Riforma o difesa della Costituzione?
di Marco Martinengo

Rapporti Sociali n. 36 (nuova serie) - gennaio 2007 (versione Open Office / versione MSWord )

 

L’attuale Costituzione della Repubblica italiana è stata redatta dalla Assemblea Costituente eletta a suffragio universale il 2 giugno 1946, nelle elezioni-referendum con cui fu votata anche l’abolizione della monarchia. Venne approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il 27 dello stesso mese ed entrò in vigore del 1° gennaio 1948.

Questo per la forma. Nella sostanza la Costituzione fu il prodotto della natura, della volontà e delle capacità a farsi valere delle forze politiche e sociali che in quegli anni avevano in Italia una qualche importanza e un qualche ruolo politico e fu un passaggio importante per la creazione del nuovo regime, il regime DC, sotto cui siamo vissuti nei successivi decenni. Le iniziative per la riforma della Costituzione sono uno dei sintomi della putrefazione del regime DC. Il regime DC ha esaurito le sue potenzialità, ma la borghesia imperialista non ha ancora elaborato un nuovo regime con cui sostituirlo. In altre parole sono una manifestazione italiana della crisi politica che la borghesia imperialista attraversa in tutto il mondo.

Quale era la situazione in cui fu redatta la Costituzione? Quale fu il regime che dominò il paese ammantandosi di questa Costituzione? In che senso vanno le iniziative per riformare l’attuale Costituzione?


Crisi del regime fascista e sviluppo della Resistenza

Anzitutto vediamo brevemente gli antefatti della redazione dell’attuale Costituzione.(1)

 

1. In proposito, vedere Il punto più alto raggiunto dalla classe operaia del nostro paese nella sua lotta per il potere, opuscolo edito dai CARC nel 50° anniversario della Liberazione, 1995.

 

Il fascismo aveva trascinato l’Italia nella seconda Guerra mondiale al seguito della Germania nazista e del Giappone militarista, come parte dello schieramento nazifascista mondiale. Nel febbraio 1943 i sovietici conclusero vittoriosamente la battaglia di Stalingrado contro le armate naziste e la guerra volse al peggio per i nazifascisti. In Italia le forze che si erano appoggiate al fascismo (la borghesia industriale e finanziaria, gli agrari, la monarchia e il Vaticano) cercarono un’altra soluzione politica. Il 25 luglio 1943 il re con un colpo di mano fece arrestare Mussolini, lo destituì e lo sostituì col maresciallo Badoglio. Ma l’operazione non fu sufficiente a far uscire l’Italia dalla guerra. La parte meridionale dell’Italia era già occupata dalle truppe angloamericane e i nazifascisti non erano rassegnati a perdere l’Italia. Il re e il suo governo segretamente conclusero un armistizio con gli angloamericani. L’8 settembre 1943 scapparono da Roma e si rifugiarono nella zona già occupata da loro. Abbandonarono così il resto del paese con i relativi organi dello Stato senza alcuna direzione. L’intero edificio del vecchio Stato crollò. Le truppe naziste occuparono gran parte del paese senza incontrare al momento una resistenza consistente.

Il PCI non aveva capito la situazione che si preparava e fu preso alla sprovvista. Tuttavia reagì rapidamente, grazie alla sua natura rivoluzionaria e alla linea e all’esempio del movimento comunista internazionale. Gran parte del paese era occupata dai nazisti sostenuti dai fascisti più ostinati. Qui il Partito comunista costruì poco a poco una nuova struttura politica e militare clandestina: la Resistenza. In tutta la storia del nostro paese, fu la prima volta che, emergendo dalla parte oppressa e sfruttata della popolazione, gli operai e i contadini più avanzati si aggregarono attorno ad un partito ideologicamente e organizzativamente indipendente dalla classe  dominante e costruirono una ramificata struttura di potere autonomo. L’iniziativa promossa e capeggiata dal PCI costrinse anche le altre classi, comprese le classi dominanti e le forze politiche che le rappresentavano, a entrare nella Resistenza. Da una parte gli elementi più attivi di quelle parti delle masse popolari su cui esse fondavano il loro potere spingevano in quella direzione. Se non volevano perderli, dovevano in qualche misura assecondarli. Dall’altra, per aver voce in capitolo a guerra finita, non potevano dipendere solo dagli interessi degli imperialisti angloamericani che avrebbero occupato il paese al posto dei nazifascisti. Dovevano precostituirsi proprie posizioni di forza di fronte al potere che si andava costituendo attorno al PCI. Quindi non potevano lasciare al PCI campo libero nell’organizzare la guerra contro il nazifascismo.

Con la sua iniziativa, il PCI assunse quindi la direzione di tutto il movimento per uscire dalla crisi politica. Obbligò tutte le classi e le forze politiche che dovevano prendere le distanze dal nazifascismo morente a prendere la strada della Resistenza.

Ne venne una guerra in cui si combinarono varie guerre: la guerra civile delle classi oppresse contro le vecchie classi dominanti che si erano appoggiate al fascismo, la guerra di liberazione dall’occupazione nazista e dai loro collaboratori fascisti, la guerra al servizio del nuovo occupante angloamericano contro i gruppi imperialisti rivali. Questa combinazione era la condizione obbligata della lotta di classe in quella fase.

Fine Guerra

Alla fine della guerra mondiale nella primavera del 1945, per la prima volta nella storia del nostro paese anche le classi oppresse si trovarono con un potere politico dotato di una propria forza armata e forte di un largo seguito di masse popolari in una certa misura organizzate che volevano instaurare un nuovo ordinamento sociale. Era la situazione che nella strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata si chiama fase dell’equilibrio strategico, del doppio potere. Quale sarebbe stato il nuovo ordinamento politico e sociale del paese?

 

2. In proposito vedere L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo, di Umberto C. in La Voce n. 10 (http://www.nuovopci.it). È da ricordare che il PCUS, per bocca di Zdanov, alla fine del 1947 criticò fermamente la linea seguita dal PCI e dal PCF nei rispettivi paesi, per aver liquidato le conquiste della Resistenza.

 

 

Il PCI, la Costituente e la Costituzione di compromesso

In questa nuova situazione ebbero un ruolo decisivo i limiti del PCI, che erano anche i limiti con cui il vecchio movimento comunista concepiva la rivoluzione nei paesi imperialisti.(2) Il PCI accettò di fare della Costituente e della redazione della Costituzione il terreno principale dello scontro per regolare i conti tra le classi oppresse e le vecchie classi dominanti. Anziché guidare le masse popolari a instaurare un nuovo ordinamento sociale conforme alle loro aspirazioni e ai loro interessi, il Partito le indusse ad aspettare che la Costituente decidesse quale doveva essere l’ordinamento sociale migliore. Questo passo era già un sostanziale e fatale cedimento alle vecchie classi dominanti. I capi del Partito abbandonarono la costruzione del nuovo ordinamento sociale e si spostarono sul palcoscenico della Costituente, untuoso e inquadrato nel cerimoniale di corte, a recitare il dramma dello scontro tra le concezioni del mondo delle due classi. Anziché contribuire alla trasformazione del mondo, l’arte teatrale la sostituiva e soffocava. Il PCI perse così l’iniziativa e la direzione. La lotta tra le classi si spostava su un terreno dove le vecchie classi dominanti erano molto più forti: per la loro natura, per la forza della tradizione e per la presa che ancora mantenevano su una parte importante delle stesse masse popolari. Il Papa con la sua corte vaticana e la sua Chiesa infatti manteneva ancora in larga misura il controllo che nel corso della storia del nostro paese aveva assunto su gran parte dei contadini e su quasi l’intera componente femminile delle  masse popolari.(3) La Costituente e la redazione della Costituzione erano un terreno sul quale meno contavano il numero, l’organizzazione, le aspirazioni, lo slancio e l’iniziativa delle classi oppresse, il ruolo dei loro elementi più avanzati e le forze fino allora accumulate. Le classi dominanti al contrario usavano nella Costituente solo una piccola parte delle loro grandi tradizionali riserve di intellettuali. Con essa impegnarono in discussioni senza fine su quale sarebbe stato il mondo migliore una frazione importante dei pochi dirigenti del movimento popolare. Questi risultò così fortemente indebolito, privato di gran parte dei dirigenti che avrebbero potuto e dovuto mobilitare, organizzare le masse popolari e dirigerle a instaurare il nuovo ordinamento politico e sociale.

 

3. In proposito vedere Il futuro del Vaticano di Plinio M. in La Voce n. 23, pag. 13 e segg., in particolare le pagine 37 e 38 e pagina 46.

 

ResistenzaTuttavia la Costituzione approvata alla fine del 1947 fu ancora una Costituzione di compromesso: le vecchie classi dominanti sottoscrissero un patto in cui alcuni interessi delle classi oppresse erano messi nero su bianco come diritti riconosciuti che il nuovo Stato era impegnato a soddisfare. La Costituzione non si limitava a proclamare “la pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso (nel 1946 per la prima volta anche le donne erano state ammesse a votare), razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Questa proclamazione rientrava infatti grossomodo nella tradizione democratico-borghese. La Costituzione prescriveva l’obbligo per la Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Prescriveva il diritto di tutti ad avere un lavoro e il dovere della Repubblica di “rendere effettivo questo diritto”. Prescriveva il dovere per ogni cittadino di “svolgere, secondo le sue possibilità e le sue scelte, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Insomma nei principi fondamentali e nei diritti e doveri dei cittadini (rapporti civili, rapporti etico-sociali, rapporti economici, rapporti politici) enunciati dalla Costituzione, venivano indicati diritti e doveri che, se onestamente realizzati, erano incompatibili con il capitalismo e con i privilegi del Vaticano e di tutte le vecchie classi dominanti.

Le vecchie classi dominanti non avevano alcuna intenzione di realizzarli. Con la Costituzione esse non cedettero nulla del loro potere. Assunsero solo impegni da realizzare nel futuro. Accettarono che quei diritti e doveri venissero messi nero su bianco, perché la loro opposizione aperta avrebbe rafforzato il PCI e la parte più rivoluzionaria delle masse popolari: l’aspirazione a una vita migliore era forte anche tra le masse che le vecchie classi dominanti ancora egemonizzavano. I rapporti di forza consigliavano di dare qualche soddisfazione di facciata alle classi oppresse, con cui guadagnare tempo per rafforzare le proprie posizioni di forza fino a poter schiacciare i tentativi di realizzare le promesse scritte nella Costituzione.

Quanto ai portavoce delle classi oppresse, il PCI e in una certa misura il PSI, essi già avevano accettato di demandare il potere delle masse popolari alla Costituente e alle istituzioni che ne sarebbero derivate e avevano convinto buona parte dei loro seguaci ad accettare questa strada. Chi per ingenuità e incomprensione, chi per rassegnazione e sfiducia, chi per tradimento di una causa a cui fingeva di aderire, lasciarono che le cose andassero come andarono. Alcuni si illusero che imboscando le armi e mantenendo i collegamenti tra i membri delle formazioni partigiane salvavano l’essenziale dei risultati conseguiti con la Resistenza. Alla luce della coscienza di oggi, diremmo che le concezioni militariste sono dure a morire. Alcuni credevano che nel breve periodo si sarebbero create situazioni interne e internazionali di maggiore crisi e instabilità per le vecchie classi  dominanti.(4) Si illusero che la classe operaia e il resto delle masse popolari sarebbero quindi riuscite a guadagnare col tempo posizioni di forza più favorevoli. In un caso del genere sarebbe stato certamente possibile far leva anche sulla Costituzione per instaurare un ordinamento sociale conforme agli interessi delle classi oppresse. Le promesse e gli impegni iscritti nella Costituzione sarebbero diventati motivi ideali utili per mobilitare più largamente e più facilmente a favore delle trasformazioni economiche, culturali e politiche necessarie. In realtà negli anni successivi al 1947 la situazione internazionale e nazionale non offrì alcuna occasione importante di ripresa generale delle ostilità di classe. Anzi la ripresa dell’accumulazione del capitale e l’espansione dell’apparato produttivo consentirono alle vecchie classi dominanti di cedere ad alcune delle più pressanti e risolute rivendicazioni di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Esse riuscirono anzi ad usare questa concessioni per disgregare e corrompere le forze popolari e lo stesso PCI.

È un fatto che nel movimento comunista italiano la sinistra mancava di una strategia per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo. La destra (impersonata da Togliatti) aveva invece una concezione articolata, organica e sistematica (riforme di struttura, avanzata graduale e pacifica verso il socialismo, democrazia progressiva) che ben si accordava con via che le vecchie classi dominanti aprivano, via di restaurazione del loro potere. La destra cercava solo di ottenere compensazioni per le masse popolari in termini di miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro. In cambio si opponeva allo sfruttamento delle occasioni (attentato a Togliatti, ingresso nella NATO, ecc.) che offrivano qualche appiglio per la ripresa su grande scala delle ostilità delle classi oppresse contro le classi dominanti.

 

4. Sia i maggiori esponenti del movimento comunista (Stalin, Mao Tse-tung, ecc.), sia i maggiori esponenti del campo imperialista erano convinti che la guerra aveva prodotto una pausa nella terribile crisi economica e sociale degli anni ’30 e che questa crisi sarebbe ripresa a guerra finita. L’incomprensione delle crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale che caratterizzano l’epoca imperialista ebbe un peso rilevante nelle decisioni dei partiti del movimento comunista cosciente e organizzato. Sulla natura di queste crisi, vedasi il n. 17/18 della prima serie di Rapporti Sociali.

 

 

La Costituzione violata

Le parti della Costituzione che la borghesia era stata costretta ad inserire a causa dei rapporti di forza allora esistenti, non vennero mai attuate. Vennero attuate solo le trasformazioni che le lotte puntuali imposero e che le condizioni economiche generali dei decenni successivi alla guerra permettevano alla borghesia.

Non solo non venne dato alcuno sviluppo pratico ai principi e alle promesse generali sopra viste. Anche impegni più dettagliati e precisi o non sono stati affatto realizzati, o sono stati realizzati solo nel corso degli anni a fronte di lotte specifiche e tenaci: ad es. l’abolizione delle restrizioni all’eguaglianza civile delle donne (la parità di uomini e donne nei diritti all’eredità, l’abolizione del delitto d’onore, il diritto a divorziare, il diritto all’assistenza in caso di aborto, ecc.), il diritto a cambiare residenza, il diritto al passaporto per andare all’estero, il diritto allo studio, il servizio sanitario nazionale, lo Statuto dei lavoratori, ecc. Altri (ad es. le Regioni a statuto ordinario che l’art. VIII delle Disposizioni transitorie prescriveva fossero attuate entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione) sono stati realizzati solo negli anni ’70 quando furono create le condizioni perché non minacciassero più il potere delle vecchie classi dominanti. Altri (ad es. la limitazione dei diritti e degli arbitri individuali dei grandi capitalisti e dei proprietari fondiari nell’esercizio del diritto di proprietà, il diritto al lavoro, il diritto ai beni minimi necessari alla sussistenza, ecc.) sono stati realizzati in modo monco e distorto, aggirando la Costituzione, dando interpretazioni di comodo della lettera della Costituzione, violando lo spirito della Costituzione.

 Inoltre dalla fine degli anni ’70 la borghesia imperialista – tutta, non solo Berlusconi e la sua banda, ma anche il circo Prodi - sta cancellando uno a uno, a pezzi e a mozziconi (“programma comune” della borghesia imperialista) quei diritti democratici passati dalla carta costituzionale alla realtà. È il programma enunciato già negli anni ‘70 quegli da Giorgio Benvenuto (segretario generale della UIL): “I lavoratori devono rendere ai padroni una parte di quello che hanno strappato”. Impegni e diritti iscritti nella Costituzione, che erano stati in parte realizzati (ad es. il diritto allo studio, i diritti dei lavoratori sul luogo di lavoro, il diritto alla salute, i servizi pubblici, ecc.) sono sottoposti a limitazioni o addirittura cancellati.

Mi limito a ricordare i casi in cui la Costituzione è stata più chiaramente e più a lungo violata o lo è tuttora o lo è nuovamente. L’astensione dal ricorso alla guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11), l’accettazione delle limitazioni della sovranità solo in condizioni di parità con gli altri Stati (art. 11), l’inviolabilità della persona e del domicilio (art. 13 e 14), la libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15), la libertà di cambiare residenza e la libertà di espatriare (art. 16), l’esenzione della stampa da autorizzazioni e censure (art. 21), la tutela della salute come diritto fondamentale del cittadino (art. 32), l’esenzione di oneri per lo Stato per le scuole cattoliche (art. 33), il diritto all’istruzione (art. 34), la tutela dei lavoratori (art. 35), il diritto ad un salario “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36), la parità salariale delle donne con gli uomini a parità di lavoro (art. 37), il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per chi è sprovvisto dei mezzi necessari (art. 38), la libertà di organizzazione sindacale (art. 39) e la libertà di sciopero (art. 40), i limiti fissati per l’iniziativa economica individuale e privata e per la proprietà privata perché non contrastino con la sicurezza, la libertà e la dignità umana e siano indirizzate al benessere sociale e accessibili a tutti (art. 41 e 42), la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche pubbliche (art. 51), il dovere universale al servizio militare (art. 52), il carattere democratico delle Forze Armate (art. 52), la partecipazione alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53) che esclude le imposte indirette (IVA, ecc.).

Enrico Berlinguer ad un certo punto della sua sciagurata carriera di liquidatore del vecchio PCI dichiarò che l’Italia era il paese più democratico del mondo e che la Costituzione italiana era la costituzione più avanzata del mondo. In realtà si trattava di demagogia nazionalista e di un imbroglio. Cose analoghe a quelle successe a proposito della Costituzione in Italia, sono successe anche in paesi come la Francia, il Belgio, la Germania e altri che hanno dovuto affrontare problemi analoghi. La Costituzione della repubblica francese, approvata nell’ottobre 1946, andava molto più in là della Costituzione della repubblica italiana. Introduceva apertamente il diritto e il dovere del lavoro per ogni cittadino, sanciva il diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende, stabiliva la nazionalizzazione di ogni servizio pubblico e di ogni monopolio, il diritto universale all’istruzione, alla assistenza sanitaria, alla sicurezza economica, al riposo, ecc. Addirittura sanciva per l’eternità il divieto di usare le Forze Armate della repubblica contro la libertà di altri popoli. Tutti principi trascritti anche nella nuova Costituzione approvata nell’ottobre 1958, dopo il colpo di Stato di De Gaulle, in piena guerra d’Algeria. Tanto disinvolta è diventata la borghesia imperialista nell’uso delle parole e delle costituzioni! Il regresso in corso negli ultimi 30 anni in ogni paese europeo (le privatizzazioni dei servizi pubblici e delle imprese pubbliche, le restrizioni dei diritti civili e politici degli individui e delle loro associazioni, le restrizioni in tema di assistenza sanitaria, istruzione pubblica, previdenza, sicurezza sociale, regolamentazione dello sciopero, imposte indirette, libertà individuali, ecc.) non ha richiesto la modifica della costituzione né in Francia, né in altri paesi.

 

 L’Italia diventa uno Stato Pontificio di tipo nuovo

Le intenzioni delle vecchie classi dominanti e i cedimenti o ingenuità del PCI e del resto delle forze popolari erano già chiaramente visibili nel testo della Costituzione, se si considerava l’assetto politico che essa contemplava. Essa proclamava, come ogni costituzione democratico-borghese, che “la sovranità appartiene al popolo”, ma confermava o introduceva ordinamenti che in realtà facevano del nuovo Stato una monarchia costituzionale dai tratti singolari. Monarchia costituzionale significa che il re e la sua corte mantengono il potere ma esso è limitato dalle istituzioni e nei modi indicati dalla costituzione. Ora, in Italia ufficialmente il re non c’era più. In realtà c’era, ma non se ne doveva fare il nome perché, data la sua natura, non se ne poteva circoscrivere chiaramente il potere. La storica questione politica della penisola – non potersi unificare senza eliminare il Papato e non potersi unificare sotto il Papato – trovava una nuova soluzione “creativa”. La borghesia italiana usciva dal fascismo ancora più indebolita e impaurita dall’iniziativa delle masse popolari raccolte attorno al PCI. Il Papa e la sua corte avrebbero esercitato di fatto la sovranità di ultima istanza sul paese, senza portarne però alcuna responsabilità ufficiale.(5) Fare senza dire, eludere e aggirare le leggi, essere al di sopra delle leggi, fare taciti compromessi tra la propria natura divina e gli interessi terreni, era stata la regola con cui dopo il 1870 il Papato aveva salvaguardato e rinnovato il suo ruolo nella penisola dopo l’instaurazione del regno d’Italia con Roma capitale. Questa regola divenne l’insegna del regime DC. Con la Costituzione vennero confermati al Papa (con la sua corte vaticana, la sua Chiesa e il suo clero) la sovranità, le immunità, le esenzioni, i privilegi, i monopoli, le proprietà, gli appannaggi e le sovvenzioni, i diritti sul territorio e sulla popolazione italiana con cui il fascismo aveva pagato il loro appoggio al regime. Il regime a sovranità popolare limitata previsto dalla Costituzione accrebbe anzi il ruolo del Papa e della sua corte e ridusse in proporzione il ruolo delle istituzioni laiche. Trasformò così l’Italia in uno Stato Pontificio di tipo nuovo, adattato ai tempi.

Ruini

 

5. Perfino uno storico borghese clericale come Arturo Carlo Jemolo riconosce non nominalmente, ma nella sostanza questa tesi nel capitolo 8 (Diciotto anni di repubblica) del suo scritto Chiesa e Stato in Italia dall’unificazione a Giovanni XXIII, Einaudi 1965.

 

6. La conferma più esauriente del potere di indirizzo e di controllo del Papa e della sua corte sul governo italiano la si trova nelle biografie di Alcide De Gasperi, capo del governo dalla fine del 1945 al 1953 e nelle memorie sull’attività dei suoi governi, anche in quelle scritte dai più devoti cattolici.

 

“La Chiesa non si impegna direttamente in politica”. Vale a dire che essa interviene indirettamente. Essa non governa, ma stabilisce gli indirizzi dell’attività governativa. Impone al governo i limiti che a suo giudizio ritiene insuperabili, ma non risponde dei risultati pratici dell’azione del governo. Interviene sui dirigenti politici e sui governi con la persuasione (moral suasion), comandando (ai dirigenti governativi come ad ogni altro cattolico la Chiesa chiede obbedienza sulle questioni che essa ritiene importanti), con le pressioni morali, con ricatti di vario genere, manovrando individui, gruppi sociali e pacchetti di voti (voto di scambio).(6) Essa si comporta come le moderne monarchie costituzionali (britannica, belga, olandese, scandinave), con due tratti specifici: 1. il potere del monarca e della sua corte non è inquadrato istituzionalmente: certo il loro potere non è assoluto, ma è lasciato alla loro valutazione delle opportunità; 2. il monarca e la sua corte dispongono di una loro propria rete di organismi e di funzionari, parallela a quella dello Stato e diffusa in tutto il paese. Alla popolazione la Costituzione lasciava il diritto di scegliere periodicamente con le elezioni quale dei partiti doveva assumere il governo. Ma furono ammessi a governare solo i partiti ritenuti leali verso l’ordine costituito, i suoi privilegi e monopoli economici e culturali (i “partiti di governo”). I partiti ostili al regime vennero sottoposti a limiti e controlli. Ogni controllo diretto della popolazione sull’operato delle istituzioni e dei suoi eletti era escluso. Le  Forze Armate, la Polizia, i Carabinieri, le Guardie di Finanza, ecc. restavano centralizzate e sottoposte unicamente al governo centrale. L’amministrazione della giustizia era riservata ai magistrati di carriera. Le autonomie locali, pur proclamate, non vennero attuate che trent’anni dopo l’approvazione della Costituzione e comunque sottoposte al controllo e alla tutela del governo centrale. I prefetti a livello provinciale, i segretari comunali a livello comunale, ecc. sopravvissero alla Costituzione e mantennero i vecchi poteri del periodo monarchico, benché simili istituzioni nella Costituzione non figurassero neanche (parlarne nel 1946 e 1947 avrebbe sollevato un vespaio). Persino nei consigli di amministrazione delle opere pie e degli istituti di cultura vennero anzi sistematicamente ridotti i membri di nomina elettiva (da parte degli enti locali) rispetto a quelli di nomina governativa e di origine ecclesiastica. L’attività assistenziale fu sistematicamente sempre più riservata agli organi ecclesiastici. L’amministrazione della giustizia, i piani regolatori, i regolamenti edilizi, la gestione del territorio, la politica e i regolamenti fiscali, la pubblica amministrazione furono sistematicamente sottoposti al beneplacito delle autorità ecclesiastiche. La finanza cattolica estese sempre più il suo raggio d’azione. In breve: restaurazione dell’ordinamento sociale capitalista e monarchia costituzionale non dichiarata e irresponsabile.

 

Da destra a sinistra un solo grido: Riformare la Costituzione

Da dove nascono e in che senso vanno le ripetute iniziative per modificare la Costituzione italiana?

CalderoliSono venute meno le condizioni economiche e politiche, interne e internazionali che hanno permesso che la monarchia occulta e irresponsabile del Vaticano funzionasse efficacemente. La crisi generale del capitalismo colpisce la borghesia italiana con particolare gravità: declino della forza del Vaticano (del Papa e della sua corte), perdita di egemonia della Chiesa e dell’intera borghesia sulle masse popolari, disaffezione delle masse popolari dalla politica borghese, contrasti crescenti tra gruppi imperialisti, caduta della coesione sociale e tendenze a risolvere privatamente (a livello d’individuo, di gruppo, di regione, di gruppo regionale) i problemi che la crisi generale del capitalismo crea. Il regime che ha funzionato per circa mezzo secolo, funziona sempre peggio. Lo Stato Pontificio di tipo nuovo instaurato alla fine degli anni ’40 è in agonia. Ogni gruppo della borghesia imperialista cerca di rafforzare la propria posizione di forza anche attraverso la riforma della Costituzione. La confusione nelle proposte proviene principalmente dal fatto che i contrapposti schieramenti sono ancora confusi e fragili. Grazie ai limiti che il vecchio movimento comunista non aveva ancora sorpassato, la borghesia è riuscita ad impedire che nei paesi imperialisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria le masse popolari assurgessero alla capacità di governarsi (ossia che la popolazione diventasse in massa capace di un’attività e di una morale superiori), ma per riuscirci ha dovuto spingerle in una direzione che rende sempre più difficile alla borghesia stessa governarle alla vecchia maniera.(7)

 

7. Nei paesi imperialisti, nel corso del XX secolo il movimento comunista ha strappato alla borghesia una riduzione importante dell’orario di lavoro: grossomodo dalle 12 – 18 ore giornaliere di inizio secolo alle 40 ore settimanali più ferie. Molteplici trasformazioni (dalle lavatrici, alla ristorazione, al prêt-à-porter, all’uso diffuso di macchine utensili e operatrici, all’uso domestico del gas e dell’elettricità, ecc.) hanno enormemente ridotto il tempo che la massa della popolazione doveva dedicare alle attività elementari del vivere (nutrimento, riscaldamento, vestiti, abitazione, igiene personale). Storicamente è la premessa perché i lavoratori accedano in massa alle attività più tipicamente umane, ossia alle attività della conoscenza e della creazione e a una morale superiore. Lo poteva essere anche praticamente, empiricamente, se la prima ondata della rivoluzione proletaria fosse arrivata ad instaurare il socialismo anche nei paesi imperialisti. Ma il movimento di emancipazione delle masse popolari dal tradizionale millenario stato servile si sviluppa gradualmente e sulla base dell’esperienza, superando gli ostacoli interni ed esterni che incontra. La borghesia ha tratto il suo vantaggio da questo. Operando in parte consapevolmente e in parte spontaneamente, per tenere le masse popolari dei paesi imperialisti lontano dalle attività specificamente umane ha riempito il loro “tempo libero” con l’estensione delle attività tipicamente animali: mangiare, bere, far sesso, riposarsi, oziare, svagarsi. Ha moltiplicato per le masse popolari le attività d’evasione e di divagazione e ha  dato alla fantasia campi di applicazione avulsi dalla trasformazione della realtà. Nonostante il grande innalzamento del livello di coscienza e di organizzazione generato nelle masse popolari durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, anche nei paesi imperialisti per le masse popolari le attività tipicamente umane sono rimaste un fatto elitario: raggiungerle continua a richiedere un eccezionale sforzo individuale, cosa che mostra tutta la sua importanza nella costruzione del partito comunista, determinandone i tempi. La borghesia è così riuscita a rallentare (e in qualche misura anche a far regredire) il processo di emancipazione delle classi sfruttate e dei popoli oppressi e ad impedire che trasformassero il mondo secondo le potenzialità materiali ed intellettuali che l’umanità oramai possiede. Ma in questo modo ha anche accresciuto il contrasto tra le attitudini, la condotta, i comportamenti e le abitudini degli individui (dai comportamenti e abitudini ecologicamente compatibili, alle condizioni sanitarie, al ruolo nella produzione) e il ruolo che ad essi è richiesto perché la società moderna possa in qualche modo funzionare, riprodursi e svilupparsi. La devastazione dell’ambiente, l’inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua, le malattie fisiche e mentali, i conflitti tra popoli e Stati, ecc. pongono problemi di fronte ai quali la borghesia è ridotta a lanciare allarmi terroristici e gridare alla sovrappopolazione del pianeta. Non potendo tollerare che le masse popolari assurgessero a una nuova vita caratterizzata da una disciplina consapevole e autogestita, essa si trova quindi ora di fronte all’ardua impresa di imporre loro una disciplina ancora del vecchio tipo servile, ma nelle nuove ben diverse condizioni. Berlinguer e altri revisionisti tristi ne erano ben consapevoli: austerità, rigore, ecc. sono diventate le loro parole d’ordine, avendo rinnegato le parole d’ordine dell’emancipazione, della rivoluzione, del socialismo e della formazione dell’“uomo nuovo”. Per la borghesia questa difficoltà si combina con le difficoltà che deve affrontare per far fronte alla crescente resistenza che le masse popolari di tutti i paesi oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo e alla guerra di sterminio non dichiarata e per far fronte all’attività rivoluzionaria che è la parte più avanzata, per coscienza e per organizzazione, di quella resistenza. Sugli aspetti della realtà illustrati in questa nota, si rimanda anche al n. 0 di Rapporti Sociali della prima serie (Don Chisciotte), pagg. 16 e 17.

 

Alla crisi politica gli esponenti della classe dominante e i suoi portavoce tentano di trovare una soluzione concentrando i poteri nelle mani dell’esecutivo e i poteri dell’esecutivo nelle mani di un individuo, di sottrarre le istituzioni alle assemblee elettive e alle elezioni che a loro volta sono ridotte ad esercitazioni demagogiche e pubblicitarie in cui il fattore decisivo della vittoria è il denaro. Le misure che delegano poteri agli enti locali (regioni, province, comuni, ecc.) sono tutte accompagnate da misure che rafforzano i poteri di governatori, presidenti e sindaci e indeboliscono i poteri delle assemblee elettive. Questa è la sostanza di tutte le proposte di “riforma della Costituzione”, che vengano da Gelli, da Berlusconi o da D’Alema.

Dal punto di vista del proletariato il compito realistico che si pone oggi non è trovare una buona riforma dell’attuale Costituzione, né “la Costituzione non si tocca”, né “attuazione della Costituzione”. Il compito realistico è instaurare un nuovo ordinamento sociale del paese. Le cose buone scritte nella Costituzione del 1947 e non attuate che in scarsa misura (e ora via via rimangiate) possono essere riprese e attuate nell’ambito (e solo nell’ambito: la realtà lo ha dimostrato) della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e quindi della rinascita del movimento comunista.

Marco Martinengo

 

 

Frone Popolare per la Ricostruzione del Partito Comunista

 

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