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Riedizione 25 aprile 2020
in occasione del 75° Anniversario
della vittoria della Resistenza

 

Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)

 

Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere

 

Celebriamo il 50° Anniversario della vittoria della Resistenza traendo gli insegnamenti attuali

 

In copertina:

In prima - La divisione partigiana Garibaldi-Redi dell’Oltrepò pavese fa il suo ingresso a Milano.

In quarta - I partigiani della divisione Filippo Beltrami entrano ad Omegna accolti dal saluto della popolazione liberata dal terrore nazifascista.

 

I

La Resistenza nella storia del nostro paese

Cinquant’anni fa, in questi mesi, con le insurrezioni e la liberazione tra il 19 aprile e il 1° maggio di tutte le città del Nord, si concludeva vittoriosamente la Resistenza, cioè la guerra delle masse popolari del nostro paese dirette dalla classe operaia tramite il suo partito comunista, il PCI, contro i fascisti e le truppe naziste di cui i fascisti erano diventati i fantocci. Noi celebriamo il 50° anniversario della vittoria della Resistenza anzitutto per rendere omaggio a quanti combatterono quella lotta e ricordare con amore quanti in quella lotta hanno dato la loro vita per costruire la nostra vita: essi sono i nostri genitori, sono la nostra storia. In secondo luogo celebriamo il 50° anniversario per imparare di più e rafforzare in noi quanto abbiamo già imparato da quella lotta, perché i suoi insegnamenti ci sono necessari per la lotta che conduciamo e che dovremo condurre nei prossimi anni. Per questo dobbiamo studiare con passione e impegno sia i successi che gli insuccessi dei nostri padri, perché né gli uni né gli altri sono vani, ma servono ad aprirci un nuovo tratto della strada verso il comunismo che essi hanno percorso fino a noi. I loro insuccessi e i loro limiti non li sminuiscono nel nostro affetto e nella nostra stima, perché ciò che li fa grandi e degni è di aver portato più avanti la causa che essi a loro volta avevano ricevuto in consegna.

Noi celebriamo il 50° anniversario di quella vittoria in un momento in cui stiamo entrando nel pieno di una nuova crisi generale del sistema imperialista mondiale. Questa crisi generale è costituita da una crisi economica iniziata circa vent’anni fa, negli anni ’70, che in questi mesi sempre più apertamente si tramuta in crisi politica, cioè in crisi dei regimi dei singoli paesi e del sistema di relazioni politiche internazionali, e in crisi culturale. Questa crisi generale ha la sua origine nella contraddizione tra il carattere sociale, collettivo delle forze produttive e dell’attività economica che raccoglie gli uomini di tutto il mondo in un unico organismo economico e il carattere privato capitalista dei rapporti e dei criteri entro cui la borghesia imperialista le vuole mantenere e le governa. Il sistema finanziario, il sistema di relazioni capitaliste nelle aziende e tra le aziende e il sistema di relazioni commerciali fanno acqua da tutte le parti: “i bilanci sono in rosso”, “i conti non tornano”, “l’indebitamento cresce”. Essi si rivelano incompatibili con il lavoro, l’attività feconda e creativa, la vita della gran parte della popolazione mondiale. O una cosa o l’altra. La borghesia imperialista da una parte si ostina a conservare con ogni mezzo e a qualsiasi prezzo il sistema di relazioni di cui è alla testa, di cui è l’espressione e da cui ricava i suoi privilegi, si ostina a impedire con ogni mezzo alle masse popolari di trasformarsi in modo da poter instaurare una gestione comunitaria e democratica, comunista delle loro forze produttive e delle loro attività economiche, si ostina a fomentare in ogni modo tra le masse popolari ogni tipo di contraddizione, di degenerazione, di divisione, di corruzione, di deviazione e di abbrutimento. Dall’altra è lacerata al suo stesso interno dallo scontro sempre più diffuso e acuto tra gruppi e Stati imperialisti generato dall’impossibilità di valorizzare tutto il capitale accumulato e dalla difficoltà crescente a tenere sottomesse le masse popolari, alle quali essa sottrae, una a una, le conquiste che esse avevano strappato nei primi trent’anni del dopoguerra (1945-1975), nel periodo del “capitalismo dal volto umano” (lavoro, condizioni di lavoro, sanità, pensioni, sicurezza sociale, scuola, ecc.).

Questa crisi generale coinvolge tutta la popolazione mondiale e rende inevitabile una trasformazione generale degli ordinamenti e delle relazioni sociali. Nel corso dei prossimi decenni tutto il mondo cambierà nuovamente faccia. In quale direzione? In definitiva ciò non sarà deciso dalle iniziative, dagli intrighi, dalla prepotenza, dalle armi, dalle congiure di individui e gruppi; in definitiva sarà deciso dalle masse popolari, nello scontro tra la mobilitazione rivoluzionaria delle masse diretta dalla classe operaia e la mobilitazione reazionaria delle masse diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista: le masse e solo le masse fanno la storia. La crisi, le sofferenze materiali e morali e lo sconvolgimento economico, politico e culturale che la borghesia imperialista impone alle masse popolari, creano nello stesso tempo la necessità per esse di trovare una nuova strada per vivere e quindi aprono alla classe operaia la possibilità di prendere la loro direzione per guidarle a emanciparsi dal capitalismo. La classe operaia può concepire e instaurare un nuovo ordine sociale che ha alla base il dovere e il diritto di ogni uomo a compiere una parte del lavoro necessario per produrre ciò di cui abbiamo bisogno e la gestione collettiva dell’attività economica di tutti gli uomini. Nei prossimi decenni quindi in tutti i paesi del mondo sarà nuovamente attuale e possibile la conquista del potere da parte della classe operaia alla testa del resto delle masse popolari per instaurare il socialismo e avviare la transizione al comunismo: dalla notte in cui la borghesia imperialista precipita le masse può sorgere l’alba del nuovo mondo.

Si stanno quindi nuovamente creando, nel tessuto materiale della società, nei rapporti materiali tra le classi della nostra società, le condizioni che rendono inevitabile nel mondo una nuova ondata di rivoluzioni socialiste e di rivoluzioni di nuova democrazia, nell’ambito di uno scontro generale tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse diretta dalla classe operaia e mobilitazione reazionaria delle masse diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista. La resistenza alle sofferenze e agli sconvolgimenti creati dal procedere della crisi del sistema capitalista caratterizza già oggi e sempre più caratterizzerà l’attività delle masse popolari in tutto il mondo. Unirsi a questa resistenza, capirne gli aspetti contraddittori, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia trasformandola così in lotta per il socialismo, applicando la “linea di massa” come metodo principale di lavoro e di direzione è e sarà negli anni che stanno davanti a noi il compito di quanti lavorano attivamente per la trasformazione dello stato presente delle cose.

Per quanto riguarda il nostro paese ciò significa che nei prossimi anni diventerà possibile compiere quell’opera a cui la stragrande maggioranza dei combattenti della Resistenza aspirava e che non portò a compimento.

La Resistenza è stata infatti il punto più alto e di maggiore generalizzazione raggiunto finora nel nostro paese dalla lotta della classe operaia per prendere la direzione delle masse popolari, eliminare la borghesia imperialista e instaurare il socialismo. Fino allora le tappe principali di questa lotta erano state la gestazione e la fondazione tra il 1882 e il 1895 del Partito Socialista Italiano, le rivolte popolari del biennio 1893-94 e del 1898, la creazione negli anni a cavallo del 1900 delle organizzazioni sindacali di categoria e delle Camere del Lavoro, l’opposizione alla prima guerra mondiale, l’ondata rivoluzionaria del 1919-1921, la fondazione del Partito Comunista d’Italia nel 1921 e la lunga resistenza organizzata contro il fascismo (1922-1943). Il movimento dei Partigiani del 1943-1945 raccolse e portò a un livello più alto l’esperienza della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese, giovandosi anche dell’insegnamento e della collaborazione del movimento comunista mondiale che allora aveva il suo centro nell’Unione Sovietica.

La Resistenza è stata un movimento che in qualche misura ha coinvolto e influenzato le masse popolari di tutto il paese e che nelle zone del centro-nord del paese riguardò tutti gli aspetti della vita sociale: forze armate, amministrazione della giustizia, amministrazione civile, istruzione e cultura, organizzazione della vita economica. È stata un’esperienza che ha lasciato nella coscienza della classe operaia e delle masse popolari delle zone interessate tracce profonde che né l’immediata occupazione anglo-americana né la restaurazione del potere della borghesia imperialista nella forma del regime DC hanno più potuto cancellare.

Dopo la vittoria della Resistenza la classe operaia non procedette a generalizzare e consolidare il suo potere. I limiti e gli errori della sinistra e la sua mancanza di esperienza nella lotta tra le due linee in seno al partito permisero che nel PCI prevalesse sempre più la destra, contraria alla lotta della classe operaia per il potere e fautrice della sua subordinazione alla borghesia imperialista. Quindi la borghesia imperialista riprese essa in mano la direzione del paese e l’opera che la Resistenza aveva portato a un punto più alto ancora una volta non venne realizzata. Dopo la lunga crisi generale del periodo 1910-1945 e grazie agli sconvolgimenti da essa prodotti, negli anni successivi il sistema imperialista mondiale attraversò un periodo di trent’anni (1945-1975) di ripresa dell’accumulazione del capitale e di espansione dell’apparato produttivo (il periodo cosiddetto del “capitalismo dal volto umano”); il nuovo regime della borghesia imperialista, il regime DC, poté così consolidarsi e durare nel tempo. La lotta della classe operaia per il potere per il momento non poté essere ripresa. Durante quel periodo tuttavia le masse popolari dirette dalla classe operaia riuscirono a strappare alla borghesia imperialista grandi conquiste in campo economico, culturale e politico che hanno trasformato il volto del nostro paese. D’altra parte la classe operaia era impreparata a questa svolta della storia che le si presentava per la prima volta, le sue organizzazioni e il suo partito caddero completamente nelle mani di quanti si illudevano e illudevano che ciò sarebbe proseguito per sempre e che il sistema imperialista non sarebbe più entrato in crisi generali, dei fautori e promotori dell’asservimento della classe operaia alla borghesia imperialista, dei revisionisti moderni che divennero i servi e i collaboratori della borghesia imperialista fino a subire, in questi ultimi anni, le sorti della sua nuova crisi.

Nei primi anni ’70 migliaia di lavoratori e di comunisti in qualche modo compresero che solo la conquista del potere da parte della classe operaia e l’instaurazione del socialismo potevano consolidare e allargare le conquiste raggiunte dalle masse popolari, che senza di ciò la borghesia imperialista le avrebbe cancellate. Essi alzarono nuovamente la bandiera della Resistenza che quegli obiettivi aveva perseguito. Da una parte gli avvenimenti che sono seguiti hanno mostrato che la loro intuizione era giusta. Sono proprio quelle conquiste che la borghesia imperialista dal 1975 in avanti sta erodendo e liquidando una a una nel vano tentativo di tappare le falle che continuamente si aprono nel suo sistema finanziario e nel suo sistema di gestione delle aziende e dell’attività economica in generale. La “politica dei sacrifici” e le promesse del tipo “starete di nuovo bene domani se accettate di sacrificare oggi qualcosa di quello che avete conquistato” dal 1975 in poi sono diventati il filo conduttore comune a ogni governo della borghesia imperialista, quale che sia il colore e i principi di cui si copre.

Dall’altra quegli stessi avvenimenti hanno mostrato che le masse popolari del nostro paese dovevano ancora accumulare l’esperienza necessaria per essere capaci di realizzare quegli obiettivi che non avevano realizzato nel corso della prima crisi generale (1910-1945). La fiducia di poterli realizzare immediatamente, grazie alla forza della volontà e alla generosità con cui migliaia di lavoratori e di comunisti dedicavano ad essi le loro energie fino anche al sacrificio della propria vita, si è rivelata illusoria. Nel 1945 i Partigiani, vittoriosi sulle truppe nazifasciste, non svilupparono e consolidarono i frutti della loro vittoria, quindi neppure li conservarono interamente, non solo a causa del tradimento di alcuni capi che si trattava di smascherare e sostituire, ma principalmente a causa dei limiti e degli errori che i loro dirigenti rivoluzionari non riuscirono a superare. Finché esisterà la borghesia, è impossibile per la classe operaia e per il suo partito comunista avere la garanzia che nessun dirigente si lascerà corrompere, che nessun dirigente tradirà, che non vi saranno infiltrati e traditori. Ma un movimento rivoluzionario elimina questi personaggi e procede oltre se la sua ala sinistra sa condurre la lotta tra le due linee. Stava quindi ai dirigenti rivoluzionari del PCI scoprire, col bilancio delle esperienze delle lotte condotte nel nostro paese e con l’insegnamento della rivoluzione proletaria che si è sviluppata nel mondo, la strada alla rivoluzione socialista nel nostro paese e verificarla facendola diventare pratica delle grandi masse popolari. Solo riuscendo in questo compito avrebbero anche impedito il sopravvento nel partito comunista dei fautori della subordinazione della classe operaia alla borghesia. Questo compito che la parte rivoluzionaria del PCI, della classe operaia e delle masse popolari non riuscì ad adempiere, è il compito storico che oggettivamente ancora oggi sta davanti a noi comunisti, che aspiriamo a essere l’avanguardia della classe operaia, perché è di questo che hanno bisogno le masse popolari. Le masse popolari attaccate quotidianamente dalla borghesia imperialista, e noi con loro, non abbiamo niente da spartire con la gioia maligna con cui la borghesia imperialista, i “revisionisti moderni” e la canea di pentiti e di dissociati hanno salutato e salutano quelle sconfitte, come salutano le sconfitte subite dalla classe operaia in altre parti del mondo. “Il proletariato non si è pentito”: non può pentirsi della sua condizione, può solo rovesciarla cercando con tenacia e creatività, finché l’avrà trovata, la strada per farlo, imparando dai propri successi e dai propri insuccessi. Se la borghesia imperialista, i “revisionisti moderni” e la canea di pentiti e di dissociati gioiscono del presente stato delle cose, è proprio questo che rivela il baratro che li divide dalle masse popolari e assicura in definitiva la loro sconfitta: il presente stato delle cose è incompatibile con la vita e il lavoro delle masse popolari. È in questo spirito e sulla base di queste premesse che tutti i comunisti e tutti quelli che aspirano a promuovere la lotta della classe operaia per il potere, l’instaurazione del socialismo, l’avvio della transizione al comunismo si uniscono oggi per celebrare, ricordare e studiare la Resistenza.

 

II

Quali sono gli insegnamenti attuali della Resistenza su cui concentrare la nostra attenzione?

 

La Resistenza è un grande evento storico, una svolta nella storia del nostro paese, concentrata in nemmeno due anni (settembre 1943-aprile 1945). Tutti i grandi eventi storici “sintetizzano”, cioè selezionano e uniscono in un insieme organico tutto quello che è nato e si è sviluppato nella realtà in tutto il periodo precedente. Quindi la Resistenza rivela a chi la studia innumerevoli verità sulle forme e sulle leggi del movimento politico del nostro paese. Man mano che il nostro cammino procederà, noi dovremo attingere e avremo gli strumenti per attingere maggiori insegnamenti dalla Resistenza: l’esperienza dà risposta solo alle domande che si formulano. Le scelte che noi abbiamo fatto fino ad oggi e che ci caratterizzano sono il frutto anche del bilancio dell’esperienza della Resistenza, dei suoi successi e dei suoi insuccessi. Noi qui ci limitiamo quindi a trarre alcuni insegnamenti particolarmente importanti per lo scontro politico di questi mesi.

 

1. La Resistenza mostra che le masse popolari sono invincibili e che la loro capacità di trasformare se stesse e il mondo si sviluppa con l’esperienza.

Il fascismo fu la dittatura terroristica della borghesia imperialista, ma proprio la Resistenza e la sua vittoria dimostrano che né il terrore, né gli intrighi polizieschi, né la polizia politica, né il Tribunale speciale, né la polizia segreta salvarono il fascismo dalla rovina.

Il fascismo elaborò e mise in opera un sistema di organizzazione, formazione e controllo delle coscienze in cui confluirono e si combinarono l’azione della scuola, della cultura, della radio e dei giornali, della stragrande maggioranza del clero e delle organizzazioni della Chiesa cattolica. Ma neanche questo salvò il fascismo dalla rovina.

La storia del fascismo, della resistenza organizzata durante il ventennio e della Resistenza dimostra che la borghesia è una classe decadente, che ogni successo della borghesia è aleatorio, che né con la forza né con il condizionamento psicologico essa può fermare la storia e impedire che l’esperienza pratica spinga le masse popolari a lottare contro la borghesia imperialista. Dimostra che in definitiva la sorte delle masse popolari è nelle loro mani e nelle mani della classe operaia e non in quelle dei loro oppressori. La violenza e il condizionamento delle coscienze permettono alla borghesia imperialista solo di rendere più faticoso e tortuoso il cammino dell’emancipazione delle masse dal modo di produzione capitalista e dai rapporti sociali che da esso conseguono.

Proprio il grande impiego di armi e di strumenti di formazione e di controllo delle coscienze attuato dal fascismo per tenere sottomesse le masse conferma che le masse e solo le masse fanno la storia e che anche le sorti della borghesia imperialista e del suo sistema sociale dipendono in definitiva dalle masse.

Alcuni obiettano che se il fascismo non avesse gettato il paese nella guerra mondiale .... Già, ma poteva non gettarlo stante le caratteristiche sue proprie? Sarebbe come dire che la borghesia imperialista potrebbe tenere all’infinito sottomesse le masse ... se non eliminasse le loro conquiste, non contrapponesse lavoratori a lavoratori, non andasse verso la guerra, se non comportasse crisi generali, se non fosse borghesia imperialista.

È politicamente importante che la celebrazione del cinquantenario della vittoria della Resistenza raccolga e divulghi questo insegnamento della Resistenza, perché stiamo vivendo una situazione rivoluzionaria in sviluppo nel corso della quale la classe operaia potrà prendere il potere. La fiducia della classe operaia nella sua capacità di dirigere le masse popolari a eliminare la direzione della borghesia imperialista, a instaurare il socialismo e avviare la transizione al comunismo, la fiducia delle masse popolari nella capacità della classe operaia di dirigerle ad uscire dalla crisi che andrà aggravandosi, diventano fattori politicamente importanti. È ovvio che la borghesia alimenti la sfiducia in ogni modo, che essa usi a tal fine le sconfitte subite dalla classe operaia, ivi compreso la mancata conquista del potere dopo la conclusione vittoriosa della Resistenza, l’avvento del “revisionismo moderno” e lo sfacelo che la direzione dei “revisionisti moderni” ha creato nel nostro paese e nel mondo, in primo luogo il “crollo dei paesi socialisti” dopo quarant’anni di direzione dei “revisionisti moderni”. La storia della Resistenza e in generale delle imprese compiute dalla classe operaia durante la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945) forniscono ampia prova che la classe operaia “può rovinarsi solo con le proprie mani”.

 

2. La trasformazione della mobilitazione reazionaria delle masse in mobilitazione rivoluzionaria.

Tutta la scienza borghese, fascista e antifascista, fino alla vigilia della guerra e in parte ancora durante la guerra, ripeteva e “dimostrava” che il regime fascista era un regime solido, che il proposito di rovesciarlo era “folle utopia”. La Resistenza ci ha mostrato il repentino rovesciamento della situazione tra le masse popolari, il rapido passaggio in massa all’opposizione al fascismo e alla lotta contro di esso. Essa fu un esempio da manuale di trasformazione su grande scala della mobilitazione reazionaria delle masse in mobilitazione rivoluzionaria. Chi aveva allontanato da casa centinaia di migliaia di operai e di contadini, mettendo loro in mano le armi? Chi li aveva nutriti di prediche anticomuniste, mentre non permetteva di saziare gli stomaci e li aveva addirittura mandati a combattere contro il primo paese socialista? La Resistenza conferma una legge del movimento politico dell’epoca imperialista, che già altri avvenimenti storici hanno messo più volte in luce: la trasformazione della mobilitazione reazionaria delle masse in mobilitazione rivoluzionaria delle masse è un percorso possibile a determinate condizioni. Esso è anzi la via alla rivoluzione proletaria che più frequentemente si è presentata in questo secolo. Non vi è mobilitazione reazionaria delle masse che, a determinate condizioni, non possa essere trasformata in mobilitazione rivoluzionaria. Dato che nel corso della crisi generale del suo sistema la borghesia imperialista deve per forza ricorrere alla mobilitazione reazionaria delle masse, questa costituisce non un punto di forza ma un punto di debolezza della borghesia imperialista. È come un uomo che per aprirsi la strada deve raccogliere dell’esplosivo il cui equilibrio non controlla pienamente: gli può esplodere tra le mani. Lo studio della Resistenza ci mostra la trasformazione e ci consente di capire quali sono le condizioni necessarie perché essa si produca.

Con questo la Resistenza ci insegna che bisogna comprendere il movimento economico e politico della società, che bisogna saper leggere nel movimento delle masse (“linea di massa”) e che la comprensione di questo movimento porta a coniugare ottimismo della ragione e ottimismo della volontà.

È una bella lezione che lo studio della Resistenza ci dà contro l’economicismo che intralcia ancora il nostro cammino e che in questi mesi si esprime in sostanza nel ritenere “ragionevoli obiettivi”, “obiettivi realizzabili”, “obiettivi realisti”, “obiettivi comprensibili alle masse”, alcuni obiettivi economici oggi in realtà irrealizzabili senza eliminare il sistema capitalista (es. meno orario a pari salario, eliminare la disoccupazione dividendo il lavoro che c’è, ecc.) e nel ritenere “non realistici”, “irrealizzabili”, “non comprensibili alle masse” la conquista del potere da parte della classe operaia e l’instaurazione del socialismo. “Le masse non parlano di comunismo ...”: a questo si riduce tutta la “scienza” degli economicisti. Ma le masse “parlavano di comunismo” nel 1943? Negli anni precedenti nelle scuole, nelle chiese, alle adunate era stato forse spiegato alle masse il pregio del comunismo?

In molti compagni le tesi economiciste sono il risultato della demoralizzazione. Dobbiamo infatti constatare che la crisi della borghesia con i suoi sconvolgimenti di ogni tipo, se tempra e illumina alcuni, abbatte e demoralizza altri il cui disfattismo è raccolto e interessatamente megafonato dalla borghesia imperialista come analisi scientifica, opinione ragionevole, esame razionale. La celebrazione del 50° anniversario della vittoria della Resistenza deve quindi segnare un rafforzamento della lotta contro l’economicismo.

 

3. Tutte le classi popolari hanno partecipato alla Resistenza, in misura e con ruoli diversi.

Alla Resistenza parteciparono tutte le classi popolari, sia pure in misura diversa e con ruoli diversi. La politica del Fronte popolare si dimostrò giusta. Venne dimostrato che la direzione della classe operaia tramite il suo partito comunista, nel corso della crisi generale del sistema imperialista mondiale, può estendersi alla grande maggioranza della popolazione. La composizione di classe del nostro paese è profondamente mutata rispetto a quella del tempo della Resistenza. In particolare i contadini autonomi, i coltivatori diretti sono diventati una parte piccola della popolazione ed è enormemente cresciuta la parte della popolazione che costituisce le varie classi proletarie, le classi di lavoratori che possono vivere solo vendendo la propria forza-lavoro. L’insegnamento della Resistenza in questo campo va quindi compreso e applicato creativamente ad una situazione profondamente mutata in senso favorevole alla classe operaia e alla sua direzione.

Anche questo è un insegnamento importante e di grande attualità della Resistenza. La storia della rivoluzione proletaria dal suo inizio fino ad oggi ci conferma che la classe operaia non può vincere che dirigendo il resto delle classi popolari, che la classe operaia “emancipa se stessa solo emancipando l’intera umanità”.

Nel nostro paese attualmente noi ci scontriamo

- con una cultura borghese di sinistra che ha profondamente denigrato la linea del Fronte popolare;

- con tendenze settarie che cercano di isolare la classe operaia contrapponendola alle altre classi popolari;

- con un’azione subdola della borghesia imperialista, condotta in prima persona dai sindacati di regime e dai partiti “di sinistra” della borghesia, di mettere dipendenti “privati” contro dipendenti “pubblici”, lavoratori dipendenti contro lavoratori autonomi, disoccupati contro occupati, giovani contro pensionati, ecc.;

- con tendenze movimentiste e interclassiste che negano la necessità o la possibilità della direzione della classe operaia sul resto delle masse popolari tramite il suo partito comunista.

La celebrazione del 50° anniversario della vittoria della Resistenza deve essere un’occasione per rafforzare la lotta contro queste quattro posizioni e approfondire e divulgare, sulla base dell’esperienza della Resistenza, la nostra linea che afferma la direzione della classe operaia tramite il suo partito comunista sulle altri classi popolari unite in un fronte che ha alla base la stretta unità tra la classe operaia e le altre classi proletarie.

 

4. La classe operaia e il suo partito comunista (PCI) hanno diretto le masse popolari nella Resistenza.

La classe operaia ha esercitato un ruolo dirigente nella Resistenza: con gli scioperi, con le azioni dei GAP e delle SAP, con le dimostrazioni, con il contributo alle formazioni partigiane, con il suo partito, il Partito Comunista Italiano (PCI).

La storia della lotta contro il fascismo durante il ventennio del suo regime (1922-1943) e la storia della Resistenza mostrano che non vi è sconfitta da cui il partito comunista non possa risollevarsi se corregge i propri errori e persegue la causa della rivoluzione in unità con le masse popolari. Nonostante i colpi patiti nel 1922 con l’instaurazione del governo fascista, nel 1924 con il consolidamento del regime dopo il “caso Matteotti”, nel 1926 con la decapitazione del suo Centro, il partito comunista rinacque e si consolidò al punto da diventare di fatto il partito dirigente della Resistenza.

Nonostante i colpi terribili portati per un lungo periodo dalla borghesia imperialista alla classe operaia, il regime terroristico della borghesia imperialista si concluse nel punto più alto di forza e di potere della classe operaia: la Resistenza.

La Resistenza insomma conferma che la classe operaia costituisce una classe dirigente mille volte più forte della borghesia imperialista, che la sua direzione sulle masse popolari dispone di risorse e strumenti di cui la borghesia imperialista non può disporre e mille volte più potenti degli strumenti (la forza dell’abitudine, l’ignoranza e l’abbrutimento, il ricatto economico, la violenza) di cui dispone la borghesia per esercitare la sua direzione. La rinuncia della classe operaia a generalizzare e consolidare il suo potere dopo la conclusione vittoriosa della Resistenza conferma che essa può “rovinarsi solo con le proprie mani” e quindi conferma l’insegnamento fornito anche dalla storia dei paesi socialisti che hanno resistito vittoriosamente alle aggressioni militari, alle campagne di sabotaggio, agli accerchiamenti politici, ai blocchi economici della borghesia imperialista e sono crollati solo dall’interno, per l’erosione pluriennale esercitata dalla direzione dei “revisionisti moderni”. In definitiva la causa degli insuccessi della classe operaia sono solo i suoi limiti e i suoi errori, i limiti e gli errori del suo partito comunista.

Da qui l’importanza della ricostruzione del partito comunista, come parte d’avanguardia e organizzata della classe operaia, strumento principale della direzione della classe operaia verso il resto delle masse popolari. La celebrazione del 50° anniversario della vittoria della Resistenza deve quindi imprimere maggiore slancio alla lotta per la ricostruzione del partito comunista di cui la Resistenza ci insegna la “onnipotenza”.

 

5. L’Unione Sovietica e il movimento comunista internazionale hanno dato un grande appoggio alla Resistenza.

Lo studio della Resistenza mostra il grande e positivo ruolo svolto dell’Unione Sovietica e dal movimento comunista internazionale nella storia del nostro paese. Si può dire che non c’è episodio della Resistenza in cui non si senta il contributo fornito dall’Internazionale Comunista. Molti dirigenti della Resistenza fecero la loro scuola combattendo contro il fascismo nelle Brigate Internazionali in Spagna. L’Unione Sovietica fornì ai comunisti italiani e tramite loro alle masse popolari italiane il patrimonio immenso della sua esperienza; essa appoggiò in mille modi la nascita e lo sviluppo della guerra partigiana, in Italia come in altri paesi.

Perché la cultura borghese e i gruppi “di sinistra” infangano il ruolo svolto dall’Unione Sovietica e dall’Internazionale Comunista nella Resistenza? Nel nostro paese per anni la cultura borghese di sinistra ha costruito e diffuso la mistificazione che la mancata instaurazione del potere della classe operaia e del socialismo in Italia era dovuta alla “volontà di Stalin”, agli “accordi di Yalta”. È una mistificazione che ha la stessa consistenza della tesi opposta che il movimento rivoluzionario nel nostro paese era dovuto alla sobillazione e all’azione dei sovietici.

Il materialismo dialettico ha spiegato da tempo che ogni cosa si sviluppa in base alle sue contraddizioni interne. La classe operaia italiana e il suo partito sono i principali responsabili dei loro successi e dei loro insuccessi.

La borghesia denigra l’Unione Sovietica e l’Internazionale Comunista per gli stessi motivi per cui denigra la classe operaia italiana e il suo partito: per ostacolare lo sviluppo del ruolo dirigente della classe operaia.

La celebrazione del 50° anniversario della vittoria della Resistenza deve essere anche la celebrazione del grande ruolo positivo svolto dall’Unione Sovietica e dell’internazionalismo proletario.

 

6. I limiti e gli errori del partito comunista (PCI) nella Resistenza.

Da ultimo, lo studio della Resistenza ci permette di progredire nella comprensione dei limiti e degli errori per cui la classe operaia alla conclusione vittoriosa della Resistenza non generalizzò e consolidò il suo potere. Noi abbiamo bisogno di comprendere questi limiti ed errori, per superare i primi e non ripetere i secondi nel corso della crisi generale in corso. Noi abbiamo già messo in risalto alcuni di questi limiti e abbiamo ricavato dalla nostra analisi la tesi che “il maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista dopo il marxismo e il leninismo”.

Crediamo che in questa sede i limiti e gli errori riscontrabili nell’azione del partito comunista della classe operaia (PCI) nella Resistenza si riassumano nella mancanza durante la resistenza organizzata al fascismo (1922-1943) e durante la Resistenza di una giusta comprensione della trasformazione che la società stava compiendo, del carattere generale e di lunga durata della crisi in corso, delle due vie attraverso cui la crisi generale del capitalismo poteva trovare soluzione, della inevitabilità della guerra e del crollo del fascismo, della trasformazione della mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria, della necessità di combinare la lotta contro il nazifascismo con la mobilitazione delle masse per la trasformazione socialista dell’economia (donde anche i limiti della mobilitazione popolare per la guerra contro il nazifascismo), nella scarsa fiducia nelle sorti della classe operaia (donde la sopravvalutazione della forza della borghesia e le eccessive concessioni per “tirarla” nella Resistenza), nella non adozione consapevole e sistematica della linea di massa come metodo principale di lavoro e di direzione, nella incomprensione della lotta tra le due linee in corso nel partito. Da qui l’importanza oggi dell’analisi della causa e della natura della crisi generale in corso, della teoria della situazione rivoluzionaria in sviluppo, della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, della linea di massa, del maoismo. Lo studio della Resistenza conferma questa importanza.

Ovviamente l’individuazione dei limiti e degli errori non è mai completa finché non viene confermata dall’esperienza. Qui sta il limite dell’individuazione che possiamo compiere con lo studio della Resistenza. È una individuazione che dovrà essere verificata dalla nostra attività nel corso del tempo che ci sta davanti.

 

7. La Resistenza mostra la reale natura del fascismo e della seconda guerra mondiale, contro la concezione idealista della società. Lo studio della Resistenza mostra che il Partito comunista italiano, il movimento comunista internazionale con alla testa l’Unione Sovietica e la classe operaia si impegnarono in ogni modo nel promuovere lo sviluppo e il consolidamento della lotta partigiana. Esso mostra che invece tutti i gruppi imperialisti, non solo quelli dichiaratamente nazifascisti, ma anche quelli neutrali e persino quelli anglo-americani in guerra contro le potenze dell’Asse, osteggiarono in mille modi o nel migliore dei casi trattarono con diffidenza e disprezzo la lotta dei Partigiani. Ciò costituisce un’eccellente lezione di concezione materialista della storia.

Quale fu l’aspetto principale della seconda guerra mondiale, quale l’aspetto principale del fascismo?

La seconda guerra mondiale è stata l’unità di due opposti. Negli anni di preparazione e durante la seconda guerra mondiale l’elemento principale del movimento politico in generale è stata la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia imperialista e quindi la contraddizione tra la mobilitazione rivoluzionaria delle masse diretta dalla classe operaia e la mobilitazione reazionaria diretta da gruppi della borghesia imperialista. La contraddizione tra gruppi imperialisti e lo scontro tra i due schieramenti imperialisti è stato in generale l’elemento secondario. Beninteso nel processo concreto il ruolo principale è stato però assunto ora dall’una ora dall’altra delle due contraddizioni.

Come nel nazismo, anche nel fascismo l’aspetto principale è stato la dittatura terroristica della borghesia imperialista sulle masse popolari; il sistema di idee e ideali reazionari è stato l’aspetto secondario del nazifascismo. La borghesia imperialista affidò le proprie sorti in Italia ai fascisti nel corso della prima crisi generale dei sistema imperialista mondiale (1910-1945) per soffocare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Il fascismo è stato la distruzione e la repressione delle organizzazioni dei proletari che lottavano per la trasformazione socialista della società, che volevano un sistema economico che avesse come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali della popolazione, che volevano lavoro e salari decenti. Il fascismo è stato la repressione dei contadini poveri e dei braccianti che volevano “la terra a chi la lavora”. È stato un movimento a tutela degli interessi e dei privilegi dei capitalisti italiani ed esteri, degli agrari, di quel pugno di italiani che vivevano da parassiti del prodotto del lavoro altrui, a tutela dei privilegi della monarchia e della sua corte, del Vaticano e dell’alto clero. Per questo ha dovuto “mettere in riga” e “tenere in riga” i lavoratori. Il fascismo è stato un movimento armato ed extralegale quando i padroni avevano bisogno che fosse tale; è stato un movimento legalitario, forcaiolo, monarchico, papalino e paternalista quando ai padroni serviva così. Per “tenere in riga” i lavoratori i fascisti hanno sfoggiato nei loro discorsi anche alcune idee e ideali migliori della loro pratica e si sono fregiati di alcune cose che a ogni lavoratore sono care (il proprio paese, l’ordine pubblico, la propria cultura, la famiglia, il rispetto di se stessi, la propria dignità, ecc.: proprio le cose che la situazione pratica della società borghese negava alla maggioranza dei lavoratori e che i fascisti negavano alla massa dei lavoratori). Quando hanno potuto, i fascisti hanno usato anche questo per mettere i lavoratori italiani contro i lavoratori di altri paesi, per legare i lavoratori italiani alle catene dei padroni italiani. Più la loro azione era ostile e dannosa alle masse popolari italiane, più hanno dovuto compensarla facendo la voce grossa contro altri popoli in nome del popolo italiano. Con la retorica sulla famiglia, qualche elemosina alle famiglie bisognose (l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, le colonie per i ragazzi, ecc.) e la creazione di un sistema di assicurazione contro la malattia, gli infortuni e la vecchiaia hanno mascherato la riduzione dei salari delle famiglie di lavoratori, la mancanza di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’oppressione delle donne (meno diritti e salari inferiori rispetto agli uomini), l’analfabetismo, l’alta mortalità infantile, l’educazione dei ragazzi per farne dei soldati al servizio dei padroni, l’imposizione a tutti i lavoratori di “tacere, obbedire e lavorare o combattere”. In cambio del quieto vivere che i fascisti le assicuravano, la borghesia imperialista ha lasciato fare ai fascisti anche cose su cui alcuni o molti suoi esponenti non erano d’accordo o della cui saggezza dubitavano: le leggi razziali, le organizzazioni di massa fasciste, la “mistica fascista”, l’alleanza col nazismo tedesco, le aggressioni alla Libia, alla Spagna, all’Etiopia, all’Albania, alla Grecia, alla Jugoslavia, alla Francia, all’Unione Sovietica e tutto il disastro della seconda guerra mondiale, fino alla cessione di alcune province italiane alla Germania nazista, al ruolo di sgherri al servizio dei nazisti contro i propri connazionali (Repubblica Sociale Italiana o Repubblica di Salò) e all’occupazione dell’Italia da parte prima dei tedeschi e poi degli USA da cui non ci siamo ancora liberati. La borghesia imperialista non si identifica mai totalmente con uno specifico regime politico.

Parallelamente la politica degli imperialisti anglo-americani negli anni precedenti la guerra, la loro condotta concreta della guerra e la loro politica nel dopoguerra ebbero come regola suprema quella di prevenire e soffocare il movimento rivoluzionario in Europa e solo in secondo ordine, e in subordine a quella, la lotta contro gli Stati imperialisti dello schieramento opposto. Il loro antagonismo col movimento rivoluzionario fu assoluto mentre il loro scontro con i gruppi imperialisti dell’Asse fu relativo, condizionato, mantenuto entro certi limiti, sempre pronto a trasformarsi in collaborazione contro il movimento rivoluzionario. Ciò si espresse in modo chiarissimo nella loro condotta della guerra in Italia. Dopo avere collaborato col regime fascista per anni, quando alla fine entrarono in guerra con esso le loro truppe avanzarono nel nostro paese mettendolo a ferro e a fuoco, radendo al suolo città e paesi, saccheggiando e terrorizzando la popolazione mentre nel contempo lesinarono i rifornimenti ai partigiani, cercarono in ogni modo di mettere le formazioni partigiane l’una contro l’altra, di fomentare divisioni, di creare formazioni di disturbo e in generale di indebolire e liquidare il movimento partigiano, conducendo nei suoi confronti una guerra sorda e non dichiarata che culminò nel disarmo dei partigiani e nella persecuzione individuale di essi portata poi avanti dal regime DC e di tanto in tanto ripresa ancora anche ai giorni nostri. La stessa cosa è dimostrata dalla loro condotta di guerra su tutti gli altri fronti, fino all’impiego criminale delle bombe atomiche per terrorizzare e ricattare i popoli di tutto il mondo. La stessa cosa è dimostrata dalla loro politica a favore dei residui dei regimi nazifascisti e contro le masse popolari e i paesi socialisti negli anni dopo la conclusione della guerra.

La cultura borghese di sinistra ha invece sostenuto e sostiene che la seconda guerra mondiale fu la lotta tra due opposti sistemi di idee, tra due schieramenti ideali, come una guerra ideologica, una riedizione delle “guerre di religione” di un tempo. Ha sostenuto e sostiene che il nazismo e il fascismo furono il frutto della “malvagità umana”, il frutto del “male” o dell’“azione del diavolo”, oppure che la borghesia imperialista fece ricorso al fascismo per miopia, o che addirittura subì il fascismo che sarebbe stato il regime della piccola-borghesia e della “plebaglia”.

Perché queste mistificazioni hanno goduto dei favori della borghesia?

Perché nascondono e confondono lo scontro di interessi e il ruolo delle classi nella lotta attuale. Infatti quelle tesi nascondono il legame organico tra il fascismo e la borghesia imperialista; nascondono la lezione della storia che mostra che nel corso della crisi generale del suo sistema la borghesia imperialista ricorre a qualsiasi mezzo pur di conservare il potere; nascondono che nella società moderna solo due classi (la borghesia imperialista o la classe operaia) possono dirigere, confondono i ruoli che le varie classi della società possono svolgere, contrastano il dispiegarsi della direzione della classe operaia sul resto delle masse popolari tra le quali vi è anche la piccola-borghesia, alimentano la tesi che il “male” della società è un portato delle masse mentre la direzione illuminata è di pochi personaggi saggi e colti.

La cultura borghese di sinistra sostituisce allo schieramento delle classi e dei loro interessi lo schieramento degli ideali e delle concezioni. Questo secondo schieramento è più complesso, mobile e sfumato del primo. Infatti da una parte la lotta tra le classi deve esistere anche come lotta tra le idee e gli ideali, perché essa si riflette anche nella coscienza degli uomini, perché gli uomini pensano e sentono. Dall’altra lo schieramento delle classi e lo schieramento delle idee non coincidono in modo assoluto. Qual è la relazione tra i due?

La classe operaia per portare avanti la sua causa, la causa del comunismo, deve promuovere idee progressiste, idee di trasformazione, idee di eguaglianza tra gli uomini al di sopra delle differenze di razza, di sesso, di nazionalità, di credenze, idee di libertà dal bisogno e dalla costrizione, idee di collaborazione e di solidarietà, idee contrarie all’oppressione di classe, di razza, di nazione e di sesso, il diritto e il dovere di ogni uomo ad avere un ruolo positivo nella società, una concezione dialettica e materialista del mondo. La borghesia imperialista per sopravvivere deve promuovere e alimentare idee e concezioni reazionarie, il diritto del più forte e del più intelligente, il diritto delle élites a comandare e a godere di privilegi, il dovere del resto della popolazione all’obbedienza e alla gratitudine, idee di disuguaglianza “naturale” tra gli uomini, il diritto alla sopraffazione e all’affermazione individuale, il dovere della rassegnazione e del servilismo, l’ignoranza e la superstizione, l’individualismo, l’egoismo, il carrierismo, lo spirito gerarchico, lo sfruttamento delle doti individuali a fini personali e contro gli altri, l’idealismo e la metafisica.

Questo vuole forse dire che tutti quelli che combattono nelle file rivoluzionarie sono permeati di idee progressiste? No, essi sono plasmati dagli attuali rapporti di produzione e dai contraddittori rapporti sociali che ne derivano. In generale la trasformazione della loro coscienza non precede la loro partecipazione al movimento rivoluzionario, ma ne è la conseguenza più o meno diretta, più o meno rapida. La rivoluzione promuove e alimenta la trasformazione delle coscienze, ha bisogno della trasformazione delle coscienze, ma non presuppone una universale trasformazione delle coscienze.

Quanto detto sopra vuole forse dire almeno che tutti gli individui che fanno parte del campo della borghesia imperialista sono imbevuti al cento per cento di idee reazionarie? Non necessariamente. La lotta per la conservazione del regime dei privilegi, dello sfruttamento e dell’oppressione promuove e alimenta idee, concezioni, sentimenti, motivazioni e atteggiamenti reazionari. Ma il carattere contraddittorio della società attuale genera idee progressiste anche in alcuni individui del campo della borghesia imperialista, mina in alcuni di essi la fiducia nella causa della loro classe. Da qui il fenomeno di borghesi che appoggiano la politica della loro classe “turandosi il naso”, quelli (alla Giovanni Gentile per citare un caso in questi giorni molto richiamato) che in certe cose “non si sporcano le mani” ma le fanno fare o le lasciano fare a persone “meno intelligenti” di loro, quelli che individualmente se possono evitano che nella loro cerchia si commettano “eccessi”, che “il sangue delle vittime del loro regime sporchi anche la loro casa”, quelli insomma che la cultura borghese di sinistra mette avanti per dimostrare che non vi è una connessione necessaria, genetica tra la borghesia imperialista e le idee e concezioni reazionarie.

In conclusione non è vero che la seconda guerra mondiale è stata nella sua sostanza principalmente una guerra tra ideologie, non è vero che il nazismo e il fascismo sono stati nella loro sostanza principalmente un prodotto di idee reazionarie. Queste tesi fanno parte della concezione idealista della società, che sostituisce le idee ai fatti, le intenzioni alle azioni, gli ideali agli interessi. Un’espressione politicamente importante e attuale di questa concezione idealista della società è la tesi che il governo Berlusconi è un governo fascista, tesi sostenuta in base alle note idee reazionarie di tanti suoi esponenti. Questa tesi apparentemente di sinistra perché bolla il governo Berlusconi, è in realtà un’espressione pratica dello stato d’animo dei sostenitori della “sconfitta storica” della classe operaia. Essa esalta come democratici i precedenti governi in base alle idee proclamate e ostentate dai loro membri e nasconde la putrefazione e disgregazione del regime DC che è ancora in corso, dà per conclusa la crisi politica e quindi nega la possibilità stessa che la classe operaia possa prendere il potere nel corso di questa crisi, nasconde il reale scontro di interessi, lo scontro tra classi dietro un fumoso e complesso scontro tra idee e opinioni, mette in primo piano le divisioni ideologiche delle masse popolari e nasconde la loro unità di interessi, favorisce la mobilitazione reazionaria delle masse e nasconde il reale pericolo fascista che può sorgere nello scontro, ancora da venire, tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse e mobilitazione reazionaria delle masse. Dopo la caduta del governo Berlusconi, gli stessi che si affannavano a proclamare la “seconda repubblica” si affanneranno a proclamare che con il nuovo governo, succeduto a Berlusconi, finalmente la crisi politica è risolta. Non lasciamoci ingannare: in realtà la crisi politica è solo all’inizio perché nessuno dei problemi reali che ha determinato la crisi del regime DC ha avuto o può avere soluzione immediata, né col governo Berlusconi né col governo che gli è succeduto. Questa crisi politica ha le sue radici nella crisi economica e non può essere risolta che nell’ambito di una trasformazione generale della società sul piano economico, politico e culturale: la conquista del potere da parte della classe operaia alla testa delle masse popolari e l’instaurazione del socialismo è un esito non solo possibile dell’attuale crisi generale, ma quello per cui noi combattiamo.

Ecco perché è politicamente importante che la celebrazione del cinquantenario della vittoria della Resistenza che facciamo in questi giorni raccolga e divulghi questo insegnamento della Resistenza e divenga un’occasione di lotta contro la concezione idealista della seconda guerra mondiale e del nazifascismo e in generale contro la concezione idealista della società, arma della lotta della borghesia imperialista contro la classe operaia.

 

8. Il ruolo del fascismo nella storia del nostro paese, contro la riabilitazione del fascismo.

Attualmente la borghesia, in Italia e nel resto del mondo, sta riabilitando il nazifascismo. Per quanto riguarda il nostro paese la borghesia riabilita il fascismo seguendo varie strade convergenti.

Da una parte attenua e giustifica i misfatti del regime fascista, le disgrazie che ha causato alle masse popolari italiane e di altri paesi invasi dai fascisti (Libia, Etiopia, Spagna, Jugoslavia, Grecia, Albania, Unione Sovietica) o la cui sorte fu aggravata dall’affermazione e dalla presenza del fascismo in Italia. Essa si giova a questo fine dei misfatti compiuti dal regime DC e dall’imperialismo USA per mostrare che in definitiva il fascismo non era peggio e che forse addirittura in alcuni campi era meglio del regime che gli è succeduto. Il regime fascista servì alla borghesia imperialista a governare il paese in un periodo di crisi generale, per stroncare con la mobilitazione reazionaria delle masse la mobilitazione rivoluzionaria delle masse diretta dalla classe operaia (e in questo ruolo fallì perché dopo il successo iniziale della mobilitazione reazionaria, questa si trasformò in una mobilitazione rivoluzionaria di livello superiore alla precedente, nella Resistenza e la classe operaia raggiunse il punto più alto mai prima raggiunto di potere, che solo per limiti ed errori del suo partito comunista non generalizzò, consolidò e sviluppò). Il regime DC servì alla borghesia imperialista a governare il paese in un periodo di ripresa e sviluppo. Il fatto che il degrado umano (la corruzione e la mercificazione delle relazioni tra gli uomini e l’emarginazione sociale di massa) e il degrado ambientale abbiano fatto sotto il regime DC ulteriori passi avanti rispetto a quelli raggiunti sotto il fascismo, è una conferma che essi sono strutturalmente legati alla sopravvivenza del modo di produzione capitalista, che la borghesia oramai è una classe in decadenza e condannata dalla storia.

Dall’altra la borghesia, sfruttando l’idealismo della cultura corrente (della cultura generata dalla classe dominante) riduce, come già sopra indicato, il fascismo a un insieme di idee e opinioni, su cui “apre il dibattito” e su cui chiede che si discuta e si ragioni come si discute e si ragiona di qualsiasi altra idea. In questo modo trasforma il problema della lotta di classe e del ruolo avuto dal fascismo come politica terroristica della borghesia imperialista, in una disputa più o meno accademica, dotta e astratta sui valori e sulle idee nella quale inevitabilmente, stante l’oppressione cui la borghesia le sottopone, le masse popolari si dividono.

Sfruttando l’individualismo della cultura corrente, la borghesia presenta il fascismo come un ideale, giusto o sbagliato non importa, ma degno di rispetto perché “qualcuno ci ha veramente creduto”. In questo modo trasforma il problema della lotta di classe e del ruolo avuto dal fascismo come politica terroristica della borghesia imperialista nel problema se i singoli fascisti erano tutti dei profittatori e degli esseri spregevoli, se ci credevano o facevano finta di crederci per specularci sopra: insomma in un problema da psicologi e da preti nel senso deteriore dei termini. Il fascismo non è un ideale in cui qualcuno ha creduto e per cui ha combattuto. I padroni hanno affidato il governo ai fascisti negli anni ’20 quando si sono sentiti minacciati dai lavoratori, perché conservassero e difendessero a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo i loro interessi e privilegi. Per quali azioni chiedono rispetto i fascisti di ieri e i loro seguaci di oggi? Cosa c’entra con questo il fatto se alcuni fascisti personalmente “non ci guadagnavano niente”, “erano coraggiosi e spavaldi”, “si opposero agli eccessi del regime” (cioè di altri fascisti)? La storia della lotta di classe è piena di buoni sentimenti e buone attitudini messe al servizio dei padroni, grazie ai quali gli sfruttatori mantengono in vita il loro sistema. Chi sacrifica la sua vita e le sue energie al servizio degli oppressori, rende forse più accettabile e meno dura l’oppressione? Essere spavaldi al servizio di una causa sbagliata è forse un merito? Il fatto che Gentile abbia protetto un ebreo o cento ebrei dalle persecuzioni razziali, forse che compensa le sopraffazioni compiute dal regime che egli sosteneva? Non rende semmai più abbietto un individuo che faceva compiere ad altri, meno ricchi e istruiti di lui, azioni della cui nefandezza era ben consapevole?

In terzo luogo la borghesia infanga la Resistenza e ne sminuisce il ruolo nella storia del nostro paese sostenendo che “con la vittoria degli anglo-americani il fascismo sarebbe comunque finito”, nascondendo il ruolo della resistenza organizzata contro il fascismo condotta dai comunisti dal 1922 al 1943, addebitando alla Resistenza e all’antifascismo i misfatti del suo regime, il regime DC additato come regime “nato dalla Resistenza”, denigrando i partigiani caduti e perseguitando i sopravvissuti, accomunando in una “universale pietà” caduti e combattenti “delle due parti”.

Perché nella borghesia si è sviluppato questa corrente di riabilitazione del fascismo che viene soppiantando la cultura borghese di sinistra? Perché man mano che la nuova crisi generale avanza la borghesia imperialista ha bisogno di una cultura di destra, della cultura che esalta il privilegio e il diritto del più forte, della classe dominante, dei capi. La riabilitazione del fascismo apre la strada a questa cultura, attenua la lotta contro di essa, indica la strada dell’“antifascismo padronale” e apre la strada al fascismo di domani.

Perché la borghesia imperialista ha ingaggiato e non poteva non ingaggiare una lotta mortale contro il ruolo politico della classe operaia, per impedire che essa acquisti fiducia nel proprio ruolo dirigente, per impedire che tra le masse popolari cresca nel corso della crisi generale la fiducia nella classe operaia come classe capace di dirigerle meglio della borghesia imperialista, come classe capace di instaurare un ordinamento sociale in cui “ci sia posto per tutti”.

Per questo è politicamente importante che la celebrazione del cinquantenario della vittoria della Resistenza raccolga e divulghi il ruolo avuto dalla classe operaia nella Resistenza e gli effetti positivi, progressisti che la Resistenza ha avuto nella storia del nostro paese e, in generale, che la lotta contro il nazifascismo ha avuto nel mondo. Anche se la classe operaia non ha generalizzato e consolidato i risultati ottenuti con la Resistenza, quindi non ha consolidato la sua direzione e instaurato il socialismo, sono i rapporti derivati dalla Resistenza, l’esperienza organizzativa e di lotta accumulata che hanno consentito alle masse popolari di strappare tutte le conquiste che esse hanno conseguito nei trent’anni di “capitalismo dal volto umano”, quelle conquiste che ora la borghesia imperialista cerca di cancellare.

Questi crediamo siano gli insegnamenti attuali che dobbiamo cercare di mettere in luce nella celebrazione del 50° anniversario della vittoria della Resistenza, perché sono di grande importanza per la lotta politica in corso nel nostro paese, nell’ambito della crisi politica che si sta sviluppando in modo sempre più largo, crisi che contiene in sé la possibilità della conquista del potere da parte della classe operaia, ma che richiede anche che essa scenda in campo nella lotta per il potere, ossia in primo luogo che venga ricostruito il suo partito comunista.

 

Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)

Direzione Nazionale

Milano, 21 gennaio 1995

 

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