogna lottare contro il fascismo. Il Partito Comunista Francese mostra a tutte le sezioni dell’Internazionale Comunista come bisogna applicare la tattica del Fronte unico e gli operai socialisti mostrano con l’esempio che cosa devono fare oggi gli operai socialdemocratici degli altri paesi capitalisti nella lotta contro il fascismo (applausi). La dimostrazione antifascista del 14 luglio scorso, a Parigi, alla quale ha partecipato mezzo milione di persone e le numerose dimostrazioni nelle altre città della Francia hanno un enorme significato. Questo non è più soltanto un movimento di Fronte unico degli operai. È l’inizio, in Francia, di un vasto Fronte popolare contro il fascismo. Questo movimento di Fronte unico risolleva la fiducia della classe operaia nelle proprie forze, rinsalda in essa la coscienza della sua funzione di dirigente dei contadini, della piccola borghesia urbana e degli intellettuali. Estende l’influenza del Partito comunista sulla massa operaia e in tal modo rende più forte il proletariato nella lotta contro il fascismo. Mobilita per tempo la vigilanza delle masse contro il pericolo fascista. Ed esso sarà un esempio contagioso per lo sviluppo della lotta antifascista degli altri paesi capitalisti, eserciterà un’azione incoraggiante sui proletari della Germania, schiacciati dalla dittatura fascista.

La vittoria, bisogna dirlo, è grande, ma non decide ancora dell’esito della lotta antifascista. La stragrande maggioranza del popolo francese è incontestabilmente contro il fascismo. Ma la borghesia, con l’aiuto della forza armata, sa violentare la volontà del popolo. Il movimento fascista continua a svilupparsi del tutto liberamente con l’appoggio attivo del capitale monopolistico, dell’apparato statale della borghesia, dello Stato Maggiore dell’esercito francese e dei dirigenti reazionari della Chiesa cattolica, baluardo di ogni reazione. La più forte delle organizzazioni fasciste, l’organizzazione delle «Croix de Feu», dispone oggi di 300.000 uomini armati, con dei quadri costituiti da 60.000 ufficiali della riserva. Ha delle posizioni salde nella polizia, nella gendarmeria, nell’esercito, nell’aviazione, in tutto l’apparato statale. Le ultime elezioni municipali dicono che in Francia non aumentano soltanto le forze rivoluzionarie, ma anche le forze del fascismo. Se il fascismo riuscisse a penetrare profondamente tra i contadini e ad assicurarsi l’appoggio di una parte dell’esercito e la neutralità dell’altra parte, le masse lavoratrici francesi non riuscirebbero a impedire l’andata dei fascisti al potere. Non dimenticate, compagni, la debolezza organizzativa del movimento operaio francese, che facilita il successo dell’offensiva fascista. I risultati ottenuti non autorizzano in alcun modo la classe operaia e tutti gli antifascisti di Francia a dormire sugli allori.

Quali sono i compiti che stanno davanti alla classe operaia della Francia?

In primo luogo, attuare il Fronte unico non soltanto nel campo politico, ma anche nel campo economico, per organizzare la lotta contro l’offensiva del capitale, spezzare con la propria pressione la resistenza al Fronte unico opposta dai dirigenti della riformista Confederazione del lavoro.

In secondo luogo, attuare l’unità sindacale in Francia: sindacati uniti sulla base della lotta di classe.

In terzo luogo, attrarre nel movimento antifascista le grandi masse contadine, le masse della piccola borghesia, dando un posto particolare alle loro rivendicazioni quotidiane nel programma del Fronte popolare antifascista.

In quarto luogo, rafforzare organizzativamente ed estendere ancora più il movimento antifascista in via di sviluppo, creando su larga scala organi elettivi, che non abbiano un carattere di Partito ma quello del Fronte popolare antifascista, organi che abbraccino con la loro influenza masse ancora più vaste di quelle che abbracciano i partiti e le organizzazioni di lavoratori oggi esistenti in Francia.

In quinto luogo, ottenere con una pressione adeguata, lo scioglimento e il disarmo delle organizzazioni fasciste, come organizzazioni di cospiratori contro la Repubblica e agenti di Hitler in Francia.

In sesto luogo, ottenere che l’apparato statale, l’esercito, la polizia siano epurati dai cospiratori che preparano un colpo di Stato fascista.

In settimo luogo, sviluppare la lotta contro i dirigenti delle cricche reazionarie della Chiesa cattolica, che è uno dei baluardi più importanti del fascismo francese.

In ottavo luogo, collegare l’esercito col movimento antifascista, creando al suo interno comitati di difesa della Repubblica e della Costituzione, contro coloro che vogliono utilizzare l’esercito per un colpo di Stato contro la Costituzione (applausi); non permettere alle forze reazionarie della Francia d’infrangere l’accordo franco-sovietico, il quale difende la causa della pace contro l’aggressione del fascismo tedesco (applausi).

E se in Francia il movimento antifascista porterà alla creazione di un governo che, non a parole ma nei fatti, svolga una lotta effettiva contro il fascismo francese e applichi il programma delle rivendicazioni del Fronte popolare antifascista, i comunisti, pur restando nemici irriducibili di ogni governo borghese e sostenitori del potere sovietico, di fronte al crescente pericolo fascista saranno pronti, ciononostante, a sostenere un tale governo (applausi).


Il Fronte unico e le organizzazioni di massa fasciste

Compagni, la lotta per la creazione del Fronte unico nei paesi dove il fascismo è al potere è forse il più importante dei problemi che ci stanno davanti. In questi paesi, com’è comprensibile, la lotta si svolge in condizioni molto più difficili che nei paesi dove il movimento operaio è legale. Tuttavia, nei paesi fascisti esistono tutte le premesse per lo sviluppo di un effettivo Fronte popolare antifascista nella lotta contro la dittatura fascista, perché gli operai socialdemocratici, cattolici e di altre correnti politiche – ad esempio in Germania – possono rendersi conto in modo più diretto della necessità di una lotta comune assieme ai comunisti contro la dittatura fascista. Le larghe masse della piccola borghesia e dei contadini, che hanno già gustato i frutti amari del dominio fascista, sono sempre più malcontente e deluse e diviene quindi più facile attirarle nel Fronte popolare antifascista.

Il compito fondamentale nei paesi fascisti, specialmente in Germania e in Italia, dove il fascismo è riuscito a crearsi una base di massa e a far entrare per forza gli operai e gli altri lavoratori nelle sue organizzazioni, consiste dunque nel saper combinare la lotta contro la dittatura fascista dall’esterno con il lavoro in seno alle organizzazioni di massa fasciste e nei loro organi, per minare la dittatura dall’interno. È necessario studiare, assimilare e applicare – in conformità delle condizioni concrete di questi paesi – i metodi e i mezzi particolari per disgregare nel modo più rapido le basi di massa del fascismo e preparare l’abbattimento della dittatura fascista. Bisogna studiare, assimilare e applicare queste direttive e non limitarsi a gridare «abbasso Hitler!» e «abbasso Mussolini!». Ripeto: studiare, assimilare e applicare.

Il compito è difficile e complesso. Tanto più difficile, in quanto la nostra esperienza in fatto di lotte coronate da successo contro la dittatura fascista è estremamente limitata. I nostri compagni italiani, ad esempio, lottano sotto la dittatura fascista già da circa 13 anni. Ma non sono ancora riusciti a sviluppare una vera e propria lotta di massa contro il fascismo e, in questo campo, purtroppo, hanno potuto dare poco aiuto di esperienza positiva agli altri partiti comunisti dei paesi fascisti.

I comunisti tedeschi e italiani e i comunisti degli altri paesi fascisti, come pure i giovani comunisti hanno compiuto dei prodigi di eroismo, hanno affrontato e affrontano ogni giorno sacrifici enormi. Di fronte a questo eroismo e a questi sacrifici noi ci inchiniamo. Ma il solo eroismo non basta (applausi). È necessario associare questo eroismo a un lavoro quotidiano fra le masse, a una lotta concreta contro il fascismo, che permetta di ottenere dei risultati più tangibili. Nella nostra lotta contro la dittatura fascista è particolarmente pericoloso scambiare i nostri desideri per la realtà. Bisogna partire dai fatti, dalla situazione reale, concreta.

E qual è ora la realtà, ad esempio, in Germania?

Nelle masse, il malcontento e la delusione per la politica della dittatura fascista aumentano e arrivano anche ad assumere la forma di scioperi parziali e di altre manifestazioni. Malgrado tutti i suoi sforzi, il fascismo non è riuscito a conquistare politicamente le masse fondamentali degli operai. Il fascismo perde e perderà sempre più anche i suoi vecchi partigiani. Ma tuttavia dobbiamo renderci conto del fatto che gli operai convinti della possibilità di abbattere la dittatura fascista e pronti fin d’ora a lottare attivamente per questo sono ancora in minoranza: siamo noi, i comunisti e la parte rivoluzionaria degli operai socialdemocratici. Invece la maggioranza dei lavoratori non si rende ancora conto delle possibilità reali e concrete e della via da seguire per abbattere la dittatura fascista e si trova tuttora in uno stato di attesa. Di questo dobbiamo tener conto quando definiamo i nostri compiti per la lotta contro il fascismo in Germania e quando ci proponiamo di cercare, studiare e applicare dei metodi particolari per scuotere e abbattere la dittatura fascista in Germania.

Per dare un colpo sensibile alla dittatura fascista dobbiamo conoscerne il punto più vulnerabile. Dove si trova il tallone d’Achille della dittatura fascista? Nella sua base sociale. Questa base è estremamente eterogenea. Abbraccia diverse classi e diversi strati della società. Il fascismo si è proclamato l’unico rappresentante di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione: dell’industriale e dell’operaio, del milionario e del disoccupato, del ricco proprietario di terre e del contadino povero, del grande capitalista e dell’artigiano. Finge di difendere gli interessi di tutti questi strati, gli interessi della nazione. Ma il fascismo, che è la dittatura della grande borghesia, deve entrare inevitabilmente in conflitto con la propria base sociale di massa, tanto più che, proprio sotto la dittatura fascista, le contraddizioni di classe tra la banda dei magnati della finanza e la stragrande maggioranza del popolo acquistano un rilievo particolare.

Noi possiamo condurre le masse alla lotta decisiva per l’abbattimento della dittatura fascista soltanto se attiriamo gli operai, che sono entrati per forza o per incoscienza nelle organizzazioni fasciste, nei movimenti più elementari per la difesa dei loro interessi economici, politici e culturali. Appunto perciò i comunisti devono lavorare in queste organizzazioni come i migliori difensori degli interessi quotidiani della massa organizzata, tenendo presente che di mano in mano che gli operai iscritti a queste organizzazioni incominciano con sempre maggior frequenza a rivendicare dei diritti e a difendere i loro interessi, si urtano inevitabilmente con la dittatura fascista.

Sul terreno della difesa degli interessi quotidiani e, nel primo momento, degli interessi più elementari delle masse lavoratrici della città e della campagna è relativamente più facile trovare un linguaggio comune, non soltanto per gli antifascisti coscienti, ma anche per quei lavoratori che sono ancora partigiani del fascismo, ma che, delusi e malcontenti della sua politica, mormorano e cercano l’occasione per esprimere il loro malcontento. In generale, dobbiamo comprendere che tutta la nostra tattica nei paesi a dittatura fascista deve avere un carattere tale che non allontani da noi i semplici seguaci del fascismo, non li rigetti nelle braccia del fascismo, ma approfondisca l’abisso tra i dirigenti fascisti e la massa dei semplici fascisti delusi che appartengono agli strati dei lavoratori.

Non bisogna impressionarsi, compagni, se le masse mobilitate attorno a questi interessi quotidiani si considerano come indifferenti in politica e persino come seguaci del fascismo. Per noi è importante attirarle nel movimento, perché, anche se da principio non procede apertamente sotto parole d’ordine di lotta contro il fascismo, questo è già oggettivamente un movimento antifascista, un movimento che oppone queste masse alla dittatura fascista.

L’esperienza ci insegna che è sbagliato e dannoso ritenere che nei paesi sottoposti alla dittatura fascista non è in generale possibile agire legalmente o semi-legalmente. Insistere su di un punto di vista di questo genere significa cadere nella passività, rinunciare in generale a ogni effettivo lavoro di massa. È vero: trovare forme e metodi di azione legale o semilegale nelle condizioni della dittatura fascista è cosa difficile e complicata. Ma in questa, come in molte altre questioni, la via ci viene indicata dalla vita stessa e dall’iniziativa delle masse, le quali hanno già dato numerosi esempi che noi dobbiamo generalizzare e applicare in modo organizzato e opportuno.

È necessario porre fine, con la massima risolutezza, alla sottovalutazione del lavoro nelle organizzazioni di massa del fascismo. In Italia, in Germania, in parecchi altri paesi fascisti, i nostri compagni mascheravano la loro passività e spesso, di fatto, persino l’aperto rifiuto di lavorare nelle organizzazioni di massa fasciste, contrapponendo al lavoro nelle organizzazioni di massa del fascismo il lavoro nelle fabbriche. In realtà, appunto a causa di questa contrapposizione schematica, il lavoro è stato condotto con estrema debolezza e qualche volta non si è addirittura avuto nessun lavoro né nelle organizzazioni di massa del fascismo, né nelle fabbriche.

Invece è particolarmente importante che nei paesi fascisti i comunisti siano ovunque si trovano le masse. Il fascismo ha tolto agli operai le loro organizzazioni legali e ha imposto loro le organizzazioni fasciste e in queste organizzazioni si trovano le masse, che vi sono entrate per forza o, in parte, volontariamente. Le organizzazioni di massa del fascismo possono e devono essere il nostro campo di azione legale o semi-legale, il campo nel quale ci legheremo alle masse; possono e devono divenire per noi il punto di partenza legale o semi-legale per la difesa degli interessi quotidiani delle masse. Per utilizzare queste possibilità, i comunisti devono sforzarsi di ottenere dei posti elettivi nelle organizzazioni di massa fasciste, per legarsi alla massa e liberarsi una volta per sempre dal pregiudizio che un tal genere di attività è indecoroso e indegno per un operaio rivoluzionario.

In Germania, ad esempio, esiste il sistema dei cosiddetti delegati di fabbrica. Ma dove è detto che noi dobbiamo lasciare ai fascisti il monopolio di queste organizzazioni? Non possiamo forse tentare di unire negli stabilimenti i comunisti, i socialdemocratici, i cattolici e gli altri operai antifascisti e fare in modo che nelle votazioni cancellino dalla lista dei delegati di fabbrica i nomi degli agenti palesi dell’industriale e li sostituiscano con i nomi di altri candidati che godono la fiducia degli operai? La pratica ha già dimostrato che ciò è possibile. La pratica, inoltre, non dice forse che è possibile, in unione con gli operai socialdemocratici e con altri operai malcontenti, esigere dai delegati di fabbrica una difesa effettiva degli interessi degli operai?

Prendete il «Fronte del lavoro» in Germania o i sindacati fascisti in Italia. Non si può forse esigere l’elezione anziché la nomina dei funzionari del «Fronte del lavoro», insistere perché gli organismi dirigenti dei gruppi locali rendano conto della loro attività alle riunioni dei membri dell’organizzazione, presentare queste rivendicazioni, per decisione del gruppo, all’industriale, all’Ispettore del lavoro? Sì, ciò è possibile, a condizione che gli operai rivoluzionari lavorino effettivamente nel «Fronte del lavoro» e ottengano delle cariche nelle sue organizzazioni.

Simili metodi di lavoro sono possibili e necessari anche in altre organizzazioni di massa del fascismo: nell’Unione della gioventù hitleriana, nelle organizzazioni sportive, nell’organizzazione «Kraft durch Freude», nel Dopolavoro in Italia, nelle cooperative.

Compagni, voi ricordate l’antico racconto della presa di Troia. Delle mura inespugnabili difendevano Troia dall’esercito invasore e questo esercito, malgrado numerosi sacrifici, non poté ottenere la vittoria finché, grazie al famoso cavallo di Troia, non riuscì a penetrare all’interno, nel cuore stesso della città nemica.

Io credo che noi, operai rivoluzionari, non dovremmo farci scrupolo di applicare la stessa tattica contro il nemico fascista, il quale si difende contro il popolo con la muraglia vivente dei suoi sgherri (applausi).

Chi non comprende la necessità di applicare questa tattica nei riguardi del fascismo, chi ritiene “umiliante” questo modo di agire, può essere un eccellente compagno ma – permettetemi di dirlo – è un chiacchierone e non un rivoluzionario e non saprà condurre le masse all’abbattimento della dittatura fascista (applausi).

Il movimento di massa del Fronte unico all’esterno e all’interno delle organizzazioni fasciste in Germania, in Italia e negli altri paesi dove il fascismo ha una base di massa, partendo dalla difesa dei bisogni più elementari, modificando le sue forme e le parole d’ordine di lotta a mano a mano che la lotta stessa si estende e si sviluppa, sarà la catapulta che abbatterà la fortezza della dittatura fascista che oggi a molti sembra inespugnabile.


Il Fronte unico nei paesi dove i socialdemocratici sono al governo

La lotta per la creazione del Fronte unico solleva anche un altro problema molto importante: il problema del Fronte unico nei paesi dove esiste un governo socialdemocratico o un governo di coalizione con la partecipazione dei socialisti, come ad esempio in Danimarca, in Norvegia, in Svezia, in Cecoslovacchia e in Belgio.

È noto che il nostro atteggiamento verso i governi socialdemocratici, che sono dei governi di collaborazione con la borghesia, è assolutamente negativo. Ciononostante, noi non pensiamo che l’esistenza di un governo socialdemocratico o di una coalizione governativa del partito socialdemocratico con i partiti borghesi è un ostacolo insormontabile all’attuazione del Fronte unico con i socialdemocratici su determinate questioni. Pensiamo che, anche in questo caso, il Fronte unico per la difesa degli interessi immediati del popolo lavoratore e per la lotta contro il fascismo è pienamente possibile e indispensabile. Si capisce che nei paesi dove i rappresentanti dei partiti socialdemocratici partecipano al governo, la direzione socialdemocratica oppone la resistenza più accanita al Fronte unico proletario. Questo è comprensibilissimo: i dirigenti socialdemocratici vogliono dimostrare alla borghesia di riuscire, meglio e più abilmente di chiunque altro, a tenere a freno le masse operaie malcontente e a proteggerle contro l’influenza del comunismo. Ma l’atteggiamento negativo dei ministri socialdemocratici verso il Fronte unico proletario non vale affatto a giustificare i comunisti che non fanno nulla per creare il Fronte unico del proletariato.

I nostri compagni dei paesi scandinavi seguono spesso la linea della minor resistenza e si limitano a smascherare con la propaganda il governo socialdemocratico. Questo è un errore. In Danimarca, per esempio, i capi socialdemocratici sono al governo già da 10 anni e i comunisti da 10 anni ripetono tutti i giorni che questo è un governo borghese, un governo capitalista. Si può ritenere che questa propaganda sia ormai nota agli operai danesi. Se una notevole maggioranza continua, tuttavia, a dare il voto al partito socialdemocratico che si trova al governo ciò vuol dire soltanto che la propaganda dei comunisti per smascherare il governo è insufficiente, ma non vuol dire che queste centinaia di migliaia di operai sono soddisfatti di tutti i provvedimenti governativi dei ministri socialdemocratici. No, essi sono malcontenti perché il governo socialdemocratico, con il suo cosiddetto “accordo di crisi”, viene in aiuto ai grandi capitalisti e ai latifondisti e non agli operai e ai contadini poveri; sono malcontenti perché il governo socialdemocratico, con il suo decreto del mese di gennaio 1933, toglie agli operai il diritto di sciopero; sono malcontenti perché il governo socialdemocratico progetta una pericolosa riforma elettorale antidemocratica (con una considerevole riduzione del numero dei deputati). Credo di non sbagliare, compagni, affermando che il 99% degli operai della Danimarca non approvano questi passi politici dei capi e dei ministri socialdemocratici.

Forse che i comunisti non possono invitare i sindacati e le organizzazioni socialdemocratiche della Danimarca a discutere assieme questi problemi di attualità, a esporre il loro punto di vista e ad agire di comune accordo per il Fronte unico proletario, allo scopo di sostenere le rivendicazioni operaie? L’anno scorso, in ottobre, quando i nostri compagni danesi invitarono i sindacati a intervenire contro la riduzione dei sussidi di disoccupazione e per i diritti democratici nei sindacati, circa 100 organizzazioni sindacali locali aderirono al Fronte unico.

In Svezia, per la terza volta si trova al potere un governo socialdemocratico; ma i comunisti svedesi, in pratica, si rifiutarono per molto tempo di applicare la tattica del Fronte unico. Perché? Erano forse contro il Fronte unico? No, ben inteso, in linea di principio erano certo per il Fronte unico, per un Fronte unico in generale, ma non comprendevano in che occasione, su quali questioni, in difesa di quali rivendicazioni sarebbe stato possibile riuscire ad attuare il Fronte unico proletario, non sapevano a che cosa aggrapparsi e come aggrapparvisi. Prima della formazione del governo socialdemocratico, per alcuni mesi, durante la lotta elettorale, il partito socialdemocratico presentò una piattaforma contenente una serie di rivendicazioni che avrebbero potuto appunto essere incluse nella piattaforma del Fronte unico proletario. Ad esempio, le parole d’ordine «contro i dazi doganali», «contro la militarizzazione», «basta con i rinvii del problema dell’assicurazione contro la disoccupazione», «assicurare ai vecchi una pensione sufficiente per vivere», «non permettere l’esistenza di organizzazioni come il Munch Korps» (organizzazione fascista), «abbasso la legislazione di classe contro i sindacati propugnata dai partiti borghesi».

Più di un milione di lavoratori della Svezia hanno votato, nel 1932, per queste rivendicazioni presentate dalla socialdemocrazia e, nel 1933, hanno salutato la formazione del governo socialdemocratico sperando che tali rivendicazioni sarebbero state attuate. In quella situazione, nulla sarebbe stato più naturale e più rispondente ai desideri delle masse operaie, che una proposta del Partito comunista a tutte le organizzazioni socialdemocratiche e sindacali di intraprendere delle azioni comuni per attuare queste rivendicazioni presentate dal partito socialdemocratico.

Se, al fine di realizzare queste rivendicazioni degli stessi socialdemocratici, si fosse riusciti a mobilitare effettivamente le grandi masse, a collegare le organizzazioni operaie socialdemocratiche e comuniste nel Fronte unico, la classe operaia svedese ne avrebbe senza dubbio guadagnato. I ministri socialdemocratici, certo, non se ne sarebbero troppo rallegrati, perché il governo sarebbe stato costretto a soddisfare almeno qualcuna di queste rivendicazioni. In ogni caso, non sarebbe avvenuto ciò che è avvenuto, e cioè che il governo invece di sopprimere i dazi doganali ne ha elevati alcuni, invece di limitare il militarismo ha aumentato il bilancio della guerra e invece di respingere qualsiasi legge contro i sindacati ha presentato esso stesso un progetto di legge di questo genere al Parlamento. È vero che, per quanto concerne quest’ultima questione, il Partito Comunista Svedese ha condotto una buona campagna di massa nello spirito del Fronte unico proletario, ottenendo che, in fin dei conti, anche il gruppo parlamentare socialdemocratico si sentisse costretto a votare contro il progetto di legge governativo, che per il momento è caduto.

I comunisti norvegesi hanno ben agito, il 1° Maggio, invitando le organizzazioni del Partito operaio a manifestazioni comuni e presentando una serie di rivendicazioni che sostanzialmente coincidevano con quelle contenute nella piattaforma elettorale del Partito operaio norvegese. Sebbene questo passo a favore del Fronte unico non avesse avuto una preparazione adeguata e la direzione del Partito operaio norvegese l’avesse avversato, in 30 località ebbero luogo delle dimostrazioni di Fronte unico.

Un tempo molti comunisti temevano di dimostrarsi opportunisti se a qualunque rivendicazione parziale dei socialdemocratici non opponevano delle rivendicazioni proprie, due volte più radicali. Era un errore puerile. Se i socialdemocratici presentavano, per esempio, la rivendicazione dello scioglimento delle organizzazioni fasciste, non c’era ragione che noi aggiungessimo «… e scioglimento della polizia statale» (poiché questa rivendicazione è opportuno formularla in un’altra situazione), ma avremmo dovuto dire agli operai socialdemocratici: «siamo pronti ad accettare queste rivendicazioni del vostro partito come rivendicazioni del Fronte unico proletario e a lottare fino in fondo per la loro realizzazione. Su, dunque, lottiamo assieme!».

Anche in Cecoslovacchia, per la realizzazione del Fronte unico della classe operaia, si possono e si devono utilizzare determinate rivendicazioni presentate dalla socialdemocrazia ceca e da quella tedesca, nonché dai sindacati riformisti. Quando la socialdemocrazia, per esempio, chiede che si dia lavoro ai disoccupati, o chiede (come chiede fin dal 1927) l’abrogazione delle leggi che limitano l’autonomia amministrativa dei Comuni, bisogna concretizzare queste rivendicazioni nelle varie località e in ogni distretto e lottare a fianco delle organizzazioni socialdemocratiche per la loro attuazione. Oppure quando i partiti socialdemocratici gridano “in generale” contro gli agenti del fascismo nell’apparato statale, bisogna individuare in ogni distretto gli araldi del fascismo e, assieme agli operai socialdemocratici, intervenire perché siano allontanati dalle istituzioni dello Stato.

In Belgio, i capi del Partito operaio, con Emilio Vandervelde alla testa, sono entrati in un governo di coalizione. Hanno ottenuto questo “successo” grazie a una lunga e vasta campagna per due rivendicazioni fondamentali: 1. ritiro dei decreti eccezionali, 2. realizzazione del piano De Man. La prima questione è molto importante. Il governo precedente aveva promulgato in complesso 150 decreti eccezionali reazionari, che impongono un fardello estremamente pesante al popolo lavoratore. Si proponeva di annullarli immediatamente. Era il Partito socialista che lo richiedeva. Ma quanti decreti eccezionali ha annullato il nuovo governo? Nessuno, ma si è limitato ad attenuare lievemente alcune leggi eccezionali, pagando una specie di riscatto “simbolico” per le grandi promesse dei capi socialisti belgi (a somiglianza del “dollaro simbolico” che alcune potenze europee offrivano all’America in pagamento dei loro debiti di guerra ammontanti a milioni).

Per quanto riguarda la realizzazione del roboante “piano” De Man, le cose hanno preso una piega del tutto inaspettata per le masse socialdemocratiche: i ministri socialisti hanno dichiarato che prima bisogna superare la crisi economica, applicando solamente quelle parti del piano De Man che migliorano la situazione dei capitalisti e delle banche e che soltanto dopo si potranno applicare dei provvedimenti volti a migliorare le condizioni degli operai. Ma quanto tempo gli operai dovranno attendere la loro parte della “prosperità” promessa nel piano De Man? Sui banchieri belgi si è già rovesciata una vera pioggia d’oro. Il franco belga è già stato svalutato del 28% e, grazie a questa manovra, i banchieri hanno potuto appropriarsi, a guisa di trofeo, di 4 miliardi e mezzo di franchi a spese dei salariati e dei piccoli risparmiatori. Ma come si accorda questo con il contenuto del piano De Man? Se si crede alla lettera del piano, esso promette di «combattere gli abusi monopolistici e le manovre degli speculatori».

Il governo, in base al piano De Man, ha nominato una commissione per il controllo delle banche, ma una commissione composta di banchieri, i quali oggi, allegramente e con disinvoltura, controllano se stessi!

Il piano De Man promette anche una serie di altre buone cose: «la riduzione della giornata lavorativa», «la normalizzazione dei salari», «il salario minimo», «l’organizzazione di un sistema generale di assicurazioni sociali», «l’estensione delle comodità della vita grazie a nuove costruzioni di abitazioni», ecc. Tutte rivendicazioni, queste, che noi comunisti possiamo sostenere. Dobbiamo dire alle organizzazioni operaie del Belgio: «i capitalisti hanno già ricevuto abbastanza, anzi troppo. Esigiamo dai ministri socialdemocratici la realizzazione delle promesse che hanno fatto agli operai! Uniamoci in un Fronte unico per la difesa vittoriosa dei nostri interessi. Ministro Vandervelde, noi sosteniamo le rivendicazioni per gli operai contenute nella vostra piattaforma, ma dichiariamo apertamente: noi prendiamo queste rivendicazioni sul serio, vogliamo dei fatti e non delle parole vuote e per ciò raggruppiamo centinaia di migliaia di operai nella lotta per queste rivendicazioni!».

In questo modo, nei paesi dove esistono dei governi socialdemocratici, i comunisti, utilizzando tali rivendicazioni che sono contenute nelle piattaforme degli stessi partiti socialdemocratici e le promesse fatte dai ministri socialdemocratici alle elezioni come punto di partenza per arrivare all’azione comune con i partiti e le organizzazioni socialdemocratiche, possono poi sviluppare più facilmente la campagna per l’attuazione del Fronte unico, sulla base ormai di una serie di nuove rivendicazioni delle masse, nella lotta contro la offensiva del capitale, contro il fascismo e la minaccia di guerra.

È inoltre necessario tener presente che se, in generale, le azioni comuni con i partiti e le organizzazioni socialdemocratiche esigono che i comunisti conducano una critica seria e fondata della socialdemocrazia in quanto ideologia e pratica della collaborazione di classe con la borghesia e spieghino instancabilmente e fraternamente agli operai socialdemocratici il programma e le parole d’ordine del comunismo, questo compito è particolarmente importante, nella lotta per il Fronte unico, proprio in quei paesi nei quali esistono dei governi socialdemocratici.


La lotta per l’unità sindacale

Compagni, la tappa più importante nel consolidamento del Fronte unico deve essere la realizzazione dell’unità sindacale su scala nazionale e internazionale.

Com’è noto, la tattica scissionistica dei capi riformisti è stata applicata con la massima asprezza nei sindacati. È comprensibile: la loro politica di collaborazione di classe con la borghesia trovava la sua applicazione pratica direttamente negli stabilimenti, a spese degli interessi vitali delle masse operaie. Questa pratica, naturalmente, provocava una critica aspra e la resistenza degli operai rivoluzionari diretti dai comunisti. Ecco perché è nel campo sindacale che si è svolta la lotta più forte tra comunismo e riformismo.

Quanto più la situazione del capitalismo si aggravava e si complicava tanto più era reazionaria la politica dei dirigenti sindacali di Amsterdam e tanto più aggressivi erano i loro provvedimenti contro tutti gli elementi di opposizione in seno ai sindacati. Neppure l’instaurazione della dittatura fascista in Germania e l’intensificarsi dell’offensiva del capitale in tutti i paesi capitalisti attenuarono quest’aggressività. Non è forse caratteristico che nel solo anno 1933 in Inghilterra, in Olanda, in Belgio e in Svezia sono state diramate delle ignobili circolari per l’espulsione dei comunisti e degli operai rivoluzionari dai sindacati? In Inghilterra, nel 1933, viene alla luce una circolare che proibisce alle sezioni locali dei sindacati di aderire alle organizzazioni contro la guerra e ad altre organizzazioni rivoluzionarie. Questo è il preludio alla famosa “circolare nera” del Consiglio generale delle Trade Unions, che dichiara fuori legge tutti i Consigli sindacali a far parte dei quali siano ammessi dei rappresentanti «comunque legati alle organizzazioni comuniste». E cosa dire poi della direzione dei sindacati tedeschi, che usano dei mezzi di repressione inauditi contro gli elementi rivoluzionari nei sindacati?

Ma la nostra tattica non deve basarsi sulla condotta dei singoli dirigenti dei sindacati di Amsterdam, quali che siano le difficoltà che questa condotta crea alla lotta di classe; deve basarsi innanzi tutto sul fatto che nei sindacati si trovano le masse operaie.

E qui dobbiamo dichiarare apertamente: il lavoro nei sindacati costituisce la questione più spinosa per tutti i partiti comunisti. Dobbiamo riuscire a compiere una svolta effettiva nel lavoro sindacale mettendo al centro la questione della lotta per l’unità sindacale.

Ci diceva il compagno Stalin, già 10 anni or sono:

«In cosa consiste la forza della socialdemocrazia in Occidente? Nel fatto che essa si appoggia ai sindacati. In che cosa consiste la debolezza dei nostri partiti comunisti in Occidente? Nel fatto che non si sono ancora strettamente legati – e alcuni elementi di questi partiti comunisti non vogliono legarsi – ai sindacati. Perciò, nel momento presente, il compito principale dei partiti comunisti occidentali consiste nello svolgere e nel condurre fino in fondo la campagna per l’unità del movimento sindacale, nel far entrare tutti i comunisti, senza eccezione, nei sindacati, nel condurre, in seno ai sindacati, un lavoro sistematico, paziente, per la compattezza della classe operaia contro il capitale e nell’ottenere in tal modo che i partiti comunisti possano appoggiarsi ai sindacati».(10)

10. I. Stalin, Questioni del leninismo (1926), in Opere vol. 8, Ed. Rinascita (1954).


È stata applicata questa direttiva del compagno Stalin? No, compagni, non è stata applicata.

Molti nostri compagni, ignorando l’attaccamento degli operai per i sindacati e di fronte alle difficoltà del lavoro all’interno dei sindacati di Amsterdam, decisero di rinunciare a questo compito complicato. Parlavano invariabilmente della crisi organizzativa dei sindacati di Amsterdam, della fuga degli operai dai sindacati, e non vedevano che, dopo un certo indietreggiamento all’inizio della crisi mondiale, i sindacati riprendevano nuovamente a svilupparsi. La particolarità del movimento sindacale stava appunto nel fatto che l’offensiva della borghesia contro i diritti sindacali, i tentativi compiuti in vari paesi (Polonia, Ungheria, ecc.) per “inserire” nel regime i sindacati, la decurtazione delle assicurazioni sociali e il saccheggio dei salari, nonostante la mancata resistenza dei capi sindacali riformisti a simili provvedimenti, spingevano gli operai a stringersi ancor più compatti attorno ai sindacati, poiché gli operai volevano e vogliono vedere nel sindacato il difensore combattivo dei loro vitali interessi di classe. Così si spiega il fatto che, in questi ultimi anni, la maggior parte dei sindacati di Amsterdam – in Francia, Cecoslovacchia, Belgio, Svezia, Olanda, Svizzera, ecc. – si sono sviluppati numericamente. Anche la Federazione Americana del Lavoro, negli ultimi due anni, ha registrato un forte aumento del numero dei suoi iscritti.

Se i compagni tedeschi avessero compreso meglio il compito del lavoro sindacale, del quale parlò loro più di una volta il compagno Thaelmann, avremmo probabilmente avuto nei sindacati una situazione migliore di quella che vi era al momento dell’instaurazione della dittatura fascista. Alla fine del 1932 solamente il 10% degli iscritti al Partito facevano parte dei sindacati liberi. E ciò avveniva sebbene, dopo il VI Congresso dell’Internazionale Comunista, i comunisti fossero alla testa di tutta una serie di scioperi. Sulla stampa, i nostri compagni parlavano della necessità di consacrare il 90% delle nostre forze al lavoro nei sindacati, ma in pratica tutto il lavoro era concentrato nell’opposizione sindacale rivoluzionaria, la quale di fatto tendeva a sostituire i sindacati. E dopo la presa del potere da parte di Hitler? Per due anni, molti dei nostri compagni hanno opposto una resistenza ostinata e sistematica alla giusta parola d’ordine della lotta per la ricostituzione dei sindacati liberi.

Potrei citare degli esempi analoghi per quasi tutti i paesi capitalisti. Ma noi abbiamo già all’attivo anche un primo e importante risultato nella lotta per l’unità del movimento sindacale nei paesi europei. Alludo alla piccola Austria dove, per iniziativa del Partito Comunista Austriaco, si sono gettate le basi per un movimento sindacale illegale. Dopo le lotte di febbraio, i socialdemocratici, con Otto Bauer alla testa, hanno lanciato la parola d’ordine che «i sindacati liberi possono essere ricostituiti soltanto dopo la caduta del fascismo». I comunisti si sono messi al lavoro per ricostituire i sindacati. Ogni fase di questo lavoro è stato un frammento di Fronte unico in atto del proletariato austriaco. La vittoriosa ricostituzione dei sindacati liberi nell’illegalità è stata una sconfitta grave per il fascismo. I socialdemocratici si sono trovati al bivio. Una parte di essi ha tentato di avviare delle trattative con il governo; l’altra parte, considerati i successi, ha creato parallelamente ai nostri i propri sindacati illegali. Ma la via poteva essere una sola: o la capitolazione di fronte al fascismo o la lotta comune contro il fascismo, verso l’unità sindacale. Sotto la pressione delle masse, l’esitante direzione dei sindacati paralleli creati dagli ex capi sindacali ha deciso di addivenire all’unificazione. La base di questa unificazione è la lotta implacabile contro l’offensiva del capitale e del fascismo e la garanzia della democrazia nei sindacati. Noi salutiamo questo esempio di unificazione dei sindacati, che è il primo dopo la formale scissione del movimento sindacale avvenuta nel dopoguerra e che ha perciò un’importanza internazionale.

In Francia, il Fronte unico ha dato indubbiamente un impulso formidabile all’attuazione dell’unità sindacale. I dirigenti della Confederazione generale del lavoro hanno ostacolato e ostacolano in tutti i modi l’attuazione dell’unità, contrapponendo alla questione fondamentale della politica di classe dei sindacati questioni che hanno un’importanza subordinata, secondaria o formale. Un successo indubbio nella lotta per l’unità sindacale è costituito dalla creazione dei sindacati unici su scala locale, i quali, ad esempio tra i ferrovieri, abbracciano quasi i tre quarti dei membri dei due sindacati.

Noi siamo decisamente per la ricostituzione dell’unità sindacale in ogni paese e su scala internazionale.

Noi siamo per il sindacato unico in ogni ramo di produzione.

Noi siamo per un’unica Federazione di sindacati in ogni paese.

Noi siamo per l’unificazione internazionale dei sindacati dell’industria.

Noi siamo per un’Internazionale sindacale unica sulla base della lotta di classe.

Noi siamo per i sindacati di classe unici, in quanto sono uno dei principali baluardi della classe operaia contro l’offensiva del capitale e del fascismo. E noi, per l’unificazione delle organizzazioni sindacali, poniamo una sola condizione: la lotta contro il capitale, la lotta contro il fascismo, la democrazia interna nei sindacati.

Il tempo stringe. Per noi, il problema dell’unità sindacale sia su scala nazionale che su scala internazionale, è il grande problema dell’unificazione della nostra classe in potenti organizzazioni sindacali contro il nemico di classe. Noi salutiamo il messaggio inviato alla vigilia del 1° Maggio di quest’anno dall’Internazionale sindacale rossa all’Internazionale di Amsterdam, con la proposta di discutere insieme le condizioni, i metodi e le forme di unificazione del movimento sindacale mondiale. I capi dell’Internazionale di Amsterdam hanno respinto questa proposta con il vecchio e ormai vieto pretesto che l’unità del movimento sindacale è possibile soltanto nelle fila dell’Internazionale di Amsterdam, la quale, sia detto a questo proposito, raggruppa quasi esclusivamente organizzazioni sindacali di una parte dei paesi europei.

Ma i comunisti, lavorando nei sindacati, devono continuare instancabilmente la lotta per l’unità del movimento sindacale. Compito dei Sindacati rossi e dell’Internazionale sindacale rossa è di fare tutto ciò che dipende da loro per affrettare l’ora della lotta comune di tutti i sindacati contro l’offensiva del capitalismo e del fascismo, per creare l’unità del movimento sindacale malgrado l’opposizione ostinata dei capi reazionari dell’Internazionale di Amsterdam. I Sindacati rossi e l’Internazionale sindacale rossa devono avere in questa opera tutto il nostro appoggio.

Nei paesi dove esistono dei piccoli sindacati rossi, noi raccomandiamo di lavorare per la loro affiliazione ai grandi sindacati riformisti rivendicando la libertà di esporre le proprie opinioni e la riammissione degli espulsi. Nei paesi dove esistono parallelamente dei grandi sindacati rossi e dei sindacati riformisti, raccomandiamo la convocazione di un Congresso di unificazione sulla base di una piattaforma di lotta contro l’offensiva del capitale e della garanzia della democrazia sindacale.

Bisogna dire nel modo più categorico che l’operaio comunista, l’operaio rivoluzionario che non entra nel sindacato di massa della sua professione, che non lotta per trasformare il sindacato riformista in una vera organizzazione sindacale di classe, che non lotta per l’unità del movimento sindacale sulla base della lotta di classe, non compie il suo più elementare dovere di proletario (applausi)


Il Fronte unico e la gioventù

Ho già accennato, compagni, all’importanza che ha avuto per la vittoria del fascismo l’adescamento della gioventù nelle organizzazioni fasciste. Quando parliamo della gioventù dobbiamo dire apertamente che noi abbiamo trascurato il nostro compito di attirare le masse della gioventù lavoratrice alla lotta contro l’offensiva del capitale, contro il fascismo e contro il pericolo di guerra; che noi abbiamo trascurato questo compito in una serie di paesi. Abbiamo sottovalutato l’immensa importanza che ha la gioventù nella lotta contro il fascismo; non abbiamo sempre tenuto conto dei particolari interessi economici, politici e culturali della gioventù e non abbiamo neanche rivolto l’attenzione dovuta all’educazione rivoluzionaria della gioventù.

Tutto ciò il fascismo l’ha abilmente sfruttato trascinando in alcuni paesi, particolarmente in Germania, notevoli contingenti della gioventù contro il proletariato. Bisogna tener presente che il fascismo non attira i giovani solamente con il romanticismo militarista. Esso ne sfama e ne veste taluni inquadrandoli nelle sue squadre, ad altri dà un lavoro e crea anche le cosiddette istituzioni culturali giovanili, sforzandosi in tal modo di far credere ai giovani che il fascismo vuole e può effettivamente nutrire, vestire, educare le masse dei giovani lavoratori e assicurare loro un lavoro.

Le nostre Federazioni giovanili comuniste in vari paesi capitalistici sono ancora prevalentemente settarie, staccate dalle organizzazioni di massa. La loro debolezza principale consiste nel tendere ancora a copiare i partiti comunisti, le forme e i metodi di lavoro dei partiti comunisti, dimenticando che la Federazione giovanile comunista non è il Partito comunista della gioventù.

Esse non tengono abbastanza conto del fatto che la loro è un’organizzazione con dei propri compiti particolari. I suoi metodi e le sue forme di lavoro e di educazione devono essere adattati al livello concreto e alle aspirazioni della gioventù.

I nostri giovani comunisti hanno dato prova di un eroismo indimenticabile nella lotta contro la violenza fascista e la reazione borghese. Ma non possiedono ancora la capacità di strappare concretamente, tenacemente le masse della gioventù all’influenza del nemico. Prova ne sia la riluttanza non ancora superata verso il lavoro nelle organizzazioni giovanili fasciste, l’atteggiamento non sempre giusto verso la gioventù socialista e la rimanente gioventù non comunista.

Una grande responsabilità per tutto questo spetta, naturalmente, anche ai partiti comunisti, i quali devono dirigere e aiutare i giovani comunisti nel loro lavoro. Il problema della gioventù, infatti, non è soltanto un problema della gioventù comunista. È un problema di tutto il movimento comunista. Nel campo della lotta per la conquista della gioventù da parte dei partiti comunisti e delle organizzazioni della gioventù comunista è necessario fare un effettivo e decisivo balzo in avanti. Il compito fondamentale del movimento giovanile comunista nei paesi capitalisti è di mettersi arditamente sulla via dell’attuazione del Fronte unico, sulla via dell’organizzazione e dell’unificazione delle nuove generazioni di lavoratori. Gli esempi offerti in questi ultimi tempi dalla Francia e dagli Stati Uniti dimostrano quale enorme influenza hanno sul movimento rivoluzionario della gioventù anche i primi passi in questa direzione. È stato sufficiente iniziare l’organizzazione del Fronte unico per ottenere subito in questi paesi dei successi considerevoli. E nel campo del Fronte unico internazionale è degno di una particolare attenzione l’ottima iniziativa del Comitato parigino contro la guerra e contro il fascismo per la collaborazione internazionale di tutte le organizzazioni non fasciste della gioventù.

Questi passi ultimamente compiuti con buon successo nel movimento del Fronte unico dei giovani dimostrano pure che le forme del Fronte unico dei giovani né devono essere applicate secondo un modello stereotipato, né devono essere necessariamente le stesse che si adoperano nella pratica dei partiti comunisti. Le Federazioni giovanili comuniste devono tendere con tutti i mezzi all’unificazione delle forze di tutte le organizzazioni di massa non fasciste della gioventù e giungere a creare delle organizzazioni comuni di vario genere per la lotta contro il fascismo, contro l’inaudita mancanza di diritti e contro la militarizzazione della gioventù, per i diritti economici e politici delle giovani generazioni, per portare al Fronte antifascista questa gioventù ovunque si trovi, negli stabilimenti, nei campi del lavoro forzato, negli uffici di collocamento, nelle caserme o nella flotta, nelle scuole o nelle varie società sportive, culturali, ecc.

I nostri giovani comunisti, sviluppando e rafforzando l’organizzazione della Gioventù Comunista, devono adoperarsi a creare associazioni antifasciste delle Federazioni giovanili comuniste e socialiste sulla piattaforma della lotta di classe.

Il Fronte unico e le donne

Non meno del lavoro fra i giovani, si sottovaluta il lavoro fra le donne lavoratrici: fra le operaie, le disoccupate, le contadine e le massaie. Eppure, se esso toglie ai giovani più che a ogni altro, il fascismo in modo particolarmente spietato e cinico asservisce la donna speculando sui suoi sentimenti più vibranti di madre, di massaia, di operaia isolata che vive nell’incertezza del domani. Il fascismo si presenta nella veste di benefattore, getta delle elemosine irrisorie alla famiglia affamata e tenta così di soffocare l’amarezza suscitata in particolare tra le donne lavoratrici dalla schiavitù inaudita che il fascismo apporta loro. Il fascismo scaccia le operaie dalla produzione. Invia a forza le ragazze bisognose nei villaggi, riducendole alla condizione di serve senza paga al servizio dei contadini ricchi e dei latifondisti. Promette alla donna la felicità del focolare domestico, ma la spinge, più di ogni altro regime capitalista, sulla via della prostituzione.

I comunisti e, prima di tutto, le donne comuniste, devono ricordare che non vi può essere lotta vittoriosa contro il fascismo e contro la guerra, se in essa non vengono attratte le larghe masse femminili. Ma questo non si ottiene con la sola agitazione. Tenendo conto di ogni condizione concreta, noi dobbiamo trovare la possibilità di mobilitare le masse delle donne lavoratrici per la difesa dei loro interessi e delle loro rivendicazioni essenziali, nella lotta contro il caro-vita, per l’aumento del salario sulla base del principio «a uguale lavoro uguale salario», contro i licenziamenti in massa, contro ogni manifestazione della condizione di inferiorità della donna e contro l’asservimento fascista.

Per attrarre le donne lavoratrici nel movimento rivoluzionario, noi non dobbiamo esitare a costituire a tal fine, dove sia necessario, delle organizzazioni femminili distinte. Il pregiudizio, secondo il quale bisognerebbe liquidare le organizzazioni femminili dirette da partiti comunisti nei paesi capitalisti, in nome della lotta contro il “separatismo femminile” nel movimento operaio, ha portato sovente dei gravi danni.

È necessario ricercare le forme più semplici e duttili che permettono di stabilire il contatto e la lotta in comune delle organizzazioni femminili rivoluzionarie, socialdemocratiche, progressiste contro la guerra e il fascismo. Noi dobbiamo ottenere, a qualunque costo, che le operaie e le donne lavoratrici lottino al fianco dei loro fratelli di classe nelle fila del Fronte unico della classe operaia e del Fronte popolare antifascista.


Il Fronte unico antimperialista

In relazione alle modificazioni avvenute nella situazione interna e internazionale di tutti i paesi coloniali e semi-coloniali la questione del Fronte unico antimperialista acquista un’importanza eccezionale.

Per la costituzione di un ampio Fronte unico di lotta antimperialista nelle colonie e nei paesi semi- coloniali è innanzitutto necessario tener conto delle condizioni diverse nelle quali si svolge la lotta antimperialista delle masse, del diverso grado di maturità del movimento di liberazione nazionale, della funzione che il proletariato ha in questo movimento e dell’influenza del Partito comunista sulle grandi masse.

Il problema si pone in modo diverso in Brasile, in India, in Cina, ecc.

In Brasile, il Partito comunista, il quale ha dato una giusta base allo sviluppo del Fronte unico antimperialista creando l’Alleanza per la liberazione nazionale, deve consacrare tutti i suoi sforzi a estenderla ulteriormente, in primo luogo attirando ad essa le masse di molti milioni di contadini, lavorando alla creazione di unità dell’esercito rivoluzionario nazionale, devoto fino in fondo alla rivoluzione e lavorando all’instaurazione del potere dell’Alleanza per la liberazione nazionale.

In India, i comunisti devono partecipare a tutte le manifestazioni di massa antimperialiste, comprese quelle capeggiate dai nazional-riformisti, sostenerle. I comunisti devono conservare la loro indipendenza politica e organizzativa, ma svolgere un lavoro attivo in seno alle organizzazioni che aderiscono al Congresso nazionale indiano, facilitando la cristallizzazione in esse dell’ala nazional-rivoluzionaria, ai fini dell’ulteriore sviluppo del movimento di liberazione nazionale dei popoli dell’India contro l’imperialismo britannico.

In Cina, dove il movimento popolare ha già portato alla creazione di territori sovietici in una parte considerevole del paese e all’organizzazione di un potente Esercito Rosso, la brigantesca offensiva dell’imperialismo giapponese e il tradimento del governo di Nankino minacciano l’esistenza nazionale del grande popolo cinese. I territori sovietici cinesi intervengono come centro di unificazione della lotta contro l’asservimento e la spartizione della Cina da parte degli imperialisti, come centro di raccolta di tutte le forze antimperialiste per la lotta nazionale del popolo cinese.

Noi approviamo, perciò, l’iniziativa del nostro valoroso Partito Comunista Cinese per la creazione del più vasto Fronte unico antimperialista contro l’imperialismo giapponese e i suoi agenti cinesi, con tutte le forze organizzate effettivamente per salvare il loro paese e il loro popolo.

Sono certo di esprimere il pensiero e il sentimento di tutto il nostro Congresso se dichiaro che, a nome del proletariato rivoluzionario di tutto il mondo, noi inviamo un ardente e fraterno saluto a tutti i Soviet della Cina, al popolo cinese rivoluzionario (applausi fragorosi, tutti si alzano). Noi inviamo un ardente e fraterno saluto all’eroico Esercito Rosso cinese, provato in migliaia di combattimenti (applausi fragorosi). E noi assicuriamo il popolo cinese della nostra ferma decisione di sostenere la lotta per la sua completa liberazione da tutti i briganti imperialisti e dai loro agenti cinesi (applausi fragorosi; tutti i delegati, in piedi, continuano per alcuni minuti la vibrante ovazione, tra grida di «evviva!»).


Il governo di Fronte unico

Compagni, noi ci siamo orientati decisamente, audacemente verso il Fronte unico della classe operaia e siamo pronti ad attuarlo nel modo più conseguente.

Alla domanda se noi comunisti siamo sul terreno del Fronte unico soltanto nella lotta per le rivendicazioni parziali o se siamo pronti ad assumere delle responsabilità anche quando si tratterà di costituire un governo sulla base del Fronte unico, noi rispondiamo, con piena coscienza della nostra responsabilità: «sì, noi teniamo conto che si può creare una situazione nella quale la formazione di un governo di Fronte unico proletario o di Fronte popolare antifascista sia non soltanto possibile ma necessaria nell’interesse del proletariato (applausi); e in tal caso, senza esitazione alcuna, noi interverremo per la formazione di un tale governo».

Non parlo qui del governo che può essere formato dopo la vittoria della rivoluzione proletaria. Certo, non è da escludersi che, in qualche paese, subito dopo l’abbattimento rivoluzionario della borghesia, si possa addivenire alla formazione di un governo sovietico sulla base di un blocco governativo del Partito comunista con quel determinato partito (o con la sua ala sinistra) che partecipa alla rivoluzione. Come è noto, dopo la Rivoluzione di Ottobre il Partito dei bolscevichi russi vittorioso incluse nel governo sovietico anche dei socialisti-rivoluzionari di sinistra. Fu questa una particolarità del primo governo sovietico dopo la vittoria della Rivoluzione di Ottobre.

Ma non si tratta di un caso di questo genere. Si tratta della possibilità di costituire un governo di Fronte unico alla vigilia e prima della vittoria della rivoluzione sovietica.

Che governo è questo? E in quale situazione si può parlare della formazione di un tale governo? È, prima di tutto, un governo di lotta contro il fascismo e la reazione. Dev’essere un governo che sorge in conseguenza del movimento di Fronte unico e che non limita in alcun modo l’attività del Partito comunista e delle organizzazioni di massa della classe operaia, ma, al contrario, prende delle misure risolute contro i magnati controrivoluzionari della finanza e i loro agenti fascisti.

Al momento opportuno, il Partito comunista di un dato paese, appoggiandosi al crescente movimento di Fronte unico, si pronuncerà per la formazione di un tale governo sulla base di una determinata piattaforma antifascista.

In quali condizioni oggettive sarà possibile la formazione di un simile governo? A questa domanda si può rispondere nella forma più generale: in condizioni di crisi politica, quando le classi dominanti non siano più in grado di far fronte alla potente ascesa del movimento antifascista di massa. Ma questa è soltanto una prospettiva generale, senza la quale la formazione di un governo di Fronte unico sarà in pratica difficilmente possibile. Soltanto l’esistenza di determinate premesse particolari può mettere all’ordine del giorno la formazione di un simile governo come compito politico necessario. E mi sembra che, per questo si debba porre un’attenzione particolare alle premesse seguenti:

in primo luogo, che l’apparato statale della borghesia sia già disorganizzato e paralizzato quanto basti perché la borghesia non possa impedire la formazione di un governo di lotta contro la reazione e il fascismo;

in secondo luogo, che le grandi masse dei lavoratori, in modo particolare i sindacati di massa, insorgano impetuosamente contro il fascismo e la reazione, ma non siano ancora pronte a insorgere per lottare, sotto la direzione del Partito comunista, per la conquista del potere sovietico;

in terzo luogo, che la differenziazione e lo spostamento a sinistra nelle fila della socialdemocrazia e degli altri partiti aderenti al Fronte unico sia ormai giunta a un punto tale che una parte considerevole di questi partiti esiga delle misure spietate contro i fascisti e gli altri reazionari, lotti insieme ai comunisti contro il fascismo e si pronunci apertamente contro la parte reazionaria del suo proprio partito, ostile al comunismo.

Non si può dire in anticipo quando e in quali paesi si creerà una tale situazione di fatto, nella quale queste premesse esisteranno in misura sufficiente; ma poiché tale possibilità non è esclusa per nessuno dei paesi capitalisti, dobbiamo tenerne conto e non soltanto orientarci e prepararci noi stessi ad essa ma orientare in modo adeguato in questo senso anche la classe operaia.

Il fatto che oggi mettiamo in discussione questo problema è evidentemente legato alla nostra valutazione della situazione e delle prospettive immediate del suo sviluppo, come pure allo sviluppo effettivo che il movimento di Fronte unico ha assunto in questi ultimi tempi in vari paesi. Per oltre dieci anni, la situazione nei paesi capitalisti fu tale che l’Internazionale Comunista non aveva motivo di discutere questioni di questo genere.

Voi ricorderete, compagni, che al nostro IV Congresso nel 1922 e poi al V Congresso nel 1924 si era discussa la questione della parola d’ordine del governo operaio o del governo operaio e contadino. All’inizio si trattava sostanzialmente di una questione quasi analoga a quella che poniamo oggi. Le discussioni che si svolsero allora nell’Internazionale Comunista a tale proposito, e in modo particolare gli errori politici commessi in questo campo, si devono tenere in considerazione anche oggi, per accentuare la nostra vigilanza contro il pericolo di deviazioni di destra e di “sinistra” dalla linea bolscevica in questa questione. Perciò passerò brevemente in rassegna alcuni di questi errori, al fine di trarne gli insegnamenti necessari per la politica attuale dei nostri partiti.

La prima serie di errori dipendeva dal fatto che la questione del governo operaio non era legata chiaramente e fortemente all’esistenza di una crisi politica. Grazie a questa circostanza, gli opportunisti di destra poterono interpretare la cosa come se si dovesse tendere alla formazione di un governo operaio sostenuto dal Partito comunista in qualsiasi, per così dire, situazione “normale”. Gli “ultra-sinistri”, al contrario, accettavano soltanto quel governo operaio che può essere formato per mezzo dell’insurrezione armata, dopo l’abbattimento della borghesia. Gli uni e gli altri sbagliavano e, per evitare la ripetizione di tali errori, noi oggi accentuiamo così fortemente la necessità di una pecisa valutazione di quelle condizioni concrete particolari della crisi politica e dell’ascesa del movimento di massa, nelle quali la creazione di un governo di Fronte unico può essere possibile e politicamente indispensabile.

La seconda serie di errori dipendeva dal fatto che la questione del governo operaio non era legata allo sviluppo di un combattivo movimento di massa del Fronte unico del proletariato. Gli opportunisti di destra avevano così la possibilità di deformare la questione riducendola a una tattica di blocco senza principi con i partiti socialdemocratici, sulla base di combinazioni puramente parlamentari. Gli ultra-sinistri, invece, gridavano: «Nessuna coalizione con la socialdemocrazia controrivoluzionaria!», poiché, in sostanza, consideravano tutti i socialdemocratici come dei controrivoluzionari.

Sia la prima posizione, sia la seconda erano sbagliate e noi oggi diciamo ben chiaro di non voler affatto un «governo operaio» che sia un semplice governo socialdemocratico allargato. Noi preferiamo persino rinunciare a chiamarlo «governo operaio» e parliamo di un «governo di Fronte unico», che per il suo carattere politico è del tutto diverso – diverso in linea di principio – da tutti i governi socialdemocratici che si attribuiscono abitualmente il nome di «governi operai». Mentre il governo socialdemocratico è uno strumento di collaborazione di classe con la borghesia nell’interesse della conservazione del regime capitalista, il governo di Fronte unico è un organo di collaborazione dell’avanguardia rivoluzionaria del proletariato con gli altri partiti antifascisti nell’interesse di tutto il popolo lavoratore, è un governo di lotta contro fascismo e la reazione. È chiaro che queste sono due cose radicalmente diverse.

D’altra parte, noi sottolineiamo la necessità di rilevare la differenza fra i due diversi campi della socialdemocrazia. Come ho già detto, esiste il campo reazionario della socialdemocrazia, ma in pari tempo esiste e si sviluppa il campo dei socialdemocratici di sinistra (senza virgolette), degli operai che si rivoluzionarizzano. La differenza decisiva fra questi due campi consiste in pratica nel loro atteggiamento verso il Fronte unico della classe operaia. I socialdemocratici reazionari sono contro il Fronte unico, calunniano il movimento di Fronte unico, lo sabotano e lo disgregano, perché mette in scacco la loro politica di conciliazione con la borghesia. I socialdemocratici di sinistra sono per il Fronte unico, difendono, sviluppano, rafforzano il movimento di Fronte unico. E poiché è un movimento di lotta contro il fascismo e la reazione, questo movimento di Fronte unico sarà la forza motrice permanente che spingerà il governo di Fronte unico alla lotta contro la borghesia reazionaria. Quanto più forte sarà lo sviluppo di questo movimento, tanto maggiore sarà la forza che potrà mettere a disposizione del governo per la lotta contro i reazionari. E quanto meglio questo movimento di massa sarà organizzato dal basso, quanto più estesa sarà la rete degli organi di classe, al di fuori del Partito, del Fronte unico negli stabilimenti, fra i disoccupati, nei quartieri operai, fra il popolo minuto della città e della campagna, tanto più sarà grande la garanzia contro la possibile degenerazione della politica del governo di Fronte unico.

La terza serie di opinioni sbagliate che si sono rivelate nelle discussioni precedenti riguardava appunto la politica pratica del «governo operaio». Gli opportunisti di destra pensavano che il «governo operaio» dovesse tenersi «nei limiti della democrazia borghese» e non dovesse quindi intraprendere nulla che uscisse da questi limiti. Gli ultra-sinistri, al contrario, respingevano di fatto qualunque tentativo di costituire un governo di Fronte unico.

Nel 1923, in Sassonia e in Turingia, si poteva vedere un quadro molto evidente della pratica opportunista di destra di un «governo operaio». L’entrata dei comunisti nel governo sassone assieme ai socialdemocratici di sinistra (gruppo Zeigner) non era di per sé un errore, tutt’altro: la situazione rivoluzionaria della Germania giustificava pienamente questo passo. Ma i comunisti che partecipavano al governo avrebbero dovuto utilizzare le loro posizioni prima di tutto per armare il proletariato. Essi non fecero questo. Non requisirono neppure un appartamento ai ricchi, quantunque gli operai avessero bisogno di abitazioni, tanto che molti, con le mogli e i bambini, erano senza tetto. Non fecero nulla neppure per organizzare un movimento rivoluzionario di massa degli operai. In generale, si comportarono come dei volgari ministri parlamentari «nei limiti della democrazia borghese». Come è noto, questo fu il risultato della politica opportunista di Brandler e dei suoi seguaci. Ne conseguì una tale bancarotta che ancora oggi siamo costretti a citare il governo della Sassonia come esempio classico di come i rivoluzionari non devono comportarsi quando sono al governo.

Compagni, noi esigiamo da ogni governo di Fronte unico una politica completamente diversa. Noi esigiamo che attui determinate rivendicazioni rivoluzionarie fondamentali rispondenti alla situazione, come, ad esempio, il controllo sulla produzione, il controllo sulle banche, lo scioglimento della polizia, la sua sostituzione con una milizia operaia armata e così di seguito.

Lenin ci chiamava, quindici anni or sono, a concentrare tutta la nostra attenzione «sulla ricerca delle forme di transizione o di avvicinamento alla rivoluzione proletaria». Può darsi che il governo di Fronte unico si dimostri, in una serie di paesi, una delle principali forme di transizione. I dottrinari di “sinistra” hanno sempre trascurato questa direttiva di Lenin e, propagandisti dall’orizzonte ristretto quali essi erano, parlavano soltanto della mèta, senza mai curarsi delle «forme di transizione». Gli opportunisti di destra tentarono di far posto a uno speciale «stadio democratico intermedio» fra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato, al fine di inculcare negli operai l’illusione del passaggio pacifico, per vie parlamentari, da una dittatura all’altra. Essi chiamavano anche «forma di transizione» questo fittizio «stadio intermedio» e si richiamavano persino a Lenin! Ma non era difficile sventare questa truffa: Lenin infatti parla delle forme di passaggio e di avvicinamento alla «rivoluzione proletaria», cioè all’abbattimento della borghesia e non già di una qualche forma di transizione fra la dittatura borghese e la dittatura proletaria.

Perché Lenin attribuiva un’importanza così grande alla forma di passaggio alla rivoluzione proletaria? Perché aveva presente «la legge fondamentale di tutte le grandi rivoluzioni», la legge secondo la quale la propaganda e l’agitazione, da sole, non possono sostituire per le masse la loro propria esperienza politica, quando si tratta di attrarre masse realmente larghe di lavoratori dalla parte dell’avanguardia rivoluzionaria, senza di ché una lotta vittoriosa per il potere non è possibile. L’errore abituale della corrente di sinistra è l’idea che, non appena sorge una crisi politica (o rivoluzionaria), alla direzione comunista non spetta che lanciare la parola d’ordine dell’insurrezione armata perché tutte le masse la seguano. No, anche quando esiste una tale crisi le masse sono ben lungi dall’esservi sempre pronte. Prova ne sia l’esempio della Spagna.

Aiutare masse di milioni di uomini a comprendere nel modo più rapido, in base alla loro esperienza che cosa devono fare, qual è la via d’uscita decisiva, qual è il partito che merita la loro fiducia: ecco a cosa servono tra l’altro sia le parole d’ordine transitorie sia le particolari «forme di transizione o di avvicinamento alla rivoluzione proletaria». Altrimenti anche in una situazione rivoluzionaria le grandi masse popolari, schiave delle illusioni e delle tradizioni democratiche piccolo-borghesi, possono esitare e perdere tempo, senza trovare la via che porta alla rivoluzione, e cadere poi sotto i colpi dei carnefici fascisti.

Noi rileviamo, perciò, la possibilità della formazione di un governo del Fronte popolare antifascista in condizioni di crisi politica. In quanto tale governo lotterà veramente contro i nemici del popolo e darà libertà d’azione alla classe operaia e al Partito comunista, noi comunisti lo appoggeremo in tutti i modi e, come soldati della rivoluzione, ci batteremo in prima linea, sulla linea del fuoco. Ma noi diciamo apertamente alle masse: «questo governo non può portarvi la salvezza definitiva. Non è in grado di abbattere il dominio di classe degli sfruttatori e non può perciò eliminare definitivamente neanche il pericolo della controrivoluzione fascista. È dunque necessario prepararsi alla rivoluzione socialista. Soltanto e unicamente il potere sovietico porterà la salvezza!».

Se esaminiamo lo sviluppo attuale della situazione mondiale, vediamo che la crisi politica matura in tutta una serie di paesi. Questo fatto determina la grande importanza e l’attualità di una ferma decisione del nostro Congresso sulla questione del governo di Fronte unico.

Se ai fini della preparazione rivoluzionaria delle masse, i nostri partiti sapranno utilizzare in modo bolscevico sia le possibilità di costituire un governo di Fronte unico sia la lotta per la sua formazione e la sua permanenza al potere, avremo la migliore giustificazione politica del nostro orientamento verso la formazione di un governo di Fronte unico.


La lotta ideologica contro il fascismo

Uno dei lati più deboli della lotta antifascista dei nostri partiti sta nel fatto che essi reagiscono in modo insufficiente e tardivo alla demagogia del fascismo e continuano finora a trascurare il problema della lotta contro l’ideologia fascista. Molti compagni non credevano che una varietà tanto reazionaria dell’ideologia, com’è l’ideologia del fascismo, la quale spinge sovente la sua assurdità fino alla stravaganza, fosse comunque capace di conquistare un’influenza tra le masse. Fu questo un grande errore. L’avanzata putrefazione del capitalismo penetra fino al cuore della sua ideologia e della sua cultura e la situazione disperata delle vaste masse popolari fa sì che certi strati possano essere contagiati dai rifiuti ideologici di questa putrefazione.

Noi non dobbiamo in nessun caso sottovalutare questa forza del contagio ideologico del fascismo. Anzi, da parte nostra dobbiamo svolgere una vasta lotta ideologica sulla base di argomenti chiari e popolari e di un atteggiamento giusto e ben ponderato verso la particolare psicologia nazionale delle masse popolari.

I fascisti frugano tutta la storia di ogni popolo per presentarsi come gli eredi e i continuatori di tutto ciò che vi è di sublime e di eroico nel suo passato e utilizzano tutto ciò che vi è di umiliante e di ingiurioso per i sentimenti nazionali del popolo, come strumento di lotta contro i nemici del fascismo. In Germania si pubblicano centinaia di libri che hanno il solo scopo di falsificare in senso fascista la storia del popolo tedesco. Gli storici nazional-socialisti di nuovo conio si sforzano di presentare la storia della Germania come se, in virtù di una certa “legge storica”, nel corso di 2000 anni passasse come un filo rosso, una linea di sviluppo che culmina con la comparsa sulla scena storica del “salvatore nazionale”, del “messia” del popolo tedesco, del famoso “caporale” di origine austriaca! In questi libri, i più grandi uomini politici del popolo tedesco nei tempi passati vengono rappresentati come dei fascisti e i grandi movimenti contadini vengono rappresentati addirittura come i precursori diretti del movimento fascista.

Mussolini si sforza in tutti i modi di trarre profitto dall’eroica figura di Garibaldi. I fascisti francesi esaltano come loro eroina Giovanna d’Arco. I fascisti americani si richiamano alle tradizioni delle guerre americane di indipendenza, alle tradizioni di Washington e di Lincoln. I fascisti bulgari sfruttano il movimento di liberazione nazionale del ‘70 e i suoi amati eroi popolari Vassilio Levski, Stefano Karagià, ecc.

Quei comunisti, i quali pensano che tutto ciò non riguardi la classe operaia e non fanno nulla per spiegare alle masse lavoratrici il passato del loro popolo con un autentico spirito marxista, leninista-marxista, leninista-stalinista, in modo storicamente oggettivo per legare le loro lotte attuali alle sue tradizioni e al suo passato rivoluzionario, siffatti comunisti abbandonano volontariamente tutto quanto vi è di prezioso nel passato storico della nazione ai falsificatori fascisti, perché questi se ne servano per instupidire le masse popolari (applausi).

No, compagni! Tutte le questioni importanti, non soltanto del presente e del futuro, ma anche del passato del nostro popolo, ci riguardano. Noi comunisti non conduciamo la politica circoscritta degli interessi corporativi degli operai; non abbiamo la visione ristretta degli uomini politici delle Trades Unions né dei dirigenti delle corporazioni medievali degli artigiani e dei garzoni. Noi siamo i rappresentanti degli interessi di classe di quella che è la più importante e più grande classe della società moderna, i rappresentanti della classe operaia, che è chiamata a liberare l’umanità dalle sofferenze del regime capitalista, di quella classe che, sulla sesta parte del mondo, ha già abbattuto il giogo del capitale ed è divenuta la classe che governa. Noi difendiamo gli interessi vitali di tutti gli strati di lavoratori sfruttati, cioè della schiacciante maggioranza del popolo di qualsiasi paese capitalista.

Noi comunisti siamo per principio avversari irriducibili del nazionalismo borghese di tutte le tinte. Ma noi non siamo partigiani del nichilismo nazionale e non dobbiamo mai presentarci in tale veste. Il compito di educare gli operai e tutti i lavoratori nello spirito dell’internazionalismo proletario è uno dei compiti fondamentali di ogni Partito comunista. Ma chi ritiene che ciò gli permetta o addirittura lo costringa a sputare su tutti i sentimenti nazionali delle grandi masse lavoratrici è ben lontano dal vero bolscevismo, non ha capito per niente la dottrina della questione nazionale di Lenin e di Stalin (applausi).

Lenin, che lottò sempre risolutamente e coerentemente contro il nazionalismo borghese, ci ha dato un esempio del modo giusto di affrontare la questione dei sentimenti nazionali nel suo articolo: Della fierezza nazionale dei grandi-russi, scritto nel 1914. Ecco che cosa scriveva:

«È forse estraneo a noi, proletari coscienti grandi-russi, il sentimento dell’orgoglio nazionale? Certo che no! Noi amiamo la nostra lingua e la nostra patria, noi lavoriamo soprattutto per elevare le sue masse lavoratrici (vale a dire i nove decimi della sua popolazione) alla vita cosciente di democratici e di socialisti. Quel che più ci amareggia è il vedere e il sentire a quali violenze, a quale oppressione e a quale scherno i carnefici zaristi, i nobili e i capitalisti sottopongono la nostra bella patria. Noi siamo orgogliosi che queste violenze hanno incontrato una resistenza tra di noi, tra i grandi-russi: siamo fieri che da questi sono usciti i Radiscev, i decabristi, gli intellettuali rivoluzionari del 1870-1880, siamo fieri che la classe operaia grande-russa ha creato nel 1905 un potente partito rivoluzionario di massa […]. Noi siamo tutti presi da un sentimento di orgoglio nazionale perché la nazione grande-russa ha anche creato una classe rivoluzionaria, ha anche dimostrato di saper dare all’umanità grandi esempi di lotta per la libertà e per il socialismo, e non soltanto grandi pogrom, file di forche, prigioni, grandi carestie e un grande servilismo davanti ai preti, agli zar, ai latifondisti e ai capitalisti.

Noi siamo presi da un sentimento di orgoglio nazionale e appunto per questo odiamo in modo particolare il nostro passato di schiavi […] e il nostro presente di schiavi, nel quale gli stessi latifondisti, assecondati dai capitalisti, ci conducono alla guerra per soffocare la Polonia e l’Ucraina, per reprimere il movimento democratico in Persia e in Cina, per rafforzare la banda dei Romanov, dei Bobrinsky e dei Purisckievic, che avvilisce la nostra dignità nazionale di grandi-russi».(11)

11. V.I. Lenin, Della fierezza nazionale dei grandi-russi (dicembre 1914), in Opere vol. 21, Editori Riuniti (1966).


Ecco che cosa scriveva Lenin dell’orgoglio nazionale.

Io penso, compagni, di non aver commesso un errore quando, al processo di Lipsia, di fronte al tentativo dei fascisti di calunniare il popolo bulgaro con l’appellativo di barbaro, ho difeso l’onore nazionale delle masse lavoratrici del popolo bulgaro le quali lottano con abnegazione contro gli usurpatori fascisti, questi autentici barbari e selvaggi (applausi fragorosi e prolungati) e quando ho dichiarato che non ho nessun motivo di vergognarmi di essere bulgaro, ma che mi sento al contrario orgoglioso di essere un figlio dell’eroica classe operaia bulgara (applausi).

Compagni, l’internazionalismo proletario deve, per così dire, “acclimatarsi” in ogni paese per mettere radici profonde nella terra natale. Le forme nazionali della lotta di classe proletaria e del movimento operaio nei singoli paesi non sono affatto in contraddizione con l’internazionalismo proletario, anzi sono appunto queste forme che permettono di difendere con successo gli interessi internazionali del proletariato.

Beninteso, è necessario mettere in chiaro e dimostrare concretamente alle masse, dappertutto e in tutti i casi, che la borghesia fascista, con il pretesto di difendere gli interessi nazionali, conduce la sua politica egoistica di oppressione e di sfruttamento del proprio popolo e di saccheggio e di asservimento di altri popoli. Ma non bisogna limitarsi a questo. È in pari tempo necessario dimostrare, con la lotta stessa della classe operaia e con le manifestazioni dei partiti comunisti, che il proletariato, insorgendo contro ogni specie di asservimento e di oppressione nazionale, è l’unico vero combattente per la libertà nazionale e per l’indipendenza del popolo.

Gli interessi della lotta di classe del proletariato contro gli sfruttatori e gli oppressori del proprio paese non ostacolano affatto un libero e felice avvenire della nazione. Al contrario: la rivoluzione socialista significherà la salvezza della nazione e le aprirà la via verso un più alto sviluppo. Per il fatto che la classe operaia, nel momento presente, crea le sue organizzazioni di classe e rafforza le sue posizioni, per il fatto che essa difende dal fascismo i diritti democratici e la libertà e che essa lotta per l’abbattimento del capitalismo, essa, per questo fatto stesso, lotta già per un tale avvenire della nazione.

Il proletariato rivoluzionario lotta per la salvezza della cultura del popolo, per la sua liberazione dalle catene del capitalismo monopolistico in putrefazione, dal fascismo barbaro che la violenta. Soltanto la rivoluzione proletaria può prevenire la rovina della cultura veramente popolare, nazionale per la forma e socialista per il suo contenuto, che si sta realizzando davanti ai nostri occhi nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, sotto la direzione di Stalin (applausi).

L’internazionalismo proletario non solo non è in contraddizione con la lotta dei lavoratori dei singoli paesi per la libertà nazionale, sociale e culturale, ma grazie alla solidarietà proletaria internazionale e all’unità di lotta assicura l’appoggio necessario per vincere in questa lotta. È soltanto nella più stretta alleanza con la classe operaia vittoriosa della grande Unione Sovietica che il proletariato dei paesi capitalisti può vincere; soltanto se lottano a fianco del proletariato dei paesi imperialisti, i popoli coloniali e le minoranze nazionali oppresse possono raggiungere la loro liberazione; soltanto l’alleanza rivoluzionaria della classe operaia dei paesi imperialisti con i movimenti di liberazione nazionale delle colonie e dei paesi dipendenti è la via della vittoria della rivoluzione proletaria nei paesi imperialisti, giacché, come ci ha insegnato Marx, «non può essere libero un popolo che opprime altri popoli».

I comunisti che appartengono a una nazione oppressa, a una nazione dipendente, non possono lottare con successo contro lo sciovinismo in seno alla loro stessa nazione se nello stesso tempo non dimostrano in pratica, nel movimento di massa, di lottare di fatto per la liberazione della loro nazione dal giogo straniero. D’altra parte, i comunisti di una nazione che ne opprime altre non possono neppure essi fare quanto è necessario per educare le masse lavoratrici della loro nazione nello spirito internazionalista se non conducono una lotta risoluta contro la politica di oppressione della “loro” borghesia, per il pieno diritto di autodecisione delle nazioni ad essa asservite. Se essi non fanno questo, non aiutano neanche i lavoratori della nazione oppressa a superare i loro pregiudizi nazionalisti.

Soltanto se agiremo in questo senso, se in tutto il nostro lavoro di massa dimostreremo in modo convincente di essere liberi tanto dal nichilismo nazionale quanto dal nazionalismo borghese, soltanto allora potremo effettivamente condurre una lotta vittoriosa contro la demagogia sciovinista dei fascisti.

Ecco perché è tanto importante l’applicazione giusta e concreta della politica nazionale leninista-stalinista.

Questa è la premessa assolutamente necessaria per la lotta vittoriosa contro lo sciovinismo, principale strumento dell’influenza ideologica dei fascisti tra le masse (applausi).


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III

IL RAFFORZAMENTO DEI PARTITI COMUNISTI E LA LOTTA PER L’UNITÀ POLITICA DEL PROLETARIATO


Compagni, nella lotta per il Fronte unico l’importanza della funzione dirigente del Partito comunista aumenta straordinariamente. In sostanza, soltanto il Partito comunista è l’iniziatore, l’organizzatore, la forza motrice del Fronte unico della classe operaia.

I partiti comunisti possono assicurare la mobilitazione delle grandi masse dei lavoratori per la lotta unica contro il fascismo e contro l’offensiva del capitale soltanto se rafforzano in tutti i modi le loro fila, soltanto se sviluppano la loro iniziativa, se conducono una politica marxista-leninista e applicano una tattica giusta, flessibile, tenendo conto della situazione concreta e della disposizione delle forze di classe.


Il rafforzamento dei partiti comunisti

Nell’intervallo tra il VI e il VII Congresso, i nostri partiti nei paesi capitalisti si sono incontestabilmente sviluppati e considerevolmente temprati. Ma sarebbe un errore pericoloso accontentarsi di questo. Quanto più il Fronte unico della classe operaia si estenderà, tanto più sorgeranno di fronte a noi compiti nuovi e complessi e dovremo lavorare al rafforzamento politico e organizzativo dei nostri partiti. Il Fronte unico del proletariato mette in movimento un esercito di operai, il quale può adempiere alla sua missione soltanto se avrà alla sua testa una forza che gli indichi i fini e le vie. Questa forza dirigente può essere soltanto un forte partito proletario rivoluzionario.

Quando noi comunisti prodighiamo tutti i nostri sforzi per creare il Fronte unico, non ci mettiamo dal punto di vista ristretto del reclutamento di nuovi membri nei partiti comunisti. Ma dobbiamo rafforzare in tutti i modi i partiti comunisti e aumentarne lo sviluppo numerico appunto perché desideriamo seriamente il consolidamento del Fronte unico. Il rafforzamento dei partiti comunisti non rappresenta un interesse ristretto di partito, ma l’interesse di tutta la classe operaia.

L’unità, la coesione rivoluzionaria e la combattività dei partiti comunisti sono un capitale preziosissimo che non appartiene soltanto a noi, ma a tutta la classe operaia. Noi abbiamo unito e uniremo la nostra volontà di scendere in lotta contro il fascismo assieme ai partiti e alle organizzazioni socialdemocratiche, con una lotta irriconciliabile contro il socialdemocratismo come ideologia e pratica di collaborazione con la borghesia e quindi anche con una lotta irriducibile contro qualsiasi penetrazione di questa ideologia nelle nostre fila.

Nell’audace e risoluta applicazione della politica di Fronte unico incontriamo nelle nostre stesse fila degli ostacoli che dobbiamo eliminare a qualunque costo nel più breve periodo di tempo.

Dopo il VI Congresso dell’Internazionale Comunista in tutti i partiti comunisti dei paesi capitalisti è stata condotta con successo la lotta contro le tendenze a un adattamento opportunista alle condizioni della stabilizzazione capitalista e contro il contagio delle illusioni riformiste e legalitarie. I nostri partiti hanno epurato le loro fila dagli opportunisti di destra di vario genere, rafforzando così la loro unità bolscevica e la loro capacità di lotta. Con minor successo è stata condotta, e spesso non è stata condotta affatto, la lotta contro il settarismo. Il settarismo non si manifestava più ormai nelle forme primitive aperte, come nei primi anni di esistenza dell’Internazionale Comunista, ma, invece, mascherandosi con il riconoscimento formale delle tesi bolsceviche, frenava lo sviluppo della politica bolscevica di massa. Ai nostri giorni il settarismo spesso non è più una «malattia infantile», come la definiva Lenin, ma un vizio radicato del quale bisogna liberarsi se si vuole creare il Fronte unico del proletariato e condurre le masse dalle posizioni del riformismo a quelle della rivoluzione.

Nella situazione attuale, il settarismo, il settarismo pieno di boria, come lo definiamo nel progetto di risoluzione; il settarismo soddisfatto della sua limitatezza dottrinaria, del suo distacco dalla vita reale delle masse, soddisfatto dei suoi metodi semplicistici di risolvere le questioni più complesse del movimento operaio in base a schemi stereotipati; il settarismo che si pretende onnisciente e considera superfluo imparare dalle masse, dalle lezioni del movimento operaio; in una parola, il settarismo che ha l’audacia dell’incosciente è il primo ostacolo alla nostra lotta per la realizzazione del Fronte unico.

Il settarismo pieno di boria non vuole e non può comprendere che la direzione della classe operaia da parte del Partito comunista non si ottiene automaticamente. La funzione dirigente del Partito comunista nelle lotte della classe operaia deve essere conquistata e per conquistarla bisogna non già declamare sulla funzione dirigente dei comunisti, ma con il proprio lavoro quotidiano di massa e con una giusta politica meritarsi, conquistarsi la fiducia delle masse operaie. Questo è possibile soltanto se noi, i comunisti, nel nostro lavoro politico, sapremo tenere nel debito conto l’effettivo livello della coscienza di classe delle masse e il grado raggiunto dalla loro coscienza rivoluzionaria, se sapremo valutare freddamente la situazione concreta, non sulla base dei nostri desideri, ma sulla base di ciò che esiste di fatto. Noi dobbiamo facilitare passo a passo, con pazienza, il passaggio delle grandi masse alle posizioni del comunismo. Non dobbiamo mai dimenticare le parole di Lenin, il quale ci avvertiva con tutta l’energia che «tutto sta appunto nel non considerare come superato per la classe, come superato per le masse ciò che è superato per noi».(12)

12. V.I. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 2019.


E ancor oggi, compagni, sono forse pochi nelle nostre fila gli elementi dottrinari i quali nella politica di Fronte unico vedono sempre e dappertutto soltanto dei pericoli? Per questi compagni tutto il Fronte unico è soltanto un continuo pericolo. Ma questa “linea di principio” settaria non è altro che impotenza politica di fronte alle difficoltà che si incontrano nella direzione immediata della lotta delle masse.

Il settarismo si manifesta in modo particolare nella sopravvalutazione della maturazione rivoluzionaria delle masse, nella sopravvalutazione della rapidità con la quale le masse si allontanano dalle posizioni del riformismo, nei tentativi di scavalcare le tappe difficili e i compiti complicati del movimento. I metodi di direzione delle masse, in pratica, venivano spesso sostituiti dai metodi di direzione del gruppo ristretto degli iscritti al Partito. Si sottovalutava la forza del legame tradizionale che univa le masse alle loro organizzazioni e ai loro dirigenti e quando le masse non rompevano subito questi legami si incominciava a comportarsi nei loro riguardi non meno aspramente che verso i loro dirigenti reazionari. Si standardizzavano la tattica e le parole d’ordine per tutti i paesi, senza tener conto della particolarità della situazione concreta di ogni singolo paese; si ignorava la necessità di una lotta ostinata in seno alle masse stesse per conquistarne la fiducia; si trascurava la lotta per le rivendicazioni parziali degli operai o il lavoro nei sindacati riformisti e nelle organizzazioni di massa del fascismo. La politica del Fronte unico veniva spesso sostituita con dei semplici appelli o con della propaganda astratta.

In non minor misura, le posizioni settarie ostacolavano la giusta scelta degli uomini, l’educazione e la preparazione di quadri legati alle masse, forti della fiducia delle masse, di quadri coerenti dal punto di vista rivoluzionario e provati nella lotta di classe, capaci di unire all’esperienza pratica del lavoro di massa, la fermezza di principi di un bolscevico.

In questo modo, il settarismo ha rallentato considerevolmente lo sviluppo dei partiti comunisti, ha ostacolato l’applicazione di una vera politica di massa, ha impedito che si utilizzassero le difficoltà del nemico di classe per rafforzare le posizioni del movimento rivoluzionario, ha ostacolato la conquista delle larghe masse proletarie da parte dei partiti comunisti.

Pur lottando nel modo più risoluto per sradicare e superare gli ultimi residui del settarismo pieno di boria, noi dobbiamo intensificare in tutti i modi la nostra vigilanza e la nostra lotta contro l’opportunismo di destra e tutte le sue manifestazioni concrete, tenendo presente che esso diverrà più pericoloso man mano che si svilupperà un ampio Fronte unico. Vi sono già delle tendenze a sminuire la funzione del Partito comunista nelle fila del Fronte unico, delle tendenze alla conciliazione con l’ideologia socialdemocratica. È necessario non dimenticare mai che la tattica del Fronte unico è il metodo più efficace per convincere gli operai socialdemocratici che la politica comunista è giusta e che quella riformista non è giusta e non già per addivenire a una conciliazione con l’ideologia e la pratica socialdemocratica. La lotta vittoriosa per il Fronte unico esige imperativamente una lotta continua nelle nostre fila contro le tendenze a sminuire la funzione del Partito, contro le illusioni legalitarie, contro le concezioni della spontaneità e dell’automatismo tanto a proposito della liquidazione del fascismo quanto a proposito dell’applicazione del Fronte unico: lotta continua contro le più piccole esitazioni nel momento dell’azione decisiva.

«È necessario – ci insegna il compagno Stalin – che il Partito sappia unire nel suo lavoro il più elevato attaccamento ai principi (da non confondere con il settarismo!) al massimo di legami e di contatti con le masse (da non confondere con il codismo!) senza di che il Partito, non soltanto non può insegnare alle masse, ma neanche imparare da esse, non soltanto non può guidare le masse e portarle al livello del Partito, ma neanche tendere l’orecchio alla voce delle masse e indovinarne i bisogni più urgenti».(13)

13. I. Stalin, Sulle prospettive del Partito comunista tedesco e sulla bolscevizzazione (1925), in Opere vol. 7, Ed. Rinascita (1953).



L’unità politica della classe operaia

Compagni, lo sviluppo del Fronte unico, della lotta comune degli operai comunisti e socialdemocratici contro il fascismo e contro l’offensiva del capitale solleva anche la questione dell’unità politica, del partito politico unico di massa della classe operaia. Gli operai socialdemocratici si convincono sempre più, per esperienza, che la lotta contro il nemico di classe esige un’unica direzione politica, poiché la duplice direzione ostacola l’ulteriore sviluppo e il consolidamento dell’unità di lotta della classe operaia.

Gli interessi della lotta di classe del proletariato e il successo della rivoluzione proletaria esigono l’esistenza, in ogni paese, di un unico partito del proletariato. Ottenere questo non è certo facile né semplice. Ciò esigerà un lavoro e una lotta tenaci e si realizzerà necessariamente attraverso un processo più o meno lungo. I partiti comunisti, facendo leva sulla crescente aspirazione degli operai all’unificazione dei partiti socialdemocratici o di loro singole organizzazioni con i partiti comunisti, devono prendere nelle loro mani, in modo fermo e deciso, l’iniziativa di questa unificazione.

La causa dell’unificazione delle forze della classe operaia in un unico Partito proletario, nel momento in cui il movimento operaio internazionale entra nel periodo di liquidazione della scissione, è la nostra causa, è la causa dell’Internazionale Comunista.

Ma se l’accordo per la lotta il fascismo, contro l’offensiva del capitale e contro la guerra è sufficiente per attuare il Fronte unico dei partiti comunisti e socialdemocratici, la realizzazione invece dell’unità politica è possibile soltanto sulla base di alcune condizioni determinate che hanno un carattere di principio.

Questa unificazione è possibile soltanto:

in primo luogo, a condizione dell’indipendenza completa dalla borghesia e della rottura completa del blocco della socialdemocrazia con la borghesia;

in secondo luogo, a condizione che si sia preventivamente realizzata l’unita d’azione;

in terzo luogo, a condizione che si riconosca la necessità dell’abbattimento rivoluzionario del domino della borghesia e dell’instaurazione della dittatura del proletariato nella forma dei Soviet;

in quarto luogo, a condizione che si rinunci ad appoggiare la propria borghesia nella guerra imperialista;

in quinto luogo, a condizione che il Partito venga organizzato sulla base del centralismo democratico che garantisce l’unità di volontà e di azione e che è stato verificato dall’esperienza dei bolscevichi russi.

Noi dobbiamo spiegare pazientemente e amichevolmente agli operai socialdemocratici per quale ragione l’unità politica della classe operaia è impossibile senza tali condizioni; dobbiamo discutere con loro il senso e l’importanza di queste condizioni.

Perché sono necessarie l’indipendenza completa dalla borghesia e la rottura del blocco della socialdemocrazia con la borghesia, per la realizzazione dell’unità politica del proletariato?

Perché tutta l’esperienza del movimento operaio e in modo particolare l’esperienza di 15 anni di politica di coalizione in Germania hanno dimostrato che la politica di collaborazione di classe, la politica di dipendenza dalla borghesia porta alla sconfitta della classe operaia e alla vittoria del fascismo. Soltanto la via della lotta di classe implacabile contro la borghesia, la via dei bolscevichi, è la via sicura che porta alla vittoria.

Perché l’unità d’azione per respingere l’offensiva deve essere la condizione preliminare dell’unità politica?

Perché l’unità d’azione per respingere l’offensiva del capitale e del fascismo è possibile e necessaria ancor prima che la maggioranza degli operai si unisca su una comune piattaforma politica per abbattere il capitalismo e perché l’elaborazione di una concezione unica delle vie e degli scopi fondamentali della lotta del proletariato – senza la quale l’unificazione dei partiti non è possibile – esige un periodo di tempo più o meno lungo. E l’unità delle concezioni si crea, meglio che in qualunque altro modo, lottando in comune già da oggi contro il nemico di classe. Proporre l’unificazione immediata invece del Fronte unico, significa mettere il carro davanti ai buoi e pensare che il carro andrà avanti (ilarità).

Appunto perché la questione dell’unità politica non è per noi una manovra, come è invece per molti capi socialdemocratici, noi insistiamo per realizzare l’unità d’azione che è una delle tappe più importanti per l’unità politica.

Perché è necessario che si riconosca l’abbattimento rivoluzionario della borghesia e l’instaurazione della dittatura del proletariato nella forma del potere sovietico?

Perché l’esperienza della vittoria della grande Rivoluzione d’Ottobre da una parte e, dall’altra parte, gli amari insegnamenti della Germania, dell’Austria e della Spagna in tutto il periodo del dopoguerra, hanno confermato ancora una volta che la vittoria del proletariato è possibile soltanto con l’abbattimento rivoluzionario della borghesia e che la borghesia, piuttosto che permettere al proletariato di instaurare il socialismo per vie pacifiche, affogherà il movimento operaio in un mare di sangue. L’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre ha dimostrato in tutta evidenza che il contenuto fondamentale della rivoluzione proletaria è la questione della dittatura proletaria, dittatura che è chiamata a reprimere la resistenza degli sfruttatori abbattuti, ad armare la rivoluzione per la lotta contro l’imperialismo e a condurre la rivoluzione fino alla vittoria completa del socialismo. Per attuare la dittatura del proletariato come dittatura della schiacciante maggioranza sull’infima minoranza, sugli sfruttatori – ed essa può essere attuata soltanto come tale – sono necessari i Soviet, i quali abbracciano tutti gli strati della classe operaia, le masse contadine fondamentali e le masse degli altri lavoratori che è necessario ridestare e inserire nel fronte della lotta rivoluzionaria, affinché sia possibile il consolidamento della vittoria del proletariato.

Perché una delle condizioni dell’unità politica è il rifiuto di appoggiare la borghesia nella guerra imperialista?

Perché la borghesia conduce la guerra imperialista per i suoi scopi briganteschi, contro gli interessi della maggioranza schiacciante dei popoli, qualunque sia il pretesto sotto il quale si conduce questa guerra. Perché tutti gli imperialisti associano la febbrile preparazione della guerra all’intensificazione estrema dello sfruttamento e dell’oppressione dei lavoratori all’interno del paese.

Appoggiare la borghesia in una tale guerra significa tradire gli interessi del paese e della classe operaia internazionale.

Perché, infine, è l’organizzazione del Partito sulla base del centralismo democratico una delle condizioni per l’unità?

Perché soltanto un Partito organizzato sulla base del centralismo democratico può assicurare l’unità di volontà e d’azione, può condurre il proletariato alla vittoria sulla borghesia, la quale dispone di uno strumento potente come l’apparato statale centralizzato. L’applicazione del principio del centralismo democratico ha sostenuto la brillante prova storica dell’esperienza del Partito bolscevico russo, del Partito di Lenin e di Stalin.

Sì, compagni, noi siamo per un unico Partito politico di massa della classe operaia. Ma da ciò sorge la necessità di avere – come dice il compagno Stalin – «un Partito combattivo, un Partito rivoluzionario, abbastanza audace per condurre i proletari alla lotta per il potere, abbastanza esperto per orientarsi nelle condizioni complicate di una situazione rivoluzionaria e abbastanza flessibile per poter superare ogni e qualsiasi scoglio sulla via che conduce alla meta».(14)

14. I. Stalin, Questioni del leninismo (1926), in Opere vol. 8, Ed. Rinascita (1954).



Ecco perché è necessario tendere all’unificazione politica sulla base delle condizioni esposte.

Noi siamo per l’unità politica della classe operaia! Siamo pronti perciò alla più stretta collaborazione con tutti i socialdemocratici che sono per il Fronte unico e appoggiano sinceramente l’unificazione sulle basi da noi indicate. Ma appunto perché siamo per l’unificazione, lotteremo risolutamente contro tutti i demagoghi di “sinistra” che tentano di sfruttare la delusione degli operai socialdemocratici per creare dei nuovi partiti o delle nuove Internazionali socialiste orientate contro il movimento comunista e che approfondiscono in tal modo la divisione della classe operaia.

Noi salutiamo la crescente aspirazione degli operai socialdemocratici al Fronte unico con i comunisti. Consideriamo questo fatto come uno sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria e come l’inizio del superamento della divisione della classe operaia. E poiché riteniamo che l’unità d’azione è un’urgente necessità e la via più sicura per giungere anche all’unità politica del proletariato, dichiariamo che l’Internazionale Comunista e le sue sezioni sono pronte a iniziare le trattative con la II Internazionale e con le sue sezioni sull’attuazione dell’unità della classe operaia nella lotta contro l’offensiva del capitale, contro il fascismo e contro il pericolo di guerra imperialista! (applausi).


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CONCLUSIONE


Compagni, eccomi al termine del mio rapporto. Come vedete, tenendo conto delle modificazioni avvenute nella situazione dal VI Congresso in poi, degli insegnamenti della nostra lotta e basandoci sul grado di consolidamento ormai raggiunto dai nostri partiti, noi poniamo oggi in modo nuovo una serie di problemi e in primo luogo il problema del Fronte unico e dell’atteggiamento verso la socialdemocrazia, i sindacati riformisti e le altre organizzazioni di massa.

Vi sono dei sapientoni ai quali sembra che tutto questo sia una ritirata dalle nostre posizioni di principio, una specie di “svolta a destra” rispetto alla linea del bolscevismo. Che farci! Da noi, in Bulgaria, diciamo che la gallina affamata sogna sempre il miglio (ilarità, applausi fragorosi).

Lasciate che le galline politiche pensino quello che vogliono (ilarità, applausi fragorosi).

Questo ci interessa poco. Per noi l’importante è che i nostri partiti e le larghe masse di tutto il mondo comprendano giustamente ciò che vogliamo.

Non saremmo dei marxisti rivoluzionari, dei leninisti, dei degni allievi di Marx, Engels, Lenin e Stalin, se non sapessimo rimaneggiare tutta la nostra politica e la nostra tattica in conformità delle modificazioni avvenute nella situazione e degli spostamenti prodottisi nel movimento operaio mondiale.

Non saremmo dei veri rivoluzionari se non imparassimo dalla nostra esperienza e dall’esperienza delle masse.

Noi vogliamo che i nostri partiti nei paesi capitalisti scendano in campo e agiscano come dei veri partiti politici della classe operaia; vogliamo che essi abbiano effettivamente la funzione di un fattore politico nella vita del loro paese, che essi svolgano sempre un’attiva politica bolscevica di massa e non si limitino soltanto alla propaganda, alla critica e a vuoti appelli alla lotta per la dittatura proletaria.

Noi siamo nemici di qualsiasi schematismo. Noi vogliamo tener conto, in ogni momento e in ogni singola località, della situazione concreta e non agire ovunque e sempre secondo uno schema determinato; non vogliamo dimenticare che in condizioni diverse la posizione dei comunisti non può essere identica.

Noi vogliamo tener conto, freddamente, di tutte le tappe di sviluppo della lotta di classe e della coscienza di classe delle masse stesse, vogliamo saper trovare e risolvere in ogni tappa i compiti concreti del movimento rivoluzionario che corrispondono alla tappa stessa.

Noi vogliamo trovare un linguaggio comune a noi e alle grandi masse per la lotta contro il nemico di classe, vogliamo trovare la via per superare definitivamente l’isolamento dell’avanguardia rivoluzionaria dalle masse del proletariato e da tutti i lavoratori, come pure per superare l’isolamento fatale della stessa classe operaia dai suoi alleati naturali nella lotta contro la borghesia e contro il fascismo.

Noi vogliamo attirare alla lotta di classe rivoluzionaria masse sempre più vaste e condurle alla rivoluzione proletaria partendo dai loro interessi e dai loro bisogni vitali e sulla base della loro propria esperienza.

Noi vogliamo, seguendo l’esempio dei nostri gloriosi bolscevichi russi, seguendo l’esempio del Partito dirigente dell’Internazionale Comunista, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, unire all’eroismo rivoluzionario dei comunisti tedeschi, spagnoli, austriaci e degli altri paesi il vero realismo rivoluzionario e farla finita con quel che resta delle vane esercitazioni scolastiche attorno a problemi politici importanti.

Noi vogliamo armare in tutti i modi i nostri partiti per la soluzione dei complicati compiti politici che stanno loro davanti. A tal fine, vogliamo portare sempre più in alto il loro livello teorico, educarli nello spirito del marxismo-leninismo vivente e non in quello del dottrinarismo morto.

Noi vogliamo estirpare dalle nostre fila il settarismo borioso, il quale è il primo ostacolo che ci sbarra la via verso le masse e ci impedisce l’applicazione di una vera politica bolscevica di massa. Noi vogliamo intensificare in tutti modi la lotta contro tutte le manifestazioni concrete dell’opportunismo di destra, tenendo conto che, da questa parte, il pericolo aumenterà proprio nel corso dell’applicazione della nostra politica e della nostra lotta di massa.

Noi vogliamo che in ogni paese i comunisti traggano e utilizzino tutti gli insegnamenti della loro esperienza di avanguardia rivoluzionaria del proletariato. Noi vogliamo che essi imparino il più presto possibile a navigare nelle acque tempestose della lotta di classe e non rimangano sulla riva come osservatori a registrare l’approssimarsi delle onde, in attesa del bel tempo (applausi).

Ecco che cosa vogliamo!

E noi vogliamo tutto questo perché soltanto per questa via la classe operaia, alla testa di tutti i lavoratori, strettamente unita in un esercito rivoluzionario di milioni di combattenti, diretta dall’Internazionale Comunista e con alla sua testa un grande e saggio pilota come il nostro capo, il compagno Stalin (fragorosi applausi), possa adempiere sicuramente alla sua missione storica: spazzar via dalla faccia della terra il fascismo e assieme ad esso il capitalismo!


(Tutta la sala, in piedi, saluta con un’entusiastica ovazione il compagno Dimitrov).

Da tutte le parti, in lingue diverse, i delegati gridano: «Urrà! Evviva il compagno Dimitrov!». In tutte le lingue del mondo fuse in un unico coro, sale quindi il canto possente dell’Internazionale. Nuova tempesta di applausi.

Si grida: «Evviva il compagno Stalin! Evviva il compagno Dimitrov!».

Una voce: «Al compagno Dimitrov, porta-bandiera dell’Internazionale Comunista, un urrà bolscevico!».

Si sente gridare in lingua bulgara: «Al compagno Dimitrov, all’eroico combattente dell’Internazionale Comunista contro il fascismo, urrà!»

Le Delegazioni intonano i loro canti rivoluzionari: la delegazione italiana canta Bandiera Rossa, quella polacca Sulle Barricate, i francesi cantano la Carmagnola, i tedeschi Wedding Rosso, la delegazione cinese la Marcia dell’Armata Rossa cinese.




Note

1. I. Stalin, Due mondi - Rapporto al XVII Congresso del Partito Comunista dell’URSS (gennaio 1934), il Rapporto è incluso nell’antologia Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita (Roma 1952) pagg. 520-592.

Per maggiori informazioni vedere Storia del Partito comunista (bolscevico)dell’URSS, cap. XI.3, Edizioni Rapporti Sociali – Red Star Press (2018).

2. V.I. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 2019.

3. Organizzazione paramilitare socialdemocratica austriaca fondata nel 1923.

4. Lega della «Bandiera dell’Impero», organizzazione semi-militare di massa della socialdemocrazia.

5. Il riferimento è alla crisi politica spagnola del 1930-31 che pose fine alla dittatura di Miguel Primo de Rivera e mise in fuga re Alfonso XIII che l’aveva sostenuta fin dal 1923. Con le elezioni municipali del 12 aprile 1931 un imponente schieramento di forze politiche fece scelte repubblicane, mettendo così fine a una delle più antiche monarchie europee e sancendo la nascita della Repubblica Spagnola, la cui Carta costituzionale mirò a ridurre il potere e l’influenza dell’esercito, della Chiesa cattolica e dei proprietari terrieri nelle attività dello Stato e ad avviare la riforma agraria. Pochi anni dopo, nel 1934, vi fu il primo rovescio di fronte, con la vittoria di uno schieramento conservatore, mentre la rivoluzione socialista che prendeva corpo nelle Asturie (regione della Spagna nord-occidentale) veniva repressa dal generale Francisco Franco, allontanato al varo della Repubblica per le sue posizioni fasciste e poi richiamato in funzione anticomunista, che chiese pieni poteri.

6. Il governo Brüning, sostenuto da una coalizione centrista con l’appoggio esterno dal Partito Socialdemocratico di Germania, fu in carica per un primo mandato dal 30 marzo 1930 al 7 ottobre 1931. Poi, dopo un rimpasto dovuto alle dimissioni del ministro degli esteri, fu di nuovo in carica, come governo di minoranza sostenuto dagli stessi partiti borghesi di centro ad esclusione del DVP, dal 10 ottobre 1931 al 30 maggio 1932.

7. È la “notte dei lunghi coltelli”, ricordata in Germania con l’espressione nazista “Röhm-Putsch”. Si tratta di un’operazione (avvenuta per mano delle SS e che coinvolse, su ordine diretto di Hitler, le SA naziste - le squadre d’assalto - nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934 nella cittadina di Bad Wiessee) con la quale i nazisti trucidarono oppositori del regime, vecchi nemici e finanche ex compagni politici di Hitler. I dati ufficiali diffusi dal Reich il 13 luglio parlano di 71 persone uccise, ma il totale stimato delle vittime ammonta a circa 200.

8. V.I. Lenin, Sostanze infiammabili nella politica mondiale (agosto 1908), in Opere vol. 15, Editori Riuniti (1967).

9. Partito popolare polacco.

10. I. Stalin, Questioni del leninismo (1926), in Opere vol. 8, Ed. Rinascita (1954).

11. V.I. Lenin, Della fierezza nazionale dei grandi-russi (dicembre 1914), in Opere vol. 21, Editori Riuniti (1966).

12. V.I. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Edizioni Rapporti Sociali, Milano, 2019.

13. I. Stalin, Sulle prospettive del Partito comunista tedesco e sulla bolscevizzazione (1925), in Opere vol. 7, Ed. Rinascita (1953).

14. I. Stalin, Questioni del leninismo (1926), in Opere vol. 8, Ed. Rinascita (1954).



Testo tratto da:

Georgi Dimitrov, Questioni del Fronte unico e del Fronte popolare, Cooperativa Editrice Nuova Cultura, Milano, 1973

Confrontato con il testo in lingua francese tratto da:

Georges Dimitrov, Oeuvres choisies, pubblicato sul sito www.communisme-bolchevisme.net



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APPENDICE



Imparare dall’esperienza - tenere conto delle differenze

Riteniamo utile ai lettori del Rapporto di G. Dimitrov, in particolare a quelli che pensano per fare, leggere i tre testi che alleghiamo (le fonti sono indicate in ognuno di essi) sul ruolo e sul bilancio dell’opera dell’Internazionale Comunista nella trasformazione che la società umana sta compiendo.


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Rapporti Sociali n.21 - febbraio 1999


Il movimento politico degli anni trenta in Europa


Da allora [da quando nel 1917 iniziò la prima ondata della rivoluzione proletaria] la mobilitazione reazionaria ebbe costantemente due direttrici guida: la guerra tra gruppi imperialisti e la repressione della rivoluzione. Essa fu indebolita ogni volta che le due direttrici entravano in conflitto e i gruppi imperialisti si dilaniavano sulla priorità tra esse” (dal Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano, pag. 29-30)0.


Gli anni trenta fanno parte della prima crisi generale del capitalismo. Lungo tutto il periodo della prima crisi generale l’attività politica della borghesia imperialista fu determinata principalmente dall’azione combinata di due tipi di contraddizioni ambedue molto acute e antagoniste nel corso della crisi generale, due contraddizioni che persistono lungo tutto il periodo e delle quali in alcuni casi è principale l’una, in altri l’altra. Da una parte la contraddizione tra le masse popolari e la borghesia imperialista, espressione della contraddizione fondamentale di tutta l’epoca imperialista: la contraddizione tra classe operaia e borghesia imperialista, tra le forze produttive già collettive e i rapporti di produzione capitalisti. Dall’altra la contraddizione tra i gruppi imperialisti che nasceva dal fatto che il capitale accumulato era troppo per valorizzarsi tutto e ogni parte di esso poteva valorizzarsi solo a spese delle altri parti: nessun capitalista ovviamente era disposto a sacrificarsi e solo la forza poteva decidere chi soccombeva e chi si rafforzava. Quindi stante la crisi generale in corso anche la contraddizione tra gruppi imperialisti era una contraddizione antagonista. Le contraddizioni tra i gruppi imperialisti si trasformavano inevitabilmente in contrasti tra Stati imperialisti e in lotte politiche all’interno di ogni paese.


1.

La prima contraddizione poneva alla borghesia il compito di reprimere il movimento comunista. Questo compito presentava per la borghesia di ogni paese imperialista due aspetti: reprimere il movimento comunista nel proprio paese e nelle proprie colonie ed eliminare l’Unione Sovietica. L’eliminazione del primo paese socialista era per tutta la borghesia imperialista un obiettivo importante anche dal punto di vista economico (poter nuovamente estrarre profitti e rendite dai lavoratori dell’ex impero russo, imporre a quei popoli il rispetto degli investimenti finanziari che la rivoluzione aveva annullato), ma era ancora più importante dal punto di vista politico. La vittoria della rivoluzione in Russia aveva galvanizzato e galvanizzava le forze rivoluzionarie dei paesi imperialisti e delle colonie. “I cannoni della Rivoluzione d’Ottobre ridestarono il popolo cinese”, dirà alcuni anni dopo Mao Tse-tung. Oltre che di esempio, 1’Unione Sovietica tramite l’Internazionale Comunista costituita nel 1919 fungeva da retroterra per le forze rivoluzionarie di tutto il mondo. “Soffocare il bambino finché è ancora nella culla”, così l’esponente politico della borghesia imperialista inglese, W. Churchill, riassunse il programma della borghesia imperialista. Ogni comunista dei paesi imperialisti e ogni rivoluzionario delle colonie venne dalla borghesia dichiarato “agente di Mosca”: in questa dichiarazione confluivano sia l’illusione di una parte della borghesia che sarebbe stato possibile soffocare il movimento comunista locale se esso non avesse avuto un retroterra nell’Unione Sovietica sia il tentativo di mobilitare una parte delle masse contro il movimento comunista facendo leva sulla difesa dell’indipendenza nazionale.

L’attività politica condotta in quel periodo dai gruppi e dagli Stati imperialisti può essere compresa solo alla luce di queste due contraddizioni che riguardavano ogni gruppo e Stato imperialisti. Il filo logico che unisce le varie manifestazioni della loro attività politica può essere trovato solo alla luce di queste due contraddizioni. Chi non tiene conto di esse è costretto a ricorrere a categorie come il diavolo, la malvagità della natura umana e ad altre categorie religiose e pretesche1. Le singole iniziative politiche del periodo diventano invece razionali (cioè diventa possibile comprendere la concatenazione causale degli avvenimenti e gli obiettivi dei protagonisti), se partiamo da quei compiti.

Le due contraddizioni si influenzavano e si modificavano a vicenda. Infatti la situazione oggettiva poneva alla classe dominante di ogni paese come compito fondamentale il contenimento del comunismo in un periodo in cui la situazione oggettiva (la crisi economica e la conseguente crisi dei regimi e degli ordinamenti politici) portava continuamente nuove masse a sollevarsi contro l’ordine costituito degli Stati borghesi; in cui le contraddizioni tra i gruppi imperialisti dei vari paesi erano molto forti2 a causa della crisi economica, erano continuamente alimentate dalla ribellione delle masse e si traducevano in contraddizioni tra Stati.

Crisi economica e ribellione delle masse spingevano ogni gruppo borghese e ogni Stato borghese a cercare di aumentare la massa dei propri profitti e di assicurare la stabilità del proprio potere accaparrandosi profitti e rendite anche con misure che rendevano più critica la situazione di altri gruppi e di altri Stati (protezionismo, svalutazioni competitive, ecc.) e ritagliandosi zone in cui vietare con misure politiche la concorrenza commerciale e finanziaria dei capitalisti di altri paesi. Tutto ciò acuiva le contraddizioni tra gruppi imperialisti.

Ogni gruppo politico e ogni programma politico vennero, in quel periodo, valutati dalla borghesia imperialista con questo metro: erano o no capaci di impedire che il comunismo si affermasse e di soffocarlo dove si era già affermato? L’assetto politico dei vari paesi e del mondo doveva essere cambiato. Ciò era imposto dalla crisi economica. Prima o poi in tutti i principali paesi imperialisti questa necessità si fece strada tra gruppi influenti della borghesia, il cambiamento divenne un programma accettato e perseguito con maggiore o minore consapevolezza e coerenza, con maggiore o minore compattezza (unità) della classe dominante di ogni paese imperialista (“è impossibile continuare a governare con i metodi fin qui impiegati”). Di conseguenza ogni gruppo politico “eversivo” ebbe udienza e appoggio presso la borghesia imperialista nella misura in cui dava affidamento di perseguire con efficacia il contenimento del comunismo3.

Il contenimento del comunismo passava anche attraverso la liquidazione dei comunisti e delle organizzazioni comuniste e l’intimidazione delle masse con misure terroristiche: dalla liquidazione di singoli esponenti, alle azioni squadriste, alla persecuzione sistematica, alle infiltrazioni, alle provocazioni, alle campagne denigratorie. Questa strada venne largamente praticata lungo tutto il periodo da tutti gli Stati borghesi, dai più “democratici” (gli Stati USA, inglese, francese, ecc.) ai più “reazionari” (gli Stati baltici, finlandese, ungherese, polacco, austriaco, rumeno, italiano, tedesco, ecc.). A questo fine vennero usati sia i mezzi istituzionali dello Stato sia strutture parallele, “indipendenti”, private, “incontrollabili”.

Ma la strada della liquidazione dei comunisti e delle organizzazioni comuniste e dell’intimidazione delle masse era praticabile solo per brevi periodi ed era efficace solo se serviva a guadagnare tempo per dar luogo a misure che alleviassero le condizioni economiche delle masse. Nessuno Stato borghese può reggersi a lungo principalmente sull’intimidazione terroristica delle masse (mentre può condurre permanentemente un’azione di liquidazione selettiva delle avanguardie). Questo proprio a causa della costituzione materiale della società borghese, del carattere sociale del processo produttivo e, in definitiva, della natura peculiare del modo di produzione capitalista che si fonda sulla compravendita di cose e di forza-lavoro e sullo scontro tra le frazioni di capitale.

La ribellione delle masse a sua volta era fondamentalmente alimentata dalla crisi economica, ma era sostenuta e potenziata dall’azione soggettiva dei partiti comunisti e dell’Internazionale Comunista e dall’esistenza e dai successi dell’Unione Sovietica.

Le contraddizioni interimperialiste a loro volta non nascevano dalla natura malvagia e da rapinatore del singolo capitalista. Al contrario erano la crisi, le sue varie manifestazioni e i suoi effetti che rendevano malvagi e banditeschi i rapporti tra i capitalisti4. Le vicende e le fortune dei singoli individui diventano comprensibili solo se intese come conseguenze dei movimenti generali in cui si sono svolte, rovesciando la relazione che la cultura borghese normalmente cerca di raffigurare: essa infatti pone le caratteristiche degli individui come cause dei movimenti sociali5.

Le contraddizioni interimperialiste sono insite nel modo di produzione capitalista, ma diventano acute, antagoniste e politicamente determinanti nei periodi di crisi generale. In questi periodi la continuazione del processo di valorizzazione di una frazione di capitale (la produzione di profitti, ossia la produzione di plusvalore) deve per forza avvenire, oltre che a spese dei lavoratori, anche a spese del processo di valorizzazione di un’altra frazione di capitale, perché è impossibile che la massa del profitto complessivo aumenti in misura adeguata alla valorizzazione di tutto il capitale accumulato.

Quindi l’attività politica della borghesia in quel periodo fu guidata dall’obiettivo supremo del contenimento del comunismo. Questo obiettivo si articolava nella liquidazione dell’Unione Sovietica, nella liquidazione o corruzione dei partiti comunisti, nella ricerca di rimedi, anche solo temporanei, agli effetti più diffusi e gravi della crisi economica tra le masse.

Nel perseguimento di questo obiettivo, ogni gruppo e Stato imperialista doveva fare i conti con le sue contraddizioni con gli altri gruppi e Stati imperialisti. D’altra parte nel trattare le sue contraddizioni interimperialiste, ogni gruppo e Stato imperialista doveva fare i conti con la contraddizione che lo opponeva alle “sue” masse popolari che trovavano nel partito comunista della classe operaia la loro direzione più o meno affermata e capace. Questo è il contesto del movimento politico degli anni trenta.


2.

La borghesia tedesca optò per il nazismo come mezzo per reimporre la sua disciplina alla società tedesca, in primo luogo alla classe operaia, liquidando i comunisti.

Il nazismo era il mezzo adeguato allo scopo perché mobilitava, facendoli confluire nella stessa direzione, alcuni gruppi sufficientemente consistenti ed energici, ognuno mosso da un proprio movente specifico, al momento non conflittuale con quello degli altri gruppi nazisti6.

I moventi erano la disponibilità a vendersi a chiunque in grado di pagare offriva un impiego, quale che fosse il lavoro da fare purché coperto dall’impunità derivante dal fatto che l’offerente apparteneva alla classe dominante; il risentimento generico, le frustrazioni individuali e la disperazione generati dalla sconfitta nella Prima guerra mondiale, dal crollo del potere d’acquisto nell’inflazione del 1923 e dalla crisi; il desiderio di carriera e di ricchezza; l’antisemitismo e il razzismo antislavo; la cultura nazionalista; la convinzione che l’unica via al benessere stava nell’ampliamento dello “spazio vitale” della nazione tedesca; il gusto e l’abitudine alla disciplina e al dispotismo gerarchico propri della classe dominante germanica e in particolare prussiana7, ecc.

Questi e altri moventi, se a ognuno di essi era garantita o credibilmente promessa soddisfazione, bastavano per un tempo che non fosse tanto lungo da far disperare del successo (il nazismo compì la sua scalata al potere in 10 anni - non disponeva di tempi molto lunghi!) a fornire truppe e quadri dirigenti a un movimento che avesse i mezzi finanziari e le coperture statali (l’impunità e la complicità)8.

Il nazismo era quindi il movimento di cui poteva servirsi quella parte della borghesia tedesca decisa a imporsi anche all’interno della propria classe cambiando l’assetto politico del paese, risolvendo quella crisi politica che i suoi portavoce (alla Carl Schmitt) avevano già illustrato e sacrificando a questo fine anche una parte degli interessi borghesi, pur di sopravvivere e di ristabilire la disciplina nel proletariato e nel resto della società.

La pia e colta borghesia tedesca poteva servirsi del nazismo ovviamente solo se si “turava il naso” e lasciava sfogo sufficiente alla specifiche caratteristiche e agli specifici moventi di ognuno dei gruppi che componevano il movimento nazista: da qui il consenso della legalitaria e pia borghesia germanica ai metodi spicci, alle procedure extralegali e sommarie, all’esecuzione squadrista dei comunisti, alla caccia all’ebreo9, alla violazione della proprietà privata degli oppositori e delle minoranze nazionali, ecc.10

Il movimento nazista poteva stare assieme solo a queste condizioni. La borghesia tedesca aveva bisogno di ridisciplinare gli operai e conquistare mercati e occasioni di investimenti. Il nazismo era indispensabile alla borghesia tedesca per vincere il comunismo all’interno. Ma essa poteva servirsene solo a prezzo di mettere in moto un meccanismo con cui non poteva condurre la crociata solamente in funzione anticomunista. Per reclutare un potente esercito anticomunista adeguato al compito di stroncare la rivoluzione proletaria, doveva contemporaneamente condurre una crociata revanscista, per la cancellazione del Diktat di Versailles, antislava, antiebraica, antiintellettuale, ecc. La borghesia non poteva porre apertamente e isolatamente il contrasto reale (capitalismo - comunismo). Doveva nasconderlo sotto la veste di un contrasto generale tra la salvezza e il benessere del popolo tedesco da una parte e dall’altra la presenza al suo interno di “elementi estranei e nemici” (che le varie correnti naziste individuavano ognuna a suo modo) e la presenza dei popoli slavi ai suoi confini orientali.


3.

Nell’immediato, sia le contraddizioni interimperialiste sia il risentimento per la sconfitta del 1918 e per le imposizioni dell’Intesa (in sostanza degli Stati francese e inglese) convogliavano lo Stato tedesco verso Ovest. È contro gli obblighi imposti dall’Intesa che lo Stato tedesco riprende la Saar (1935), riarma (1935), militarizza la Renania (1936). È dagli Stati imperialisti dell’Ovest che esso deve avere l’assenso per annettere l’Austria (1938), i Sudeti (1938), la Boemia (1939), ecc. È l’Intesa che ha tolto colonie, imposto e riscosso riparazioni, posto sotto controllo lo Stato tedesco, espulso le aziende tedesche dai mercati, espropriato banche e proprietà di cittadini tedeschi all’estero. Come potenza commerciale, finanziaria e militare l’Unione Sovietica non esisteva. Anzi era la borghesia tedesca che aveva rapinato e saccheggiato i popoli dell’Unione Sovietica (dopo il Trattato di Brest-Litovsk del 1918). Poi l’Unione Sovietica aveva aiutato la borghesia tedesca nella resistenza all’Intesa (dall’accordo di Rapallo del 1922 in poi). I mercati già pronti erano a Ovest o nelle mani dei gruppi imperialisti dell’Ovest. Ma gli Stati dell’Ovest erano troppo forti per prevalere su di essi attaccandoli frontalmente. E soprattutto, sosteneva lo Stato maggiore tedesco, non si doveva combattere su due fronti.

Il tratto specifico del nazismo era quello di essere un regime della grande borghesia imperialista capace di adottare le misure politiche necessarie per ristabilire la sottomissione delle grandi masse e fare di esse una grande forza combattente che marciasse agli ordini della borghesia imperialista. La “libertà d’azione” del regime nazista era limitata da questo suo ruolo. La guerra contro l’Unione Sovietica doveva essere preparata non solo militarmente, ma (cosa più complessa) politicamente. Gli interessi della borghesia tedesca l’avevano portata nel 1914 a scontrarsi con le borghesie inglese e francese e durante gli anni ‘20 e ‘30 gli stessi interessi immediati la contrapponevano alle borghesie francese e inglese. Ci voleva un’operazione politica per forzare la situazione deviando nell’immediato questi interessi da un obiettivo non direttamente realizzabile e farli convergere su un obiettivo realizzabile, perseguendo il quale la borghesia tedesca non solo non si contrapponeva alle borghesie inglese e francese, ma ne prendeva la direzione nella guerra contro il comunismo e procurava a se stessa un terreno di espansione enorme. Il successo del nazismo come progetto politico unificante della borghesia tedesca sta in questo suo contenuto. Porsi alla testa della borghesia imperialista di tutto il mondo nella crociata contro il comunismo e quindi in questo modo ritagliarsi un adeguato ruolo nello sfruttamento della popolazione mondiale. A questo fine fare del popolo tedesco una grande forza combattente ai suoi ordini, facendo leva sulle contraddizioni interne e immediate, ognuna capace di mobilitare una parte consistente del popolo tedesco.

Quindi da una parte le contraddizioni interborghesi erano reali e forti; d’altra parte la borghesia tedesca doveva anzitutto consolidare il fronte interno risanando le ferite della sconfitta, poi buttarsi sull’Unione Sovietica. Gli Stati francese, inglese e USA non avevano motivo di muovere guerra alla Germania; avevano motivo per attaccare l’URSS e spalleggiare la Germania nell’aggressione; dovevano reprimere il movimento comunista all’interno e il movimento di liberazione nazionale nelle colonie e i due movimenti erano alleati tra di loro nell’Internazionale Comunista ed entrambi avevano nell’Unione Sovietica un loro punto di forza. Gli Stati francese, inglese e USA non potevano tuttavia permettere, oltre certi limiti, il risanamento delle “ferite” che indebolivano il fronte interno tedesco: Alto Adige, Alsazia e Lorena, Danzica, i Sudeti, l’Alta Slesia, le colonie, i beni tedeschi all’estero, la presenza commerciale e finanziaria tedesca nel mondo. Quindi i gruppi imperialisti e gli Stati tedesco, francese, inglese e USA concordavano sull’obiettivo strategico, ma erano in contrasto sui passaggi tattici: i passaggi tattici che la borghesia tedesca doveva compiere per mettersi in grado di affrontare l’obiettivo strategico la ponevano in contrasto con le borghesie francese e inglese.

Riassumendo: la borghesia imperialista tedesca poteva risolvere le sue contraddizioni con il resto della borghesia imperialista (in sostanza inglese, francese, americana) solo diventando la direzione di tutta la borghesia imperialista nel perseguimento di un interesse comune: la liquidazione del comunismo. Quindi doveva non solo estirpare il comunismo dal suolo tedesco, ma fare del popolo tedesco una potente forza combattente anticomunista di cui la borghesia di ognuno degli altri paesi imperialisti inutilmente aspirava a disporre11. Il nazismo era lo strumento adeguato a far leva su tutte le contraddizioni secondarie interne ed esterne al popolo tedesco per farne quella forza combattente anticomunista di cui essa aveva bisogno. Ma lo sviluppo necessario per far leva su queste contraddizioni secondarie acuiva le contraddizioni interimperialiste e accresceva il pericolo di uno scontro diretto tra la borghesia imperialista tedesca e il resto della borghesia imperialista.


4.

Il PCUS e l’Internazionale Comunista non riuscirono a impedire che gli Stati imperialisti scatenassero la Seconda guerra mondiale. Era impossibile raggiungere questo obiettivo senza il trionfo del proletariato almeno in alcuni dei grandi paesi dell’Europa occidentale, perché la crisi economica che attanagliava il modo di produzione capitalista non poteva avere soluzione pacifica nell’ambito del modo di produzione capitalista stesso. I motivi per cui l’Internazionale Comunista non riuscì a realizzare i suoi obiettivi di rivoluzione socialista in Europa occidentale nonostante i grandi sconvolgimenti sociali che vi ebbero luogo negli anni ‘20 e ‘30 non sono stati chiariti ancora oggi. Ogni risposta al riguardo potrà uscire dal campo delle congetture ed essere verificata solo nel corso della prossima rivoluzione socialista in Europa12.

Pur non essendo riusciti a impedire che gli Stati imperialisti scatenassero la Seconda guerra mondiale, l’Internazionale Comunista e il PCUS conseguirono tuttavia il grande risultato di impedire che essa iniziasse come guerra di aggressione della Germania all’Unione Sovietica. Essi ottennero questo risultato nonostante l’antagonismo di classe che guidava la condotta degli Stati imperialisti e anzi sfruttando proprio l’antagonismo di classe da cui essi non potevano scostarsi. Se il governo nazista tedesco avesse iniziato la Seconda guerra mondiale aggredendo l’Unione Sovietica, esso avrebbe avuto dalla sua l’appoggio, l’assistenza e la “benevola neutralità” di tutti gli Stati imperialisti. Hitler sarebbe diventato il campione di tutti gli Stati imperialisti rinnovando la crociata che gli stessi Stati avevano condotto senza successo negli anni 1918-1921 e che avevano proseguito negli anni successivi con strumenti finanziari, commerciali, diplomatici e con operazioni da “guerra sporca” e di sabotaggio. Lo schieramento prodottosi negli anni 1936-1939 durante la gloriosa resistenza del proletariato e delle masse popolari spagnole al fascismo non lascia dubbi in proposito. Alla stessa conclusione porta la riflessione sull’atteggiamento conciliante assunto dalle altre potenze imperialiste di fronte all’aggressione giapponese contro la Cina nel 1931 e nel 1936, nella speranza che le armate giapponesi ponessero fine al movimento comunista in Cina e finissero con l’aggredire l’URSS.

Perché Hitler e i suoi, che nella seconda metà degli anni trenta erano diventati la direzione politica d’avanguardia dell’intero campo imperialista (la guerra di Spagna e l’Accordo di Monaco lo dimostrano), non mossero guerra direttamente all’Unione Sovietica, ma si trovarono invischiati prima in una guerra tra lo Stato tedesco e quelli francese e inglese?


5.

L’invasione della Polonia era un elemento necessario del consolidamento del fronte interno tedesco. Hitler era quindi convinto che non sarebbe stata l’inizio della Seconda guerra mondiale, ma solo un atto preparatorio di essa, come lo erano stati la militarizzazione della Renania e il riarmo, l’intervento in Spagna, l’annessione dell’Austria, l’annessione dei Sudeti, lo smembramento della Cecoslovacchia. Egli del resto era obbligato a correre il rischio e a puntare sulla possibilità che l’aggressione alla Polonia non scatenasse la guerra con la Francia e l’Inghilterra. Infatti non attaccare la Polonia avrebbe indebolito se non paralizzato i suoi piani di rafforzamento del fronte interno e di attacco all’Unione Sovietica. Gli Stati francese e inglese avevano accettato ognuno dei precedenti atti preparatori, non perché lo Stato germanico fosse già tanto forte che essi non fossero in grado di impedirglieli, ma per rafforzare quello Stato che volevano più forte sia come baluardo contro il comunismo il cui trionfo in Germania era un incubo, sia come forza che si preparava ad aggredire l’Unione Sovietica.

I gruppi dirigenti degli Stati francese e inglese avevano tuttavia avuto difficoltà a far accettare nei rispettivi paesi le iniziative di Hitler. Vi erano però riusciti: appoggio al rafforzamento degli Stati nazifascisti in politica estera e repressione del movimento operaio e popolare in politica interna andavano di pari passo in ognuno dei due paesi come negli USA, la minaccia di una nuova guerra interimperialista aveva il suo peso in ogni paese.

L’annessione e lo smembramento della Polonia doveva essere quindi solo un altro passo (e un passo necessario) del consolidamento del nuovo Stato germanico all’interno e della sua preparazione all’aggressione all’Unione Sovietica. Gli hitleriani la prepararono con cura, come un’azione necessaria e rapida di autodifesa e di polizia internazionale. Ebbero perfino la cura di mettere in campo la sceneggiata di un’aggressione polacca alla Germania (Incidente di Gleivitz) per aiutare i gruppi dirigenti inglesi e francesi a far accettare nei rispettivi paesi l’aggressione e l’occupazione della Polonia. Gli hitleriani furono diligentemente (anche se forse per lo più inconsapevolmente) aiutati nei loro piani dai dirigenti dello Stato polacco accecati dall’odio antiproletario: il governo polacco del colonnello Beck aveva stretto un accordo di alleanza anticomunista con il governo tedesco ancora nel 1934, aveva voluto partecipare allo smembramento della Cecoslovacchia nel 1938 e ancora nel 1939 rifiutava il passaggio alle truppe sovietiche in caso di guerra contro la Germania. Insomma, a fatto compiuto l’annessione doveva essere accettata dagli altri Stati imperialisti.

L’aggressione alla Polonia non presentava gravi problemi militari per lo Stato germanico. Il problema era farla accettare agli altri Stati imperialisti (l’accettazione o meno da parte dello Stato sovietico aveva per Hitler scarsa importanza perché 1’URSS non era in grado né di attaccare militarmente la Germania nè di farle la guerra economica). Sia in Francia che in Inghilterra vi erano potenti gruppi imperialisti che condividevano appieno e chiaramente il disegno strategico hitleriano, ma vi erano anche gruppi borghesi decisamente contrari alla rinascita della Germania e vi era una forte opposizione popolare al nazifascismo. Gli interessi francesi in Polonia e nei Balcani rendevano una parte della borghesia imperialista francese ostile ai piani della Germania.

La conclusione del patto Molotov-Ribbentrop tra il governo sovietico e il governo tedesco apri la strada non solo all’invasione della Polonia, ma anche alla dichiarazione di guerra dei governi francese e britannico. Quest’ultima cosa non rientrava nei piani degli imperialisti: le cose sfuggivano di mano.


6.

Hitler non voleva la guerra contro gli Stati inglese e francese e infatti cercò in ogni modo di avere il loro consenso alla sua operazione in Polonia: prima di essa e dopo. Il piano di Hitler era di lanciare le sue forze contro l’Unione Sovietica una volta consolidate e galvanizzate le retrovie tedesche con la creazione della Grande Germania e vinte, con l’impatto dei successi raggiunti, le resistenze interne alla Germania a lanciarsi in una guerra contro l’Unione Sovietica. Poche settimane prima di attaccare la Polonia, in un discorso programmatico ai suoi accoliti, Hitler dichiarava: “La Polonia sarà spopolata e colonizzata dai tedeschi. (...) Con la Russia, signori, succederà la stessa cosa. La faremo finita con l’Unione Sovietica. Allora si realizzerà il dominio mondiale tedesco”13.

La resistenza del popolo tedesco alla guerra sarebbe stata ben maggiore se i nazisti non avessero mietuto, prima dell’inizio della guerra, tanti successi con l’aiuto e la complicità degli altri Stati imperialisti.

La grande borghesia tedesca e lo Stato Maggiore prussiano erano saltati sul carro di Hitler e ne avevano determinato il successo “turandosi il naso” (per dirla alla Montanelli). Per mezzo di Hitler la grande borghesia tedesca aveva vinto la battaglia per ristabilire ordine e disciplina nel paese sterminando i comunisti e dominava e utilizzava gran parte del popolo tedesco grazie ai risultati conseguiti: la fine della fame, del freddo e della disoccupazione per le masse, la riconquista di un ruolo per i militari, la riconquista di impieghi e ruoli per la piccola borghesia, la riconquista di mercati e di occasioni di investimento per la borghesia. Finché Hitler realizzava questo, la borghesia chiudeva gli occhi e accettava come mezzi necessari a fin di bene i tratti specifici e “folcloristici” dei nazisti: la caccia all’ebreo, lo squadrismo spiccio, l’irreggimentazione di massa, i metodi dittatoriali e primitivi di gestione della vita economica, politica e culturale del paese. Finché passava di successo in successo, per la grande borghesia tedesca Hitler era stato l’uomo giusto, il suo “uomo mandato dalla Divina Provvidenza”14.

Lo Stato Maggiore prussiano aveva appoggiato l’avvento di Hitler al potere per motivi analoghi e con gli stessi limiti15.

In definitiva per conservare il loro potere contro il proletariato e il comunismo la borghesia imperialista tedesca e lo Stato Maggiore prussiano si trovarono trascinati in un’avventura da cui non poterono più ritirarsi. Quelli che cercarono di farlo, fecero la fine degli Stauffenberg e dei Rommel16.

L’avidità di alcuni strati della società tedesca e la rassegnazione di altri furono rafforzati e ribaditi dai successi conseguiti da Hitler e vennero da questi trascinati dove non pensavano di andare. Hitler da parte sua era sicuro che quando le sue forze armate sarebbero state pronte ad aggredire l’Unione Sovietica (e nel 1939, quando attaccò la Polonia, non lo erano ancora), egli avrebbe facilmente ripreso i vantaggi concessi ad essa nell’ambito del trattato Molotov-Ribbentrop e avrebbe avuto l’appoggio degli altri Stati imperialisti.


7.

L’obiettivo principale degli Stati francese e britannico e delle classi dominanti dei due paesi non era la guerra contro il regime nazista, ma la guerra contro l’Unione Sovietica. I governi dei due paesi nel 1939 furono trascinati alla dichiarazione di guerra dal meccanismo “democratico” che fino allora avevano essi stessi cavalcato. I governi dei due paesi si trovarono cioè sostanzialmente prigionieri degli impegni con cui fino allora avevano condotto all’interno la loro battaglia anticomunista. Da una parte il contrasto interno alla borghesia per cui i sostenitori della crociata antibolscevica avevano fatto accettare l’ingrandimento della Germania (e i connessi sacrifici di interessi di gruppi imperialisti connazionali) promettendo che sarebbero stati gli ultimi. Dall’altra parte essi avevano fatto accettare alle masse del loro paese la loro collaborazione con Hitler (in sostanza l’accettazione dei precedenti atti preparatori compiuti dai nazisti) in nome sia della “difesa della democrazia” sia del baluardo “anticomunista”. Il movimento antifascista promosso dall’Internazionale Comunista aveva duramente contestato in ognuno dei due paesi i cedimenti dei governi ai nazifascisti, raccogliendo anche tutte le contraddizioni interimperialiste esistenti; quindi aveva alimentato la trappola in cui le forze imperialiste pro-naziste sarebbero cadute e aveva dato ad essa la massima forza possibile.

I governi dei due paesi avevano giustificato ogni nuovo aiuto dato a Hitler con impegni sempre più solenni e vincolanti di non tollerare altre mosse espansioniste dei nazisti. Che i due governi non volessero la guerra contro i nazisti lo dimostra il fatto che non solo non si prepararono a quella guerra, ma nulla fecero per condurre operazioni offensive nei primi mesi di guerra, quando il fronte tedesco occidentale era per loro permeabile17. Essi restarono in attesa di qualche evento che permettesse loro di tirarsi indietro senza perdere la faccia e la pelle e impedirono ogni mobilitazione popolare di tipo antifascista (il generale comandante della piazza di Parigi venne destituito perché voleva distribuire “armi al popolo”)18. La parola d’ordine “meglio Hitler che il Fronte Popolare” interpretava la concezione di una larga parte della borghesia imperialista francese. Gli avvenimenti successivi, con la costituzione del governo di Vichy, confermarono che questa era la situazione. Era chiaro a una parte delle classi dominanti dei due paesi che le mire principali della borghesia tedesca e di Hitler non erano né l’impero britannico né le colonie francesi né l’America Latina: esse erano dirette principalmente ad Est, contro l’Unione Sovietica. E, soprattutto, era chiaro ad una cerchia ancora più ampia della borghesia imperialista che nessuno di loro poteva dare una soluzione per sé soddisfacente dei contrasti interimperialisti finché il pericolo comunista e l’Unione Sovietica non erano eliminati. L’attacco dei tedeschi contro l’Unione Sovietica andava bene a tutti e il boccone era talmente grosso che prima che Hitler arrivasse a ingoiarlo, ci sarebbe stato spazio per tutti.


8.

La dichiarazione di guerra dei governi francese e inglese contro il governo tedesco andava invece bene allo Stato sovietico e all’Internazionale Comunista. Essa impediva la coalizione degli Stati imperialisti contro l’Unione Sovietica e poneva in contraddizione con tutto il piano hitleriano i due Stati che non accettavano dopo tutto il resto, anche l’invasione tedesca della Polonia. Hitler cercò in tutti modi di fare marcia indietro, di far annullare la dichiarazione di guerra. Non poteva ovviamente arrivare a fare passi tali da distruggere i fattori di successo che tenevano assieme e ai suoi ordini la macchina tedesca. Il suo rapporto con la borghesia tedesca e lo Stato Maggiore prussiano lo condannavano a vincere. Anzitutto cercò di trovare, sulla base del fatto compiuto, un accordo con i governi francese e inglese. Non essendoci riuscito, nel 1941 sistemò militarmente i conti con il governo francese, sperando di trovare una composizione con il governo inglese dalla nuova maggiore posizione di forza19.

L’estremo tentativo di trovare un accordo con il governo inglese fu l’aggressione all’Unione Sovietica. Proprio perché era un tentativo di ricomporre con il governo inglese l’aggressione venne anticipata rispetto ai tempi previsti e scatenata prima che i preparativi predisposti dallo Stato Maggiore fossero completati e mentre ancora erano aperte le ostilità con la Gran Bretagna, nonostante che lo Stato Maggiore prussiano avesse sempre categoricamente escluso di poter vincere una guerra combattuta contemporaneamente su due fronti20. Hitler contava di trascinare la Gran Bretagna in guerra contro l’Unione Sovietica o almeno di guadagnarne la neutralità di fronte a una guerra anticomunista di comune interesse.

Il fatto che il governo inglese, al punto a cui erano giunte le cose, non potè aderire alla crociata costrinse Hitler, la borghesia tedesca e lo Stato Maggiore prussiano a una guerra in cui l’unica speranza di vittoria dello Stato tedesco stette, fino alla fine, nel “rovesciamento dei fronti”, cioè nell’adesione degli anglo-americani alla crociata antisovietica. Questo piano fu la base su cui si coalizzarono i vari tentativi di fronda a Hitler messi in atto durante la guerra stessa: mettere da parte Hitler, oppure Hitler e i nazisti, per poter stringere alleanza con gli anglo-americani contro l’Unione Sovietica. Che il proposito di Hitler e dei suoi oppositori tedeschi non fosse campato in aria lo dimostra il fatto che sia il governo inglese che il governo americano coltivarono il proposito di rivolgere alla fine le armi contro l’Unione Sovietica servendosi della residua forza militare tedesca. A questo scopo gli Stati Maggiori dei due paesi ricevettero l’ordine di preparare piani per una campagna di Russia che riprendesse con maggiore successo l’operazione Barbarossa di Hitler.

All’interno della classe dominante inglese e americana non mancarono infatti i sostenitori del “rovesciamento dei fronti”. Essi non riuscirono però mai a prendere il sopravvento. Probabilmente il rovesciamento dei fronti, che avrebbe condotto i governi inglese e americano a una crociata antisovietica diretta dal governo tedesco, non avrebbe potuto realizzarsi senza scatenare una guerra civile all’interno di questi paesi, come la scatenò in Francia (col governo Petain e la Francia di Vichy). I sostenitori del “rovesciamento dei fronti” ebbero invece successo

- nell’ostacolare lo sviluppo della guerra partigiana e in generale della mobilitazione in massa della popolazione nei paesi occupati dai nazisti e nella stessa Germania e nel favorire la guerra di sterminio e la tattica terroristica di massa condotta attraverso i bombardamenti a tappeto della popolazione civile da parte dell’aviazione anglo-americana;

- nel ritardare l’apertura del secondo fronte contro la Germania (quello sul territorio francese) fino a quando fu chiaro che anche senza questo fronte l’Armata Rossa avrebbe avuto la meglio sui nazisti e quindi sarebbe arrivata fino in Francia.

Il “rovesciamento dei fronti” si sarebbe realizzato solo nel 1945, ma sotto la direzione della borghesia imperialista americana e non di quella tedesca, con un’altra direzione politica della Germania e nella forma della “guerra fredda” di tutti gli Stati imperialisti contro l’URSS, una guerra che però aveva grandi probabilità di restare “fredda”, come Stalin affermava nel 195221.


9.

La “crociata antisovietica” lanciata da Hitler, a causa delle caratteristiche particolari del regime nazista da cui la borghesia imperialista tedesca non poteva prescindere, si pose fin dall’inizio come una guerra di sterminio. “Siamo obbligati a sterminare la popolazione: una misura del genere fa parte della nostra missione di proteggere il popolo tedesco. Dovremo sviluppare la tecnica di sterminio della popolazione”. Questa era la linea tracciata da Hitler per i suoi accoliti22. La borghesia imperialista tedesca per mantenere il potere dovette appoggiarsi ai nazisti e i nazisti potevano condurre la guerra solo come guerra razziale e di espansione del “popolo tedesco”: questa era la logica ferrea attraverso cui gli interessi di classe si manifestavano come contrasto razziale.

Il carattere che i nazisti impressero alla guerra in Unione Sovietica permetteva tuttavia al governo sovietico e ai comunisti sovietici di mobilitare con successo nella resistenza praticamente tutte le forze sociali e le nazionalità del paese. L’invasione dell’Unione Sovietica iniziata dai nazisti nel 1941 non trovò praticamente nessuna collaborazione all’interno dell’URSS, contrariamente a quanto avvenuto con le invasioni del periodo 1919-1921 e contrariamente a quanto avvenuto praticamente in tutti gli altri paesi invasi dai nazisti23. Il PCUS condusse la guerra contro il nazifascismo facendo appello con successo anche alle forze antisocialiste perché partecipassero alla resistenza. I comunisti sfruttarono le contraddizioni proprie del campo imperialista per cui questo non poteva condurre la Seconda guerra mondiale come guerra antiproletaria e anticomunista. Questo permise anche in URSS di mobilitare nella resistenza gran parte di quelle forze antisocialiste che fino alla guerra il potere sovietico aveva represso, combattuto ed emarginato. Partecipando attivamente alla guerra esse però riacquistarono un ruolo sociale che da tempo avevano perso e la loro partecipazione influenzò una serie di aspetti della conduzione della guerra antifascista da parte dell’Unione Sovietica24.

Dopo la guerra questo fenomeno non venne affrontato adeguatamente e divenne un altro fattore interno che rese, di lì a pochi anni, relativamente facile la vittoria dei revisionisti moderni in Unione Sovietica, il paese in cui la costruzione del socialismo era andata più avanti, in cui il proletariato aveva mantenuto il potere più a lungo e con il partito comunista più sperimentato.


Marco Martinengo


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dal Progetto di Manifesto Programma del (nuovo) Partito Comunista Italiano, pag. 30

La mobilitazione rivoluzionaria trasse nuova forza dalla vittoria conseguita in Russia. La classe operaia, tramite i suoi partiti comunisti creati nell’ambito dell’Internazionale Comunista (1919-1943), in vari paesi coloniali e semicoloniali prese la direzione delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale che culminarono nella fondazione della Repubblica popolare coreana e nella conquista del potere in Cina (1949) con la fondazione della Repubblica popolare cinese (RPC); condusse con forza in molti paesi la lotta contro il fascismo, nazismo e il franchismo; difese con successo i propri ordinamenti politici instaurati in Unione Sovietica dai ripetuti assalti delle potenze imperialiste coalizzate (1918-1921 e 1941-1945) e dai sabotaggi, dai blocchi economici, dall’aggressione furibonda della borghesia imperialista che non arretrò di fronte ad alcun delitto; riuscì a scoraggiare i progetti aggressivi dei gruppi imperialisti anglo-americani che meditavano una seconda aggressione e a impedire la loro confluenza con i gruppi imperialisti tedeschi; con la grande vittoria contro l’aggressione dei nazisti e dei loro alleati (1945) riuscì a creare nuovi paesi socialisti in Europa orientale e centrale: le democrazie popolari di Polonia, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania e Jugoslavia; avviò la transizione al comunismo di più di un terzo della popolazione mondiale; sviluppò le forze rivoluzionarie in tutto il mondo; acquisì una grande esperienza nel campo del tutto inesplorato della transizione dal capitalismo al comunismo, sintetizzata nelle opere di Lenin, di Stalin (1879-1953) e di Mao Tse-tung (1893-1976).

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NOTE


0. A proposito del tema trattato nell’articolo di RS n. 21 (febbraio 1999), è utile leggere anche l’articolo Un libro e alcune lezioni, in La Voce n. 24 (novembre 2006), reperibile sul sito al seguente indirizzo: http://www.nuovopci.it/voce/voce24/librlez.html.

1. Le categorie religiose come il diavolo, Dio, la divina provvidenza, la malvagità della natura umana, il peccato originale, ecc. permettono a chi ci crede di spiegare tutto, attribuendone l’origine a cause misteriose, al di fuori della portata dell’uomo. Su queste categorie i preti hanno costruito una cultura (la teologia, ecc.) che ammanta il loro potere di autorevolezza e lo protegge dalle armi della critica. A differenza della scienza materialista dialettica, queste spiegazioni non danno agli uomini nessuno strumento per avere un ruolo attivo nella storia, per intervenire sugli avvenimenti, per determinare la propria vita. Esse infatti sono solo un riflesso nella coscienza degli uomini dello stato di soggezione e di schiavitù dell’uomo alle forze naturali e sociali (i rapporti sociali di cui la classe dominante è espressione, amministratrice e forza conservatrice).

2. Basti pensare al problema delle riparazioni e alle sanzioni imposte alla Germania e agli altri paesi sconfitti dai vincitori della Prima guerra mondiale col trattato di Versailles (giugno 1919) e con gli altri “trattati di pace”, al contrasto tra la borghesia USA e quella britannica a proposito della “tariffa imperiale” con cui quest’ultima ostacolava le esportazioni commerciali e gli investimenti USA nei paesi del suo impero, ai debiti di guerra che contrapponevano tra loro tutti i maggiori paesi, al contenzioso commerciale e coloniale tra USA e Giappone.

3. In ogni paese imperialista noi osserviamo, allora come adesso, un pullulare di gruppi borghesi “rivoluzionari”, che nascono all’interno o nei dintorni della classe dominante, reclutano i loro membri grazie a contrasti e interessi particolari esistenti tra le masse e assunti unilateralmente, sono dalla classe dominante tollerati e talvolta usati per servizi (es. squadrismo, pogrom, operazioni da “guerra sporca”, ecc.) che essa per qualche ragione non affida alle strutture istituzionali del suo Stato. Tuttavia questi gruppi sono da essa tenuti ai margini della vita politica. Ognuno di questi gruppi è portatore non di una rivoluzione nei rapporti economici (e in ciò si distinguono e contrappongono al movimento comunista), ma di un sovvertimento e di una mutazione dell’assetto politico del paese, cioè del modo in cui la classe economicamente dominante forma e impone la sua volontà. Meno l’assetto politico esistente è in grado di salvaguardare gli interessi fondamentali della classe dominante a fronte del movimento economico e politico concreto della società, quindi più forte la crisi politica e il bisogno della classe dominante di cambiare l’assetto politico, più pullulano gruppi di questo genere. La fortuna di essi, il fatto che alcuni di essi raggiungano il potere e determinino la trasformazione dell’assetto politico dipende in primo luogo dal bisogno che la classe dominante ha di questo cambiamento. Se la classe dominante non ha bisogno di esso, questi gruppi scompaiono o vegetano senza grande eco. Alla luce di queste considerazioni va considerata ad esempio oggi la possibilità di successo di gruppi come Lega Nord, Fiamma Tricolore e simili in Italia, il Fronte Nazionale in Francia, i partiti neonazisti nella Repubblica Federale Tedesca e in Austria e gli altri che si sono formati in ogni paese europeo.

4. È, ad esempio, in questo periodo che viene posto definitivamente fine alla comunità scientifica internazionale, una rete di rapporti personali, di pubblicazioni, di congressi e di scambi tra università che fino all’inizio di questo secolo avevano tenuto in relazione tra loro gli esponenti dei vari settori della ricerca scientifica che si comunicavano la natura delle ricerche in corso e i progressi compiuti. La ricerca viene posta al servizio non solo della concorrenza economica (cosa che riguarda soprattutto la ricerca applicata), ma del riarmo e del condizionamento delle masse.

5. Non è Hitler che ha causato la Seconda guerra mondiale. Ma è la necessità della guerra che ha costretto la borghesia tedesca a portare al potere Hitler. Da qui si capisce ad esempio che le promesse profuse da Kohl quando la RFT ingoiò la RDT (“la guerra non partirà mai più dal suolo tedesco”) servivano solo ad attenuare e controllare le opposizioni. Si capisce anche che conto fare di chi fa promesse che non è in suo potere mantenere. Materiale di riferimento: G. Plekhanov, Il ruolo della personalità nella storia.

6. Quando i movimenti diventarono conflittuali, il conflitto venne regolato: prima con la liquidazione del gruppo Strasser, poi con la liquidazione del gruppo Rohm - “notte dei lunghi coltelli” del 30 giugno 1934 e via via con le altre faide interne al nazismo.

7. Per comprendere la storia della Germania borghese, occorre sempre tener presente che anche in Germania, come in Italia, la rivoluzione democratico-borghese si realizzò tramite una combinazione dei proprietari fondiari, della monarchia e di altre istituzioni feudali con la borghesia. La rivoluzione borghese avvenne troppo tardi perché fosse “una riedizione della guerra dei contadini” che era stata sconfitta dal Sacro Romano Impero Germanico alla testa delle forze feudali nel secolo XVI. Vedasi F. Engels, Prefazione del 1875 a La guerra dei contadini in Germania, in Opere complete, vol. 10, pag. 665: “La borghesia tedesca ha la disgrazia di arrivare troppo tardi, proprio alla maniera che i tedeschi prediligono. E così fiorisce in un periodo in cui la borghesia degli altri paesi dell’Europa occidentale è oramai politicamente al tramonto. Oggi, con un’influenza reciproca così smisuratamente accresciuta dei tre paesi più progrediti dell’Europa [Inghilterra, Francia, Germania], non è più assolutamente possibile che la borghesia instauri tranquillamente il suo potere politico in Germania, mentre esso in Inghilterra e in Francia non è più che una sopravvivenza.

C’è una particolarità che distingue specificamente la borghesia da tutte le precedenti classi dominanti: nel suo sviluppo c’è un punto critico oltre il quale ogni ulteriore accrescimento dei mezzi della sua potenza, e perciò anzitutto dei suoi capitali, contribuisce solo a renderla sempre più incapace di esercitare il potere politico. “Dietro ai grossi borghesi stanno i proletari”. Proprio nella misura in cui la borghesia sviluppa la sua industria, il suo commercio, i suoi mezzi di comunicazione, nella stessa misura produce il proletariato. E a un certo punto - che non è detto che debba presentarsi dappertutto nel medesimo momento o al medesimo grado di sviluppo - esso è andato più avanti di lei. Da questo momento la borghesia perde la capacità di esercitare egemonicamente il proprio potere politico, cerca degli alleati con i quali dividere il potere o ai quali cederlo interamente a seconda delle circostanze. Per la borghesia tedesca questo punto critico sopraggiunse già nel 1848; in quel momento essa si spaventò non tanto del proletariato tedesco quanto del proletariato francese. La battaglia di Parigi del giugno 1848 le fece vedere che cosa essa doveva aspettarsi e il proletariato tedesco era in quel momento abbastanza agitato da dimostrare che anche qui si era seminato per lo stesso raccolto. Da quel giorno all’azione politica della borghesia tedesca fu mozzata la punta”.

8. L’ascesa del nazismo si presta all’analisi e alla definizione degli elementi su cui devono fare leva le forze soggettive della reazione per imporre la direzione della borghesia imperialista nel movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese. I principali di questi elementi sono indicati in Rapporti Sociali, n. 12/13, pag. 27-29.

9. A causa delle loro particolarità storiche gli ebrei hanno assolto la funzione di parafulmini per la borghesia imperialista tedesca, le hanno fatto da scudo contro la rivoluzione proletaria. La borghesia imperialista tedesca è riuscita a deviare la mobilitazione delle masse da se stessa verso il bersaglio degli ebrei e di altre minoranze nazionali, religiose, politiche e di altro genere. La sistematica distruzione di queste ultime, per specifici motivi non ha raggiunto la notorietà della distruzione sistematica degli ebrei fatta dai nazisti. La borghesia tedesca non avrebbe messo assieme l’esercito di massacratori di comunisti se non avesse reclutato in massa i massacratori di ebrei e di altre minoranze. Quando ora vediamo la popolazione dello Stato di Israele divenuta baluardo dell’imperialismo internazionale contro le masse popolari arabe nel Medio Oriente, è giocoforza constatare che per la seconda volta la borghesia imperialista è riuscita a far leva sulla particolarità ebraica per costruirsi uno scudo a protezione dei propri interessi.

10. Alla luce di queste considerazioni si comprende come sia potuto avvenire che gli stessi personaggi che come membri autorevoli della borghesia portarono al potere i nazisti, personalmente proteggessero e salvassero dai nazisti loro conoscenti ebrei e altri perseguitati dai nazisti e perché si trovassero a un certo punto anch’essi personalmente in contrasto con l’indirizzo dello Stato nazista. La cultura corrente porta le attività di questi “protettori di ebrei” e oppositori borghesi al nazismo a smentita della relazione genetica tra la classe borghese e il nazismo. In realtà esse confermano che il ruolo sociale svolto dagli individui obbedisce a leggi che non sono le idee e i sentimenti degli individui stessi. La stessa considerazione va fatta a proposito dell’appoggio che esponenti ebrei della borghesia dettero al nazismo come “male minore”.

11. La sconfitta subita da tutte le potenze imperialiste nell’aggressione lanciata contro la Russia socialista negli anni 1918-1921 aveva messo la borghesia imperialista di ogni paese di fronte a una dura realtà. Essa non riusciva a mobilitare il potenziale combattente del proprio paese e delle rispettive colonie al punto da poter prevalere su uno Stato ancora in formazione come quello sovietico. Le contraddizioni di classe interne al proprio paese minavano la capacità della borghesia nell’aggressione contro il primo paese socialista. Il nazismo prometteva di superare questo ostacolo per quanto riguardava la Germania.

Esemplare è anche il comportamento del Vaticano. Il regime nazista ledeva gravemente gli interessi del Vaticano in Germania: la sua influenza morale, i suoi legami finanziari, la sua partecipazione allo sfruttamento del popolo tedesco. Tuttavia il Vaticano appoggiò il regime nazista e ripose grandi speranze in esso, fino a quando divenne chiaro che non sarebbe riuscito a occupare Mosca e schiacciare l’Unione Sovietica. Sono illuminanti al riguardo alcuni passi delle memorie di De Gasperi, che allora soggiornava in Vaticano.

12. La questione di come mai i partiti comunisti dei paesi imperialisti (e l’Internazionale Comunista di cui questi erano sezioni nazionali) non sono riusciti negli anni ‘20 e ‘30 a guidare il proletariato alla conquista del potere in nessun paese imperialista, nonostante la situazione rivoluzionaria che questi paesi attraversavano, è una questione che ogni comunista responsabile deve porsi, per far tesoro dell’esperienza di quegli anni. Rispondere a questa domanda è sostanzialmente la stessa cosa che tracciare la via da seguire nel futuro per guidare il proletariato alla conquista del potere in quei paesi imperialisti. È quindi anche ovvio che non hanno alcuna rilevanza o consistenza le “risposte” date dagli opportunisti e dai politologi borghesi, in generale uniformemente fondate sul “settarismo” dei partiti comunisti che non avrebbero collaborato con i partiti socialdemocratici (che si opponevano alla conquista del potere!) e su perversi piani dell’onnipotente Stalin. Materiale utile per un bilancio del movimento comunista di quegli anni si trova nelle Opere di Mao Tse-tung e nell’opuscolo del PCE(r), La guerra di Spagna, PCE e l’Internazionale Comunista (le une e l’altro editi dalle Edizioni Rapporti Sociali). Lo studio delle Opere di Stalin e delle analisi e delle linee dell’Internazionale Comunista aiuteranno, assieme all’esperienza della rinascita del movimento comunista in atto nel mondo, a dare una compiuta risposta alla questione.

13. Citato da E. Collazo, La guerra rivoluzionaria, cap. 4, Ed. Rapporti Sociali, 1989.

14. “Uomo della Provvidenza”, “uomo inviato dalla Divina Provvidenza”, cioè uomo inviato da Dio per il bene degli uomini, sono gli appellativi con cui il Papa Pio XI salutò nel 1929 Mussolini.

15. Analogo era stato l’intendimento con cui nel 1921 e 1922 una parte della borghesia italiana aveva appoggiato l’avvento del fascismo in Italia: lasciare il potere ai fascisti perché facessero piazza pulita dei comunisti e del movimento proletario in generale e poi “ritornare alla democrazia”. Ma la situazione di crisi generale non si prestava ai giochetti che la borghesia imperialista avrebbe tentato con maggiore successo in altri tempi e in altre circostanze nella Spagna del 1976 e nel Cile degli anni ‘90.

16. Nel 1944, quando la guerra volgeva al peggio per i nazisti ed era imminente l’occupazione della Germania da parte dell’Armata Rossa e degli Alleati, il colonnello von Stauffenberg organizzò una cospirazione che aveva l’obiettivo di eliminare Hitler, porre fine alla guerra con gli anglosassoni e istituire un governo conservatore che garantisse la continuità dello Stato borghese tedesco, evitandone la disfatta totale e la dissoluzione.

Stauffenberg riuscì ad avere l’appoggio di numerosi alti ufficiali (il generale Beck, il generale Tresckow, il capo dei servizi dell’esercito a Berlino, Olbricht, il generale Stulpnagel comandante dell’esercito di Francia a Parigi, il feldmaresciallo Rommel, per citare i più importanti); di Goerdeler, ex sindaco di Lipsia ed ex commissario dei prezzi nel Reich, che precedentemente, sovvenzionato da alcuni industriali come Robert Bosch, aveva operato per creare un fronte di opposizione borghese e conservatore contro Hitler, sfruttando le sue relazioni nell’ambiente degli alti funzionari, dei diplomatici e degli alti comandanti dell’esercito; del circolo di Kreisau, animato dal conte von Moltke, che riuniva vari oppositori al regime, di stampo per lo più conservatore.

Quest’opera di coagulo e di unificazione dell’opposizione borghese e conservatrice sfociò nell’attentato contro Hitler compiuto il 20 luglio 1944 e fallito per il concorso di una serie di imprevisti e di errori. Subito dopo l’attentato, convinti di aver eliminato Hitler, Stauffenberg e gli altri ufficiali coinvolti nella cospirazione si installarono nel palazzo del Ministero della Guerra a Berlino e da lì ordinarono ai comandi generali del Reich di occupare tutte le sedi dei mezzi di comunicazione, i campi di concentramento e gli uffici della Gestapo, arrestandone i comandanti. Nel giro di pochi giorni, quasi tutti i promotori e gli autori dell’attentato furono catturati dalla Gestapo, arrestati e condannati a morte.

17. L’esercito nazista iniziò l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939 e la concluse il 17 settembre. Sul fronte occidentale non vi furono praticamente operazioni militari fino all’inizio di maggio del 1940. Anche allora fu però l’esercito tedesco ad attaccare le linee francesi.

18. Il carattere principalmente anticomunista e solo secondariamente antifascista della guerra condotta dalle borghesie anglosassoni balza all’occhio anche se si considera la conduzione della guerra. Esse condussero la guerra avendo anzitutto cura di impedire ogni sollevazione di massa, ogni partecipazione popolare alla guerra che non fosse incanalata e controllata dalle strutture gerarchiche borghesi, ogni movimento di emancipazione politica e culturale delle masse attraverso la guerra. Terrorizzare la popolazione civile con bombardamenti a tappeto (che fecero apparire un lavoro artigianale la distruzione della città basca di Guernica fatta dall’aviazione nazista durante la guerra di Spagna), negare sostegno al movimento partigiano e reprimerlo con la forza e la corruzione dove nonostante tutto si sviluppava (vedi Grecia), cercare di stabilire la supremazia mondiale del terrore della borghesia USA (uso della bomba atomica) contro il movimento comunista e il movimento di liberazione nazionale: queste furono le linee direttrici secondo cui condussero la guerra.

19. A questo fine i tedeschi nel 1940 dopo la vittoria in Francia si astennero dall’annientare il corpo di spedizione inglese in Francia: esso poté imbarcarsi a Dunkerque e ritornare in patria. La “battaglia d’Inghilterra” per come venne condotta non mirava ad annientare il potenziale bellico inglese, ma a convincere la borghesia imperialista inglese a concludere la pace. L’invio in Inghilterra di Hess, alto esponente del governo e del partito nazista, fu il più noto dei tentativi di Hitler di arrivare con il governo di Londra a un’amichevole composizione della guerra.

20. Alfred von Schlieffen fu capo dello Stato Maggiore tedesco dal 1891 al 1906. In previsione dello scatenamento di un conflitto in Europa, a partire dal 1891 iniziò a elaborare un piano di guerra che fu redatto in forma definitiva nel 1905. Il “piano Schlieffen”, partendo dal presupposto che era impossibile condurre contemporaneamente e con successo la guerra su due fronti e che la mobilitazione dell’esercito russo si sarebbe svolta con lentezza, prevedeva che un terzo delle armate tedesche impegnasse l’esercito francese lungo il confine fortificato franco-germanico, mentre il grosso dell’esercito tedesco sarebbe penetrato nella Francia settentrionale, attraverso il Belgio, per accerchiare e sconfiggere l’esercito avversario. Una volta conseguita la vittoria totale sulla Francia (che Schlieffen pensava di poter realizzare in poche settimane), l’esercito tedesco avrebbe potuto liquidare quello russo. Il “piano Schlieffen” fu applicato, senza grosse modifiche, dallo Stato Maggiore tedesco durante la Prima e la Seconda guerra mondiale.

21. Vedasi lo scritto Problemi economici del socialismo nell’URSS (1952), cap. 6. Analoga valutazione aveva espresso Mao Tse-tung nel 1946: vedasi ad esempio Intervista con la giornalista americana Anna Luise Strong dell’agosto 1946 (Opere di Mao Tse-tung, vol. 10).

22. Citato da E. Collazo, La guerra rivoluzionaria, cap. 4, Edizioni Rapporti Sociali, 1989.

23. Il caso del gen. Vlasov e delle forze armate da lui reclutate, come anche il reclutamento di formazioni combattenti che i nazisti riuscirono a condurre in porto in alcune zone dell’Unione Sovietica sono episodi che da una parte indicano e confermano gli sforzi fatti dai nazisti in questa direzione e dall’altra confermano la scarsa rispondenza che essi trovarono nella popolazione sovietica. Cosa tanto più significativa se si considera che il regime sovietico aveva solo poco più di vent’anni ed era nato e si reggeva su un’acuta lotta contro tutte le classi che avevano avuto un qualche ruolo dirigente fino a pochi anni prima dell’invasione tedesca.

24. Alcuni di questi aspetti sono illustrati nel cap. 4 di E. Collazo, La guerra rivoluzionaria, Ed. Rapporti Sociali, 1989.

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La Voce del (n)PCI n.10 - marzo 2002


L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa

e il maoismo


Il maoismo illumina e chiarisce l’attività condotta in Europa dalla prima Internazionale Comunista i cui passaggi ed esiti altrimenti restano misteriosi, mentre alla luce del maoismo diventano altamente istruttivi.

La pratica e la teoria dell’IC hanno ripetutamente oscillato tra gli opposti di antinomie che il movimento rivoluzionario ha messo in luce1 .Tra andamento ciclico del capitalismo e crisi generale di lungo periodo del capitalismo (con la successione di relativamente brevi periodi di stabilizzazione e di ripresa e relativamente brevi periodi di crisi acuta). Tra continuare la preparazione mobilitando anche le forze ancora arretrate e impegnare nell’attacco le forze già mobilitate. Tra radicalizzazione graduale delle masse e formazione (educazione, addestramento) nel combattimento delle forze rivoluzionarie già disponibili (che imparano a combattere combattendo, si consolidano e si rafforzano combattendo). Tra estensione della mobilitazione delle masse e concentrazione delle forze sull’obiettivo principale e decisivo. Tra le singole campagne e le singole battaglie per ottenere un rapido successo e lotta di lungo periodo (situazione rivoluzionaria in sviluppo, crisi di lungo periodo). Tra difesa e attacco. Tra iniziativa spontanea delle masse e attività delle masse dirette dal partito. Tra la mobilitazione di ogni classe delle masse popolari sulla base dei suoi propri interessi e la direzione della classe operaia su tutte le classi delle masse popolari. Tra la raccolta di tutte le classi popolari in un unico campo ostile alla borghesia imperialista e lo sfruttamento delle contraddizioni tra gruppi e Stati imperialisti2 . Tra la tattica che segue le indicazioni della strategia ma viene determinata secondo i flussi e riflussi che si hanno all’interno di ogni fase e secondo le circostanze concrete di ogni scontro e la strategia che traccia il disegno di tutta un’epoca o una fase storica. Tra la divisione in classi che per forza di cose permane a lungo nella costituzione materiale della società e può essere eliminata solo per gradi e la necessità di instaurare la dittatura del proletariato. Tra lotta per ogni interesse immediato e diretto delle masse popolari in campo economico, politico e culturale e lotta della classe operaia per la conquista del potere. Tra lotta nelle istituzioni dello Stato borghese e lotta contro lo Stato borghese. Tra partecipare e trarre alimento da tutte le lotte di interessi connaturate alla società borghese e accumulare una forza estranea e contrapposta ad essa. Tra sfruttare a vantaggio della rivoluzione l’opera dei riformisti e dei demagoghi e combattere l’influenza della borghesia sulle masse di cui essi sono portatori. Tra il bisogno di legarsi strettamente alle parti più avanzate delle masse popolari (alla sinistra) e il bisogno di distinguersi da esse. Tra favorire la mobilitazione delle masse e combattere la mobilitazione reazionaria delle masse. Tra il bisogno di smascherare le forze riformiste e la possibilità di fare un pezzo di strada assieme con esse. Tra lo sfruttare il lavoro compiuto dalla borghesia di sinistra, dai sindacati di regime e dai partiti riformisti e il bisogno di contrastare il lavoro di diversione che è connaturato con il loro ruolo. Tra il carattere nazionale di ogni partito e rivoluzione e il carattere internazionale del movimento comunista. Tra assedio alla fortezza del capitalismo e assalto decisivo. Tra mobilitazione di tutte le classi, le forze politiche e le personalità e direzione del partito comunista. Tra autonomia del partito comunista e legame del partito con le masse popolari. Tra disciplina organizzativa e sviluppo dell’iniziativa. Tra coesione ideologica e politica del partito e vitalità del partito che si manifesta nel contrasto e nel dibattito (“senza contraddizione non c’è vita”). Queste e altre antinomie vennero alla luce nel lavoro della prima IC. Non avendo essa trovato la soluzione per dirigerle, divennero un elemento di freno, produssero sbandamenti ora a destra ora a sinistra e alimentarono all’interno dell’IC e delle singole sezioni l’esistenza di una destra e di una sinistra che venivano alla luce solo quando degeneravano perché la destra era chiamata al potere se si trattava di attuare accordi con le forze riformiste e la sinistra lo era se si trattava di dare battaglia contro di esse.

Nei primi tempi dopo la Rivoluzione d’Ottobre sembrò (e alcuni si illusero) che in Europa le cose sarebbero andate in modo diverso da come Engels aveva indicato nel 1895. In Germania, in Italia e nei paesi dell’Europa centrale e orientale la borghesia non riusciva più a governare. Le masse che la borghesia imperialista aveva mobilitato per la sua guerra sfuggivano al suo potere e diventavano una forza rivoluzionaria incontenibile. Anche senza la direzione di partiti comunisti le masse popolari e in particolare gli operai e i soldati insorgevano e costituivano nuovi organi di potere (soviet, consigli). Bisognava solo che quanti erano favorevoli alla dittatura del proletariato generalizzassero questi organismi, li consolidassero e facessero loro assumere consapevolmente, pienamente e sistematicamente il potere che era caduto nelle loro mani (“tutto il potere ai soviet!”) ed eliminassero radicalmente e definitivamente quanto restava del vecchio sistema statale che i riformisti cercavano di restaurare. Lo smarrimento della borghesia era grande e il crollo del capitalismo sembrava una realtà. Sembrava che il problema consistesse principalmente nel creare un nuovo ordine nel disordine che la borghesia aveva lasciato. L’Internazionale Comunista inizialmente riunì tutti quelli che nel vuoto di potere volevano erigere e consolidare la dittatura del proletariato impedendo che la borghesia imperialista si riprendesse.

Nel 1921 era chiaro che questa operazione dell’IC in Europa era fallita. La realtà imponeva i suoi diritti. Una guerra civile si sarebbe protratta per più di un quarto di secolo. Questa guerra civile di lunga durata avrebbe presentato aspetti e assunto forme diverse da quelli di qualsiasi guerra che l’aveva preceduta. Le due classi e i due campi in lotta dipendevano l’uno dall’altro: i proletari dipendevano ancora dalla borghesia per la produzione delle condizioni materiali della loro vita e la borghesia dipendeva dal proletariato per il suo arricchimento. Le due parti antagoniste erano da ciò continuamente mischiate e si condizionavano e si influenzavano a vicenda. Pur nella radicale diversità delle posizioni di partenza, ogni campo aveva nel campo avverso le sue “quinte colonne” consapevoli o spontanee. In tutta Europa “la borghesia non riusciva più ad esercitare per intero il suo potere, ma la classe operaia non era ancora abbastanza unita e matura per esercitare il potere per intero”. Né l’IC dava un’unica risposta alla questione se questa inadeguatezza della classe operaia consisteva principalmente nel peso della parte arretrata delle masse e nell’influenza che su di esse esercitava la borghesia (l’influenza che normalmente e spontaneamente la classe dominante ha sulle classi sottoposte e quella portata con le organizzazioni socialdemocratiche, riformiste e affini) oppure consisteva piuttosto nei metodi e nelle concezioni ancora arretrati o addirittura primitivi della sua avanguardia politica, ossia dei partiti comunisti. Secondo alcuni il collo di bottiglia e quindi l’ostacolo principale era l’esistenza di organizzazioni riformiste. Secondo altri il collo di bottiglia era la limitata capacità dei partiti comunisti di comprendere e dirigere lo sviluppo del movimento reale (sullo slancio rivoluzionario dei partiti comunisti al contrario non erano possibili dubbi). Per più di 25 anni si protrasse nella società europea una condizione di cronica instabilità e di continui sommovimenti, periodi di pace e stabilizzazione si alternarono a momenti di accesa mobilitazione di massa. Movimenti rivendicativi e movimenti politici si alimentarono in alcuni casi a vicenda e in altri si neutralizzarono. Nella mobilitazione di massa, che le condizioni pratiche suscitavano, la direzione della borghesia imperialista e quella della classe operaia si contrapponevano e si alternavano. Ondate di mobilitazione reazionaria e ondate di mobilitazione rivoluzionaria si scontrarono fino alla soluzione definitiva della crisi generale alla fine degli anni quaranta. Non solo la classe operaia aveva imparato e imparava. Anche la borghesia imperialista aveva tratto dalla Rivoluzione d’Ottobre, dall’instaurazione del socialismo in URSS e dagli avvenimenti europei del 1918-1921 lezioni che ora impiegava nella controrivoluzione preventiva (New Deal, le repressioni in Inghilterra e in Francia) e nella mobilitazione reazionaria di massa (il fascismo e il nazismo).

Nel movimento comunista, lungo tutta la storia dell’IC (formalmente svoltasi tra il 1919 e il 1943) e oltre, si svolse una lotta accanita, benché non dichiarata e quindi poco efficace e molto dolorosa, per comprendere la natura di questa realtà3.

Da una parte vi era la concezione che la rivoluzione socialista non avrebbe spazzato come un uragano la borghesia imperialista dall’Europa, ma sarebbe stata un’avanzata relativamente lenta, in cui si sarebbero alternati e combinati periodi di graduali evoluzioni e conquiste con bruschi salti e scontri, un’avanzata inframmezzata da pause e arretramenti e connessa allo sviluppo delle contraddizioni tra i gruppi imperialisti, della rivoluzione nei paesi coloniali e semicoloniali e della rivoluzione socialista nel resto del mondo. Occorreva di conseguenza elaborare linee adeguate ad accumulare e consolidare forze e posizioni rivoluzionarie. Accumulare via via le condizioni per la propria vittoria definitiva. Un’espressione centrale di questa concezione fu il mantenimento del potere in Unione Sovietica e il suo consolidamento in campo politico, economico e culturale.

Dall’altra vi era la concezione secondo la quale si attendeva ad ogni momento che la crisi del capitalismo precipitasse nuovamente, che si determinasse un’altra spontanea ondata rivoluzionaria simile a quella avutasi negli ultimi anni della prima guerra mondiale. I suoi partigiani studiavano la situazione e gli avvenimenti (i sintomi di stabilizzazione, di ripresa o di crisi del capitalismo) in funzione di questa attesa. Essi sostenevano che il compito dei partiti comunisti consisteva principalmente nel prepararsi ad essere nella nuova situazione più forti e più capaci di quanto lo erano stati nel periodo 1918-1921 e, secondo alcuni, nel cercare di “accelerare” l’avvento dell’attesa seconda ondata. Ripetutamente vi furono oscillazioni tra lanciarsi in avanti per sfondare con un eroico assalto la resistenza del nemico e con ciò spazzar via anche l’influenza che esso esercitava sulle masse popolari e sulla stessa classe operaia tramite i partiti socialdemocratici, cattolici, paternalisti (deviazione di sinistra) e accordarsi con questi stessi partiti anche fino al punto di rinunciare alla propria autonomia e alla propria libertà d’azione per fare assieme un pezzo di strada (deviazione di destra). Da una parte sembrava che senza un accordo con quei partiti fosse difficile se non impossibile influenzare e trascinare alla lotta le parti arretrate della classe operaia e delle masse, dall’altra sembrava che ogni accordo con essi oscurasse ciò che caratterizzava il partito comunista e lo distingueva da essi e facesse disperdere persino una parte dei suoi seguaci. Ripetutamente, quando la crisi precipitò in scontri aperti e guerre, i comunisti cercarono di arrivare ad una rapida conclusione, anziché cercare di estenderli e prolungarli e raccogliere maggiori forze rivoluzionarie grazie ad essi fino a che si fossero create le condizioni di una sicura vittoria. In altri casi i partiti comunisti non chiamarono le masse alla battaglia perché ai loro occhi una battaglia o era uno scontro generale e definitivo, per l’esito vittorioso del quale essi vedevano non esistere le condizioni, o era un inutile dispendio di forze che doveva essere evitato.

Questa lotta tra le due concezioni nel movimento comunista fu resa più difficile, complicata, oscura, dolorosa e non arrivò a soluzione definitiva a causa dell’incomprensione, comune anche alla sinistra, di due aspetti fondamentali della situazione4.

1. Il capitalismo attraversava una crisi generale di lunga durata senza però che fosse necessariamente né l’ultima né la definitiva (il capitalismo non crolla, non esiste mai una situazione senza vie d’uscita). Quindi indipendentemente dalla loro volontà i gruppi imperialisti, se non erano messi fuori gioco dalla rivoluzione, sarebbero arrivati a uno scontro tra loro per stabilire quella soluzione della crisi che non era risultata dalla prima guerra mondiale sospesa precipitosamente a causa dello scoppio spontaneo delle rivoluzioni. Non scorgendo questa crisi di fondo ma nello stesso tempo ben definita con i suoi alti e bassi, nell’IC la sinistra tendeva a negare i sintomi e i momenti di stabilizzazione e di ripresa del capitalismo fondandosi sul fatto che essi erano brevi e incerti, mentre la destra tendeva a vedere in questi momenti di stabilizzazione la necessità di accordi con le forze riformiste. Entrambe ritenevano che la stabilizzazione significasse la fine di possibilità rivoluzionarie. Ma proprio in forza della crisi generale, la contraddizione tra i gruppi imperialisti e le masse popolari si intrecciava con la contraddizione tra gli stessi gruppi imperialisti, le “concessioni” che essi potevano fare alle masse popolari erano limitate, la stampella delle organizzazioni riformiste era in molti casi insufficiente e i gruppi imperialisti dovettero ricorrere al fascismo (alla mobilitazione reazionaria di massa). Ciò dava al partito comunista la possibilità di dirigere indirettamente organizzazioni e gruppi che dichiaratamente rifiutavano la sua direzione e di indurli per ragioni della loro stessa sopravvivenza e per i loro stessi interessi a compiere la strada utile alla rivoluzione.

2. La borghesia imperialista era stata portata dagli eventi a sviluppare forme specifiche di mediazione tra il carattere collettivo delle forze produttive e il permanere dei rapporti di produzione che essa personificava, le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS). Fu proprio in quegli anni che si costituì in tutti i maggiori paesi imperialisti il capitalismo monopolistico di Stato. Esse in una certa misura smussavano le manifestazioni più distruttive di quell’antagonismo, fornivano nuove armi alla borghesia e impedivano quella spontanea radicalizzazione che era esplosa nel periodo 1918-1921. Ma nello stesso tempo nei paesi capitalisti le FAUS rendevano più palese e promuovevano il carattere collettivo della società ed educavano praticamente le masse ad esso.

Quando fu chiaro che in Europa il primo assalto portato negli anni 1918-1921 era fallito, rifacendosi alla vittoriosa esperienza russa l’IC ne trasse la conclusione che anche in Europa bisognava in un certo senso ripercorrere dal principio l’esperienza compiuta in Russia, pur tenendo conto delle caratteristiche specifiche della Russia (anello debole della catena imperialista e centro nodale di tutte le contraddizioni dell’imperialismo, come ben illustrato da Stalin in Principi del leninismo)5. Già nelle tesi per il secondo congresso dell’IC (luglio-agosto 1920) Lenin sostenne essere necessaria la “correzione della linea, e in parte della composizione, dei partiti che aderiscono o che vogliono aderire all’IC”. L’IC nei paesi imperialisti pose all’ordine del giorno non più l’instaurazione immediata della dittatura del proletariato, ma la costituzione di partiti comunisti ideologicamente coesi e organizzativamente disciplinati. Il compito principale ad essi assegnato era conquistare il consenso della maggioranza della classe operaia a lottare per instaurare la dittatura del proletariato e diventare l’avanguardia organizzata della classe operaia. Si prospettava un periodo relativamente lungo di preparazione della conquista del potere, di creazione delle condizioni necessarie alla conquista del potere, di avvicinamento alla conquista del potere. La lotta all’interno delle istituzioni dello Stato borghese e l’atteggiamento verso le organizzazioni di massa dirette dalla borghesia (in particolare verso i sindacati di regime) diventarono argomenti di attualità insieme all’autonomia del partito, al suo  legame con le masse e alla sua preparazione alla lotta per il potere. Venne stabilito che in ogni paese imperialista il partito comunista dovevano combinare l’attività propagandistica e organizzativa del partito, la lotta all’interno delle istituzioni dello Stato borghese, le lotte rivendicative sia tramite sindacati e organizzazioni di massa generate dal partito sia tramite i sindacati e le organizzazioni di massa di regime, la formazione delle organizzazioni paramilitari che la situazione consentiva e di apparati clandestini.

Dalla storia dell’IC e delle sue sezioni europee emerge la difficoltà incontrata dai partiti comunisti 1. nello sfruttare la crisi economica per portare la classe operaia ad agire in conformità alle linee indicate dal partito comunista e a dirigere in conformità ad esse il resto delle masse popolari e 2. nello stabilire un legame reale (radicato e verificato nella pratica) tra le lotte per soddisfare i bisogni vitali immediati delle masse e la lotta per conquistare il potere. La loro iniziativa era come soffocata dalla concezione secondo cui nei paesi imperialisti o lo sviluppo delle cose procedeva pacificamente o la conquista del potere si poneva come compito immediato: non erano compresi né l’unità dialettica di pace e di guerra che tuttavia era la realtà che si svolgeva sotto gli occhi né il duplice ruolo che i riformisti svolgevano.

L’IC elaborò la linea del “fronte unico della classe operaia” (I riunione plenaria dell’Esecutivo allargato, febbraio-marzo 1922). Il partito doveva fare in modo che gli operai costituissero, su problemi e rivendicazioni dirette e immediate e sulla difesa dei propri organismi dagli attacchi delle forze legali ed extralegali della borghesia, un unico fronte contrapposto alla borghesia, nonostante la persistenza dell’influenza della borghesia tramite partiti socialdemocratici, anarco-sindacalisti, riformisti, cattolici, corporativi, ecc. e le relative organizzazioni di massa (sindacati ed altre). L’IC praticò alternativamente sia la linea del “fronte unico solo dal basso” (unire tutti gli operai puntando sugli interessi diretti e immediati, in contrapposizione all’azione disfattista o conciliatoria degli organismi riformisti e affini che veicolavano l’influenza della borghesia) sia la linea del “fronte unico dal basso e dall’alto” (oltre a mobilitare gli operai, stringere anche accordi con quegli organismi per la soddisfazione di rivendicazioni elementari, prescindendo dall’instaurazione della dittatura del proletariato). Essa sviluppò la linea del “fronte unico dal basso e dall’alto”  fino alla linea del “governo operaio” (o del “governo operaio e contadino”)6. Dove i risultati elettorali lo consentivano, il partito comunista doveva 1. fare in modo che i partiti che traevano la loro forza dalle organizzazioni di massa della classe operaia (il partito socialdemocratico, il partito comunista e altri) costituissero essi un governo che attuasse misure favorevoli alle masse popolari e soddisfacesse le loro maggiori rivendicazioni e 2. quando la borghesia si fosse ribellata a questo governo (cosa che immancabilmente sarebbe avvenuta), essere pronto a schiacciarla conducendo la guerra civile fino ad instaurare la dittatura del proletariato. Ma gli esperimenti di questo tipo fatti nei Länder della Germania (“governi operai” della Sassonia e della Turingia) nella seconda metà del 1923 naufragarono: la borghesia eliminò manu militari i “governi operai” e il partito comunista non riuscì a scatenare la guerra civile. Quando, vista la soggezione alla borghesia dei partiti socialdemocratici e affini che impediva il fronte unico dall’alto e la formazione di “governi operai”, fu evidente che la mobilitazione delle masse popolari determinata dalla gravissima crisi sorpassava l’attività dei partiti comunisti, l’IC lanciò le sue sezioni nazionali nel tentativo di aggregare direttamente attorno a sé la classe operaia (“fronte unico solo dal basso”)7. Benché raccogliesse vasti successi, anche questa linea non raggiunse i risultati che l’IC si proponeva.

Dopo l’instaurazione del regime nazista in Germania (1933) e la connessa offensiva fascista in tutta Europa, l’IC passò dalla linea del fronte unico (che si limitava alla classe operaia) alla linea del Fronte popolare antifascista (esteso a tutte le classi, forze politiche e personalità contrarie al fascismo) e del governo di Fronte popolare8. Le più avanzate attuazioni di questa linea nei paesi imperialisti ebbero luogo in Francia e in Spagna. Ma né l’una né l’altra portò la classe operaia alla conquista del potere e all’avvio della fase socialista. In Francia il governo del Fronte popolare venne eliminato nel 1938 per normale via parlamentare. In Spagna la guerra civile si concluse nel 1939 con la vittoria della oligarchia finanziaria e terriera, delle caste reazionarie (Chiesa, militari e Guardia Civil) e dei loro alleati e ciò anche grazie al concorso determinante delle manovre e infine dell’aperto tradimento dei partiti borghesi e di settori del partito socialista e anarchici aggregati nel Fronte popolare e con il concorso del governo di Fronte popolare installato in Francia9.

Una volta scoppiata la seconda guerra mondiale, con il doppio carattere di guerra interimperialista e di guerra di classe, i partiti dell’IC nei paesi imperialisti adottarono la linea di mettersi alla testa della resistenza contro il nazifascismo. In alcuni grandi paesi imperialisti (in particolare in Francia e in Italia) essi riuscirono ad accumulare grandi forze rivoluzionarie. La Resistenza contro il nazifascismo fu il punto più alto raggiunto dalla classe operaia nella sua lotta per il potere il Europa. Ma anche in questo caso la borghesia imperialista riuscì a riprendere il potere allontanando i partiti comunisti dal governo senza neanche dover ricorrere alla guerra civile aperta.

Attraverso queste diverse strategie il movimento comunista riuscì a conseguire grandi successi: la costituzione di partiti comunisti in vari paesi (65 partiti, di cui solo 22 legali o semilegali, inviarono delegati al settimo e ultimo congresso dell’IC nel 1935), il rafforzamento dei loro legami con le masse, il contributo alla vittoria contro il nazifascismo, il contributo all’avanzamento delle rivoluzione proletaria nel mondo, la fine del sistema coloniale, la nascita della Repubblica popolare cinese, la creazione del campo socialista, il grande sviluppo dato all’emancipazione delle donne e alla lotta contro le discriminazioni razziali e nazionali, le grandi conquiste di civiltà e di benessere a cui la borghesia imperialista dovette rassegnarsi per vari decenni. Ma in nessuno dei paesi imperialisti riuscì a portare la classe operaia a conquistare il potere.

Le lotte condotte dai partiti comunisti nei paesi imperialisti nella prima metà del secolo XX, nell’ambito dell’IC, costituiscono tuttavia un grande patrimonio di esperienze a cui noi comunisti dobbiamo attingere quando si tratta di decidere “quale via battere” per promuovere e dirigere la seconda ondata della rivoluzione proletaria.

La teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata supera le antinomie che l’esperienza dell’Internazionale Comunista ha messo in luce e con cui devono fare i conti anche i nuovi partiti comunisti oggi in costruzione, con l’articolazione (partito, fronte e forze armate) degli strumenti della guerra, con la linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione del partito e con la lotta tra le due linee nel partito. Non si tratta però di un manuale che indica cosa fare consentendo di conservare i propri pregiudizi ed esimendo dal pensare e dal trasformare la propria concezione. Ma di una guida per comprendere meglio i problemi da risolvere e le condizioni pratiche in cui essi si pongono e per trovare soluzioni adeguate. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è un’applicazione avanzata del materialismo dialettico e della teoria delle contraddizioni alla lotta di classe. Il suo cuore è la comprensione del carattere universale della contraddizione, un’adeguata comprensione delle caratteristiche delle contraddizioni sociali e l’adesione del partito nella sua pratica al movimento reale delle contraddizioni reali. La comprensione delle forme particolari di questa guerra nel nostro paese, l’elaborazione e l’applicazione di linee, tattiche e metodi conformi ad esse, la predisposizione di campagne e battaglie, la creazione delle corrispondenti istituzioni costituiscono il compito del nuovo partito comunista.

Umberto C.


NOTE


1. Per antinomia intendo l’unità conflittuale in cui si trovano due aspetti che si escludono a vicenda, ognuno dei quali è reale e necessario. In altre parole una unità di due opposti: ognuno esclude l’altro ma nella realtà sono legati l’uno all’altro, entrambi sono reali e necessari e si influenzano a vicenda e ora l’uno ora l’altro ha un ruolo dirigente.

2. Un esempio: l’antinomia tra alleanza del movimento comunista con i gruppi imperialisti angloamericani contro i gruppi imperialisti tedeschi, giapponesi e italiani e mobilitazione antimperialista dei popoli dell’America Latina, dell’India, dei paesi arabi e dell’Africa ha avuto grande peso sullo sviluppo del movimento comunista nel secolo XX.

3. Questa lotta ha percorso tutta la storia dell’IC. Se viste alla luce di questa lotta, molte delle vicende di questa storia assumono piena luce e grande significato. Mente al di fuori di essa restano incomprensibili, oscure, misteriose e servono a riempire i libelli e le opere dell’anticomunismo professionale o dilettante, dichiarato o velato, in cattiva o in buona fede. È attraverso quella lotta e grazie alle sue mille manifestazioni particolari in ogni campo che il movimento comunista è pervenuto a una comprensione superiore dei suoi compiti e delle condizioni in cui deve assolverli. Né questa comprensione poteva essere raggiunta in altro modo.

4. Quanto ai limiti della prima Internazionale Comunista, vedasi anche in La Voce n.2 lo scritto Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista. Le conquiste e i limiti.

5. La bolscevizzazione dei partiti comunisti, pur con diverse accentuazioni, venne in generale intesa come assimilazione e messa a punto da parte dei partiti comunisti di ogni paese capitalista dell’esperienza politica e organizzativa del partito russo e applicazione differenziata degli insegnamenti che ne scaturivano alla concreta situazione di ogni paese in una determinata epoca.

6. La parola d’ordine del “governo operaio” o del “governo operaio e contadino” venne lanciata al quarto congresso dell’Internazionale Comunista con la Risoluzione sulla tattica approvata il 5 dicembre 1922. La risoluzione chiarisce che il “governo operaio” non è la dittatura del proletariato. Esso può nascere “da una combinazione parlamentare” ed essere “di origine prettamente parlamentare”. È una coalizione di partiti e organizzazioni operaie che forma il governo nell’ambito degli ordinamenti del vecchio Stato borghese. Questi governi “possono costituire un punto di partenza per la conquista della dittatura del proletariato” (A. Agosti, La Terza Internazionale vol. I, 2). “Il governo operaio non è un sinonimo della dittatura del proletariato né un pacifico modo parlamentare per arrivarci. È un tentativo della classe operaia, nel quadro dapprincipio della democrazia borghese, di attuare una politica operaia con l’appoggio di organi proletari e del movimento delle masse popolari” (Partito comunista tedesco, congresso di Lipsia, gennaio 1923).

Non mancarono però dirigenti e istanze dell’IC che sostennero che “governo operaio e contadino” era sinonimo di dittatura del proletariato e quindi una semplice formula propagandistica.

7. Questo indirizzo venne sanzionato dal sesto congresso dell’IC (luglio-settembre 1928) e meglio sviluppato dalla X riunione plenaria dell’Esecutivo allargato (luglio 1929).

8. Questo indirizzo venne elaborato e messo in atto durante il 1934 e sanzionato dal settimo e ultimo congresso dell’IC (luglio-agosto 1935).

9. Molto utile in proposito il bilancio dell’attività della sezione spagnola dell’IC fatto dal PCE(r): La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista - Edizioni Rapporti Sociali.


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La Voce del (nuovo)PCI n.63 - novembre 2019


Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista

Le conquiste e i limiti da superare

Edizione rivista e aggiornata da La Voce 2 - luglio 1999


L’Internazionale Comunista venne fondata nel marzo del 1919 per impulso del Partito Comunista (bolscevico) Russo (PC(b)R), sotto la direzione di Lenin. Essa per vari anni fu il quartier generale del movimento comunista a livello mondiale. L’IC formalmente operò tra il 1919 e il 1943, ma in realtà la sua esistenza iniziò nel 1914. Allo scoppio della Prima guerra mondiale la Seconda Internazionale crollò, corrosa dall’opportunismo della maggioranza dei dirigenti dei suoi più importanti partiti e dall’opera anche teorica dei primi revisionisti (E. Bernstein & C). La sinistra dei maggiori partiti della Seconda Internazionale (compresi suoi eroici esponenti, prima tra essi Rosa Luxemburg) non aveva sviluppato una linea e una pratica organizzativa corrispondenti all’analisi della guerra in arrivo, che tuttavia era stata denunciata e illustrata dal Manifesto di Basilea (1912) approvato dal congresso straordinario della Seconda Internazionale. Immediatamente dopo il crollo della Seconda, iniziò il lavoro per costruire la Terza Internazionale, l’Internazionale Comunista. Sciovinismo morto e socialismo vivo. Come ricostituire l’Internazionale? è il titolo dato da Lenin a un suo articolo pubblicato nel dicembre 1914 (Opere Complete Editori Riuniti vol. 21). La vittoria della rivoluzione in un paese sia pure arretrato, la Russia, anello debole della catena imperialista che schiacciava già il mondo intero, creò le condizioni per costituirla organizzativamente.

La vita dell’IC si protrasse di fatto, oltre lo scioglimento formale del giugno 1943, nel Cominform (1947-1956) e oltre, sotto la forma della collaborazione e del reciproco sostegno tra i partiti comunisti di tutto il mondo. Questi rapporti durarono fino al febbraio del 1956. È in questa data che il capofila dei revisionisti moderni, Kruscev, al XX congresso del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), li ruppe prendendo unilateralmente e arbitrariamente posizione su problemi relativi al movimento comunista internazionale (bilancio dell’esperienza del socialismo in URSS e dell’attività dell’IC), senza aver discusso preliminarmente con gli altri partiti comunisti. Dato il ruolo preminente che per ragioni oggettive aveva nel movimento comunista, la deviazione del PCUS ruppe l’unità del movimento comunista e pose fine alla collaborazione tra il complesso dei partiti comunisti.

La vita dell’IC quindi copre praticamente il periodo finale della prima crisi generale del capitalismo terminata nel 1945 e i primi quarant’anni della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976). L’attività dell’IC è perciò una grande miniera di esperienza per tutti noi comunisti (ancora inesplorata per molti personaggi e organismi che pur si professano comunisti, con Marco Rizzo e il PC in prima fila). Noi stiamo affrontando i problemi relativi alla seconda crisi generale del capitalismo e della preparazione della seconda ondata della rivoluzione proletaria che vi porrà fine. Dal periodo in cui operò l’IC a oggi sono sopravvenute molte e importanti trasformazioni che ogni partito comunista deve individuare, studiare e comprendere e di cui bisogna tenere il debito conto. Tuttavia noi viviamo ancora nell’epoca dell’imperialismo, del declino del capitalismo e dell’ascesa della rivoluzione socialista: la stessa epoca in cui l’IC svolse la sua attività. Il bilancio dell’esperienza dell’IC è un compito politico, perché riguarda l’orientamento del nostro lavoro

nel presente e negli anni a venire. È molto importante che lo conduciamo in modo giusto.

Il bilancio dell’IC di cui abbiamo bisogno oggi in Italia deve consistere sostanzialmente di due punti.

Punto primo, noi dobbiamo indicare e illustrare:

- quali furono le conquiste pratiche realizzate dal movimento comunista nel periodo dell’attività dell’IC;

- quali furono le cause soggettive di quei successi: le concezioni, il metodo, la linea, le strutture organizzative grazie alle quali l’attività dell’IC raggiunse quei successi. Perché questo deve essere il primo punto del nostro bilancio? In primo luogo perché oggi nelle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS) del nostro paese non vi è una chiara, vasta e affermata conoscenza dei successi in quel periodo. Quindi vi sono nelle nostre fila mille brecce aperte alla penetrazione della campagna di denigrazione del movimento comunista (che spesso si presenta come denigrazione di Stalin) e di demoralizzazione delle nostre forze che la borghesia imperialista conduce come un aspetto specifico, programmato e adeguatamente finanziato della sua lotta contro la rinascita del movimento comunista. In secondo luogo perché ancora oggi gran parte di quelli che pur si professano comunisti sono lungi dall’avere assimilato e fatto proprio il patrimonio ideologico e teorico grazie al quale l’IC ha raggiunto questi successi. Il lungo periodo di predominio del revisionismo moderno (di Togliatti ed eredi, da Berlinguer fino a Napolitano e Bertinotti) e il profondo lavoro di corruzione e di diversione da esso condotto hanno rotto la continuità tra noi e l’IC. Attualmente hanno libero corso concezioni e metodi di pensiero e di azione che l’IC ha già criticato e superato teoricamente e che aveva in larga misura superato anche nella pratica dei suoi partiti comunisti. Fanno perciò parte di questo primo punto del bilancio anche la critica delle concezioni e dei metodi ancora correnti tra le FSRS, ma che costituiscono un arretramento rispetto alle posizioni già raggiunte dall’IC.


***

Chi le conosce è colpito dall’attualità delle analisi di Marx, di Engels, di Lenin, di Stalin e di altri esponenti storici del movimento comunista. Sembrano scritte per la situazione attuale. Questa constatazione ci serve ad accantonare nella spazzatura che loro compete le analisi di sociologi, politologi, economisti e altri intellettuali borghesi sulla mondializzazione, sulla fine della storia e in generale sulle “novità” che essi sbandierano. Ma non dobbiamo addormentarci sulla constatazione dell’inconsistenza degli intellettuali delle classi nemiche. È doloroso rileggere oggi, a quarant’anni di distanza, quello che scrivevano alcuni per altro valorosi esponenti del movimento comunista (citiamo Enver Hoxha per tutti) fieri e compiaciuti della giustezza della concezione comunista del mondo e delle conferme che la storia aveva dato di essa, ma inconsapevoli del cataclisma che aveva colpito il movimento comunista. Le novità non sono quelle che proclamano gli intellettuali borghesi, ma ce ne sono e sono importanti: Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (vedere Manifesto Programma cap. 1.3.2 e nota 46), moneta fiduciaria mondiale, spartizione del mercato mondiale tra pochi grandi monopoli, un’economia altamente sociale retta da rapporti sociali capitalisti (proprietà privata), un’unità politica e culturale mondiale sotto la forma di dominazione di pochi Stati e gruppi su tutto il mondo. In sintesi il mondo ha fatto grandi passi verso il comunismo, ma li ha fatti sotto la cappa del capitalismo e ciò ha creato un mondo che, proprio per questo contrasto, scoppia. Abbiamo bisogno della comprensione scientifica delle leggi di questo processo per guidare l’attività rivoluzionaria delle masse a instaurare il socialismo.

***


Punto secondo, noi dobbiamo indicare e illustrare quali furono i limiti che l’IC non riuscì a superare.

Anzitutto è indubbio che le concezioni e l’attività dell’IC presentano errori e limiti. La battuta d’arresto e l’arretramento subiti dal movimento comunista nella seconda metà del secolo scorso indicano al di là di ogni dubbio che nel movimento comunista sono stati commessi errori e che esso non è riuscito a superare alcuni limiti. Per far fronte ai compiti e riprendere l’avanzata, è indispensabile individuare i limiti, distinguerli dagli errori e superarli.

Per errori intendiamo linee, criteri e misure che o contrastavano con principi già acquisiti dal movimento comunista o riflettevano un’inchiesta insufficiente della situazione concreta. Il bilancio complessivo dell’attività dell’IC è largamente positivo. Ciò comporta che l’IC nel suo complesso non ha commesso errori gravi e persistenti, di carattere universale. Tuttavia i singoli partiti comunisti, sezioni dell’IC, hanno invece commesso errori anche gravi e persistenti. Anche la sola differenza dei risultati raggiunti nei diversi paesi fa fede di questo. È compito politico irrinunciabile di ogni partito comunista comprendere gli errori del partito di cui è erede e continuatore, fare un bilancio della sua attività e tirarne i dovuti insegnamenti. Noi abbiamo fatto un accurato bilancio dell’esperienza, delle concezioni e dei metodi del vecchio PCI. Il Progetto di Manifesto Programma contiene una sintesi di questo bilancio (pag. 76).

Per limiti intendiamo che l’IC si è trovata davanti a problemi nuovi della rivoluzione proletaria, propri di una situazione più avanzata rispetto a quelle che il movimento comunista aveva fino allora affrontato, rispetto alle situazioni che il movimento comunista aveva già compreso e per le quali aveva elaborato concezioni e metodi che facevano già parte del patrimonio che tutti i comunisti dovevano assimilare. Rispetto ad alcuni di questi problemi, l’IC non è riuscita a elaborare e ad acquisire come patrimonio comune a tutti i partiti linee, criteri e misure sufficienti a risolverli in modo favorevole agli interessi della causa del comunismo, ma la sua esperienza contiene insegnamenti sufficienti per risolverli. Quali sono questi problemi? A mio parere i principali sono i seguenti.

1. La causa e la natura delle crisi generali del capitalismo. Alla fine della Seconda guerra mondiale i comunisti, alla pari dei gruppi imperialisti, ritenevano che i paesi capitalisti sarebbero ripiombati nella crisi economica da cui solo la guerra li aveva sollevati. Al contrario nei paesi capitalisti vi furono circa trent’anni di ripresa dell’accumulazione del capitale e di sviluppo dell’attività economica. Questo limite rese la vita facile alle teorie revisioniste del superamento definitivo della crisi e della guerra.

2. Le forme della mediazione nei paesi capitalisti tra il carattere collettivo già assunto dalle forze produttive e la sopravvivenza della proprietà individuale capitalista di esse. Lenin aveva indicato chiaramente che l’imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo e che è un capitalismo “sui generis” (di tipo particolare). Le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) non sono state individuate, studiate e usate nella lotta politica. Ciò rese la vita facile alle teorie revisioniste delle riforme di struttura e del passaggio graduale al socialismo.

3. La natura dei regimi politici della borghesia nella fase imperialista del capitalismo. Lenin aveva indicato che l’imperialismo tende alla reazione e Stalin aveva precisato che la lotta di classe diventa più acuta man mano che la rivoluzione socialista avanza nel mondo e i paesi socialisti progrediscono verso il comunismo. L’IC comprese e affrontò i regimi terroristici instaurati dalla borghesia (fascismo, nazismo, ecc.), ma non comprese adeguatamente che i regimi dei paesi “democratici” (USA, Inghilterra, Francia, ecc.) erano oramai diventati regimi della controrivoluzione preventiva. Ciò rese la vita facile alle teorie revisioniste della lotta esclusivamente (o principalmente) legale e della via democratica al socialismo.

4. La forma della rivoluzione proletaria e della direzione della classe operaia sul resto delle masse popolari. Era scontato tra i partiti dell’Internazionale Comunista che la classe operaia avrebbe conquistato il potere con la violenza (“il potere nasce dalla canna del fucile”). Non erano però chiare le forme in cui sarebbe avvenuta la raccolta, formazione e accumulazione delle forze rivoluzionarie. Convissero al riguardo nell’IC concezioni e pratiche contrastanti: accumulazione delle forze nell’ambito della legalità borghese in attesa delle condizioni favorevoli per una rivolta generale delle masse popolari, fronte popolare, combinazione tra guerra civile rivoluzionaria e guerra imperialista, partito-esercito-fronte delle classi e delle forze rivoluzionarie, guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Ciò rese la vita facile alle tendenze opportuniste e attendiste.

5. La natura e il ruolo dei partiti comunisti. Nonostante la campagna di bolscevizzazione lanciata nella seconda metà degli anni ‘20, nell’IC rimasero partiti comunisti che avevano una concezione principalmente legalitaria del loro compito e partiti clandestini, partiti di massa e partiti di quadri, partiti sostanzialmente parlamentari e partiti che dirigevano nel loro paese la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Ciò lasciò aperta la via alla teoria revisionista del “partito di tutto il popolo”.

6. Il rapporto tra i partiti comunisti dei vari paesi. Nella Risoluzione del suo scioglimento (1943) l’IC dichiarò che “lungo tempo prima della guerra era già apparso sempre più chiaro che (...) la soluzione a mezzo di un centro internazionale dei problemi del movimento operaio di ogni paese a sé preso, si sarebbe scontrata con ostacoli insuperabili” e che “la forma di organizzazione e di unione dei lavoratori scelta dal primo congresso dell’IC veniva superata sempre più (...) a tal punto da divenire persino un impedimento al rafforzamento ulteriore dei partiti operai nazionali”. Ma il problema dei rapporti tra i partiti comunisti restò in sospeso. Ciò facilitò il colpo di mano fatto da Kruscev e dal PCUS nel 1956, quando si arrogò il diritto di decidere per tutto il movimento comunista internazionale.

7. La lotta di classe nei paesi socialisti. Che la lotta di classe continuasse nei paesi socialisti era un fatto. Ma la comprensione delle leggi secondo cui si sviluppa, l’analisi di classe della società socialista (in particolare che la borghesia nei paesi socialisti è costituita da quei dirigenti del Partito, dello Stato, delle aziende e delle altre istituzioni che per dare soluzione ai problemi del socialismo si ispirano all’esperienza della borghesia) e la relazione tra le contraddizioni di classe nella società di ogni paese socialista e la lotta di classe a livello internazionale restarono tutte questioni in sospeso fino alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976). Ciò facilitò la vita alle teorie revisioniste della fine della lotta di classe e della scomparsa della divisione in classi nei paesi socialisti.

8. La relazione tra gli Stati e i paesi socialisti. Dopo la Seconda guerra mondiale si formò il campo socialista, composto da più paesi e da più Stati, con tradizioni diverse e diversi livelli economici, politici e culturali. Nel 1919 era stata lanciata la parola d’ordine della federazione sovietica mondiale. Ora si poneva il compito di tradurre in politiche e in istituzioni il principio della fraterna collaborazione tra i lavoratori di tutto il mondo per marciare verso la comunità mondiale dei lavoratori. Non aver affrontato anche teoricamente questo compito rese la vita facile alle tendenze all’egemonismo e alle tendenze nazionaliste.

Si tratta di otto problemi che hanno urgenza diversa, ma sono cruciali per adempiere con successo il compito che ci sta davanti. Dobbiamo quindi indicare gli elementi dell’esperienza dell’IC che ci suggeriscono le soluzioni giuste, le posizioni più avanzate che oggi dobbiamo occupare (il maoismo: vedi Rapporti Sociali n. 9/10, Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo). Insomma dobbiamo indicare gli insegnamenti che noi traiamo dall’esperienza dell’IC per andare oltre i suoi limiti.

Non vanno bene i bilanci in cui si dice genericamente che l’IC ha compiuto molte cose positive e che i suoi dirigenti hanno dato un “contributo teorico inestimabile”, ma 1. non si indicano e non si illustrano le cose positive come se non ci fosse in corso una campagna denigratoria che influenza anche le nostre fila e 2. non si illustrano i “contributi inestimabili” come se questi fossero già nostro patrimonio acquisito (cosa che non è - l’influenza della cultura borghese di sinistra sul pensiero delle FSRS lo dimostra).

Tanto meno va bene che dopo questa concessione quasi d’obbligo fatta ai meriti dell’IC, in realtà ci si dedichi solo a illustrare gli errori e i limiti dell’IC. Noi comunisti non dobbiamo esitare a esporre alle masse (e quindi pubblicamente) i nostri errori e i nostri limiti. È anzi necessario farlo: per sgomberare il campo dalla sfiducia creata dai successi conseguiti dalla borghesia contro il movimento comunista è necessario indicare chiaramente quali sono stati i nostri errori e i nostri limiti che hanno consentito alla borghesia di conseguire temporanei successi. Ma dobbiamo fare il bilancio dell’esperienza dal punto di vista del proletariato e alla luce delle concezioni del proletariato rivoluzionario, col metodo materialista dialettico. Dobbiamo invece combattere i bilanci che, stante la mancata assimilazione dell’“inestimabile contributo teorico” dell’IC, risentono dell’influenza della cultura borghese, individuano errori e limiti dal punto di vista della borghesia (che però si presenta come “neutrale” e “scientifico”: al di sopra delle classi, degli interessi e delle passioni di classe). Simili bilanci nascondono o travisano i veri errori e limiti importanti ai fini della nostra lotta e non traggono gli insegnamenti necessari a noi per non ripetere gli errori e per superare i limiti. Alcuni bilanci inoltre parlano solo di “errori e deviazioni” dell’IC e non indicano i limiti, che ai fini della nostra lotta sono ancora più importanti degli errori.

In conclusione abbiamo bisogno di un bilancio fatto dal punto di vista della classe operaia che lotta per il potere, allo scopo di definire la linea con cui affrontare i nostri compiti nella seconda ondata della rivoluzione proletaria che sta crescendo attorno a noi.

Rosa L.



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Per lo studio dell’esperienza dell’Internazionale Comunista


L’Internazionale Comunista nacque a Mosca nel marzo 1919, su impulso dei bolscevichi di Lenin. Promuoviamo capillarmente letture collettive, riunioni e assemblee per trarre dai suoi successi e dai suoi limiti insegnamenti per far montare nel mondo la seconda ondata della rivoluzione proletaria. Indichiamo qui di seguito articoli di Rapporti Sociali e di La Voce utili allo scopo e disponibili sul sito www.nuovopci.it


- Il movimento politico degli anni ‘30 in Europa

Rapporti Sociali 21 - febbraio 1999

- Ottanta anni fa nasceva l’Internazionale Comunista

Rapporti Sociali 22 - giugno 1999

- Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti

La Voce 2 - luglio 1999

- Le conquiste pratiche realizzate dal movimento comunista nel periodo dell’IC

Rapporti Sociali 23/24 - gennaio 2000

- L’ottava discriminante (prima parte)

La Voce 9 - novembre 2001

- L’ottava discriminante (seconda parte)

La Voce 10 - marzo 2002

- L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo

La Voce 10 - marzo 2002

- I primi paesi socialisti di Marco Martinengo

La Voce 14 - luglio 2003

- Guidati dal maoismo, riprendiamo la gloriosa e vittoriosa tradizione della prima Internazionale Comunista

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004

- “Tesi sull’attività parlamentare” dell’Internazionale Comunista

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004

- Dieci tesi sulla Seconda Guerra Mondiale e il movimento comunista

La Voce 20 - luglio 2005

- L’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti

La Voce 21 - novembre 2005

- Un libro e alcune lezioni

La Voce 24 - novembre 2006

- Pietro Secchia e due importanti lezioni

La Voce 26 - luglio 2007

- Gramsci e la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata

La Voce 44 - luglio 2013

- I due tratti che distinguono e devono distinguere i nuovi partiti comunisti dei paesi imperialisti da quelli che la prima Internazionale Comunista era riuscita a far sorgere nei paesi imperialisti, ma che a causa dei propri limiti non superati non instaurarono il socialismo

La Voce 48 - novembre 2014

- Altro che “superamento della forma partito” - Il partito comunista è il motore della rivoluzione socialista

La Voce 50 - luglio 2015

- Lenin - L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo - Presentazione della redazione di La Voce

La Voce 57 - novembre 2017

- Mobilitare gli operai avanzati a fare la rivoluzione socialista

La Ve 58 - marzo 2018




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Edizioni Rapporti Sociali

Collana La prima ondata della rivoluzione proletaria e i primi paesi socialisti



Mao Tse-tung, Opere

Scritti, discorsi, lettere e poesie 1917−1976

25 volumi 6.672 pp. | 13,00 euro ogni volume | 300,00 euro raccolta completa | 1994

CARC, Sul maoismo, terza tappa del pensiero comunista

24 pp. | 3,00 euro | 1994

CARC, La rivoluzione d’Ottobre e alcuni suoi insegnamenti attuali. Nell’80° anniversario della rivoluzione d’Ottobre (1917-1997)

24 pp. | 3,00 euro | 1995

CARC, Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere

32 pp. | 3,00 euro | 1995

CARC, Celebriamo il 30° anniversario della grande rivoluzione culturale proletaria
20 pp. | 3,00 euro | 1997

CARC, Le conquiste delle masse popolari (1945-1975)

64 pp. | 4,00 euro | 1997

PCE(r), La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista

192 pp. | 7,00 euro | 1997

P.CARC, La parola al Comandante Giacca - La verità su Porzûs

32 pp. | 3,00 euro | 1998

Joseph Stalin, Opere

Scritti, discorsi e lettere, documenti dell’Internazionale Comunista e del PCUS 1901−1923

5 volumi | 1.600 pp. | 13,00 euro ogni volume | 50,00 euro raccolta | 1999

P.CARC, Le donne e la Resistenza

Intervista a Piera Antoniazzi

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Marco Martinengo, I primi paesi socialisti

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Maksim Gor’kij, La madre

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Nikolaj Alekseevič Ostrovskij, Come fu temprato l’acciaio

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Alessandro Vaia, Da galeotto a generale

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