INDICE di Cristoforo Colombo

INTRODUZIONE

1. IL MOVIMENTO ECONOMICO DELLA SOCIETÀ

- Il movimento rivoluzionario e il movimento di trasformazione della società

- Le forze motrici del movimento delle masse

Il movimento delle masse e le sue forme (espressioni)

Il ruolo dei mezzi di comunicazione e del controllo delle coscienze nel determinare il movimento delle masse

Il ruolo dei rapporti interpersonali nella formazione della coscienza e dei comportamenti delle masse

La concezione materialista delle forze motrici del movimento delle masse

- La ripresa dell'accumulazione del capitale

- La crisi per sovrapproduzione generale di capitale

- Conclusioni

2. LA CRISI DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO


Capitolo 1

 IL MOVIMENTO ECONOMICO DELLA SOCIETÀ

 

 

Il movimento rivoluzionario e il movimento di trasformazione della società

 

   

Porre con i piedi per terra il movimento rivoluzionario o, meglio, riconoscere i piedi su cui cammina, distruggendo l'immagine rovesciata che di esso danno la cultura idealista dell'aristocrazia operaia dei paesi imperialisti e la cultura borghese progressista che come un tutt'uno permeavano il mondo da cui venivamo: questo è il compito che qui ci proponiamo.

 

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Il movimento rivoluzionario non è tale (salvo che nell'immaginazione dei suoi protagonisti) se non è la parte più cosciente, più organizzata, la più capace di orientare consapevolmente il movimento delle classi oppresse, innanzitutto il movimento della classe operaia, per la trasformazione delle loro condizioni.

E' rivoluzionario solo in quanto promotore e guida di questo movimento delle classi oppresse. Non esistono individui rivoluzionari per sé, nè gruppi e organismi rivoluzionari per sé.

Il carattere rivoluzionario di individui e organismi si esprime, si verifica, si misura e si realizza nel ruolo rivoluzionario che questi svolgono.

 

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Viviamo in una società che presenta un alto livello di unificazione e dipendenza reciproca delle sue parti nella produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza e nello sviluppo della sovrastruttura politica, giuridica e culturale che serve alla loro vita.

Il carattere sociale del processo produttivo è stato sviluppato nell'epoca borghese in profondità fino a rendere ogni singolo individuo incapace di sopravvivere al di fuori di molteplici relazioni con altri uomini e in estensione fino ad unificare per la prima volta gli uomini di tutti i paesi in un organismo unico di cui i singoli individui sono diventati parti e membra.

Questa unificazione è stata realizzata dal concorso nel tempo dell'attività di innumerevoli individui ed organismi, concorso che però si è attuato spontaneamente, alle spalle degli individui che venivano trasformati in parti e membra del nuovo organismo sociale della divisione del lavoro. Questa unificazione è stata il risultato di azioni che ognuno di essi svolgeva mosso da tutt'altre cause e avendo in mente tutt'altri obiettivi che la creazione di questo organismo unitario.

Questo è il risultato oramai raggiunto e da esso parte tutto il movimento delle società e degli individui del mondo contemporaneo.

Anche se in generale gli individui continuano a non porre a premessa della propria attività questa condizione e addirittura ad ignorarla, il movimento e la natura di ognuno di essi sono in larga misura determinati e totalmente delimitati dal suo essere di fatto parte e articolazione, per di più inconsapevole, di un organismo sociale. La situazione è questa ed esercita i suoi effetti, anche se l'individuo, e anche tutti gli individui lo ignorano ed uno per uno attribuiscono la loro sorte alle stelle o ai santi: la realtà è più forte delle immaginazioni (2).

  

 (2) Hegel sosteneva che la realtà esiste innanzitutto come pensiero e solo secondariamente, accidentalmente e imperfettamente come incarnazione del pensiero nelle cose.

Egli conciliava questa tesi con la dura esperienza della tegola che cadeva in testa senza che nessuno avesse previsto e quindi pensato l'evento, ricorrendo al solito dio tuttofare che pensa per tutti e a tutto, anche a togliere dall'imbarazzo il filosofo troppo acuto e pratico per non capire che al suo pubblico del XIX secolo, sia pur tedesco, doveva spiegare come mai la tegola finiva dove finiva senza aspettare il via del pensiero e d'altra parte troppo legato al suo ambiente per permettersi di mettere al loro giusto posto spirito e pensiero, ossia preti, filosofi e monarchi.

Proprio per la natura della cosa, la condizione di parte e membro dell'organismo sociale può essere posta a premessa della propria attività per decisione ed iniziativa atomistica dell'individuo solo idealmente, come linea di orientamento. Per porla realmente occorre una trasformazione non dell'individuo ma dell'organismo sociale (al modo che la ruota di un'automobile può cessare di essere ruota e diventare gamba d'appoggio solo se l'automobile cessa di essere automobile e diventa pezzo da museo). Da qui l'inconsistenza e il carattere diversivo di tutti i propositi di costruire gruppi che «prefigurino il futuro»  o di inventare comportamenti individuali «comunisti»  nell'ambito della società attuale.

Se il comunismo fosse una condizione in cui uno entra per le buone opere e i buoni propositi suoi individuali (come il paradiso dei cattolici), ovviamente sarebbe del tutto inutile e fuor di luogo una rivoluzione politica, un rovesciamento violento dell'ordine costituito e tutte le altre cose connesse.

Quanti rimproverano ai comunisti di «non comportarsi da comunisti» nel senso che pur combattendo per costruire una società avente alcuni tratti ben definiti (senza proprietà privata dei mezzi di produzione, senza lavoro salariato, senza Stato, senza poliziotti, ecc.) fanno praticamente cose ben diverse, questi senza saperlo e in negativo affermano il carattere non individuale ma sociale dell'uomo attuale.

 

 

Il movimento delle classi oppresse per la trasformazione delle loro condizioni, nella società contemporanea in cui è preclusa oramai anche la migrazione in nuove terre per creare nuove società, è e non può non essere movimento per la trasformazione dell'intera società.

Questo condanna come utopie o mere manovre diversive a sostegno dell'opera di pacificazione sociale perseguita dalla classe dominante e dai suoi Ministeri degli Interni, i propositi e tentativi di società a sé, underground o eletta, di non Stato riscoperti da Metropoli e dai vari Piperno, Scalzone e Negri nel periodo di più duro scontro alla fine degli anni 70. Non a caso furono il ponte del loro passaggio dal campo della rivoluzione al campo della controrivoluzione. Su questa stessa via inclinata e scivolosa si trovano gli attuali sostenitori di concezioni dell'antagonismo come alterità ed estraneità alla «massa», autodeterminazione, come volontà di trasgressione, come pratica trasgressiva, come deviazione arbitraria dall'ordine costituito, raffigurato come «macchina» concepita e governata da una volontà esterna e nemica.

 

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La trasformazione rivoluzionaria della società è possibile in quanto è una tendenza insita nel movimento materiale della società stessa. Proprio perché interna alla società, questa tendenza non può non operare e quindi manifestarsi sia nel movimento delle classi oppresse, sia nel movimento delle classi dominanti.

Non necessariamente, e in realtà solo in momenti particolari, questa tendenza si manifesta chiaramente e immediatamente perché ogni cosa si manifesta con la mediazione del materiale e degli strumenti che trova già esistenti.

Ogni movimento può manifestarsi in fenomeni opposti. L'inquietudine e il malcontento delle masse oppresse per le condizioni precarie di vita si manifesta sia in iniziative rivoluzionarie contro l'ordine costituito sia nel ricercare rifugio e sicurezza in un ordine più ... ordinato (rigurgito di religiosità e di superstizione, Comunione e Liberazione, i movimenti fascisti di massa, ecc.). L'insicurezza delle classi dominanti circa il loro potere si manifesta sia nel fare concessioni sia nel rendere più feroce e oculato il loro potere.

Se ogni tendenza si manifestasse per quello che è, quindi in coerenza aperta e immediata con il risultato che solo può risolverla e dissolverla, se ogni movimento puntasse direttamente al risultato che dissolve la causa del suo stesso essere, non occorrerebbe alcuna scienza della  rivoluzione. Un movimento sociale del genere avrebbe già adeguata coscienza di sé e al massimo, per raggiungere l'obiettivo che realizzandosi lo appaga e lo dissolve, necessiterebbe di un sistema organizzato di divisione di compiti al suo interno, non di un'avanguardia ideologica, politica e organizzativa come il partito comunista. In tale movimento l'essenza e la manifestazione, la realtà e l'esistenza coinciderebbero; nei suoi protagonisti coinciderebbero la conoscenza e la sensazione, mentre la scienza della rivoluzione è appunto la comprensione delle cause reali e del contenuto reale delle mille e contraddittorie manifestazioni del movimento della società.

Chi vuole comprendere il movimento reale della società deve ricostruire nella sua mente le «mediazioni» attraverso cui una cosa viene all'esistenza, diviene e si trasforma.

Chiariamo il concetto con un esempio: ogni nuova sorgente d'acqua si apre il suo percorso verso il mare mediandosi con le caratteristiche del terreno e i fatti casuali attraverso cui si muove; ne segue che, benché il fiume sia determinato dalla sorgente e non vi sia fiume se non sgorga acqua da una sorgente, la forma assunta dal fiume (il tracciato, la forma dell'alveo) e la natura del fiume (più o meno limaccioso, ecc.) non sono determinate solo dalla sorgente e quindi non possono essere comprese in base alla sola conoscenza delle caratteristiche della sorgente; sono determinate anche dalle caratteristiche sia costitutive che accidentali del terreno e dell'ambiente, cosicché è impossibile comprendere perché un fiume abbia assunto quella data forma se non si è in grado di ricostruire la storia del suo formarsi, che è precisamente la storia della mediazione dell'acqua che sgorga dalla sorgente con i vari accidenti da essa incontrati.

Gli opportunisti di sinistra (i dogmatici) affermano l'essenza del processo ma negano le mediazioni tra essa e la realtà circostante che determinano le forme del suo apparire e della sua esistenza. Essi affermano l'eguaglianza tra due cose, l'essenza e una delle sue forme d'esistenza, la realtà e l'esistenza.

Gli opportunisti di destra negano l'essenza del processo in nome delle difformità dalla stessa delle sue forme d'esistenza e della varietà e contraddittorietà delle forme d'esistenza di un unico processo.

La forma assunta dalla società italiana con il Risorgimento è un modo di essere, una forma d'esistenza del modo di produzione capitalista. Chi cerca di capirla e di spiegarla negando questa sua causa (gli opportunisti di destra), dà spiegazioni casuali o a circolo vizioso dei suoi vari aspetti. Chi cerca di capirla e di spiegarla prescindendo dal materiale preesistente e concomitante con cui il modo di produzione capitalista si media dando origine alla società italiana moderna (gli opportunisti di sinistra), si arrampica sui vetri per mostrare la corrispondenza necessaria dei vari aspetti della società italiana all'essenza del modo di produzione capitalista.

Da quanto detto consegue che la conoscenza acquisita dell'essenza di una cosa assolutamente non basta per comprendere una sua forma d'esistenza; gli opportunisti di sinistra nella loro pigrizia mentale pretendono proprio questo.

L'altra conseguenza è che ogni essenza, ogni cosa reale può acquistare varie forme d'esistenza. Dall'essenza di una cosa non segue mai che essa può avere una ed una sola forma d'esistenza, non vi è mai un rapporto univoco tra realtà ed esistenza, tra essenza e fenomeno, tra causa generatrice e risultato del processo. La pretesa che esista un rapporto univoco è detta concezione meccanicistica del movimento.

La crisi della società capitalistica non genera necessariamente la rivoluzione socialista, la fecondazione di un uovo produce sia un aborto che un nuovo individuo, ecc.

La ricostruzione nella mente della catena di mediazioni, catena che è il cammino attraverso cui dall'essenza di un processo si generano le sue varie manifestazioni che cadono sotto i nostri sensi, è sia comprensione del movimento, delle concatenazioni reali tra i fenomeni, sia comprensione dell'essenza del processo. Questa ricostruzione è la formazione della coscienza rivoluzionaria, il  suo risultato è la scienza rivoluzionaria.

Le organizzazioni soggettiviste hanno trascurato e trascurano il processo di formazione delle coscienze, non l'hanno posto come un campo specifico del lavoro rivoluzionario, governato da proprie leggi ed attuato con specifici strumenti. Infatti i soggettivisti pongono l'inizio del movimento della società nella volontà e nella coscienza degli uomini, che concepiscono come cause prime, dati originari e primordiali, che non hanno storia e quindi non richiedono alcuna spiegazione della loro esistenza. Negano che la coscienza e la volontà si formano dall'esperienza e attraverso il bilancio dell'esperienza e quindi ignorano il flusso dalla materia ai sensi e dai sensi alla coscienza, che ovviamente avviene egualmente alle loro spalle. Per le organizzazioni soggettiviste la comparsa di nuove forze rivoluzionarie, la formazione di nuovi rivoluzionari è un fatto ed esse si limitano nel migliore dei casi a cercare di organizzare le forze che spontaneamente si pongono sul terreno rivoluzionario.

 

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L'esigenza reale di trasformazione opera e si manifesta con continuità ed in ogni campo della vita della società. Quando non vediamo questo movimento, quando non comprendiamo le cause delle sue manifestazioni, dobbiamo porci il problema di vedere e di comprendere.

Ogni uomo, ogni gruppo di uomini, ogni società è in movimento; tutto il mondo si muove anche se noi non vediamo il suo movimento. Chi non lo vede ne è trascinato o travolto. Non svolge certo alcun ruolo di guida.

Succede che non vediamo in una cosa il suo movimento, che non vediamo che quella cosa si sta trasformando; se abbiamo una concezione del mondo ed una mentalità soggettiviste, ci poniamo allora il compito di smuoverla, di metterla in movimento. I soggettivisti sono tali appunto perché pensano di essere loro a determinare il movimento dell'altro.

Se invece abbiamo una concezione del mondo e una mentalità materialista-dialettica, di fronte alla cosa che ci appare immobile, ci poniamo il compito

- di riuscire a vedere il movimento che essa sta compiendo,

- di comprendere le cause del suo muoversi, le sue forze motrici,

- di comprendere i termini intermedi tra le forze motrici e le espressioni che ha il suo movimento,

- di comprendere le possibili tendenze, i possibili risultati del suo movimento (che in generale sono più di uno).

A questo punto il comunista deve decidere quale esito e quale tendenza è più favorevole al suo obiettivo rivoluzionario, e quindi quale tendenza appoggiare, perché come causa esterna può svolgere un ruolo. La chioccia se cova un uovo fecondato, che quindi può trasformarsi in pulcino o in massa putrescente, fa sì che si trasformi in pulcino. Ma se cova un sasso o un uovo non fecondato si ritroverà nella condizione del nostro soggettivista.

Non possiamo inventare le forze motrici del movimento di una cosa, né decidere quale esito deve avere il suo movimento; noi possiamo contribuire a farne diventare reale uno piuttosto che un altro tra quelli possibili.

Non possiamo neanche accelerare direttamente il movimento di trasformazione della società perché tale accelerazione sarà determinata solo dal prevalere della tendenza più utile alla causa della rivoluzione tra quelle insite nel movimento attuale della società. Un'iniziativa che ha successo, convoglia nuove forze in quella direzione e quindi muta il rapporto delle forze e fa precipitare la situazione nel suo senso; l'osserviamo in ogni passaggio del nostro lavoro, in  ognuno di noi, nelle nostre strutture.

Quindi noi acceleriamo il movimento di domani solo se abbiamo successo nel far trionfare oggi, nel movimento della società, la tendenza più favorevole alla rivoluzione.

 

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I soggettivisti accusano i materialisti-dialettici di sostenere che bisogna lasciare andare le cose per il loro verso, di riflettere la mentalità di quelli che si trascinano alla coda degli avvenimenti, di essere attendisti e codisti.

In effetti attendisti e codisti possono mascherarsi anche dietro la nostra tesi che ogni cosa è mossa da cause interne, che il mondo e il suo movimento esistono indipendentemente dal soggetto che li pensa e agisce. Ma i materialisti-dialettici sostengono anche che ogni movimento contiene in sé più di una tendenza e che può avere più di un esito; quello che si affermerà non può che essere uno di quelli oggettivamente contenuti nel movimento. Solo chi lavora perché si affermi uno degli esiti possibili, contribuisce consapevolmente alla sua affermazione. Chi invece lavora per esiti posti dalla sua fantasia, disperde energie.

Ci distinguiamo dagli attendisti e dai codisti perché non siamo contemplatori o interpreti della società che cambia, ma usiamo, per far trionfare la nostra causa, la comprensione delle tendenze, molteplici e contraddittorie, insite nel movimento della società, di cui siamo parte. Le cose possono evolvere in più direzioni: ma in direzioni tutte poste e date oggettivamente, sono quelle e non altre; l'esito di un movimento non è mai univoco e scontato. La nostra attività è tesa a far prevalere, tra le tendenze oggettive, quella che corrisponde ai nostri obiettivi. Ciò è tutt'altra cosa che trascinarsi alla coda degli avvenimenti e dei movimenti, tutt'altro che attendere che le cose si compiano per loro conto. Così potrebbe forse agire chi fosse convinto che le cose possono andare solo in un modo (3).

 

 (3) Chi sostiene che ogni movimento può avere un solo esito ha una concezione meccanicista della realtà.

Chi, oltre ad avere una concezione meccanicista della realtà, non è ben sicuro di volere quell'esito, non si considera parte di una società che si muove sì verso quell'esito ineluttabile ma camminando sulle gambe degli individui che la compongono, allora sarà un attendista o codista. Plekhanov nel suo scritto Il ruolo della personalità della storia, rammenta però giustamente anche il caso contrario, cioè che il fatalismo può accompagnarsi con un'energica attività e favorirla. Tanto poco univoco è il rapporto tra azione e idee!

 

Il nostro obiettivo attuale non è rendere i soggettivisti condiscendenti nei nostri confronti, accodandoci alle loro fantasticherie e andando con loro a sbattere la testa contro un muro, con la scusa che anch'essi sono nel campo della rivoluzione e che erano nostri compagni di lotta fino a ieri.

Proprio perché eravamo compagni fino a ieri, quindi partecipi degli stessi errori, e assieme siamo «caduti nel fosso», oggi dobbiamo rompere, se vogliamo uscirne, proprio con quello che essi si ostinano a essere e a conservare.

Non possiamo confonderci e/o subordinarci a loro. Ogni volta che nel percorso della nostra attività rivoluzionaria occorre fare delle scelte di una qualche importanza, dobbiamo rifiutare di sottostare ai soggettivisti, a costo di rompere con loro.

Il soggettivismo porta le forze rivoluzionarie alla sconfitta; le nostre concessioni ai soggettivisti rovinerebbero noi e loro.

E' il successo del nostro lavoro nella trasformazione delle condizioni in senso favorevole alla rivoluzione che cambierà anche quei soggettivisti che non passeranno dalla parte del nemico (4).

 

 (4) Allende sinceramente sperava e immaginava che la borghesia e gli agrari cileni, e i loro amici negli USA e nel resto del mondo, avrebbero rispettato la volontà delle masse popolari cilene. Chi ha condiviso le sue illusioni e la sua sincerità è andato alla sconfitta e alla morte come lui. Ma questo ha forse fatto trionfare il socialismo in Cile?

 

Oggi per le sorti della rivoluzione dobbiamo rompere con i soggettivisti; il processo pratico di lotta politica che abbiamo alle spalle ci ha imposto questa rottura, che deve avvenire in modo materialistico, cioè non con una disputa sul soggettivismo e sul materialismo dialettico, ma attraverso uno scontro sul progetto politico, sul come procedere e sulla via da imboccare, basato sul bilancio dell'esperienza e quindi tale da fare uscire noi e chi sarà con noi sia dal pantano del soggettivismo sia dalla crisi politica attuale. Le rotture degli anni scorsi infatti ci insegnano una cosa: gli organismi che si sono formati hanno ritrovato al loro interno in gran parte gli stessi problemi su cui ci si era divisi. Cosa che succede quando i punti di scontro non sono stati chiariti a sufficienza nel bilancio delle esperienze comuni ed il chiarimento non è arrivato abbastanza in profondità da definire chiaramente due strade inconciliabili per il futuro e quindi determinare su quei punti schieramenti netti e definiti.

Dobbiamo sostenere oggi lo scontro che non abbiamo sostenuto ieri.

 

 

 Le forze motrici del movimento delle masse

 

Dove dobbiamo andare a cercare le cause delle multiformi e contrastanti espressioni del movimento delle masse della nostra società e del mondo?

 

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 Il movimento delle masse e le sue forme (espressioni)

 

Il movimento delle masse è la risultante del confluire spontaneo di spinte materiali, esperienze pratiche, iniziative e influssi molteplici e in genere anche contrastanti, ed è composto di persone e gruppi non coordinati tra loro, senza alcun rapporto consapevole, cosciente tra loro. Confluire spontaneo non nel senso che gli sforzi e le iniziative mirate non vi hanno un ruolo, ma nel senso che nessuna delle iniziative mirate è in grado da sola di determinare il risultato, nonostante quel che ne pensino i suoi promotori.

Il movimento delle masse nella società borghese ha le forme e i contenuti compatibili con la condizione materiale delle masse in tale società. Per la sua stessa caratteristica la società borghese unifica e divide contemporaneamente:

- rende sociale il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza,

- nello stesso tempo nega una gestione consapevole, organizzata, preordinata, sociale di questo processo (appropriazione privata).

La tendenza delle masse proletarie a muoversi collettivamente e quindi ad organizzarsi viene da una spinta oggettiva (che per la classe operaia è più forte che per qualsiasi altra classe), ma è anche continuamente negata, perché contrasta con il rapporto di capitale, con la condizione di schiavitù salariale dei proletari e con l'appropriazione privata dei produttori di merci la cui dipendenza reciproca deve manifestarsi ed affermarsi solo nel mercato.

Tra le masse della società borghese il proletariato è quella parte che la struttura economica stessa spinge ad organizzarsi. Tanto più quanto più sviluppato è il carattere capitalistico della società. Al  punto che nessun regime borghese moderno, per quanto antiproletario e terroristico, può fare a meno dell'organizzazione del proletariato (dal fascismo italiano al nazismo tedesco, al regime di Pinochet). Esso cerca di distruggere le organizzazioni del proletariato orientate e guidate da rivoluzionari, ma è costretto a crearne delle altre. Il tentativo di governare una società borghese moderna mantenendo i proletari atomizzati, individui senza legami tra loro, può durare solo brevi periodi. Ogni industriale dice che ci vuole una gestione collettiva della forza lavoro, una controparte con cui trattare, un contratto collettivo. La borghesia può cercare di far dirigere da suoi uomini le organizzazioni del proletariato, non può negarle.

Un aspetto caratteristico e necessario del regime politico delle società imperialiste è che la classe dominante ha e deve avere una linea di massa. Ciò ha fatto e fa sì che alcuni gridino alla «sussunzione reale totale», all'«integrazione» delle masse nel capitalismo, al «controllo della borghesia sulle masse», trascurando le enormi risorse che crea per le forze rivoluzionarie questo vincolo posto alla borghesia dal livello raggiunto nel carattere sociale delle forze produttive.

 

Le organizzazioni di massa sono frutto di percorsi più consapevoli e individuali di quelli che danno luogo al movimento delle masse, anche se sono alimentati strettamente da quest'ultimo. Sono frutto di tentativi organizzati di analizzare la situazione e di perseguire obiettivi. Sono una componente del movimento delle masse, uno dei suoi modi di essere e nello stesso tempo un gradino sulla via per la trasformazione del movimento delle masse in masse organizzate, in società organizzata.

 

Il partito rivoluzionario, il partito d'avanguardia è un organismo che ritorna al movimento delle masse da cui hanno preso le mosse i suoi presupposti e i suoi promotori. I presupposti pratici del partito, l'inizio della coscienza dei suoi promotori e membri vengono e non possono non venire dal movimento delle masse. Tutto ciò però solo attraverso un'elaborazione e trasformazione si consolida in quel risultato di livello superiore per progettualità, stabilità, organicità, capacità di raccolta e bilancio delle esperienze, flessibilità, capacità di movimento ed orientamento che è il partito. Il partito ritorna alle masse e tanto più esso può unirsi e quasi fondersi con le masse svolgendovi il suo ruolo specifico quanto maggiore è l'autonomia soggettiva che esso ha raggiunto come organismo e nelle persone dei suoi membri (il settarismo e la mancanza di autonomia soggettiva, ossia il codismo, l'andare a rimorchio del movimento di massa vanno infatti generalmente di pari passo, come mostra la storia di vari gruppi). Il partito a sua volta può svolgere il suo ruolo e riprodursi nella misura in cui la sua linea e la sua azione rispondono ad esigenze reali delle masse, (esigenze spesso ancora inespresse, in germe, d'avanguardia che l'analisi del partito permette ad esso di percepire) e quindi trovano nel movimento di massa un terreno fertile che le alimenta.

 

Quindi movimento delle masse, organizzazioni di massa, partito costituiscono tre livelli diversi, connessi da mille fili di dipendenza reciproca, ma distinti per grado di coscienza, progettualità, capacità di muoversi secondo un piano preordinato e in base ad una decisione, modi di essere, forme di lotta e ruoli nel movimento di trasformazione della società.

 

Per attività di massa si intende un'attività svolta più o meno spontaneamente, con un retroterra più o meno esteso (o anche nullo) di preparazione finalizzata ad uno scopo, con il livello di coscienza comunemente diffuso.

Diciamo «di massa» tutte quelle iniziative a cui partecipano e collaborano individui non legati tra loro da un accordo preventivo.

 Una manifestazione è «di massa» non perché vi partecipano tante persone, ma perché è una attività predisposta, organizzata per la partecipazione di persone non legate da vincoli e accordi organizzativi con chi la promuove. Quindi alla luce di ciò, una manifestazione e uno sciopero sono iniziative di massa anche se vi partecipano poche persone, mentre un esercito o un congresso di partito non lo sono, anche se riuniscono migliaia e migliaia di persone.

Maggiore è il numero di persone che un'iniziativa coinvolge, sia pure legate da vincoli organizzativi preesistenti, meno essa può essere predeterminata dalla coscienza e dagli obiettivi di chi l'ha promossa e più sente impulsi e tensioni che vengono da fuori, non filtrate attraverso l'organizzazione e la coscienza. Infatti succede che gli eserciti moderni si disgreghino, che riunioni di persone selezionate ad uno scopo approdino ad un risultato contrario. Ciò costituisce un caso di trasformazione della quantità in qualità.

 

Quando parliamo delle forme di lotta di massa, parliamo delle forme in cui il movimento delle masse (e in esso le organizzazioni di massa) si muove per conseguire dei risultati. Il movimento delle masse ha le sue forme di lotta e di organizzazione che non sono inventate dai partiti e dagli individui. Partiti e individui scoprono, selezionano, rendono organiche, generalizzano, tra le forme di lotta che nel movimento si producono spontaneamente, quelle che sono passibili di generalizzazione.

Lenin sulle forme di lotta del movimento delle masse dice:

«... il marxismo si distingue da tutte le forme primitive di socialismo perché non lega il movimento ad una qualche determinata forma di lotta. Esso ammette le forme le più diverse, e non le inventa, ma si limita a generalizzarle e a organizzarle, e introduce la consapevolezza in quelle forme di lotta delle classi rivoluzionarie che nascono spontaneamente nel corso del movimento. Irriducibilmente ostile ad ogni formula astratta, ad ogni ricetta dottrinale, il marxismo esige un attento esame della lotta di massa in atto, che, con lo sviluppo del movimento, con l'elevarsi della coscienza delle masse, con l'inasprirsi delle crisi economiche e politiche, suscita sempre nuovi e più svariati metodi di difesa e di attacco. Non rinuncia quindi assolutamente a nessuna forma di lotta e non si limita in nessun caso solo a quelle possibili ed esistenti in un determinato momento, riconoscendo che inevitabilmente, in seguito al modificarsi di una determinata congiuntura sociale, ne sorgono delle nuove, ancora ignote agli uomini politici di un dato periodo. Sotto questo aspetto il marxismo impara, per così dire, dall'esperienza pratica delle masse, ed è alieno dal pretendere di insegnare alle masse forme di lotta escogitate a tavolino dai sistematici. (...)

In secondo luogo il marxismo esige categoricamente un esame storico del problema delle forme di lotta. Porre questo problema al di fuori della situazione storica concreta significa non capire l'abbici del materialismo dialettico. In momenti diversi dell'evoluzione economica, a seconda delle diverse condizioni politiche, culturali-nazionali, sociali, ecc., differenti sono le forme di lotta che si pongono in primo piano divenendo fondamentali, e in relazione a ciò si modificano, a loro volta, anche le forme di lotta secondarie, marginali. Tentare di dare una risposta affermativa o negativa alla richiesta di indicare l'idoneità di un certo mezzo di lotta senza esaminare nei particolari la situazione concreta di un determinato movimento in una data fase del suo sviluppo, significa abbandonare completamente il terreno del marxismo.» (Lenin, La guerra partigiana).

 

Quando parliamo delle forme di lotta del partito, parliamo delle forme in cui il partito opera per adempiere al suo ruolo. Il partito si distingue dal movimento delle masse per il suo grado di autonomia. Vi è un'autonomia teorica del partito, relativa ai suoi obiettivi di lungo termine, al suo programma e all'analisi del movimento della società, alla coscienza dei membri del partito. Vi è un'autonomia pratica del partito, relativa alle sue attività, alle forme della lotta pratica condotta  dai suoi membri e dalle sue organizzazioni.

L'autonomia teorica del partito dalle masse è massima, è il risultato del bilancio dell'esperienza, è l'accumulazione del patrimonio di esperienze del movimento comunista nei vari paesi e nei vari tempi, è la teoria scientifica della rivoluzione, è la comprensione delle linee principali di un processo storico (il passaggio dal capitalismo al comunismo) che copre un'epoca storica.

L'autonomia pratica del partito dalle masse è minima. Il partito è un passo, ma non più di un passo davanti alle masse, perché il ruolo del partito si esplica non in ciò che le sue organizzazioni fanno, ma in ciò che le sue organizzazioni conducono le masse a fare. Il partito comprende, elabora e valorizza le spinte alla trasformazione che emergono dalle masse. Valorizzare vuol dire costruire i modi in cui la spinta alla trasformazione può esprimersi, attuarsi e quindi potenziarsi, i modi che rendono tale spinta sistematica, la elevano di livello, ne favoriscono la continuità e la crescita, il contrario, cioè, di «soffocare e deviare l'iniziativa delle masse». La ribellione al capitalismo sorge nel proletariato dall'esperienza pratica: quindi è capillare e diffusa, si realizza in tempi e modi diversi. Se non vi fosse ciò, i rivoluzionari sarebbero impotenti. La borghesia fa tutto il possibile e sulla base dell'esperienza migliora i suoi mezzi per soffocare e frenare, isolare e deviare queste spinte. Il modo principale per soffocare una spinta è renderla impotente: ogni slancio a fare cresce e si consolida solo se si traduce nel fare. Il partito deve raccogliere queste spinte, dare loro la possibilità di diventare costruttive, di esercitarsi su un obiettivo giusto, quindi consolidarsi e crescere (5).

 

(5) Una data situazione rende un operaio incazzato contro il suo padrone. I passi successivi possibili sono:

- l'operaio non fa nulla e si sfoga contro qualcuno che non c'entra e si calma;

- danneggia di nascosto il suo padrone e si calma;

- a sangue caldo rompe le costole al suo padrone e ne subisce le ritorsioni;

- aderisce alla squadra rompiscatole che rompe le costole e costruisce, che lo fa crescere oltre lo spunto immediato della ribellione, ne fa un militante.

 

Quindi le forme di lotta del partito sono per questo verso strettamente legate alle forme di lotta delle masse e solo per questo sono alimentate dall'esperienza delle masse e sono capaci di riprodursi a seguito dell'afflusso di nuovi militanti.

L'importanza che assumono le varie attività nel piano di lavoro del partito è quindi strettamente legata alla fase che attraversa il movimento delle masse.

La relazione di unità e di differenza tra forme di lotta del partito e quelle delle masse si riassume in ciò: le forme di lotta del partito devono rendere possibile lo sviluppo delle forme di lotta delle masse adeguate alla situazione man mano che esse incominciano a manifestarsi. Questa è una discriminante tra noi materialisti-dialettici e i soggettivisti.

 

Queste definizioni elementari di movimento delle masse, organizzazioni di massa, partito rivoluzionario, iniziative di massa, forme di lotta ci sono indispensabili per uscire dal groviglio di allusioni, di ragionamenti, di suggestioni e di sciocchezze in cui una parte del movimento rivoluzionario è impantanato. L'espressione più strutturata di questo groviglio è il proposito e la parola d'ordine di «ricreare il movimento delle masse» che alcuni hanno lanciato. Con quanto buon senso ognuno a questo punto lo vede!

 

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 Il ruolo dei mezzi di comunicazione e del controllo delle coscienze nel determinare il movimento delle masse

  

Alcuni personaggi sostengono seriosamente che nella nostra epoca la borghesia attraverso i moderni mezzi di comunicazione di massa e il loro uso spregiudicato e sapiente è riuscita e riesce ad «addormentare», «rincretinire» le masse dominate, a far ingoiare loro qualsiasi cosa, di modo che sarebbero solo devianti - di origine misteriosa - quelli che non si adatterebbero e si ribellerebbero al «sistema». La capacità delle classi dominanti di manipolare le persone sarebbe insomma diventata illimitata.

Questa concezione idealista (6) del movimento della società è stata esposta da Curcio e Franceschini nella veste più ribellistica, e quindi accattivante, nell'opuscolo Gocce di sole nella città degli spettri,  a torto dimenticato.

 

(6) Idealista nel significato preciso che il movimento della società sarebbe determinato dalle idee, dalle immagini, dalle suggestioni comunicate dalla classe dominante.

  

A chiunque segua la letteratura contemporanea è chiaro però che non si trattava della trovata fantasiosa dei due autori.

La teoria della società capitalista come sistema, cioè come assieme organico di parti funzionali l'una all'altra, capace di contenere tutto ciò che in essa si genera, è uno dei cavalli di battaglia della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Pollock, Marcuse, ecc.) (7).

 

(7) La concezione della Scuola di Francoforte contrasta nettamente con la concezione materialistico-dialettica. Secondo quest'ultima

- la società borghese è unità dialettica di elementi contrapposti (capitale/lavoro, ecc.),

- la trasformazione della società borghese è determinata proprio dalle sue contraddizioni,

- le istituzioni politiche, le concezioni giuridiche e le espressioni culturali delle società borghesi sono determinate dalla loro struttura materiale.

 

 

La Scuola di Francoforte generalizzò e portò all'interno della cultura accademica e della letteratura la concezione unilaterale delle caratteristiche del capitalismo nella fase imperialista esposta da ideologi del capitalismo monopolistico come Sombart, Liefman e altri esponenti del «capitalismo organizzato» e da teorici socialisti come Kautsky, Bukharin e Hilferding nella tesi del superimperialismo. La Scuola di Francoforte aggiunse di suo la tesi dell'illimitata capacità della classe dominante di manipolare le coscienze e, attraverso ciò, determinare l'azione delle masse (8).

 

(8) La tesi di Kautsky, Bukharin e Hilferding sul superimperialismo è stata esaurientemente criticata sul piano teorico da Lenin e sul piano pratico dagli avvenimenti del periodo 1914-1945. Non ci dilunghiamo quindi su questo, nè crediamo vada preso in considerazione chi riespone questa tesi senza preoccuparsi di confutare la critica di Lenin e di reinterpretare la storia del periodo 1914-1945, come non si prende in considerazione chi riespone la teoria del flogisto senza preoccuparsi di confutare la teoria di Lavoisier e di reinterpretare i risultati dell'industria e della ricerca chimica successiva.

 

 

La tesi dell'illimitata capacità della classe dominante di manipolare le coscienze e con ciò determinare l'azione delle masse era l'espressione teorica dell'impressione che aveva prodotto negli intellettuali idealisti (critici della società borghese) l'apparato propagandistico di manipolazione delle coscienze e dell'informazione che i governi dei paesi imperialisti misero in opera durante la prima guerra mondiale e gli analoghi apparati messi in opera dai regimi borghesi, fascisti, nazisti o democratici che si chiamassero, negli anni successivi. Gli intellettuali idealisti trascuravano di considerare le reali cause materiali delle guerre, dei regimi borghesi e del comportamento delle masse e attribuivano agli apparati di propaganda e di manipolazione gli effetti di quelle. Ma gli apparati di propaganda e di manipolazione potevano e possono avere  efficacia solo sulla base dell'azione di quelle, come dimostrano innumerevoli episodi pratici, ad es. le ribellioni di massa esplose ad un certo punto della guerra imperialista nonostante gli apparati di propaganda e di manipolazione, la instabilità dei regimi borghesi moderni nonostante i loro apparati di propaganda e manipolazione, ecc.

Queste concezioni (direzione statale dell'economia capitalista e manipolazione illimitata delle coscienze) erano diventate luoghi comuni nella cultura borghese negli anni 50 e 60, cioè nel periodo della ripresa del capitalismo.

Gli esponenti del regime esultavano di questo finalmente trovato elisir dell'eterna giovinezza della società borghese.

I revisionisti si accodavano proclamando che era oramai possibile per lo Stato dirigere a buon fine l'economia della società borghese e quindi sostituivano nel loro programma le riforme di struttura alla rivoluzione.

A sinistra, tra gli oppositori politici, i sostenitori di queste concezioni furono Panzieri, Tronti, Asor Rosa, Cacciari, Negri e tutta la scuola operaista (Quaderni Rossi, Classe operaia, Potere operaio, ecc.) che imprecava contro il piano del capitale e giurava sul primato della politica sull'economia.

Proprio partendo da questi ultimi, questa concezione aveva permeato anche il movimento rivoluzionario. Nonostante tutte le genuflessioni fatte a Marx, Lenin, Stalin e Mao Tse-tung, resta il fatto che padri spirituali del movimento del '68 e dintorni furono più Marcuse, l'Università di Berkeley e l'Università Critica di Berlino che non i suddetti santi padri!

La presentazione che Curcio e Franceschini fecero in Gocce di sole della tesi dell'illimitata manipolabilità della coscienze e dell'illimitata capacità di determinare i comportamenti delle masse attraverso suggestioni e immagini era tanto disperatamente rivoluzionaria (9) e il prestigio degli autori ancora tanto alto, che essi riuscirono a far passare per un po' di tempo e presso non poche persone come letteratura rivoluzionaria la loro sussiegosa e dotta rimasticatura delle fantasticherie esposte da Orwell in 1984 e da Aldous Huxley in Il mondo nuovo e in Ritorno al mondo nuovo arricchite delle immagini e suggestioni di alcuni film di fantascienza. Una critica esauriente di Gocce di sole venne tuttavia fatta, in campo rivoluzionario, dagli autori dello scritto Politica e Rivoluzione. Non ci interessa quindi entrare in dettagli a proposito dell'esposizione della coppia Curcio-Franceschini e rimandiamo alla critica citata.

 

   (9) Disperatamente rivoluzionaria, nel senso di rivoluzionaria senza speranza di successo, come ribellione inconsulta, vitalistica, generazionale, senza obiettivo. Insomma quel romanticismo politico che gli autori di Politica e Rivoluzione fanno ben notare e di cui ricostruiscono con cura origini e connotati di classe.

 

 

Il motivo più profondo del momentaneo successo degli autori di Gocce di sole derivava tuttavia dal fatto che essi esponevano in forma concentrata, quindi facendone involontariamente risaltare l'assurdità e la genesi poliziesca (10), impressioni e teorie che, più o meno confuse, ristagnavano e ristagnano nelle teste di non pochi esponenti del movimento rivoluzionario e in un numero ancora maggiore di teste di ex rivoluzionari e di ciarlatani che popolano salotti, birrerie e librerie della nostra come di altre società imperialiste.

 

(10) Perché è ciò che un poliziotto sogna e vuole far credere alla sua vittima per averla in sua balia: di vedere tutto, sapere tutto, controllare tutto.

In campo politico la dominazione borghese è disperato (nel senso di 'senza possibilità di successo') tentativo di ridurre ad unità le parti di una società che è basata sulla contrapposizione tra venditore e compratore, tra proletario e capitalista, mantenendo questa base della società ed anzi a sua difesa.

La borghesia ha fatto grossi investimenti, nell'ambito della controrivoluzione preventiva, per diffondere tra le masse la sensazione e la convinzione che il suo regime è onnipotente, che le forze di polizia sono onnipotenti e onniscienti, che  il suo controllo pervade tutto ed è presente dappertutto. La forza del regime si basa anche sul timore che riesce ad ispirare, con le azioni e le suggestioni. E' a quest'aspetto della controrivoluzione preventiva che contribuiscono, di certo inconsapevolmente, i non pochi ideologi del controllo sociale totale, menagrami ripetitori della cultura borghese.

Le tesi dei propagandisti della controrivoluzione e di quelli che le ripetono contrastano palesemente con la prassi corrente di ogni società borghese. Proprio per la sua costituzione materiale la società borghese è basata sull'esistenza e lo scontro di interessi contrastanti. Il traffico economico quotidiano, che la borghesia non può eliminare se non per brevi periodi e ledendo anche suoi interessi e suscitando contrasti furibondi al suo interno, rende incontrollabili i movimenti molecolari degli individui. Vorremmo vedere gli ideologi del controllo sociale totale alle prese con i 20 milioni di turisti stranieri che entrano in Italia nei tre mesi estivi, con i miliardi di operazioni bancarie e postali che si fanno annualmente in Italia, con lo spostamento giornaliero di svariate centinaia di migliaia di pendolari!

Al solito gli ideologi confondono il controllo che le forze di polizia sono in grado di esercitare su alcuni individui e ambienti ben circoscritti, con il controllo di massa. Cioè, da soggettivisti accaniti, estendono alle masse la loro condizione soggettiva, immaginando il mondo a propria somiglianza e si privano della capacità di capire che la via per eludere l'"onnipotenza" della polizia sta proprio nell'avere quella linea di massa da cui rifuggono, convinti come sono che "le masse, almeno oggi, sono controrivoluzionarie".

Gli strumenti della controrivoluzione sono potenti, ma limitati. Questo vale anche per l'uso di spie, delatori, pentiti e dissociati da parte dello Stato e delle organizzazioni fiancheggiatrici, che ha provocato e provoca tuttora sbandamenti e paralisi nelle nostre fila.

Dobbiamo imparare a prevenire e combattere, con misure pratiche e facendo tesoro dell'esperienza, questa minaccia e a colpire senza pietà spie e delatori.

In secondo luogo dobbiamo imparare a non temere spie e delatori. Se noi abbiamo una linea giusta, questi possono sì danneggiare il nostro lavoro, ma non possono rovinarlo. Dobbiamo riflettere sul seguente bilancio tratto da Lenin.

«D'altra parte, il rapido avvicendamento del lavoro legale e illegale, al quale era connessa la necessità di 'nascondere' in modo particolare, di rendere particolarmente introvabili proprio lo stato maggiore, proprio i capi, hanno prodotto talvolta, da noi, fenomeni estremamente pericolosi. Il peggiore di questi avvenne nel 1912, quando un provocatore, Malinovski, entrò nel Comitato Centrale dei bolscevichi. Egli denunciò decine e decine di compagni tra i migliori e i più devoti, facendo prendere loro la via della galera e affrettando la morte di parecchi. Se costui non causò danni ancora maggiori, fu soltanto perché, da noi, la combinazione di lavoro legale e illegale era bene organizzata. Per guadagnarsi la nostra fiducia, Malinovski, come membro del Comitato Centrale del partito e come deputato al Parlamento, doveva aiutarci a pubblicare giornali quotidiani legali, i quali, anche sotto lo zarismo, sapevano condurre la lotta contro l'opportunismo dei menscevichi e propagandare i principi del bolscevismo in forma opportunamente mascherata. Mentre con una mano mandava in galera decine e decine dei migliori bolscevichi, Malinovski doveva contribuire con l'altra mano a formare, per mezzo della stampa legale, decine e decine di migliaia di nuovi bolscevichi. Su questo fatto non farebbero male a riflettere quei compagni tedeschi (e anche inglesi, americani, francesi e italiani), che ora hanno davanti a sé il compito di imparare a svolgere un lavoro rivoluzionario nei sindacati reazionari.» (L'estremismo, malattia infantile del comunismo).

 

 

Era ad esempio l'estremizzazione e la versione farsesca della teoria del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) e di altre teorie analoghe che vedremo più avanti.

Tesi analoghe continuarono ad essere esposte per un po' di tempo, anche dopo le «dipartite» di Curcio e di Franceschini dal movimento rivoluzionario, dai gruppi Badu Complot e Fili Scoperti Metropolitani che così vennero a configurarsi come una tendenza espressamente soggettivista ed idealista nell'ambito del movimento rivoluzionario.

Parenti prossimi di questi soggettivisti sono quegli esponenti del movimento rivoluzionario che ritengono che «può esistere durevolmente del fumo senza arrosto», ossia che la borghesia, mentre reprime, riduce i redditi e peggiora le condizioni di vita e di lavoro delle masse, può sviluppare ed ampliare le forme, le apparenze democratiche del suo regime, può cioè creare o lasciare aperti canali di espressione alle masse senza che questi si ritorcano contro di lei. Tutta l'esperienza, tutto il corso reale (quello reale però, non le chiacchiere!) smentiscono questa tesi. Buon ultimo esempio è l'introduzione dei referendum in campo sindacale patrocinata dai servi della borghesia per dar voce alla supposta «maggioranza silenziosa» e precipitosamente rimangiata dagli stessi promotori, perché, nonostante gli errori d'avventurismo e di estremismo di alcune «avanguardie di fabbrica», gli si sono rivoltati contro e quindi sono diventati «veicoli di decisioni irresponsabili».

Dovremmo badare un po' più ai reali movimenti e comportamenti delle masse e un po' meno ai discorsi dei borghesi e di quelli che le ripetono.

  

 

 

 

 

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 Il ruolo dei rapporti interpersonali nella formazione della coscienza e dei comportamenti delle masse

 

Una versione conciliante e moderata della concezione idealista del movimento della società è quella dell'esistenza di un'"infrastruttura psicologica della società", intesa come insieme di luoghi, situazioni e rapporti della vita quotidiana (in primis, guarda caso, i rapporti familiari e uomo/donna), relativamente autonoma dalla struttura economica, in cui si formerebbe la struttura caratteriale e l'ideologia degli individui e delle masse (11).

 

(11) Il grado di materialismo che ognuno dei sostenitori di queste tesi rivendica a sé sta nella gradazione che ognuno di essi dà, nella sua teoria, al relativamente.

Già Curcio e Franceschini in Gocce di sole introducevano il lettore all'esposizione delle loro allucinazioni sostenendo che «la produzione di padri-madri-figli e le forme del rapporto sociale uomo/donna entro le quali essa avviene»  avevano un ruolo pari alla «produzione di mezzi di produzione e di consumo» (e alla «produzione di segni che mediano l'attività verbale di pensiero e dunque i processi di comunicazione e conoscenza»  aggiungevano i due) nel determinare il movimento della società.

Anche questa tesi è stata esaurientemente criticata dagli autori di Politica e Rivoluzione.

Non è inutile far notare che è stato ampiamente dimostrato che la forma assunta dal rapporto tra i due sessi è determinata dalla struttura materiale della società e in nessun senso può essere assunta come fondante del movimento della società, quali che siano i meriti di Freud e degli altri sostenitori della psicanalisi nel riadattare all'ordine sociale esistente individui nevrotici.

Engels ha trattato ampiamente il problema nello scritto L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato a cui rimandiamo.

E' sotto gli occhi della nostra generazione quanto l'emigrazione, l'industrializzazione, la sussunzione nel capitale delle attività agricole e del commercio al minuto, l'urbanizzazione, la scolarizzazione di massa, l'integrazione delle donne nella produzione salariata o autonoma, ecc. hanno mutato i rapporti tra i membri della famiglia e, più in generale, le forme culturali e psicologiche del rapporto uomo/donna.

Quale sia stata la causa e quale l'effetto in questo mutamento è palese a ognuno. Quindi è fuori luogo, dopo questa dimostrazione pratica, attuale e su grande scala, che si venga ancora a riproporre il rapporto uomo/donna e in generale i rapporti interpersonali extraproduttivi come fondanti della coscienza e del comportamento delle masse. Nessuna persona di buon senso lo farebbe se non per il risultato politicamente paralizzante e contemplativo e per il ruolo giustificativo dell'inerzia politica che tale concezione ha.

 

Secondo i sostenitori di questa versione, il comportamento della classe operaia dei paesi imperialisti non sarebbe determinato, nè immediatamente nè in maniera mediata, dalle condizioni economiche, strutturali in cui essa è collocata. La loro tesi spiegherebbe il comportamento conservatore quando non reazionario della classe operaia dei paesi imperialisti. Insomma una riesumazione delle teorie di W. Reich, ignorando significativamente la verifica che esse ebbero nel movimento operaio tedesco a cui W. Reich non fu estraneo.

  

Questi conciliatori vanno dagli idealisti timidi fino ai materialisti indecisi, passando attraverso una vasta gamma di eclettici.

Da una parte essi accettano il dato storico come fatto conclusivo: è inutile ricostruirne la genesi, uno stesso fatto per costoro non può avere cause ed effetti diversi e addirittura contrastanti; basta invece considerare una persona che dà uno spintone ad un'altra: può essere il gesto per salvarla da un pericolo incombente o il gesto per buttarla in una trappola mortale. Secondo loro la classe  operaia europea non ha preso il potere perché non ha tentato di prenderlo e dunque la classe operaia europea ha un atteggiamento conservatore e reazionario; cosi il Cartismo, la Comune di Parigi, i moti del periodo tra le due guerre mondiali, la Resistenza contro il nazifascismo sono d'un sol colpo cancellati.

Come se tutti i movimenti raggiungessero il loro obiettivo e se in ogni movimento non operassero più tendenze! Come se ogni movimento non potesse avere più di un esito! Ignorano la mediazione come categoria logica e come termine concreto del movimento reale. La loro conclusione deriva da una concezione non dialettica ma meccanicista del movimento.

Dall'altra questi conciliatori si trovano infognati nel dilemma che per fare la rivoluzione socialista ci vuole l'uomo nuovo, dotato cioè di una struttura caratteriale e di un'ideologia non formata dalla "infrastruttura psicologica della società" attuale; d'altra parte però l'uomo nuovo non può prodursi stante la "infrastruttura psicologica della società" attuale che può essere trasformata solo... dalla buona volontà e dalle buone idee di chi le ha.

Essi si ingolfano nell'assurdità di chi vuole un socialismo che nasca e si sviluppi fin dall'inizio sulla sua stessa base, cioè su basi già poste da esso stesso. E' invece ovvio che ogni cosa o nasce sulle basi poste da altri o non nasce affatto. Ogni cosa nuova inizia a creare, a porre da se stessa le basi del suo ulteriore sviluppo solo da quando ha raggiunto un certo grado del suo sviluppo.

La borghesia verrà rovesciata proprio dagli stessi uomini che essa ha allevato e creduto di forgiare a suo uso. Solo nel corso di questo rovesciamento e dopo, quegli uomini si trasformeranno e si leveranno di dosso la merda di millenni di sfruttamento di classe - non solo le idee e le immagini della specifica cultura delle società imperialiste di questo dopoguerra - che è loro di impedimento per avanzare verso il completo superamento della società divisa in classi (12). Il germe della rivoluzione socialista e del comunismo sta nel capitale e non «nell'animo buono» o nello «spirito comunista» dei proletari. Proprio in questo sta la forza del movimento socialista. Se esso riposasse sulle idee e sugli ideali dei comunisti, riposerebbe su basi ben fragili, come dimostrano i tristi destini dei Peci e dei Curcio, ma prima ancora quelli dei Togliatti e dei Pajetta.

 

(12) In L'ideologia tedesca Marx precisava già che «tanto per la produzione in massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della cosa stessa è necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; che quindi la rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun'altra maniera, ma anche perché la classe che l'abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutta la merda ereditata dalla vecchia società e a diventare capace di fondare su basi nuove la società».

I nostri idealisti vogliono degli uomini puliti pur riconoscendo che la società in cui vivono è un merdaio. Essi pensano che si possa vivere in un merdaio senza essere sporchi di merda e cadono dalle nuvole e si strappano i capelli quando devono prendere atto che nel corso di ogni rivoluzione (in URSS come in Vietnam, a Cuba come in Nicaragua) i rivoluzionari devono fare i conti anche con quella parte di oppressi e sfruttati che la merda della vecchia società tiene legati ai loro padroni.

Infine pur vivendo in un merdaio, e forse proprio per questo, essi non sentono la puzza della merda (il marchio di produzione di questa società) che essi si portano abbondantemente addosso e che, non ultima cosa, si rivela anche nel loro idealismo.

  

Quindi non ci interessa alcun progetto di trasformazione in massa dei costumi, delle abitudini e dei sentimenti dei proletari nell'ambito della società attuale, perché campato in aria sia nei contenuti che nella possibilità di realizzarsi. Non ci sfiora neanche l'idea di trasformare in massa i cattivi proletari formati dalla borghesia, sottomessi ai superiori, prepotenti con le donne, ignoranti, interessati solo alla partita e alle ferie, ecc. in buoni proletari rispettosi delle donne, altruisti e infervorati da alti ideali rivoluzionari e umanitari. Quest'idea vale tanto quanto l'idea proposta dal PCI di trasformare milioni di proletari sottomessi al padrone e al commissario, credenti in dio e in Maradona e votanti DC, in proletari votanti PCI grazie alle buone prediche e alle buone intenzioni degli attivisti del PCI.

 Questi proletari forgiati dalla borghesia (altro che il capitale determinato dall'operaio, di cui farneticava il prof. Negri) rovesceranno la borghesia quando si determinerà un'adatta combinazione di elementi oggettivi e soggettivi.

 

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 La concezione materialista delle forze motrici del movimento delle masse

 

La relativa egemonia che la borghesia è riuscita a mantenere sulla classe operaia e sul proletariato della metropoli imperialista nel periodo compreso tra la fine della 2° Guerra Mondiale e oggi è stata resa possibile principalmente dal fatto che le società imperialiste sopravvissute (13) agli sconvolgimenti della prima grande crisi generale del sistema capitalista mondiale verificatasi nel periodo 1914-1945, hanno avuto davanti a sé quasi 25 anni di continuo sviluppo economico durante il quale la classe operaia ed il proletariato della metropoli imperialista sono riusciti a migliorare gradualmente la loro condizione materiale nell'ambito della società borghese stessa.

 

(13) La comprensione dei motivi per cui la borghesia riuscì a mantenere il potere nei paesi capitalisti più sviluppati (e in particolare nei paesi dell'Europa Occidentale in cui vi era già un forte movimento operaio), è e sarà di grande aiuto allo sviluppo della nostra causa. E' peraltro chiaro che una comprensione esauriente e verificata del motivo del successo della borghesia (e della sconfitta del proletariato) sarà raggiunta solo quando saremo riusciti a vincere.

La premessa di ogni ragionamento al riguardo è che in Europa Occidentale (almeno in alcuni importanti paesi: Germania, Italia, Austria, Ungheria, Spagna) si verificarono in quegli anni situazioni rivoluzionarie: le masse sfruttate e oppresse non volevano più continuare a vivere come nel passato ed erano disposte a battersi con tutte le forze per cambiare; le classi dominanti non potevano più vivere e governare come nel passato. Per un'esposizione più chiara di cosa i marxisti intendono per «situazione rivoluzionaria» si veda Lenin Il fallimento della 2° Internazionale e L'estremismo, malattia infantile del comunismo.

Elenchiamo alcuni di questi motivi.

1.- In nessuno di questi paesi esisteva, alla vigilia del determinarsi della situazione rivoluzionaria, un partito comunista

- devoto alla causa della rivoluzione e cosciente dei compiti che essa poneva,

- capace di collegarsi, avvicinarsi ed unirsi fino ad un certo punto con la massa dei lavoratori, dei proletari anzitutto, ma anche con la massa lavoratrice non proletaria,

- che incarnasse e realizzasse una giusta linea politica, una giusta strategia e una giusta tattica, aderente al movimento reale delle masse e della cui giustezza le masse avessero modo di rendersi conto per propria esperienza.

D'altra parte risultò che senza una direzione centralizzata di partito con disciplina ferrea, il proletariato non riesce a prendere il potere e se, per un concorso fortuito di circostanze, vi riesce (come avvenne nel 1919 in Baviera e in Ungheria) non riesce a mantenerlo.

La pratica ha anche dimostrato che tali partiti non si improvvisano.

 2.- In Europa Occidentale e Centrale i partiti socialisti erano stati fondati ed erano cresciuti nelle condizioni della democrazia borghese. Essi avevano conseguito grandi successi in campo politico in termini di «allargamento della democrazia borghese», di estensione alle masse popolari e al proletariato di alcuni diritti della democrazia borghese (organizzazione, riunione, parola, stampa, propaganda, elettorato passivo e attivo). Il proletariato aveva conseguito notevoli risultati nel campo delle lotte rivendicative (salario, condizioni di lavoro, sicurezza sociale). Questo e lo sfruttamento coloniale e semicoloniale avevano generato una aristocrazia operaia che era stata accolta all'interno dei partiti socialisti e vi esercitava un'influenza determinante.

Il risultato di tutti questi fattori fu che nessuno di questi partiti si rese conto del mutare dell'epoca, del passaggio del capitalismo alla fase imperialista e della necessità conseguente di mutare programma politico. La conseguenza fu l'impotenza in cui si trovarono i partiti socialisti, anche i loro esponenti rivoluzionari (Liebnecht, Rosa Luxemburg), le loro migliori organizzazioni, quando la guerra li spogliò della strombazzata «legalità» e della residua parvenza di autonomia di iniziativa politica.

3.- Lenin e i suoi iniziarono a svolgere un'azione internazionale, in seno al movimento socialista internazionale, solo dopo il 1914 ed ebbero un ruolo debole fino a dopo il '17 quando iniziarono a lavorare praticamente alla fondazione dell'Internazionale Comunista. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale essi difesero nell'Internazionale la loro linea rivoluzionaria sempre in nome dell'eccezionalità del regime politico russo rispetto al regime politico degli altri paesi europei.

4.- La crescita dei partiti comunisti dopo il 1917 fu lenta e controversa. Lentamente furono affrontate le contraddizioni con le tendenze estremiste e settarie. La loro crescita fu resa difficile dall'esigenza di conciliare due fattori egualmente importanti: il sostegno all'URSS e lo sviluppo di una linea rivoluzionaria aderente alla realtà del paese, cosa che riuscirono a fare brillantemente i comunisti cinesi, ma in Europa la crisi era più acuta e l'Europa era al centro degli interessi imperialisti e dell'attacco degli imperialisti all'URSS: ciò rese difficile il naturale processo di correzione degli errori attraverso la pratica. Il ricorso all'autorità del PCUS nel dirimere controversie nei neonati partiti comunisti ebbe un ruolo deleterio sulla loro natura. L'eredità dei partiti socialisti pesò a lungo sui nuovi partiti. La linea politica oscillò  frequentemente tra l'adesione completa alla democrazia borghese e la rottura avanguardista con gli strumenti che essa consentiva. Continuò nei nuovi partiti comunisti l'incomprensione dei caratteri economici e politici della fase imperialista, della crisi generale 1914-1945, del fascismo (visto come movimento politico della borghesia arretrata), del nazismo, del New Deal, per cui essi riuscirono a svolgere compiti di mobilitazione popolare nelle lotta contro il nazifascismo solo subordinatamente allo scoppio della seconda guerra mondiale e solo su obiettivi democratico-borghesi. E' rilevante il fatto che vari partiti comunisti vennero a tal punto sorpresi dagli avvenimenti politici che la borghesia poté arrestare i loro segretari (Gramsci, Thaelmann, Rakosi).

 

 

Senza questo non ci sarebbe stato nei paesi imperialisti il lungo periodo di relativa pace sociale, il lungo periodo di relativa egemonia della borghesia, che copre gli anni 50 e 60.

Solo grazie a questo negli anni successivi alla conclusione della 2° Guerra Mondiale non si sono create nella metropoli imperialista «situazioni rivoluzionarie» e la borghesia ha mantenuto la direzione della società con un uso episodico, selettivo e circoscritto della violenza.

Il lungo periodo di pace sociale ha avuto quindi come sua causa e premessa necessarie un fatto oggettivo, strutturale: 30 anni di accumulazione continua del capitale e di sviluppo economico continuo.

 

L'accumulazione continua di capitale degli anni 1945-1970 si è tradotta nel progetto di costruire nei paesi imperialisti una società del benessere grazie ad altri fattori strutturali e sovrastrutturali, economici e politici che vedremo più avanti.

Questi fattori hanno determinato la forma particolare, tra le varie possibili, assunta da questo lungo periodo di egemonia borghese sulle masse: l'appartamento con la moquette, l'auto, le ferie e le migrazioni di massa anziché la processione con il santo patrono.

I modelli di comportamento, i messaggi, la propaganda, le suggestioni, insomma tutto quello che è comunicazione, hanno dato solo la veste spirituale, il corollario di immagini e di idee a quest'epoca di egemonia borghese sulle masse.

Ogni muro deve avere un colore, non può esistere muro senza colore. Ma è una persona molto concreta quella che pensa che è il colore a far stare in piedi il muro! Chi scambia la forma della cosa con la sua causa, non può arrivare lontano. Ogni uomo porta i pantaloni, ma non sono i pantaloni che fanno l'uomo!

Non è vero che la borghesia ha dovuto fare ricorso solo limitatamente al controllo dei corpi perché controllava le coscienze; al contrario, solo perché nutriva a sazietà i corpi: solo grazie a questo, le è stato possibile controllare le coscienze. Lyndon Johnson non è stato solo il presidente della guerra USA contro il Vietnam: è stato anche il presidente della «Grande Società» che fu anch'essa una cosa molto concreta.

Il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (nel periodo posteriore alla 2° Guerra Mondiale, nelle metropoli imperialiste) non è stato un'invenzione di Carosello e di Mike Bongiorno. La fiducia alimentata da Carosello e da Mike Bongiorno in un miglioramento illimitato, continuo e per tutti, ha avuto un effettivo ruolo politico solo perché sostenuta dalla conferma pratica di miglioramenti diffusi e quotidiani.

Chi ricorre alla TV, alle tecniche di persuasione occulta, alle «nuove scienze» e ai  «nuovi strumenti» della suggestione collettiva, all'ubiquità, all'adattabilità e alla varietà dei messaggi per spiegare il lungo periodo di pace sociale avutosi nelle società imperialiste nel secondo dopoguerra, nega o sottovaluta la trasformazione delle condizioni materiali conquistata dalle classi oppresse in questo periodo nell'ambito di quelle società, salvo poi, quando è costretto a considerarla, proclamare che sono «false trasformazioni», «falsi miglioramenti», «false riforme». Il ché è molto funzionale alla conservazione delle sue false idee.

 

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Alcuni esponenti del movimento rivoluzionario grazie ad una simile concezione ritengono che le società imperialiste sono e saranno caratterizzate dall'estensione delle forme democratiche, di partecipazione e di consultazione delle masse: il cosiddetto «ampliamento della democrazia apparente».

Questa tesi è giorno dopo giorno smentita dai fatti e questo è l'aspetto più importante. Le confederazioni sindacali per tenersi a galla devono imporre per legge il monopolio della rappresentanza, le elezioni nelle fabbriche avvengono su liste bloccate, funzionari e dirigenti sindacali sono nominati per cooptazione e accordo clientelare, i referendum introdotti nelle fabbriche sono rapidamente rimangiati, il diritto di indire scioperi viene limitato per legge e per contratto alle confederazioni sindacali, le trattative contrattuali sono accentrate a livello nazionale; i partiti esistenti sono sostenuti dal finanziamento statale, i parlamentari vengono irreggimentati, il voto segreto dei parlamentari viene ridotto, il governo legifera con decreti-legge, i governi degli enti locali autonomi vengono decisi a Roma, le istituzioni di partecipazione di massa (comitati di zona, consorzi, organismi locali, associazioni, partiti, ecc.) sono ridotte a comitati d'affari di consorterie, ecc. ecc. Come «estensione della democrazia apparente» non c'è male!

Si potrebbe ritenere che la smentita dei fatti sia transitoria, sia un fenomeno in via di estinzione. Ma consideriamo cosa significa la tesi dell'«ampliamento della democrazia apparente» e cosa implica.

Essa comporta che la borghesia possa lasciare spazi crescenti di organizzazione, di iniziativa e di espressione alle masse mentre sta sistematicamente peggiorando le condizioni di vita e di lavoro, mentre sta togliendo uno a uno gli istituti dello Stato sociale o società del benessere. Ciò implica che il corso attuale non acuisca i contrasti economici tra individui e gruppi della classe dominante, che questi contrasti non si traducano in contrapposizioni politiche, che nelle fessure che questi contrasti aprono nel regime non si infiltri e non si esprima il malcontento delle masse, che queste accettino di buon animo restrizioni e peggioramenti, appagate o rincretinite da discorsi, promesse, prediche e suggestioni in contrasto con la realtà.

E' forse a torto che chiamiamo soggettivisti i sostenitori della tesi dell'«ampliamento della democrazia apparente»? Quando poi le stesse persone sostengono la continuazione dell'attività combattente delle Brigate Rosse, è chiaro che essi non pensano ad una attività combattente che nasce, si sviluppa e si alimenta del malcontento, dell'iniziativa, della resistenza, dell'opposizione e della ribellione delle masse, ma ad un'attività combattente condotta da alcuni marziani come antidoto e contrapposizione alla generale acquiescenza delle masse e alla integrazione di queste nel regime. Attività che quindi sarà inevitabilmente condotta in modo da pervenire alla sconfitta e all'estinzione.

 

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Alcuni idealisti si spingono fino ad obiettare che è inammissibile, immorale, ecc. che il proletariato dei paesi imperialisti non «si sia ribellato» ad una condizione di vita in cui ha conquistato il gabinetto e l'acqua in casa, un letto a testa, un'automobile, una pensione di vecchiaia e d'invalidità, un contratto collettivo di lavoro, un'assistenza sanitaria, ecc. ma che si basa sullo sfruttamento e la dipendenza, che mantiene larghe fasce di emarginazione, che depreda l'ambiente di vita, che resta largamente precaria, che ha come contropartita il saccheggio e la condanna a morte di intere popolazioni dei paesi da sempre «in via di sviluppo», ecc.

 A molte anime belle (che albergano per lo più in corpi sazi) ripugnerà l'accettazione e la rassegnazione ad un modello di vita così «piatto e vuoto di valori veri». Il fatto è che l'idealista postula una sua realtà immaginaria, molto conforme ai suoi pregiudizi e desideri e in nome di essa nega la realtà tout court. I comunisti l'hanno avvertito da vari decenni e a questo punto non ci resta che lasciarlo a risolvere i dilemmi in cui lo caccia la sua ostinazione. Quello che non si deve tollerare è la presenza di tesi di questo genere nelle nostre fila. Che gli idealisti abbiamo il coraggio del loro idealismo; sta comunque a noi non permettere che lo camuffino da materialismo.

 

A questo punto ci interessa capire come mai il proletariato delle metropoli imperialiste è stato in grado di strappare in questo dopoguerra un complessivo miglioramento delle sue condizioni di vita e se lo sarà anche nel futuro.

 

 

 La ripresa dell'accumulazione del capitale

 

Si è detto sopra che nel periodo successivo alla 2° Guerra Mondiale la classe operaia e il proletariato delle società imperialiste sono riusciti a strappare miglioramenti graduali ma diffusi e continui delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Dicendo che il proletariato ha strappato miglioramenti, vogliamo anche dire che la borghesia poteva concederli, che ne aveva la possibilità economica.

Nell'ambito del modo di produzione capitalistico, sono i capitalisti che danno il via al processo produttivo e ognuno di essi lo fa solo se tramite esso valorizza il suo capitale.

Il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza avviene quindi solo come supporto del processo di valorizzazione del capitale. Quando per una serie di circostanze le masse riescono a strappare miglioramenti che impediscono però la valorizzazione del capitale, la situazione non può che essere transitoria. O il proletariato riesce ad andare oltre, instaurando il proprio potere politico, o sopravviene la reazione. Infatti il processo produttivo viene sconvolto e ne nascono movimenti che eliminano le conquiste. La storia conferma ampiamente e ripetutamente: così è avvenuto da noi con la "conflittualità permanente" nelle fabbriche degli anni 70, così nel Cile di Allende, per citare solo due casi tra i più emblematici (14).

 

 (14) Chi afferma che è la lotta di classe a determinare il movimento del capitale in fin dei conti, se è coerente, nega che per passare al comunismo sia necessaria la conquista rivoluzionaria del potere e la dittatura del proletariato. Quindi, nonostante le apparenze, è un riformista gradualista.

 

 

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Alcuni sostengono che i miglioramenti strappati dalle masse popolari e dal proletariato dei paesi imperialisti sono stati resi possibili dallo sfruttamento delle popolazioni dei paesi del Terzo Mondo.

L'inconsistenza di questa tesi diventa evidente non appena si considera che le popolazioni dei paesi del Terzo Mondo erano ferocemente sfruttate dai gruppi borghesi dei paesi imperialisti anche negli anni 1900-1945 quando anche le masse popolari dei paesi imperialisti dell'Europa Occidentale e degli USA pativano fame e privazioni di ogni genere. Continuano ad essere  sfruttate ferocemente anche negli anni successivi al 1975 e nonostante questo le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari e del proletariato dei paesi imperialisti hanno preso a peggiorare.

 

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I miglioramenti conquistati nel periodo 1945-1975 sono stati possibili perché dopo il 1945 è ripresa in grande l'accumulazione del capitale.

E ciò perché, a seguito dell'ingente distruzione di capitale (sotto forma di uomini e di cose) e degli sconvolgimenti politici ed economici delle due guerre mondiali e del periodo tra esse compreso, si era risolta la 1° crisi per sovraccumulazione generale di capitale. Le distruzioni e gli sconvolgimenti di trent'anni avevano sgomberato terreno sufficiente perché il capitale potesse riprendere ad accumularsi. Nel corso dei trentacinque anni intercorsi tra il 1914 e il 1949 una parte consistente della terra e della popolazione mondiale si era sottratta al sistema capitalistico mondiale attraverso la Rivoluzione d'Ottobre, la creazione della Repubblica Popolare Cinese, la costituzione di repubbliche popolari nei paesi dell'Europa Orientale. Nonostante questo l'accumulazione poté riprendere perché essa non è condizionata dal fatto che il capitale possa agire su una parte vasta del mondo, ma dal livello che essa ha già raggiunto: «il limite del capitale è il capitale stesso».

La soluzione della crisi per sovraccumulazione generale di capitale fu accompagnata da grandi trasformazioni strutturali nel sistema capitalistico mondiale: sostituzione del predominio mondiale della borghesia USA a quello della borghesia britannica, di New York a Londra come centro finanziario mondiale, del dollaro alla sterlina come denaro mondiale, del sistema di dominazione neocoloniale al sistema di dominazione coloniale. In tutto il sistema capitalistico era stata creata una grande quantità di forme antitetiche dell'unità sociale (15).

 

 (15) Non è possibile comprendere il movimento economico e politico delle società imperialiste se non si tiene conto della gran massa di forme antitetiche dell'unità sociale. Le forme antitetiche dell'unità sociale sono le istituzioni attraverso cui si esprime l'unità economica della società e la connessione economica esistente tra i suoi membri, nate e operanti nel contesto di una società che rimane fondata sulla contrapposizione delle sue parti e sulla negazione della loro connessione (vedasi su questo, K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica, Il capitolo del denaro).

 

L'ingente distruzione di capitale e le trasformazioni strutturali aprirono il terreno per la ripresa dell'accumulazione, cioè per la valorizzazione del capitale e quindi per lo sviluppo del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza. Non furono le trasformazioni strutturali che determinarono la soluzione della crisi per sovraccumulazione generale di capitale. Esse e le dimensioni del rinato sistema capitalistico mondiale hanno invece contribuito a determinare l'estensione e la durata del nuovo periodo di accumulazione perché la sovrapproduzione generale di capitale è un fenomeno relativo all'interazione tra la forma del processo produttivo (il rapporto di produzione) e le condizioni sociali e politiche date e con il contenuto del processo produttivo.

 

 

 

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Con la ripresa dell'accumulazione capitalistica dopo il 1945 iniziò nei paesi imperialisti quello che sopra abbiamo chiamato progetto di costruire una società del benessere. E' con misure  inquadrate in tale progetto che le classi dominanti di tutti i maggiori paesi imperialisti dopo la 2° Guerra Mondiale hanno gestito i rapporti con le masse popolari dei rispettivi paesi. Le promesse furono sempre più delle realizzazioni. Ma le promesse furono anch'esse efficaci nel determinare il comportamento politico delle masse solo perché erano sostenute da una quota sufficiente di realizzazioni.

Più che un progetto organico, fu un corso oggettivo determinato dal confluire di spinte, tendenze, esigenze, interessi e progetti con origini diverse e con obiettivi diversi e autonomi. Questo corso fu reso possibile dalla ripresa dell'accumulazione capitalistica. Questa fu la sua condizione necessaria, senza la quale non avrebbe avuto luogo.

 

La realizzazione proprio di questo corso invece che di altri fu causata da alcuni fattori presenti nella società imperialista del secondo dopoguerra:

1 - l'esistenza della massa di forme antitetiche dell'unità sociale ereditate dal periodo delle guerre mondiali, che permettevano un intervento coordinato di governi e altre pubbliche autorità nell'economia per attutire contrasti, evitare esiti traumatici (si pensi per l'Italia a quante furono le industrie liquidate dai proprietari e assorbite dall'IRI), varare programmi di sviluppo per determinate zone sulla base di incentivi ed esenzioni fiscali ed una massiccia opera statale di redistribuzione del reddito;

2.- le peculiarità della nuova borghesia dominante, quella americana, con la sua aspirazione a riformare il capitalismo europeo per assimilarlo, con la sua sperimentata attitudine a comperare uomini, a corrompere dirigenti, a creare organizzazioni ed attività diversive, a dare risposte pratiche ad esigenze reali evitando che servissero di appiglio ai comunisti, ad isolare i casi irrecuperabili prima di eliminarli (16);

 3.- il timore della rivoluzione socialista che pervase la borghesia imperialista a seguito della Rivoluzione d'Ottobre e del trionfo della rivoluzione in Cina: è impossibile capire il comportamento politico delle classi dominanti dei paesi imperialisti se non si tiene conto della loro costante preoccupazione di prevenire a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo l'estensione e il rafforzamento del movimento rivoluzionario;

4.- la forza politica e contrattuale raggiunta dalla classe operaia e dalle masse popolari nei paesi imperialisti e soprattutto in Europa dove le masse, con la lotta contro il nazifascismo, si insinuarono negli spazi creati dalle lotte intestine alla classe borghese;

5.- il bisogno della borghesia imperialista di avere nella metropoli un retroterra pacificato per affrontare le rivoluzioni nei paesi coloniali, che la costituzione della Repubblica Popolare Cinese aveva reso un pericolo incombente.

 

(16) La borghesia USA si è sviluppata libera dagli ostacoli e dalle sedimentazioni prodotte nella borghesia europea da secoli di lotta contro le classi feudali. Se tanti esponenti della borghesia, nella fase storica in cui essa lottava contro le classi feudali non avessero perseguito con tenacia e sincerità gli ideali politici e culturali della democrazia borghese (basti pensare alla Grande Rivoluzione del 1789), la borghesia non sarebbe riuscita ad affermare i suoi interessi. Ma chi gode dell'obiettivo già raggiunto, lo trova come un dato di fatto e cresce su quelle stesse basi oramai raggiunte, non ha più traccia dei travagli del percorso.

La borghesia USA nasce e cresce su basi già borghesi, per essa tutto è merce in un'accezione più completa, più cinica e universale che per la borghesia europea. Un celebre capitalista USA, Mr Gould, tranquillamente e pubblicamente proclamava «posso assoldare metà della classe lavoratrice per ammazzare l'altra metà».

Caratteristica è anche la differenza nel modo di trattare gli affari dei capitalisti USA e di quelli europei. Al contrario del borghese USA il borghese europeo tende a sottintendere l'interesse che lo muove, a rivestirlo di motivazioni pie. Il capitalismo USA appare manifesto, cinico, privo delle foglie di fico patriarcali con cui a volte il capitalismo europeo copre le proprie crudeltà.

 

Condizione necessaria della messa in cantiere del progetto di costruire una società del benessere  ed effetto delle realizzazioni di questo progetto fu il prevalere del revisionismo in seno ai partiti comunisti dell'Europa Occidentale. Se questi ultimi avessero cercato di condurre il proletariato al potere, almeno in alcuni grandi paesi (Italia, Francia) la borghesia avrebbe dovuto ricorrere a guerre civili dall'esito incerto.

Questi fattori hanno concorso a far sì che la ripresa dell'accumulazione capitalista si traducesse nei paesi imperialisti nel progetto di costruire società del benessere. Nessuno di essi né il loro assieme avrebbero determinato quel progetto in assenza della ripresa dell'accumulazione capitalista. Né infatti lo determinarono nel periodo tra le due guerre mondiali, benché fossero in gran parte presenti. Questo basta a smentire l'affermazione degli idealisti che questi o altri fattori analoghi sono stati la condizione sufficiente del progetto, che il progetto è frutto di una astuta macchinazione controrivoluzionaria.

 

Nei 30 anni successivi alla 2° Guerra Mondiale le masse popolari dei paesi imperialisti riuscirono a strappare, nell'ambito della società borghese, minimi salariali, indennità di disoccupazione, sistema generale di assistenza sanitaria e di pensione per invalidità e vecchiaia, scolarizzazione di massa, relativa sicurezza del posto di lavoro (in Italia in particolare: imponibile di manodopera nelle campagne, libertà di emigrazione di massa, abolizione del licenziamento per i pubblici dipendenti, livellamento dei minimi contrattuali provinciali (cioè abolizione delle gabbie salariali), statuto dei lavoratori, ampliamento dei diritti sindacali, di organizzazione, di iniziative e di rappresentanza nelle aziende, minimo di disoccupazione negli anni 60, massimo di organizzazione sindacale e politica del proletariato nei primi anni 70).

Questo progetto fu accompagnato

- da un'accresciuta mobilità sociale,

- dall'ampliamento delle classi intermedie di tipo capitalistico (funzionari, dirigenti, ecc.),

- dall'introduzione di una grande varietà di costumi e di beni di consumo di massa che trasformarono radicalmente, nei trent'anni successivi alla 2° Guerra Mondiale, il modo di vivere delle masse e diedero il via ad una diffusa ed illimitata rincorsa al guadagno che la situazione economica consentiva in misura sufficiente a renderlo un obiettivo efficace.

 

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Come ogni trasformazione materiale, il corso seguito dalle società imperialiste nel secondo dopoguerra ebbe le sue espressioni anche in campo politico e culturale.

Dopo la fine della 2° Guerra Mondiale l'accumulazione del capitale era ripresa a vele spiegate, non si era ripetuta una grande crisi come quella del '29 (17), l'economia mostrava ancora una successione di alti e bassi nei ritmi di sviluppo ma nell'ambito di un'ininterrotta tendenza alla crescita, il progetto di costruire società del benessere si veniva dispiegando.

 

(17) Alla fine della 2° Guerra Mondiale la borghesia temeva che si riproducesse una crisi economica simile a quella del '29, sulla base della costatazione che solo il riarmo e la guerra avevano posto fine alle manifestazioni più eclatanti di quella crisi (disoccupazione di massa, paralisi di larga parte dell'apparato produttivo, ecc.). Gli studiosi borghesi di economia politica convalidavano questo timore e gli studiosi revisionisti li seguivano, mostrando entrambi una sostanziale incomprensione della natura della crisi del '29.

 

Sulla base di questi solidi elementi materiali nacquero e presero piede

- la teoria che associazioni di Stati e associazioni di capitalisti potevano governare ed indirizzare il movimento economico delle società borghesi, teoria che appare negli ultimi anni della «belle  époque», all'inizio del secolo e che riemerge al culmine del processo di accumulazione, negli anni 60 di questo secolo;

- la teoria della sparizione del ciclo economico e quindi della fine del ripetersi periodico di crisi economiche che nessuno era in grado di prevenire;

- la teoria secondo cui le guerre imperialiste non erano più inevitabili, in quanto i contrasti economici interimperialisti e le difficoltà economiche del modo di produzione capitalista avevano soluzioni pacifiche e di reciproco vantaggio per le parti in causa;

- la teoria che il socialismo si sarebbe affermato gradualmente e pacificamente, senza bisogno di rivoluzioni, malgrado che proprio in quegli anni gli Stati imperialisti stessero conducendo feroci guerre di sterminio per resistere ai movimenti di liberazione nazionale.

Nei paesi imperialisti divenne cultura dominante, diffusa, incarnata in mille pregiudizi e luoghi comuni, una cultura borghese progressista ed egualitaria. Eguaglianza, piena occupazione, diritto ad organizzarsi ed esprimersi dei lavoratori e in generale di ogni gruppo avente interessi comuni, vennero additati come valori positivi e come obiettivi di tutti. La forma parlamentare del dominio politico della borghesia divenne un articolo di fede. Le linee di massa e le forme di inquadramento di massa vennero articolate al massimo onde evitare l'imposizione di una specifica opinione, ma confezionando un'opinione adatta per ogni gusto; in quel periodo sì che vi è un «ampliamento della democrazia apparente», che però era fondato su trasformazioni reali e, come si vedrà, non restò privo di conseguenze.

Parallelamente e conseguentemente, nel movimento delle masse prevale la cultura idealista dell'aristocrazia operaia che è una derivazione ad uso popolare della cultura borghese progressista sorretta dall'esperienza pratica dell'aristocrazia operaia.

Gli idealisti scambiano in generale le espressioni culturali del progetto di costruzione di società del benessere con il contenuto di esso e attribuiscono a queste espressioni culturali il comportamento politico della classe dominante e delle masse dei paesi imperialisti (i trent'anni di pace sociale). Ma tutte queste varie espressioni culturali non avrebbero avuto alcun effetto politico e sarebbero rimaste anch'esse forme minoritarie, come lo furono anche prima del periodo di cui stiamo parlando e come lo stanno ridiventando oggi, se non avessero corrisposto ad una serie di trasformazioni nelle condizioni materiali delle masse popolari, del proletariato e della classe operaia

 

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Questa fase della storia dei paesi imperialisti raggiunse il suo culmine e la sua fine a cavallo tra gli ultimi anni 60 e i primi anni 70.

Da una parte il ritmo dell'accumulazione di capitale iniziò a rallentare, si manifestarono i primi sintomi di sovrapproduzione generale di capitale, crebbero le contraddizioni economiche tra gruppi e Stati imperialisti che trovavano soluzione in atti di forza da parte di una delle parti in causa, il processo di produzione e di riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza avvertì i primi sintomi di crisi.

Quindi inizia l'inversione della tendenza economica. La borghesia, l'intelligenza associata dei dirigenti della produzione riuniti in cartelli, gli Stati imperialisti e le loro organizzazioni internazionali avevano diretto il movimento economico nella fase 1945-1970 quanto la mosca cocchiera aveva diretto il cavallo.

Le teorie della governabilità e della fine delle crisi furono confutate praticamente dall'esplosione della nuova crisi per sovrapproduzione generale di capitale negli anni 70.

  

Dall'altra le tendenze politiche e culturali generate dal corso economico positivo che si avviava a conclusione arrivano al loro massimo sviluppo. Il movimento politico che si ha in tutti i paesi imperialisti alla fine degli anni 60 e nei primi anni 70 ne è il risultato.

Esso è anzitutto una crisi ed una spaccatura all'interno della classe dominante lacerata e paralizzata dai contrasti. Questa crisi lascia via aperta al movimento rivendicativo e politico delle masse che tendono a tradurre in pratica, portandoli alle estreme conseguenze, le promesse e gli ideali del progetto di società del benessere: l'eguaglianza politica ed economica, la liberazione dal bisogno, la possibilità per tutti di usufruire dei beni prodotti, l'accesso universale alla cultura e agli strumenti di direzione della società. Niente doveva essere negato a nessuno. L'abbondanza dei beni prodotti confortava il sogno, in quanto la limitazione non era evidentemente nella quantità di beni materiali producibili, ma nei rapporti di produzione che la cultura corrente idealisticamente negava ed ignorava. Secondo la cultura corrente non vi erano ostacoli alla crescita e quelli che si incontravano erano frutto di pregiudizio e di cospirazione e potevano e dovevano essere abbattuti.

La Trilaterale, l'associazione mondiale dei maggiori borghesi, esprime consapevolmente la situazione obiettiva della borghesia affermando che c'è troppa democrazia e che si sono create troppe attese che non possono essere soddisfatte.

 

Le Brigate Rosse, e in generale la lotta armata per il comunismo, trovano in questo contesto il loro terreno di nascita. Nascono e crescono come espressione estrema, massima, più radicale e conseguente di quel movimento delle masse, esprimono l'estremizzazione sistematica delle istanze avanzate dalla mobilitazione delle masse. Nello stesso tempo contengono alcuni elementi che ne possono fare l'anello di congiunzione tra quel movimento di massa destinato ad essere sconfitto dalle sue illusioni e che costituisce l'ultima espressione di una fase che si chiude e la nuova fase.

 

La sconfitta del «movimento del '68» quanto ai suoi contenuti e obiettivi non è dovuta a errori politici, ma alla natura stessa del movimento, agli obiettivi che esso si poneva e che erano incompatibili con la società borghese per la cui eliminazione il movimento stesso non aveva però alcun progetto realistico nè alcuna possibilità, nonostante le molte declamazioni.

La sconfitta che si realizza pienamente alla fine degli anni 70 fu in primo luogo sconfitta di tutto quanto costituiva quel progetto di costruire società del benessere e dei revisionisti e riformisti vari che, aldilà dello schiamazzo dei gruppi e delle polemiche, di quel movimento erano gli interpreti reali (ciò è messo bene in luce nell'Autointervista di Gallinari, Lo Bianco, Piccioni e Seghetti pubblicata nel n. 25 di Il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione). La sorte dei revisionisti venne infatti segnata allora, l'esaurimento del loro ruolo nella vita politica venne deciso da quell'esito e in questi anni è in corso l'esecuzione della sentenza.

 

 

 La crisi per sovrapproduzione generale di capitale

 

La crisi per sovrapproduzione generale di capitale si ha quando il plusvalore prodotto in un ciclo di valorizzazione è più di quanto possa essere impiegato con profitto, come nuovo capitale che si compenetra con quello preesistente, nel successivo ciclo di produzione: acquisto di mezzi di produzione e di forza-lavoro, conduzione del processo lavorativo, vendita delle merci prodotte.

  

La crisi per sovrapproduzione generale di capitale è diversa, per le cause che la determinano, per le possibilità di gestione da parte delle Pubbliche Autorità e per le soluzioni, dalle altre crisi tipiche del modo di produzione capitalistico, cioè le crisi per sovrapproduzione di merci, le crisi per sottoconsumo di merci, le crisi per sproporzione tra settori produttivi, le crisi strutturali. In essa tuttavia si manifestano tutti i fenomeni di queste quattro crisi, in sostanza la massa dei nuovi investimenti non è adeguata al capitale esistente e quindi la domanda di merci non è adeguata all'offerta di merci, e si hanno tutti i tentativi di soluzione corrispondenti alle quattro crisi considerate. Stante però la causa diversa del suo prodursi, questi tentativi non approdano a nulla.

Solo a causa della massa di forme antitetiche dell'unità sociale esistenti nelle attuali società imperialiste e aventi appunto la funzione di far fronte alle tendenze più distruttive delle contraddizioni del modo di produzione capitalista, la crisi per sovrapproduzione generale di capitale non si è ancora manifestata finora nel collasso generale del processo produttivo. Esse hanno finora offerto al capitale eccedente una serie successiva di possibilità di valorizzarsi attraverso la creazione e la moltiplicazione del denaro e dei titoli finanziari, cioè di una massa di titoli di credito. Ciò ha portato alla formazione di una massa crescente di capitale monetario, di capitale che non entra mai nel processo di sfruttamento diretto della forza-lavoro ma cerca di valorizzarsi e si valorizza attraverso un'ulteriore creazione di denaro, attraverso l'ulteriore gonfiamento della massa di denaro. E questo ha finora permesso che il capitale impiegato direttamente nello sfruttamento della forza-lavoro potesse compiere abbastanza regolarmente il suo processo di valorizzazione e quindi ha evitato lo sconvolgimento del processo di produzione e di riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza.

La valorizzazione puramente monetaria del capitale eccedente ha però comportato anche l'eliminazione di alcune di quelle istituzioni che permettendo appunto tale valorizzazione, evitavano che il capitale eccedente si riversasse nel settore produttivo sconvolgendolo. In conclusione negli anni 70 e 80 la crisi di sovrapproduzione generale di capitale ha almeno in parte sgomberato la strada dagli ostacoli che ne impedivano la soluzione effettiva consistente nella distruzione di una quantità adeguata di capitale. I circoli dominanti hanno chiamato deregulation questa eliminazione di ostacoli alla crisi e l'hanno presentata come soluzione della crisi, perché ogni rimozione di ostacoli consentiva la valorizzazione di alcuni capitali e quindi era per quei settori un momentaneo sollievo dalla crisi.

 

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L'inizio della nuova crisi per sovrapproduzione generale di capitale finora, oltre al gonfiamento delle attività finanziarie e della massa di capitale monetario, ha significato soprattutto

- rallentamento dei ritmi di crescita della produzione in vari settori,

- riduzione del ritmo di crescita del commercio internazionale,

- aumento del protezionismo commerciale da parte dei singoli Stati,

- acutizzazione della concorrenza in campo commerciale e finanziario,

- ristrutturazione tecnologica e finanziaria,

- concentrazione del capitale,

- squilibri crescenti delle bilance commerciali e dei pagamenti dei paesi principali mediati finora da accordi tra le autorità economiche e politiche dei 7 maggiori Stati imperialisti,

- gonfiamento dei debiti pubblici nei paesi principali,

 - tensioni nel campo dei debiti esteri.

Nella vita delle masse l'inizio della crisi ha finora prodotto:

- insicurezza del posto di lavoro (l'unione dialettica tra occupato e disoccupato che il prof. Negri negava è la trasformazione dell'occupato di oggi in disoccupato di domani: altro che garantito, che «società dei terzi» escogitata dalle teste d'uovo della SPD!),

- disoccupazione, specie per giovani, donne, handicappati e minoranze,

- riduzione dei salari (tagli della scala mobile e di istituti simili),

- limitazione dei diritti dei lavoratori sul posto di lavoro (limitazione dello statuto dei lavoratori, limitazioni del diritto di sciopero con codici di autoregolamentazione e con misure legali, precettazioni, limitazioni del diritto d'organizzazione e di rappresentanza),

- intensificazione dei ritmi di lavoro e peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei lavoratori,

- decentramento produttivo,

- tagli sulle «spese sociali»: servizio sanitario nazionale, assegni familiari, scuola,

- riduzione in campo assistenziale e pensionistico,

- devastazione dell'ambiente.

 

Le manifestazioni della crisi avutesi finora non sono che l'inizio. Finora e ancora per un po' godremo

- dell'effetto procrastinatorio delle istituzioni create negli anni passati,

- delle scorte accumulate negli anni del benessere, per quanto riguarda le condizioni di vita,

- della possibilità di spostare ora in un paese ora in un altro gli effetti più acuti della crisi, esistente finché i contrasti economici non si saranno tradotti in contrasti politici, cioè tra Stati.

 

Ogni analisi delle cause della crisi e ogni proposta di «uscita dalla crisi» che tenga conto solo o principalmente di fenomeni nazionali, è fuoristrada. La crisi e i suoi effetti non sono un fenomeno solo italiano; in Italia grazie a problemi politici (tra cui le Brigate Rosse e il bisogno immediato di «togliere l'acqua al pesce» ) le cose sono state rallentate.

 

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L'inizio e lo sviluppo della crisi, l'inversione del corso economico avvenuto negli anni 70 ha avuto anche la sua espressione culturale. La cultura borghese progressista si è fortemente indebolita a vantaggio di una riedizione della cultura borghese reazionaria. Come già avvenuto nei decenni precedenti la 2° Guerra Mondiale, la borghesia ripesca, ridipinge, rilancia e presenta come novità dell'ultima ora tutte le culture reazionarie. La relativizzazione della conoscenza ridotta a sensazione e sentire individuale, lo scetticismo e l'agnosticismo sono assunti dalla cultura borghese progressista, nella misura in cui sopravvive, come denominatori comuni delle sue varie manifestazioni.

 

 

  Conclusioni

 

Gli anni 70 sono il punto d'arrivo di una fase, iniziata alla fine della 2° Guerra Mondiale, di accumulazione del capitale e di sviluppo economico: l'equivalente della «belle époque» a cavallo dei due secoli e il punto di inizio di una nuova fase di crisi: l'equivalente della prima metà del secolo XX.

Quindi è finito il periodo di sostanziale pace sociale nei paesi imperialisti. I contrasti tra le classi sono destinati ad acuirsi. Il terreno per la nostra azione è ampio e fecondo.

Possiamo comprendere dove le effettive forze motrici spingeranno le classi della società borghese solo dall'analisi dei movimenti concreti e in parte possiamo determinarlo con un'azione soggettiva adeguata alle tendenze oggettive.

La tesi della crisi di sovrapproduzione generale di capitale non è il nuovo talismano cui attaccarsi per coltivare l'ozio del proprio cervello. Ma è il contesto e la chiave di lettura per comprendere i singoli episodi della vita economica e politica e per decidere la nostra linea d'azione in essi, dando per scontato che il ruolo (e quindi il significato) di ogni singolo episodio è definito solo all'interno del contesto cui appartiene e che ogni singolo episodio quasi mai esprime apertamente e direttamente la tendenza generale del contesto.

 

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Sostenere la tesi che gli anni 70 costituiscono un ciclo chiuso, a parte l'uso poliziesco della tesi da parte del trio Curcio-Moretti-Balzerani, vuol dire basarsi sull'osservazione e considerazione dei soli movimenti politici e culturali, posti come fenomeni che si sviluppano autonomamente dalle condizioni materiali.

Chi si basa sull'analisi del movimento economico delle società borghesi e lo assume come elemento principale e originario, che fonda e determina anche il movimento politico e culturale della società, non può non mettere in primo piano la continuità tra gli anni attuali e gli anni 70 come parti della stessa fase: la fase della nuova crisi per sovrapproduzione generale di capitale.

Per quanto riguarda il movimento rivendicativo e il movimento politico delle masse in ogni fase del ciclo economico si hanno momenti assolutamente differenti, nel tempo e da paese a paese (basta pensare per farsene un'idea al periodo 1914-1945): il movimento politico e culturale di una società non è mai univocamente determinato dal suo movimento economico, se non nella testa dei meccanicisti, come abbiamo spiegato nelle pagine precedenti.

Salvo che nelle ricostruzioni dei soggettivisti, la divisione del movimento della società in fasi non è arbitraria, ma è un fatto obiettivo che solo l'interesse e l'incomprensione portano ad alterare (qualcuno può dividere la storia del mondo in prima di Goria e dopo Goria, ma resta il fatto che Goria non ha lasciato traccia nella storia del mondo). Ogni fase è caratterizzata e definita da processi oggettivi, quindi è un fenomeno oggettivo. Le fasi non si inventano, si scoprono.

 

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La comprensione della crisi economica attuale, dei suoi vari e contraddittori passaggi (ad es. le successive ondate di valorizzazione monetaria del capitale che come in certe malattie fisiche introducono momenti di vigore e di euforica salute nell'organismo malato debilitandolo in definitiva maggiormente), delle sue svariate manifestazioni concrete, delle sue espressioni  politiche e culturali nel proletariato, nelle masse popolari, nelle classi dominanti, è una parte fondamentale e fondante dell'esistenza del partito comunista, della sua attività e dell'assolvimento del suo compito storico.

La tendenza a procedere prescindendo da questa comprensione, a relegare questa comprensione tra le cose inutili o di contorno, a dedicare ad essa solo risorse marginali e da tempo libero: questo è l'idealismo nelle nostre file e che dobbiamo eliminare. Non possiamo mettere mano efficacemente e con un ruolo dirigente in un meccanismo di cui non conosciamo il funzionamento. La tendenza a farlo funzionare come pare a noi, non conformandoci alla sua natura è il soggettivismo.

I compiti delle forze rivoluzionarie nei paesi imperialisti, la controversia tra la tesi del fronte antimperialista e la tesi del partito del proletariato, il ruolo del movimento rivendicativo nei paesi imperialisti, il ruolo del partito nel movimento di massa, cioè tutte le divergenze di linea politica nel movimento rivoluzionario possono essere affrontate in modo costruttivo solo sulla base della comprensione del movimento economico della società, delle potenzialità politiche e culturali insite in esso, delle vie di azione politica che esso apre. Se si prescinde da questo, allora si confrontano e si fanno scontrare pregiudizi e frasi fatte: cosa sterile e senza fine.


INDICE di Cristosforo Colombo - Capitolo 2 - LA CRISI DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

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