Contro la privatizzazione - Per il socialismo

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

L’ente nazionale che eroga energia elettrica in Francia è l’EDF. Si tratta di un organismo molto più grande dell’ENEL italiano, che vende energia alla Spagna e ad altre nazioni europee. Lo Stato intende privatizzarlo. I lavoratori hanno intrapreso un'opposizione dura contro il progetto di privatizzazione, che prevede tra l’altro forme di lotta nuove: con azioni clandestine i lavoratori tagliano l’energia alle case dei ricchi e riallacciano la corrente nelle abitazioni dei più poveri, dove l’Ente l’aveva tolta. La CGT, il maggior sindacato francese, e il Partito comunista francese hanno sostenuto queste forme di lotta, però riducendole a forme di resistenza di tipo sindacale, a una questione che riguarda le organizzazioni padronali e i lavoratori, e non tutta la società, senza comprendere, quindi, che i lavoratori stanno conducendo una battaglia di civiltà. La Delegazione della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano interviene sulla questione, e noi pubblichiamo questo testo per l’attinenza in generale con la rubrica che abbiamo avviato sulla storia dei paesi socialisti e in particolare con l’argomento trattato nell’articolo precedente.

 

I lavoratori dell’EDF grazie all’istinto di classe che la loro specifica posizione rende particolarmente sensibile, con le forme “estreme” della loro lotta pongono in luce un problema politico importante. Contemporaneamente mostrano però che le organizzazioni politiche, anche quelle che si dicono comuniste e sono animate dalle migliori intenzioni di rivoluzionare la società attuale, salvo rare eccezioni trascurano questo problema. Quindi mettono in luce una carenza del movimento comunista a cui dobbiamo porre rimedio.

Assieme all’eliminazione o riduzione dei diritti dei lavoratori nella società e in particolare sul posto di lavoro, alla riduzione dei salari reali e della percentuale del reddito nazionale corrispondente ai salari, alla ricolonizzazione dei paesi oppressi e alla finanziarizzazione dell’attività economica, la privatizzazione dei servizi pubblici è, da trent’anni a questa parte una delle grandi manifestazioni universali della nuova crisi generale del capitalismo e del declino che il movimento comunista ha subito sotto la direzione dei revisionisti moderni.

La privatizzazione dei servizi pubblici non è principalmente un problema sindacale. Essa riguarda la natura dell’intera società, cambia il complesso dei rapporti sociali. È quindi un problema ideologico e politico. Trattarlo come un problema principalmente sindacale concretamente è rinunciare da subito alla lotta per il comunismo, aprire la strada a una maggiore demoralizzazione, a un ulteriore indebolimento politico dei lavoratori, alla vittoria della borghesia e della destra che è l’espressione politica più corrispondente alla sua natura e ai suoi interessi.

I servizi pubblici (l’istruzione, la ricerca, spostarsi, comunicare, la salute, la cultura, il divertimento, ecc.) sono una componente materiale importante e indispensabile della qualità della vita. Privatizzare i servizi pubblici vuol dire cancellare o comunque ridurre la responsabilità diretta dello Stato e della Pubblica Amministrazione, del governo, delle istituzioni sociali a proposito dei servizi pubblici: che siano di buona qualità, che siano disponibili secondo i bisogni e senza discriminazione di classe, di nazionalità, di razza, di sesso, di istruzione, che siano forniti gratuitamente o almeno a un prezzo largamente accessibile. Con la privatizzazione i servizi pubblici diventano merci, sono prodotti e forniti come merci. La loro produzione, la loro qualità, la loro disponibilità e il loro prezzo non sono più un affare politico. Diventano un campo soggetto all’azione delle “leggi naturali dell’economia”, cioè alle leggi della valorizzazione del capitale. Ci sono e sono forniti dove, come e quando servono a valorizzare il capitale.

I servizi pubblici non sono “salario indiretto”, “salario differito”, ecc. Concepisce i servizi pubblici in questa maniera la borghesia e chi ha una concezione privatistica, individualistica, borghese della società. Chi riduce i servizi pubblici a salario individuale sia pure “di tipo particolare”, concepisce il nuovo (il comunismo che avanza) secondo le categorie  del vecchio (il capitalismo). Interpreta il nuovo con la mentalità del vecchio. Estende l’ombra del vecchio mondo morente sul nuovo mondo che nasce. È come chiamare e considerare rughe le pieghe della pelle di un bambino. Anziché considerare il vecchio alla luce del nuovo, seguire l’evoluzione storica, usare la comprensione dell’organismo superiore per comprendere l’organismo inferiore, le potenzialità che in esso erano presenti, ma erano difficilmente visibili a chi lo studiava. Chi vuole capire il movimento in corso, il movimento della civiltà umana deve vedere il passato alla luce del nuovo, per comprendere e distinguere ciò che in esso era caduco, morente, transitorio o accidentale da ciò che in esso era in germe, nascente, vitale, sostanziale.

I servizi pubblici sono l’indizio e la manifestazione della nuova società che sta nascendo. Della società in cui ogni individuo per il fatto stesso di esistere, di essere membro della società, usufruisce delle ricchezze e delle funzioni della società secondo le sue capacità e particolarità individuali e lo sviluppo delle sue facoltà (dei suoi bisogni). I servizi pubblici sono la creazione pratica del livello superiore di legame sociale, della società più ricca di relazioni e di funzioni, che è il risultato dello sviluppo della civiltà e della natura stessa degli uomini e delle donne. Sono un passo sulla strada verso il comunismo.

Le argomentazioni di tipo finanziario, economico e gestionale che la borghesia diffonde tra le masse popolari per giustificare e far accettare la privatizzazione dei servizi pubblici sono vere dal punto di vista degli interessi della borghesia, nel quadro del suo sistema sociale. Cercare di confutarle restando nel quadro dell’ordinamento sociale borghese e sulla base degli interessi della borghesia (come fa la sinistra borghese) è arrampicarsi sugli specchi. È cercare di dimostrare che nel suo complesso, da decenni e in tutti i paesi la borghesia starebbe operando contro la sua natura! Che le privatizzazioni non risolvano la crisi generale del capitalismo, è vero. Che aprano nuove contraddizioni, anche questo è vero. Che caricando le masse popolari di nuove spese, riducano il loro potere d’acquisto, è vero. Ma esse sono nondimeno una necessità per la borghesia: allargano le possibilità di investimenti, affari e speculazioni. Tutto ciò vuole solo dire che la borghesia ha necessità contraddittorie, che si escludono e la cui soddisfazione produce effetti che si elidono tra loro. Ma ciò è solo la conferma che il suo ordinamento sociale oramai non è più adatto a inquadrare l’attività degli uomini e la loro vita sociale. È però sciocco negare un bisogno reale della borghesia in nome di un bisogno altrettanto reale ma contrario. È invece vero che quelle motivazioni sono sbagliate e inconsistenti dal punto di vista degli interessi delle masse popolari. Il contrasto tra i due punti di vista è la manifestazione dell’antagonismo inconciliabile degli interessi, del contrasto tra classi antagoniste.

La borghesia stessa implicitamente è costretta a riconoscere che la riduzione dei servizi pubblici a merci pone gravi e nuovi problemi. Dove si manifesta questo riconoscimento? Ad esempio nella limitazione dei diritti (di sciopero, di pausa, di riposo notturno e festivo, ecc.) dei lavoratori addetti ai servizi pubblici in nome dei “diritti del pubblico”, dei “diritti degli utenti”. Ma la stessa borghesia per i suoi interessi subordina i “diritti del pubblico”, i “diritti degli utenti” all’esigenza che ha il capitale di tirare da ogni attività il massimo profitto. L’impiegato non deve scioperare perché la posta, il trasporto e la fornitura di energia elettrica sono un diritto del pubblico. Ma il capitalista può eliminare l’ufficio postale, sopprimere la linea ferroviaria e tagliare la fornitura di energia elettrica se non ricava profitti adeguati.

Certamente la privatizzazione dei servizi pubblici peggiora - nel complesso se non in tutti i dettagli, a termine se non immediatamente - la condizione economica e civile dei lavoratori addetti. Quindi la privatizzazione dei servizi pubblici è anche una questione sindacale. I lavoratori dei servizi pubblici si mobilitano facilmente e su grande scala contro la privatizzazione. Ma trattare la lotta contro la privatizzazione dei servizi pubblici come una questione sindacale è già accettare la privatizzazione, ridurla al suo aspetto puramente difensivo e privato (corporativo, particolare), ridurre una conquista universale (valida per tutti - di interesse generale) di civiltà, a una questione privata: a una questione relativa al salario e alle condizioni di lavoro e sul luogo di lavoro dei soli lavoratori addetti. Questa riduzione è tanto contraria alla realtà, che anche i suoi fautori la mascherano: appiccicano “l’interesse degli utenti” come foglia di fico  dell’interesse privato degli addetti. Ma è una foglia di fico di dubbia efficacia visto il degrado introdotto nei servizi pubblici (intenzionalmente o spontaneamente) dalla classe che li dirige. Ovviamente, perché è la stessa che ha interesse a privatizzarli. È la stessa classe che li ha creati solo sotto la pressione delle masse popolari, del movimento comunista, durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. È la stessa classe che, anche quando non persegue consapevolmente e volutamente il loro degrado per giustificare la privatizzazione, è spinta a trascurarli dalla sua stessa natura, dai suoi istinti, dai suoi gusti, dalle sue abitudini per cui solo quello che dà guadagno merita la mobilitazione degli sforzi dell’individuo, dalla sua mentalità e dai suoi interessi. Essa concepisce come motore dell’attività dell’individuo solo l’arricchimento individuale, il profitto del proprio capitale.

Noi comunisti dobbiamo assumere in prima persona la lotta contro la privatizzazione dei servizi pubblici, come parte della nostra lotta per mobilitare le masse popolari a instaurare il socialismo.

Lottare contro la privatizzazione dei servizi pubblici e contro la gestione manageriale (aziendalistica) di quanto è già pubblico. Trasporti, acquedotti, telefoni, reti di comunicazione, energia elettrica, gas, posta, nettezza urbana, fogne, cura e protezione del territorio, dei fiumi, delle strade, delle ferrovie e delle foreste, protezione civile, ricerca scientifica, scuola e istruzione pubblica, asili-nido, cultura (biblioteche, musei, spettacoli, ecc.), ospedali, servizi sanitari e igiene (prevenzione, diagnosi, terapia, riabilitazione), edilizia, ecc. devono restare o diventare servizi pubblici, gestiti dalle pubbliche autorità, nell’interesse della società. Non devono diventare campo di investimento e valorizzazione del capitale.

La lotta contro la privatizzazione, per estendere i servizi pubblici, migliorarli, renderli universalmente disponibili e il più possibile gratuiti è una questione di lotta di classe, quindi è una questione politica.

 

Delegazione della CP (Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano)

 

****Manchette

Repressione

Bisogna rendere onerosa politicamente per la borghesia la repressione dei comunisti, dei lavoratori d’avanguardia, delle masse popolari. La borghesia non può usare le sue forze preponderanti nella repressione delle forze rivoluzionarie, perché se lo facesse perderebbe consenso tra le masse popolari. L’appoggio delle masse popolari è la nostra forza nello scontro con la borghesia. Quanto più siamo legati alle masse popolari, tanto più difficile è per la borghesia colpirci. Il nostro punto debole attualmente non è la forza della borghesia. È il nostro legame con le masse popolari che è debole. Bisogna rendere difficile la repressione rendendo ogni atto di repressione fonte di distacco tra la borghesia e le masse popolari e quindi anche fonte di contrasti nella classe dominante. Bisogna rafforzare il nostro legame con le masse popolari.

La repressione non è una partita che si gioca tra i comunisti, i lavoratori d’avanguardia e gli altri rivoluzionari da una parte e la borghesia dall’altra. Esistono sempre le masse popolari. Sono esse il fattore decisivo. La conquista delle masse popolari è la suprema posta in gioco in ogni scontro politico. Le masse popolari fanno la storia.

 

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