Indice delle Edizioni Rapporti Sociali

 

Indice del  MANIFESTO PROGRAMMA DEL NUOVO PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Capitolo I

La lotta di classe durante i 150 anni del movimento comunista e le condizioni attuali

1.1. Il processo di produzione capitalista

    1.1.1. La nascita e lo sviluppo del modo di produzione capitalista

    1.1.2. La natura del modo di produzione capitalista

1.2. Le classi e la lotta di classe

1.3. L’imperialismo, ultima fase del capitalismo

1.4. La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria e il leninismo

1.5. La ripresa del capitalismo, il revisionismo moderno, la Rivoluzione Culturale Proletaria e il maoismo

1.6. La seconda crisi generale del capitalismo e la nuova ondata della rivoluzione proletaria

1.7. L’esperienza storica dei paesi socialisti

    1.7.1. In cosa consiste il socialismo?

    1.7.2. Il socialismo trionfa in uno o in alcuni paesi per volta, non contemporaneamente in tutto il mondo

    1.7.3. La fasi attraversate dai paesi socialisti

    1.7.4. I passi compiuti dai paesi socialisti verso il comunismo nella prima fase della loro esistenza

    1.7.5. I passi indietro compiuti dai revisionisti moderni nella seconda fase dell'esistenza dei paesi socialisti

    1.7.6. Come è potuto avvenire che i revisionisti moderni prendessero il potere?

    1.7.7. Gli insegnamenti dei paesi socialisti

1.8. Conclusioni

 

 

La lotta di classe durante i 150 anni del movimento comunista e le condizioni attuali

Su incarico della Lega dei comunisti, il primo partito comunista della storia, Marx (1818-1883) ed Engels (1820-1895) 150 anni fa, nel 1848, hanno esposto per la prima volta, nel Manifesto del partito comunista, la concezione del mondo, il metodo di azione e gli obiettivi dei comunisti.

Nel Manifesto del partito comunista e nelle loro opere successive essi usarono i più raffinati strumenti del pensiero*(1) accumulati fino allora dall’umanità per elaborare l’esperienza degli operai in lotta contro la borghesia. Essi mostrarono che gli uomini non erano stati sempre divisi in classi di oppressori e di oppressi, che la divisione in classi era sorta a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive dell’uomo, che il capitalismo creava le condizioni che rendevano necessaria la sua scomparsa e con essa l'estinzione dello Stato. Essi mostrarono che per sua natura il capitalismo doveva sviluppare le forze produttive e con ciò le rendeva sempre più collettive e che proprio questo rendeva impossibile la sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti perché essi diventavano un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive indispensabile al capitalismo stesso: questa contraddizione portava inevitabilmente al tramonto del modo di produzione capitalista e della società borghese; che la lotta della classe operaia contro la borghesia, che spontaneamente gli operai già conducevano per migliorare la propria condizione, impersonava la lotta tra il carattere collettivo delle forze produttive che il modo di produzione capitalista generava e i rapporti di produzione capitalisti stessi; che in questa lotta la classe operaia avrebbe inevitabilmente trionfato e avrebbe sostituito alla società capitalista la società comunista, la società senza più divisione in classi e senza più sfruttamento dell’uomo sull’uomo; che la transizione dalla società capitalista alla società comunista avrebbe costituito una fase, il socialismo, la cui forma politica sarebbe stata la dittatura del proletariato.*(2)

Il comunismo divenne da allora, oltre che il movimento pratico in atto di trasformazione della società,*(3) anche l’obiettivo perseguito consapevolmente dal partito comunista, la concezione del mondo e il metodo di conoscenza e di azione del partito comunista: il reparto d’avanguardia e organizzato della classe operaia, la coscienza della classe operaia in lotta per il potere, lo strumento della sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari.

1.1. Il processo di produzione capitalista

1.1.1. La nascita e lo sviluppo del modo di produzione capitalista

La merce è comparsa al mondo quando degli uomini hanno incominciato a produrre beni o servizi non per uso personale, né per il mantenimento di persone a cui a qualsiasi titolo dovevano provvedere, né per l’uso personale del loro padrone o signore, ma da uomini liberi per scambiarli liberamente con beni e servizi prodotti da altri. La produzione di merci, la circolazione delle merci e il denaro, che ne è stato un derivato, sono comparsi fin dai tempi remoti e in vari paesi, come aspetto marginale di altri modi di produzione (schiavista, feudale, ecc.). La circolazione delle merci è stata il punto di partenza della trasformazione del denaro in capitale. L’attuale modo di produzione capitalista è nato in Europa a partire dal secolo XI. In quell’epoca, in alcune zone d’Europa, per una combinazione di circostanze la produzione mercantile aveva raggiunto uno sviluppo abbastanza ampio. Fu allora che comparve il capitalista, come personificazione del capitale commerciale: egli acquistava merci non per uso personale, ma per venderle e faceva questa attività non per ricavare da vivere, ma per aumentare il suo denaro. Il passo successivo avvenne quando il capitalista ancora commerciante passò a commissionare regolarmente la produzione di merci. Successivamente, a partire dal secolo XVI, il capitalista divenne industriale: passò a organizzare egli stesso la produzione, assumendo a lavorare, in propri locali (manifatture) e con propri mezzi di produzione e proprie materie prime, lavoratori che a loro volta erano liberi da vincoli di servitù, ma anche privi della possibilità di provvedere alla propria vita in altro modo che vendendo la propria forza-lavoro (capacità lavorativa). A quel punto era interesse del capitalista non solo far lavorare il più a lungo e il più intensamente possibile il suo lavoratore, ma anche elevare al massimo possibile la produttività del lavoro di questi. A differenza delle classi dominanti che l’avevano preceduta, la borghesia applicò allora sistematicamente il patrimonio culturale e scientifico e la ricchezza della società, concentrati nelle mani delle classi dominanti, per elevare la produttività del lavoro umano.*(4) Di conseguenza, a partire dal secolo XVIII il capitale è passato dalla manifattura alla grande industria meccanizzata, ha attuato un processo di ampia socializzazione e divisione del lavoro e ha sempre più accentuato la dipendenza tra le distinte aziende. Si è appropriato di altri settori di lavoro (miniere, trasporti, foreste, agricoltura, pesca, servizi), ne ha creati di nuovi (ricerca, comunicazione) e li ha resi tra loro dipendenti. Ha legato l'uno all'altro distinti paesi. Ha sottomesso a sé i vecchi Stati e ne ha creato di nuovi mettendoli tutti al servizio della propria valorizzazione, ha invaso e in qualche modo sottomesso tutti i paesi, non solo dell’Europa, ma anche dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe, dividendoli tra paesi capitalisti e colonie. Il lavoro salariato è diventato la forma principale della produzione e anche gli altri rapporti di lavoro hanno in qualche modo assunto la sua forma.

I rapporti capitalisti di produzione sono stati uno stimolo potente dello sviluppo economico. La ricerca del profitto ha spinto la borghesia ad ampliare la produzione, a perfezionare i macchinari e a migliorare la tecnologia nell’industria, nell’agricoltura, nei trasporti, nei servizi, in ogni campo, a creare grandi infrastrutture, a trasformare l’ambiente. La sua illimitata ricerca di profitto ha spinto la borghesia a travolgere abitudini e consuetudini vecchie di secoli, a non arrestarsi di fronte a nessun crimine, a eliminare intere popolazioni e civiltà, a impoverire, inquinare e distruggere le risorse naturali e l'ambiente.

Le precedenti classi dominanti avevano tutte sfruttato i lavoratori per soddisfare il proprio bisogno di consumo, quindi avevano il proprio consumo come limite dello sfruttamento. Invece la borghesia, avendo come obiettivo l’aumento del proprio capitale e non il proprio mantenimento, ha spinto lo sfruttamento ben oltre quanto necessario al consumo della classe dominante. Questo fu il motivo della superiorità economica del capitalismo sui modi di produzione schiavista e feudale tra i quali si sviluppava e la base del ruolo progressivo svolto dalla borghesia nella storia dell’umanità.

Il modo di produzione capitalista si affermò definitivamente in Europa nel secolo XVI lottando contro il modo di produzione feudale, perché esso comportava rapporti di produzione (forme di proprietà, rapporti tra gli uomini nel lavoro e forme di distribuzione del prodotto) e rapporti politici e culturali incompatibili col feudalesimo. Esso prevalse su larga scala anzitutto in Inghilterra dove per una serie di circostanze poté impiegare la forza dello Stato per spazzare via la resistenza feudale fino a impadronirsi anche delle campagne che erano la base del modo di produzione feudale. Seguirono poi la Francia e via via gli altri paesi europei e le colonie di popolamento anglosassoni (l’America del Nord e l’Australia). La serie quasi ininterrotta di guerre che costituisce la storia dell’Europa nei secoli XVI, XVII, XVIII, la Rivoluzione inglese (1638-1688), la Guerra d’indipendenza americana (1776-1783), la Rivoluzione francese (1789-1815) e infine la Rivoluzione europea del 1848 sono le tappe principali della lotta con la quale la borghesia sostanzialmente eliminò in Europa occidentale il mondo feudale e affermò la propria direzione.

Mentre la borghesia conduceva la sua lotta contro il feudalesimo, contro il Sacro Romano Impero Germanico e le monarchie feudali, contro l’assolutismo monarchico, contro l’oscurantismo della Chiesa romana e del Papato, nell’ambito del suo modo di produzione veniva crescendo numericamente e acquistando maturità culturale e forza politica una nuova classe, la classe operaia. La borghesia la costringeva a condizioni di lavoro e di vita peggiori di quanto mai si era fino allora visto, ma nello stesso tempo proclamava e imponeva la sua liberazione dalla servitù feudale, contro di questa inalberava le parole d’ordine di "libertà, eguaglianza e fratellanza" universali e contro la resistenza dei feudatari mobilitava la stessa classe operaia. È questa nuova classe la forza dirigente del processo di trasformazione della società capitalista in società comunista e il comunismo è, oltre che questo processo pratico di trasformazione, la concezione del mondo e il metodo di conoscenza e di azione con cui questa nuova classe conduce la sua lotta.

Già nel secolo XVIII nel paese capitalista più sviluppato, l’Inghilterra, l'antagonismo tra la borghesia e gli operai era abbastanza sviluppato e l'operaio si era abbastanza differenziato sia dal capitalista sia dall'artigiano, dal garzone di bottega e dal povero in genere, da dar luogo a ribellioni di vario genere, individuali e collettive e alle prime forme di organizzazione di classe.*(5) Gli operai parteciparono attivamente alla Rivoluzione francese ma ancora sostanzialmente al seguito della borghesia; nella Rivoluzione europea del 1848, benché fosse ancora la borghesia a cogliere i frutti della loro lotta, essi entrarono invece già come classe a se stante e nel giugno del 1848 a Parigi subirono una repressione feroce e di massa che segnò per la Francia il netto distacco tra le due classi e anche la fine della neonata repubblica borghese. Nei primi decenni del secolo XIX sempre più diffusamente gli operai si contrappongono alla borghesia, acquistano coscienza di classe e capacità di lotta, trascinano nella lotta al loro seguito il resto delle masse popolari, sono diventati nei maggiori paesi capitalisti un problema per l’ordine pubblico.

L’elaborazione delle esperienze della lotta della classe operaia contro la borghesia condusse anzitutto a una comprensione esauriente delle origini e della natura del modo di produzione capitalista, che fino allora inutilmente i più grandi teorici della borghesia*(6) avevano cercato di esporre e quindi delle condizioni materiali entro le quali si svolgeva e da cui era condizionata la lotta della classe operaia.

1.1.2. La natura del modo di produzione capitalista

La forza-lavoro è l’insieme di condizioni fisiche e spirituali che si manifestano nella personalità vivente di un uomo e che questi mette in moto per produrre beni o servizi, prodotti di qualunque tipo. Il capitalismo nasce lì dove il possessore di mezzi di produzione e di beni di consumo, o del denaro con cui li si può acquistare essendo essi prodotti come merci, incontra nel mercato l’operaio "libero" venditore della sua forza-lavoro.*(7) Nel capitalismo la forza-lavoro assume, per l’operaio stesso, la forma di una merce che gli appartiene e la sua attività, conseguentemente, assume la forma di lavoro salariato. Il valore della forza-lavoro, come il valore di ogni merce, è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per la sua produzione. Pertanto il valore della forza-lavoro è il valore dei beni di consumo e dei servizi necessari per mantenere l’individuo lavoratore nel suo stato di vita e di lavoro normale nel dato paese e nella data epoca e per mantenere la sua famiglia: ossia per assicurare la riproduzione della merce forza-lavoro.

L’operaio vende per un tempo determinato la sua forza-lavoro e il capitalista diventa proprietario, per quel tempo, di questa merce e la consuma nella sua azienda, nella fabbrica. Questo uso della forza-lavoro è il processo di produzione capitalista di merci: un processo di produzione di beni o servizi che è anche un processo di creazione di valore (perché svolto nell’ambito della produzione mercantile) e un processo di valorizzazione del capitale o di estrazione del plusvalore (perché svolto nell’ambito del modo di produzione capitalista). Il capitalista prolunga il tempo di lavoro più in là del tempo necessario all’operaio per riprodurre nelle merci finali un valore equivalente a quello che riceve a compenso per la forza-lavoro che ha venduto; quindi estorce all’operaio un lavoro di cui non paga l’equivalente, si appropria di un valore aggiuntivo a quello che egli ha anticipato, il plusvalore: sfrutta l’operaio e valorizza (aumenta) il suo capitale. Da qui il suo interesse vitale sia a prolungare la durata del lavoro complessivo sia a ridurre la durata del tempo di lavoro necessario. Questa è l’essenza del modo di produzione capitalista messa in luce da K. Marx e F. Engels.*(8)

Questo processo di sfruttamento è la cellula dalla quale si è sviluppata nel corso di alcuni secoli tutta la società attuale, è la base sulla quale si innalza tutto l’edificio dell'attuale società borghese ed è la fonte dell’inconciliabile lotta di classe tra gli operai, privi di tutto meno che della loro forza-lavoro e i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e dei beni di consumo.

1.2. Le classi e la lotta di classe

Le classi non sono sempre esistite e non esisteranno in eterno. Lo studio della preistoria ha mostrato che nelle società più primitive non esistevano classi e ha permesso di ricostruire a grandi linee i passaggi attraverso i quali esse gradualmente si sono formate. La divisione degli uomini primitivi in classi è legata a una determinata fase storica di sviluppo della loro attività produttiva. In seno alla società primitiva sorse spontaneamente la divisione del lavoro, come misura che accresceva la forza produttiva del lavoro umano. Questa divisione implicava uomini e donne sistematicamente occupati in lavori distinti e determinati rapporti tra loro. Con la divisione sociale del lavoro e i rapporti che in quelle condizioni l’accompagnarono si sviluppò la proprietà privata dei mezzi e delle condizioni della produzione (in primo luogo la terra) che gradualmente sostituì la proprietà comune. Come risultato di ciò nacquero le classi. I rapporti tra le classi si svilupparono gradualmente al punto che alcune classi non partecipavano più alla produzione delle condizioni materiali dell’esistenza e vivevano del prodotto del lavoro delle altre. Solo la separazione degli uomini in classi dominanti e in classi oppresse poteva costringere degli uomini a produrre sistematicamente e in quantità crescente più di quanto essi stessi consumavano. Quindi la divisione degli uomini e delle donne in classi di oppressi e di oppressori si impose sul comunismo primitivo perché, in una società assillata dalla lotta contro la natura per strapparle quanto necessario alla propria sopravvivenza, creava un contesto adatto allo sviluppo di forze produttive maggiori e alla nascita di livelli superiori di civiltà. Nacquero così le società divise in classi. La storia dell’umanità da alcuni millenni a questa parte è la storia delle società divise in classi di oppressi e di oppressori, di sfruttati e di sfruttatori. Le società a comunismo primitivo da allora sono sopravvissute solo come forme di civiltà inferiore, isolate rispetto alla corrente principale e gradualmente travolte e cancellate da questa.

In tutte le società divise in classi di oppressi e di oppressori riscontriamo alcune caratteristiche. Le relazioni economiche tra le classi, i rapporti di produzione, comprendono fondamentalmente tre aspetti: il possesso dei mezzi e delle condizioni necessarie per produrre (forze produttive), le relazioni tra gli uomini nel processo lavorativo, la distribuzione e l’impiego del prodotto. Le forze produttive*(9) e i rapporti di produzione costituiscono un’unità di opposti, due termini distinti costitutivi della società tra i quali esiste un rapporto di unità e lotta, nel senso che date forze produttive hanno richiesto determinati rapporti di produzione ad esse corrispondenti e questi a loro volta hanno permesso lo sviluppo di forze produttive superiori che hanno richiesto nuovi rapporti di produzione.

L’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione costituiscono la struttura della società, la base materiale, economica, della lotta tra le classi. L’esistenza e la natura di una classe, l’unità tra i suoi membri, non sono determinate dalla coscienza dei suoi membri, ma dalla situazione e dal ruolo che essi svolgono nel modo di produzione. La lotta tra le classi dominanti e le classi oppresse è la forza motrice dello sviluppo delle società divise in classi.

La lotta di classe fece sorgere fin dai tempi remoti lo Stato come strumento della classe dominante, come associazione dei suoi membri per regolare i loro affari e per tenere a bada le altre classi. Lenin ha dimostrato che "lo Stato sorge nel luogo, nel momento e nella misura in cui le contraddizioni di classe non possono oggettivamente conciliarsi".*(10) Lo Stato divenne uno strumento di potere della classe economicamente più potente; con lo Stato questa acquisì nuovi mezzi per sottomettere e sfruttare le classi oppresse. La parte essenziale dello Stato consiste nel fatto che la classe sfruttatrice avoca a sé, come suo monopolio e diritto esclusivo, l'uso della violenza e lo vieta alle altre classi. In una società divisa in classi di sfruttati e di sfruttatori il cui contrasto è inconciliabile, è incompatibile con la costituzione economica della società che il monopolio della violenza sia esercitato da una classe diversa da quella economicamente dominante. L'uso della violenza da parte degli sfruttati non può che dar luogo alla guerra civile e la vittoria degli sfruttati consiste precisamente nel mettere fine allo sfruttamento e alla classe che deteneva sia il "diritto" di sfruttare sia il monopolio della violenza. Al di fuori della guerra civile, gli sfruttatori hanno il monopolio della violenza e gli sfruttati cercano di far limitare lo sfruttamento e la violenza della repressione tramite regole e leggi che gli sfruttatori cercano sempre di usare per intensificare lo sfruttamento o di aggirare.

Nella società borghese il monopolio della violenza si traduce in un insieme di strumenti professionali di repressione basati sulla divisione del lavoro: forze armate, polizia, magistratura, carceri, codici e leggi. Accanto a questo ruolo, la borghesia ha sviluppato al massimo grado per il suo Stato un altro ruolo e una pretesa: di essere il centro che promuove l'espressione della volontà comune della società e la attua, di organizzare e dirigere gli affari sociali con un suo corpo di pubblici funzionari di professione, quindi di far funzionare il suo Stato come organismo generale della società, suo delegato e rappresentante. Quest'ultimo ruolo fa però a pugni con l'antagonismo delle classi che la società borghese porta per natura in sé. Questa pretesa della borghesia imperialista raggiunge la sua massima realizzazione nel capitalismo monopolistico di Stato:*(11) il suo Stato diventa il centro degli affari e degli intrighi della borghesia imperialista e delle sue lotte intestine che si sviluppano però dietro la maschera della cura e della regolazione degli affari dell'intera società e di tutte le classi e dell'osservanza delle leggi pubblicamente poste. Nella società socialista, con la dittatura della classe operaia quella che per la borghesia imperialista era una pretesa economicamente irrealizzabile,*(11bis) diventerà invece realtà rispetto alla stragrande maggioranza della società: gli operai e gli altri lavoratori. Poi gradualmente, con la scomparsa della borghesia e l'estinzione della divisione in classi e dei rapporti e delle concezioni che ne sono derivati, si estinguerà lo Stato come monopolio della violenza e della repressione. Si svilupperà invece un sistema di organismi della libera associazione di tutti i lavoratori, incaricati di gestire gli affari dell'intera società.

Le relazioni tra le classi e le loro lotte non si limitano quindi all’ambito della vita economica. Nella relazione tra chi dispone dei mezzi e delle condizioni della produzione e chi li usa si trova la chiave della struttura del potere politico, il motivo della sua esistenza e il suo ruolo. Perciò la lotta tra le classi antagoniste diventa lotta per il potere politico. La divisione in classi impregna però anche tutto il resto della vita della società classista e coinvolge tutto il sistema di relazioni sociali. Essa si manifesta quindi nel terreno della sovrastruttura, nella politica, nell’ideologia e, in generale, in tutta la vita spirituale.

L'esperienza della produzione e della lotta tra le classi, cioè l'esperienza pratica di tutti i membri della società, è in definitiva la fonte prima delle sensazioni, dei sentimenti e delle idee con cui gli uomini rappresentano a se stessi la loro vita e con cui conducono le lotte che essa comporta. La trasformazione della società è regolata da leggi oggettive proprio nel senso che l'esperienza pratica genera negli uomini e nelle donne sensazioni, sentimenti e idee con cui gli uomini e le donne risolvono le contraddizioni oggettive che determinano lo sviluppo della società e perseguono gli obiettivi che la stessa esperienza pratica pone. In questo modo gli uomini e le donne attuano le leggi oggettive dello sviluppo della società.

La sostituzione del comunismo al capitalismo è una legge oggettiva della vita sociale. Chi attua questa legge? Chi trasforma la realtà in conformità a questa legge? La classe operaia con il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte, la sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari. La sua diretta esperienza spinge la classe operaia ad assumere questo ruolo finché non l'ha adempiuto. La sostituzione del comunismo al capitalismo è quindi un evento inevitabile nel senso preciso che il capitalismo, finché non sarà scomparso, spingerà e costringerà la classe operaia ad assumere quel ruolo. Ogni volta che essa verrà meno ad esso e rinuncerà quindi al suo compito storico, il capitalismo creerà le condizioni perché nel seno della classe operaia e nel seno della società sorgano nuove schiere di comunisti che riporteranno la classe operaia alla lotta per il potere e per il comunismo. In questo senso una legge sociale è una legge oggettiva. Non nel senso caricaturale che a volte alcuni nostri avversari e alcuni nostri pericolosi amici danno alla nostra affermazione, cioè non nel senso che una legge oggettiva si attuerebbe senza l'intervento delle masse e degli uomini in genere.

Quindi lo studio dell'esperienza pratica permette anche di capire l'origine, il significato reale e il ruolo delle sensazioni, dei sentimenti e delle idee esistenti; mentre in generale è vano il tentativo di spiegare la realtà esistente cercando la sua origine nei sentimenti, nelle idee, nelle aspirazioni e nelle volontà degli individui, dei gruppi e delle classi sociali.

Nell’epoca del capitalismo, nella società si sono formate due grandi classi nemiche che si affrontano: la borghesia e la classe operaia.*(12) Al principio la lotta tra queste due classi assunse la forma di lotta economica. Era la lotta di una parte o di un gruppo di operai contro un solo capitalista, ora in una ora in un’altra fabbrica. Questa lotta non coinvolgeva ancora le basi del sistema di sfruttamento. Il suo scopo cosciente e dichiarato non era di eliminare lo sfruttamento, ma di attenuarlo, di migliorare la situazione materiale e le condizioni di lavoro. Questa prima forma di lotta svolse un ruolo importante, perché organizzò ed educò gli operai; però allo stesso tempo mise in luce il suo carattere limitato. L'intervento dello Stato a difesa dei capitalisti nella lotta economica fece comprendere agli operai che la loro lotta doveva assumere carattere politico, che dovevano strappare allo Stato nemico leggi e misure a proprio favore (riforme). Più tardi, col marxismo, gli operai raggiunsero la coscienza più piena della propria situazione sociale. La loro lotta diventò più cosciente, fino ad assumere un carattere superiore, la forma di lotta per abbattere lo Stato della borghesia, costruire un proprio Stato e, grazie al potere conquistato, eliminare lo sfruttamento e le basi storiche di questo: la divisione della società in classi. La lotta economica, la lotta politica per conquistare riforme e la lotta rivoluzionaria per il socialismo sono oggi tre campi distinti di lotta oggettivamente legati tra loro. Il partito comunista deve dirigere il movimento nei tre campi in modo da portare la lotta rivoluzionaria alla vittoria.

Di tutte le classi in contrasto con la borghesia, anche di quelle schiacciate e oppresse dalla borghesia, solo la classe operaia può assumere la direzione della lotta comune contro la borghesia e portarla alla vittoria definitiva. Essa infatti, oltre a essere, per il ruolo che svolge nella stessa società capitalista, la più cosciente e organizzata tra tutte le classi popolari, è la classe portatrice di un modo di produzione nuovo, superiore, il modo di produzione comunista. Infatti la classe operaia può migliorare stabilmente e su grande scala la propria condizione nella società solo abolendo in generale la proprietà privata dei mezzi di produzione, instaurando rapporti di produzione pienamente corrispondenti al carattere collettivo*(13) già raggiunto dalle forze produttive e mettendo così fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e a ogni divisione in classi.

La nascita delle classi è stato il risultato dello sviluppo spontaneo della società. Al contrario, la scomparsa delle classi può essere solo il risultato della lotta cosciente della classe operaia, che conduce all’instaurazione della sua dominazione politica e al socialismo, tappa di transizione necessaria sulla via della scomparsa di tutte le differenze di classe. Ma la coscienza della classe operaia è in definitiva generata dalla contraddizione fondamentale della società borghese. È per questo che la lotta per il comunismo prosegue inarrestabile e rinasce dopo ognuna delle sconfitte che accompagnano il suo sviluppo, come accompagnano lo sviluppo di ogni nuova grande conquista degli uomini.

1.3. L’imperialismo, ultima fase del capitalismo

Nei decenni successivi alla Rivoluzione europea del 1848 si crearono le condizioni materiali che rendono necessaria la società comunista e in parte si crearono anche le condizioni spirituali necessarie per avviare la transizione dalla società capitalista alla società comunista, cioè per l’instaurazione di una società socialista.

Nel corso del secolo XIX, costretta prima da una serie ciclica di crisi economiche (1815, 1825, 1836, 1847, 1857, 1867) e poi dalla Grande Depressione (1873-1895), per ostacolare la caduta del tasso del profitto la borghesia europea ed americana sviluppò su grande scala le forze produttive della società ed estese il suo raggio d’azione a tutti i continenti. Questo significò accrescere fortemente il carattere collettivo dell’attività economica. La concorrenza tra molti capitalisti lasciò il posto ai monopoli di un pugno di grandi gruppi capitalisti. Il capitale bancario e il capitale produttivo*(14) si fusero nel capitale finanziario che in varie forme (depositi, assicurazioni, prestiti, ipoteche, società per azioni, obbligazioni, ecc.) assunse il controllo anche dei risparmi e delle proprietà delle altri classi. La borghesia europea e americana estese a tutto il mondo la sua rete commerciale, colonizzò e sottomise a uno spietato sfruttamento i popoli dei paesi non ancora capitalisti (la maggioranza della popolazione mondiale) e divise il mondo in paesi capitalisti e paesi arretrati e sfruttati, cercò campi di investimento e fonti di rendite in ogni angolo del mondo. Essa creò così un organismo produttivo unitario che direttamente o indirettamente e a gradi diversi di completezza inglobava gran parte della popolazione mondiale.

Verso la fine del secolo XIX l’evoluzione delle società borghesi arrivò a un punto tale da determinare nella storia dell'umanità una svolta: la divisione della società in classi e il loro antagonismo avevano cessato di essere la condizione favorevole allo sviluppo delle forze produttive degli uomini ed erano diventati un freno ad esso. Erano quindi maturate le condizioni oggettive per una superiore organizzazione sociale, il comunismo, basata sul possesso comune e sulla gestione collettiva delle forze produttive della società da parte dei lavoratori associati.

Il corso oggettivo aveva anche fatto sorgere nella classe operaia, in contrasto con l’ideologia e le abitudini proprie della condizione servile cui soggiaceva, i sentimenti, la coscienza, le abitudini, le attitudini e le capacità organizzative necessarie alla nuova società. La società aveva seguito il percorso che qualche decennio prima Marx ed Engels avevano messo in luce.

Il mondo era entrato nella fase imperialista del capitalismo, la fase della decadenza del capitalismo e della rivoluzione proletaria, nella quale ci troviamo tuttora. Questo comportava una serie di cambiamenti importanti in campo economico, politico e culturale, rispetto alla fase di ascesa del capitalismo.

Per conservare la proprietà individuale capitalista delle forze produttive la borghesia da allora dovette fare i conti con il carattere già collettivo di queste. Essa dovette in continuazione mettere in campo forme di gestione collettiva delle forze produttive, pur restando sul terreno della proprietà individuale capitalista di esse, quelle forme che Marx aveva chiamato Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS):*(15) società per azioni, associazioni di capitalisti, cartelli internazionali di settore, banche centrali, banche internazionali, sistemi monetari fiduciari, politiche economiche statali, enti economici pubblici, contratti collettivi di lavoro, sistemi assicurativi generali, regolamenti pubblici dei rapporti economici, enti sovranazionali, fino al capitalismo monopolistico di Stato e al sistema monetario fiduciario mondiale. Le FAUS assunsero un ruolo sempre più importante nella struttura economica della società che restava però nella sua massa composta da una miriade di capitalisti individuali, di produttori individuali (piccolo-borghesi) e di venditori e compratori di merci e di forza-lavoro in concorrenza tra loro. Essa restava quindi ingovernabile. Piano del capitale, cartello capitalistico unico mondiale, governo mondiale dell’economia capitalista, ecc. restarono e restano illusioni o imbrogli. Una direzione stabile e su grande scala dell’economia capitalista da parte dello Stato o di consorzi bancari è stata spesso promessa e dichiarata, ma si è sempre rivelata precaria e velleitaria.*(16) Le FAUS restano inevitabilmente sovrastrutture fragili, precarie e di limitata efficacia. Esse tuttavia sono un indizio della necessità del comunismo, mostrano la sua praticabilità e creano alcuni strumenti materiali e alcune premesse per il comunismo. Lenin in particolare fece notare che il capitalismo monopolistico di Stato costituiva la preparazione materiale più completa per il socialismo, benché tra esso e il socialismo fosse necessario il salto costituito dalla rivoluzione socialista, cioè che il potere e la direzione della società passasse dalla borghesia imperialista alla classe operaia.

La borghesia dovette insomma creare in continuazione associazioni di capitalisti che costituissero una mediazione della proprietà individuale capitalista delle forze produttive con il loro carattere collettivo e che fossero in qualche modo e provvisoriamente atte a superare gli effetti più devastanti creati dalla sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti nonostante il carattere già collettivo delle forze produttive.

Contemporaneamente la lotta contro l'avanzata del comunismo e la conservazione degli ordinamenti esistenti divennero compiti imprescindibili dell'attività della borghesia. Questo però inevitabilmente portava la borghesia anche alla difesa e al recupero delle anticaglie del passato in qualche modo sopravvissute alla rivoluzione borghese (le istituzioni feudali, le chiese, le pratiche oscurantiste, le società segrete, ecc.) e ad altre attività in contrasto con la valorizzazione del capitale. Ricupero che diventa fonte di nuove contraddizioni e crisi: rapporti di dipendenza personale, organizzazioni criminali, la sostituzione della concorrenza economica con la violenza e la corruzione, la prevalenza della discrezionalità dei governi, delle pubbliche amministrazioni e dei relativi esponenti sulle leggi, la conseguente corruzione e combinazione dei pubblici funzionari e degli uomini politici con i grandi capitalisti, l'eliminazione dei concorrenti, la guerra tra gruppi capitalisti i cui rapporti non possono più essere mediati da leggi e istituzioni a loro comuni, ecc.

Nella società si erano in una certa misura già formate anche le forze soggettive motrici della rivoluzione socialista. La Lega dei comunisti (1847-1852) aveva creato le condizioni della nascita del marxismo. La I Internazionale, l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (1864-1876), aveva risolto vittoriosamente la lotta del marxismo contro le concezioni anarchiche e piccolo-borghesi del socialismo e aveva diffuso il marxismo tra i lavoratori avanzati e i comunisti di tutto il mondo. La prima rivoluzione proletaria, la Comune di Parigi (1871), benché selvaggiamente soffocata dalla borghesia, aveva mostrato per la prima volta la classe operaia al potere, aveva fornito grandi insegnamenti sulla necessità del partito comunista della classe operaia e aveva fatto conoscere il socialismo agli oppressi di tutto il mondo. Nei partiti socialisti e socialdemocratici della II Internazionale (1889-1914) il proletariato dei maggiori paesi capitalisti, in particolare europei, aveva in una certa misura acquistato in massa la coscienza che le conquiste delle sue lotte rivendicative potevano diventare durature solo con la trasformazione socialista della società ed aveva acquistato un’ampia egemonia sulle altre classi popolari. Esso era diventato la forza politica che incarnava e personificava l'esigenza oggettiva del passaggio al comunismo ed aveva creato istituzioni atte a formare ed esprimere la volontà della nuova classe: il proprio partito politico, i sindacati, le altre organizzazioni di massa.

La borghesia divenne per forza conservatrice e reazionaria. Era definitivamente finita l’epoca della democrazia borghese e del ruolo progressivo della borghesia. L'estensione al proletariato, alle masse dei paesi imperialisti e ai popoli delle colonie dei diritti della democrazia borghese, del riconoscimento formale dell'eguaglianza, dell'eguale diritto a determinare l'indirizzo dello Stato e a governare si scontrava infatti con la necessità, inscritta nei rapporti economici, di mantenere la dittatura della borghesia imperialista su di essi. In ogni paese borghese quanto ai rapporti economici, lo Stato deve anzitutto difendere e promuovere gli interessi della borghesia: infatti se i capitalisti non fanno buoni profitti tutta l’attività economica del paese va in rovina e con essa viene sconvolta anche la vita di tutte le altre classi. In ogni società capitalista, la dittatura politica della borghesia è economicamente necessaria, benché le forme che essa assume cambino a secondo delle circostanze concrete. Finché il proletariato era debole la borghesia era stata rivoluzionaria, aveva lottato per la democrazia, per la libertà, per la sovranità popolare contro il feudalesimo, l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo clericale; da quando il proletariato divenne forte e in grado di far valere effettivamente i diritti prima solo proclamati, la borghesia è diventata per forza di cose il centro di raccolta di tutte le forze reazionarie e il suo Stato si è trasformato nella controrivoluzione preventiva organizzata.

Stante la sopravvivenza della proprietà capitalista delle forze produttive, la collaborazione della massa dei proletari nell'organismo unitario della produzione sociale non poteva realizzarsi nella forma dell'universale consapevole partecipazione alla gestione degli affari sociali. Nel capitalismo il proletario è giuridicamente libero, non è legato né alla terra né ad alcun padrone: egli può andare a chiedere lavoro nell’azienda di uno o dell’altro capitalista. Però non può essere libero rispetto alla borghesia nel suo insieme. Privo dei mezzi di produzione, egli è obbligato a cercare di vendere la sua forza-lavoro e a subire perciò il giogo dello sfruttamento. La borghesia ha bisogno della libertà del venditore e del compratore di merci, ma d’altra parte deve impedire che i proletari si coalizzino e riducano il loro sfruttamento sia elevando il loro salario al di sopra del valore della loro forza-lavoro sia riducendo la differenza tra il tempo effettivo di lavoro e il tempo di lavoro necessario a produrre un valore pari a quello della forza-lavoro. Quindi deve ostacolare la crescita della coscienza e dell'organizzazione della massa dei proletari e, vista l'impossibilità di impedirla in assoluto, deve deviare e periodicamente stroncare e ricacciare indietro le organizzazioni e la coscienza dei proletari.

Con l'ingresso nell'epoca imperialista, la borghesia nel campo culturale retrocesse in secondo piano la ricerca e la diffusione della comprensione del mondo fisico e dei processi sociali e pose in primo piano la cultura d'evasione e l'elaborazione e la diffusione di teorie che occultavano i rapporti sociali effettivi, difendevano l'ordine esistente e ne proclamavano l'eternità. Le teorie religiose e le relative chiese, contro cui la borghesia un tempo si era battuta, vennero dalla borghesia ripescate e imposte nuovamente alle masse nello sforzo di conservare la loro collaborazione e arrestarne lo sviluppo politico: esemplare per l'Italia la riforma Gentile della scuola. La borghesia assunse la religione come strumento necessario di dominio sulle classi e sui popoli oppressi. Le istituzioni e le autorità religiose che la rivoluzione borghese non aveva ancora eliminato, dal Papa al Dalai Lama, vennero rimesse a nuovo e insignite del ruolo di difensori dell'ordine costituito e di guida delle masse: in Italia il Papato venne eretto in Stato indipendente, munito di ricchezze e immunità. La borghesia atea impose nelle scuole l'istruzione religiosa e costituì le religioni in religioni di Stato.

Anche i rapporti tra i membri e i gruppi della classe dominante subirono un cambiamento qualitativo: i rapporti democratici e regolati da leggi e norme pubblicamente accettate vennero via via sostituiti dal dominio di un pugno di esponenti del capitale finanziario sul grosso della borghesia e da rapporti antagonisti tra i rappresentanti delle frazioni in cui il capitale complessivo della società è diviso. La militarizzazione dell'attività statale, la manipolazione dell'informazione e dell'opinione pubblica, la subordinazione delle istituzioni politiche e sociali sia alla corruzione del capitale finanziario sia al controllo e all'infiltrazione degli organi repressivi, le trame della diplomazia segreta e dei servizi segreti, la formazione di bande armate che si sottraggono agli ordinamenti e alle leggi ufficiali divennero pratiche correnti per la borghesia imperialista in ogni paese, le residue società segrete (massonerie, mafia, ordini cavallereschi, ecc.) si trasformarono in società finanziarie e criminali.

Da quando il capitalismo è entrato nella sua fase imperialista la transizione al comunismo diventò un percorso oggettivamente necessario, inscritto cioè nel carattere oggettivo assunto dalle forze produttive della società. Questo non nel senso che la trasformazione sarebbe stata rapida e facile, ma nel senso che era diventata l'unico possibile percorso di progresso e che, finché esso non fosse stato imboccato e percorso, l'umanità avrebbe vissuto "i travagli del parto" incompiuto, come gli avvenimenti da allora succedutisi hanno confermato. Una volta realizzate le condizioni materiali che rendono necessaria la società comunista, il fattore determinante sono diventate le condizioni soggettive: quelle cioè che rendono la classe operaia capace di dirigere le masse popolari ad abbattere il potere della classe dominante e a dare inizio alla transizione dal capitalismo al comunismo.

Allora il movimento comunista fu oggettivamente posto davanti a una svolta: come affrontare la nuova situazione? In esso si aprì uno scontro a livello mondiale tra due linee antagoniste. "La lotta tra le due tendenze principali del movimento operaio, il socialismo rivoluzionario e il socialismo opportunista, riempie tutto il periodo che va dal 1889 al 1914".*(17)

In ogni partito socialista esisteva una sinistra, ma solo nel Partito Operaio Socialdemocratico della Russia essa aveva raggiunto una comprensione sufficiente del fatto che era terminata l’epoca dello sviluppo progressivo della borghesia, della democrazia borghese, "dello sviluppo più o meno pacifico del capitalismo".*(18) Su scala mondiale quindi nel movimento comunista prevalse la destra, costituita dall'aristocrazia operaia e da intellettuali provenienti da altre classi. Il socialismo opportunista ebbe la sua base teorica nel revisionismo di E. Bernstein (1850-1932). Questi sosteneva che era possibile una trasformazione graduale e pacifica della società capitalista in società socialista perché il capitalismo aveva di fatto imboccato una strada diversa da quella che Marx aveva indicato, aveva cioè imboccato la strada dell'attenuazione degli antagonismi di classe, dell'estensione illimitata dei diritti democratici alle masse e del governo razionale del movimento economico della società da parte dello Stato democratico. La resa dei partiti socialdemocratici alla borghesia nel 1914 segnò l’ingloriosa fine della II Internazionale e la fine di ogni pretesa scientifica del revisionismo di Bernstein. Il movimento comunista rinacque più forte da un’altra parte.

1.4. La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria e il leninismo

All'inizio del secolo XX il modo di produzione capitalista si scontrò per la prima volta col suo limite intrinseco, che Marx aveva indicato: la sovrapproduzione assoluta di capitale.*(19) Il capitale accumulato era ormai talmente grande che, nelle condizioni esistenti, l’impiego nella produzione di tutto il capitale accumulato avrebbe comportato la diminuzione della massa del profitto e, d’altra parte, per quanto fosse grande la massa del plusvalore estorto ai lavoratori, essa non era sufficiente a valorizzare l’intero capitale. Solo una parte del capitale accumulato poteva essere impiegato come capitale produttivo. Da qui la lotta tra i gruppi capitalisti perché ognuno vuole valorizzare il suo capitale. D'altra parte la sovrapproduzione di capitale significava sovrapproduzione di tutte le cose in cui il capitale si materializza: sovrapproduzione di mezzi di produzione, sovrabbondanza di materie prime, sovrapproduzione di beni di consumo, sovrabbondanza di forza-lavoro (disoccupazione, esuberi), sovrabbondanza di denaro. Quindi tutta la vita di tutte le classi ne viene sconvolta.

Esplose allora la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945), che partendo dall’economia si trasformò necessariamente in crisi politica e culturale, in situazione rivoluzionaria di lunga durata, in guerre imperialiste e in rivoluzione proletaria. Essa ebbe fine solo grazie alle distruzioni delle forze produttive e agli sconvolgimenti degli ordinamenti, delle istituzioni e della cultura culminati nella Seconda guerra mondiale.

All’inizio della prima crisi generale il mondo era stato già tutto diviso tra i gruppi imperialisti e i loro Stati. La borghesia imperialista difendeva ferocemente, in ogni paese e a livello internazionale, gli ordinamenti esistenti (il sistema coloniale, il sistema monetario mondiale, gli ordinamenti giuridici e legislativi, ecc.) come forme del proprio potere. Ma d'altra parte il capitale in generale aveva oramai occupato tutti gli spazi di espansione che gli erano possibili nell'ambito di quegli ordinamenti e non poteva più espandersi senza sovvertirli. Ogni singolo gruppo imperialista quindi poteva allargare i suoi affari e aumentare i suoi profitti solo occupando lo spazio di un altro gruppo imperialista. Le difficoltà incontrate dall'accumulazione del capitale sconvolgevano l'intero processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza dell'intera società, tutta la struttura economica della società e la sua sovrastruttura politica e culturale. I rapporti tra borghesia imperialista e masse popolari dispiegarono tutto il loro antagonismo. La classe dominante non poteva più regolare i rapporti tra i gruppi che la componevano né tenere a bada le masse con i vecchi sistemi, né le masse potevano accettare la disgregazione e le sofferenze cui la crisi generale le portava.

Iniziò allora una situazione rivoluzionaria di lungo periodo:*(19bis) il mondo doveva cambiare, interessi acquisiti e consolidati dovevano essere eliminati, la rete di relazioni commerciali e finanziarie doveva essere dissolta, un nuovo ordine doveva essere instaurato. Nessun individuo, gruppo, partito, singola classe era in grado di far uscire la società dalla crisi in cui lo sviluppo oggettivo del capitalismo l’aveva condotta: solo una mobilitazione generale delle ampie masse poteva eliminare rapporti, abitudini e prassi consolidate e stabilirne di nuovi. Costrette dalla situazione oggettiva le grandi masse si sarebbero mobilitate per instaurare una nuova società. La mobilitazione delle masse era un evento oggettivo, come in montagna il deflusso delle acque verso valle durante un temporale; era un evento le cui cause motrici non risiedevano nell’iniziativa e nella coscienza degli individui e dei partiti.

In gioco e oggetto della lotta politica tra classi, partiti e individui era se la mobilitazione delle masse sarebbe stata diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista e volta all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale ancora capitalista tramite la distruzione di una parte del capitale accumulato e delle forze produttive che lo impersonavano (mobilitazione reazionaria delle masse) o se la mobilitazione delle masse sarebbe stata diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista e volta all’instaurazione della società socialista che toglieva da subito almeno alla parte più importante delle forze produttive esistenti il carattere di capitale (mobilitazione rivoluzionaria delle masse).*(19tris) La mobilitazione delle masse non è generata dal gruppo, partito o classe che la dirige, ma non c’è mobilitazione delle masse che non abbia una direzione: già fin dall’inizio al suo interno vi è lotta per la direzione tra le due classi, le due vie e le due linee e la mobilitazione delle masse realizza il suo obiettivo solo sotto la direzione di una delle due classi antagoniste.

Nel movimento comunista la comprensione più alta della trasformazione che l'umanità stava compiendo e delle forze che in essa si scontravano fu espressa da Lenin (1870-1924). Il leninismo divenne la seconda superiore tappa del pensiero comunista, il marxismo dell'epoca in cui la borghesia si avvia al tramonto e si sviluppano le prime rivoluzioni proletarie vittoriose.

Dapprima prevalse la mobilitazione reazionaria: la borghesia imperialista aveva dovunque già in mano il potere e l’azione dei revisionisti all’interno della II internazionale aveva con successo ostacolato la sinistra nell’accumulazione delle forze rivoluzionarie da parte della classe operaia. La borghesia precipitò tutti i popoli in un periodo di sconvolgimenti, di distruzioni, di sofferenze e di massacri di dimensioni fino allora inaudite che durarono più di trent'anni. L’Europa e l’Asia furono messe a ferro e a fuoco, le due Americhe, l’Africa e l’Oceania furono spremute perché contribuissero alla guerra. In ogni paese emersero gruppi borghesi che in nome della salvezza degli interessi generali della propria classe, ne presero la direzione sottomettendo ai propri interessi quelli degli altri gruppi e si misero alla testa della mobilitazione reazionaria delle masse.

La mobilitazione reazionaria delle masse assunse, e non poteva che assumere la forma della guerra tra Stati e della guerra civile: la borghesia imperialista non aveva altro modo per "decidere" quali interessi particolari dovevano essere sacrificati alla salvezza della classe e quali dovevano imporsi come nuovi interessi generali di tutta la classe, né per reprimere la rivoluzione. In ogni paese imperialista per contrastare l'instabilità del regime politico che derivava dalla crisi, lo Stato della borghesia imperialista doveva impiegare i suoi mezzi per aprire nel mondo nuovi spazi all'espansione degli affari dei gruppi capitalisti del paese. I contrasti economici tra gruppi imperialisti e tra borghesia e masse popolari erano diventati antagonisti e si trasformavano in contrasti tra Stati imperialisti e in contrasti politici all'interno di ogni paese. Il corso della società capitalista aveva posto all’ordine del giorno l’alternativa guerra o rivoluzione. La borghesia imperialista mobilitò quindi grandi masse, su scala mai vista prima, contro altre masse, straniere o dello stesso paese e la guerra assunse il carattere di guerra di sterminio di massa.

I primi anni della crisi generale furono dedicati alla preparazione politica, militare, economica e psicologica della guerra. Poi la borghesia lanciò le masse nella Prima guerra mondiale. Ma già nel corso della Prima guerra mondiale la classe operaia riuscì in una serie di paesi a trasformare la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria: masse che la borghesia imperialista aveva mobilitato e gettato fuori dal corso tradizionale della loro vita perché dessero il loro sangue e le loro forze per far prevalere i suoi interessi, si voltarono contro chi le dirigeva e cambiarono di campo.

Solo tra tutti i partiti della II Internazionale, il Partito Operaio Socialdemocratico della Russia, guidato da Lenin, risultò preparato ad affrontare la situazione e riuscì a trasformare la guerra imperialista in rivoluzione vittoriosa, nel primo "assalto al cielo" della classe operaia e delle masse sfruttate. Nel 1917 la classe operaia diede il via alla conquista del potere politico in Russia che concluse nel 1921 con la vittoria sulle armate bianche e contro la prima aggressione imperialista e con la fondazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1924. Anche se le altre rivoluzioni proletarie scoppiate in Europa (Germania, Austria, Ungheria, Finlandia, Paesi Baltici, ecc.) vennero sconfitte e in altri paesi (Italia, Romania, Polonia, Francia, ecc.) il fermento rivoluzionario non riuscì neanche a trasformarsi in inizio della conquista del potere, dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre ebbe inizio la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha sconvolto il mondo e ha aperto una nuova epoca per tutta l’umanità.

Da allora la mobilitazione reazionaria ebbe costantemente due direttrici guida: la guerra tra gruppi imperialisti e la repressione della rivoluzione ed essa fu indebolita ogni volta che le due direttrici entravano in conflitto e i gruppi imperialisti si dilaniavano sulla priorità tra esse.

La mobilitazione reazionaria delle masse si concretizzò nella creazione di regimi terroristici di massa come il fascismo, il nazismo e il franchismo, nell’invasione giapponese della Cina e di altri paesi asiatici (1936-1945), nello scatenamento della Seconda guerra mondiale (1939-1945).

La mobilitazione rivoluzionaria trasse nuova forza dalla vittoria conseguita in Russia. La classe operaia, tramite i suoi partiti comunisti creati nell’ambito della Internazionale Comunista (1919-1943), in vari paesi coloniali e semicoloniali prese la direzione delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale che culminarono nella fondazione della Repubblica popolare coreana e nella conquista del potere in Cina (1949) con la fondazione della Repubblica popolare cinese (RPC); condusse con forza in molti paesi la lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo; difese con successo i propri ordinamenti politici instaurati in Unione Sovietica dai ripetuti assalti delle potenze imperialiste coalizzate (1918-1921 e 1941-1945) e dai sabotaggi, dai blocchi economici, dall’aggressione furibonda della borghesia imperialista che non arretrò di fronte ad alcun delitto; riuscì a scoraggiare i progetti aggressivi dei gruppi imperialisti anglo-americani che meditavano una seconda aggressione e a impedire la loro confluenza con i gruppi imperialisti tedeschi; con la grande vittoria contro l'aggressione dei nazisti e dei loro alleati (1945) riuscì a creare nuovi paesi socialisti in Europa orientale e centrale: le democrazie popolari di Polonia, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania e Jugoslavia; avviò la transizione al comunismo di più di un terzo della popolazione mondiale; sviluppò le forze rivoluzionarie in tutto il mondo; acquisì una grande esperienza nel campo del tutto inesplorato della transizione dal capitalismo al comunismo, sintetizzata nelle opere di Lenin, di Stalin (1879-1953) e di Mao Tse-tung (1893-1976).

Durante la prima crisi generale del capitalismo la classe operaia non fu tuttavia ancora abbastanza cosciente ed organizzata da vincere la borghesia anche nei paesi dove questa era più forte, nei paesi imperialisti. In questi paesi la classe operaia non aveva ancora espresso una sua direzione né abbastanza consapevole dei compiti strategici né, di conseguenza, abbastanza capace di individuare e realizzare sistematicamente i compiti tattici relativi all’accumulazione delle forze della rivoluzione e alla conquista del potere.

I partiti socialisti esistenti in questi paesi all’inizio della crisi generale avevano accettato prese di posizione contro la guerra che la borghesia stava preparando (come il Manifesto del congresso internazionale di Basilea - 1912), ma le dichiarazioni rivoluzionarie mascheravano una linea politica, una tattica e un’organizzazione riformiste, tutte interne al movimento politico borghese, impregnate di illusioni nel carattere ancora democratico della borghesia. Questi partiti erano quindi del tutto impreparati ad assumere la direzione della mobilitazione delle masse e nel 1914 furono sommersi dall’opportunismo e dal socialsciovinismo.

I partiti comunisti costituiti nei paesi imperialisti nell’ambito dell'Internazionale Comunista costituirono dovunque un salto in avanti rispetto ai partiti socialisti, ma non riuscirono a mettersi all’altezza della situazione. Rimasero forti le correnti di destra, impregnate di illusione nel carattere ancora democratico della borghesia e di sfiducia nella capacità rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari. La sinistra non comprese la natura della crisi generale in corso, né le caratteristiche della situazione rivoluzionaria di lungo periodo e non riuscì di conseguenza a sviluppare una linea giusta per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Il fascismo, il nazismo, le guerre e in generale la mobilitazione reazionaria delle masse furono da essa in generale considerati come eccezioni ed emergenze, mentre in realtà la rivoluzione procede suscitando contro di sé una controrivoluzione potente, solo vincendo la quale le forze rivoluzionarie diventano capaci di fondare la nuova società.*(20) Invano Stalin enunciò in quegli anni la legge che la lotta di classe diventa più acuta man mano che la classe operaia avanza verso la vittoria.

Di conseguenza la destra ebbe buon gioco a imporre una linea riformista, in cui il partito comunista fungeva da ala sinistra di uno schieramento politico diretto da gruppi borghesi e la classe operaia rinunciava a cercare di prendere il potere per sé. I partiti comunisti dei paesi imperialisti diedero in generale questa interpretazione di destra alla linea del Fronte popolare antifascista, lanciata dall’Internazionale Comunista nel suo settimo congresso (luglio-agosto 1935). In alcuni di questi paesi le masse popolari, guidate dai rispettivi partiti comunisti, condussero grandi lotte e dispiegarono un grande eroismo nella lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo e la reazione in generale, lotte che hanno accumulato un grande patrimonio di esperienze e che tuttora costituiscono il punto più alto finora raggiunto dalla classe operaia di quei paesi nella sua lotta per il potere. La borghesia riuscì a impedire che la prima ondata della rivoluzione proletaria avesse successo anche nei maggiori paesi imperialisti, ma dovette pagare un caro prezzo nelle riforme che le masse popolari riuscirono a strappare.

Nei paesi coloniali e neocoloniali la linea della rivoluzione di nuova democrazia,*(21) con cui la classe operaia tramite il suo partito comunista assumeva la direzione della rivoluzione democratico-borghese, fu adottata e applicata solo da alcuni dei partiti comunisti, in particolare dal Partito comunista cinese e dal Partito del lavoro coreano, con grandi successi. In altri paesi coloniali e semicoloniali prevalse la linea di lasciare la direzione della rivoluzione democratico-borghese in mano alla borghesia nazionale che la condusse al fallimento. Benché fallite, le rivoluzioni democratico-borghesi portarono tuttavia alla scomparsa del vecchio sistema coloniale e alla trasformazione delle colonie in semicolonie o in paesi relativamente indipendenti.