Internazionale Comunista - II Congresso, agosto 1920
Tesi sull’attività parlamentare

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

1. La nuova epoca e il nuovo ruolo dell’attività parlamentare

 

All’origine, all’epoca della Prima Internazionale [1864-1874], la posizione dei partiti socialisti verso l’attività parlamentare era quella di sfruttare i parlamenti borghesi per fare agitazione. La partecipazione al parlamento era considerata un mezzo per sviluppare la coscienza di classe, cioè per rafforzare nel proletariato l’odio di classe contro la classe dominante. Questo atteggiamento si modificò sotto l’influenza non di una teoria, ma dell’evoluzione politica. Grazie all’aumento incessante delle forze produttive e all’espansione del campo dello sfruttamento capitalista, il capitalismo e con esso gli Stati parlamentari diventarono sempre più stabili.

Una conseguenza di questo fu che i partiti socialisti adattarono la loro tattica parlamentare al lavoro legislativo “costruttivo” svolto dai parlamenti borghesi. L’effetto fu l’importanza crescente della lotta per le riforme nel quadro del capitalismo, la preminenza del programma minimo della socialdemocrazia, la trasformazione del programma massimo in una piattaforma destinata alle discussioni su uno “scopo finale” molto remoto. Su questa base (e siamo nell’epoca della Seconda Internazionale [1889-1914]) si svilupparono i fenomeni del carrierismo parlamentare, della corruzione, del tradimento aperto o nascosto degli interessi fondamentali della classe operaia.

La posizione della Terza Internazionale [o Internazionale Comunista] verso l’attività parlamentare non è determinata da una nuova teoria, ma dal mutamento avvenuto nel ruolo del parlamento stesso. Nell’epoca passata, il parlamento, come strumento del capitalismo in ascesa, ha svolto, in una certa misura, un’opera storicamente progressista. Nelle condizioni attuali, caratterizzate dallo scatenamento dell’imperialismo, il parlamento si è invece trasformato in uno dei tanti strumenti di menzogna, di inganno, di violenza, di oppressione, di atti di pirateria, di manovre imperialiste. Le riforme parlamentari, prive di ogni sistematicità e organicità e concepite del tutto al di fuori di un piano d’insieme, hanno perso ogni importanza pratica per le masse lavoratrici.

L’attività dei parlamenti ha perso le basi della sua stabilità, alla pari dell’intera società borghese. Il passaggio da un’epoca costruttiva a un’epoca critica crea le basi per la nuova tattica del proletariato in campo parlamentare. Proprio per questo il partito operaio russo (bolscevico) ha elaborato il nocciolo essenziale dell’attività parlamentare rivoluzionaria già nel periodo precedente: perché, fin dal 1905, la Russia aveva perso il suo equilibrio politico e sociale ed era entrata in un periodo di tempeste e di sovvertimenti.

Quando i socialisti che si orientano verso il comunismo osservano che nei loro paesi l’ora della rivoluzione non è ancora suonata e rifiutano di scindersi dai parlamentari opportunisti, in definitiva essi partono da una valutazione dell’epoca che ci sta dinnanzi come di una epoca di relativa stabilità della società imperialista. Per questo preciso motivo pensano che una coalizione con i Turati e i Longuet può dare risultati pratici in termini di lotta per le riforme.

Il movimento comunista deve partire dallo studio teorico dell’epoca attuale (apogeo del capitalismo, tendenza dell’imperialismo alla sua propria negazione e distruzione, aggravamento continuo delle guerre civili, ecc.). Nelle forme i rapporti e i raggruppamenti politici possono essere diversi da paese a paese, ma la sostanza è la stessa dappertutto: il nostro compito è ovunque la preparazione diretta, politica e tecnica dell’insurrezione del proletariato che deve distruggere il potere borghese e instaurare il nuovo potere proletario.

Nella fase attuale, per i comunisti, il parlamento non può essere in nessun caso uno strumento della lotta per le riforme e per il miglioramento della situazione della classe operaia, come lo è stato in certi momenti del periodo passato. Il centro  di gravità della vita politica si è oggi totalmente e definitivamente spostato fuori dalle mura del parlamento. D’altro lato la borghesia, sia a causa dei suoi rapporti con le masse lavoratrici sia a causa del complicato gioco di reciproche relazioni tra i gruppi borghesi, è costretta a far approvare in un modo o nell’altro alcune delle sue azioni in parlamento dove le diverse cricche si contendono il potere, mostrano i loro lati forti e i loro punti deboli, si smascherano, ecc.

Il compito storico immediato della classe operaia è perciò di strappare questi apparati dalle mani delle classi dominanti, di spezzarli, distruggerli e sostituirli con i nuovi organi del potere proletario. Nello stesso tempo, lo stato maggiore rivoluzionario della classe operaia ha molto interesse ad avere negli istituti parlamentari della borghesia dei suoi portavoce che facilitino la sua opera di distruzione. Ne risulta con grande chiarezza la differenza fondamentale fra la tattica dei comunisti, che entrano nel parlamento a scopi rivoluzionari e la tattica dei parlamentari socialisti, che partono dal presupposto della relativa stabilità, della durata indefinita del regime attuale. Questi si pongono il compito di ottenere a ogni costo delle riforme. Sono interessati al fatto che ogni conquista venga considerata dalle masse come un risultato dell’attività parlamentare dei socialisti (Turati, Longuet & C).

Alla vecchia attività parlamentare tesa a trovare accordi subentra la nuova attività parlamentare intesa come uno dei mezzi per la distruzione dell’intero sistema parlamentare. Tuttavia le ignobili tradizioni della vecchia tattica parlamentare spingono alcuni elementi rivoluzionari nel campo degli avversari di principio del lavoro nei parlamenti: come gli International Workers of the World - IWW (USA), i sindacalisti rivoluzionari, il Partito operaio comunista tedesco - KAPD.

Il secondo congresso dell’Internazionale Comunista formula perciò le seguenti tesi.

 

 

2. Il comunismo, la lotta per la dittatura del proletariato e l’utilizzo dei parlamenti borghesi

 

Capitolo 1.

 

1. Il parlamentarismo come forma statale è diventato la forma “democratica” del dominio della borghesia, la quale a un certo stadio di sviluppo ha bisogno di una finzione di rappresentanza popolare che in apparenza esprime la “volontà del popolo” invece di quella delle classi, ma che in realtà è una macchina di coercizione e oppressione in mano al capitale imperante.

 

2. Il parlamentarismo è una determinata forma di ordinamento dello Stato. Non può quindi essere la forma della società comunista, che non conosce né classi, né lotta di classe, né alcun genere di potere statale.

 

3. Il parlamentarismo non può nemmeno essere la forma della direzione “proletaria” nel periodo di passaggio dalla dittatura della borghesia alla dittatura del proletariato. Nel momento di massima asprezza della lotta di classe, quando questa diventa guerra civile, il proletariato deve per forza di cose costruire la propria organizzazione dirigente come un’organizzazione di combattimento nella quale non sono ammessi i rappresentanti delle vecchie classi dominanti. In questo stadio, per il proletariato è dannosa ogni finzione di “volontà popolare”. Il proletariato non ha bisogno di una divisione parlamentare del potere: essa è anzi dannosa per lui. La forma della dittatura proletaria è la repubblica dei soviet.

 

4. Il proletariato non può conquistare i parlamenti borghesi, che sono uno dei più importanti ingranaggi della macchina statale borghese, così come non può in generale conquistare lo Stato borghese. Il compito del proletariato è di far saltare  la macchina statale della borghesia, di distruggerla e con essa distruggere anche gli istituti parlamentari, repubblicani o monarchico-costituzionali che siano.

 

5. Lo stesso vale per le istituzioni municipali o regionali della borghesia. È teoricamente sbagliato contrapporre queste istituzioni agli organi dello Stato. In realtà sono anch’essi ingranaggi del meccanismo statale della borghesia. Il proletariato rivoluzionario deve distruggerli e sostituirli con soviet locali dei deputati operai.

 

6. Ne segue che il movimento comunista sostiene che il parlamentarismo non è una forma della società futura. Nega che possa essere la forma della dittatura di classe del proletariato. Nega la possibilità di conquistare stabilmente i parlamenti. Si prefigge di abolire il parlamentarismo. Non si può dunque parlare che di una utilizzazione degli istituti statali borghesi allo scopo di distruggerli. In questo e soltanto in questo senso può essere posta la questione della loro utilizzazione.

 

Capitolo 2.

 

7. Ogni lotta di classe è una lotta politica perché, in definitiva, è una lotta per il potere. Ogni sciopero che si estende a tutto un paese diventa un pericolo per lo Stato borghese e perciò assume carattere politico. Ogni tentativo di abbattere la borghesia e distruggere il suo Stato equivale a condurre una lotta politica. Noi dobbiamo creare un apparato di direzione e di coercizione proletario, di classe, diretto contro la borghesia che cerca di sopravvivere. Quale che sia questo apparato, questo significa conquistare il potere politico.

 

8. La questione della lotta politica non si identifica quindi mai affatto con la questione dell’atteggiamento verso l’attività parlamentare. Essa abbraccia tutta la lotta della classe proletaria, per poco che questa smetta d’essere locale e parziale e tenda in generale all’abbattimento dell’ordinamento capitalista.

 

9. Il più importante metodo di lotta del proletariato contro la borghesia, cioè contro il suo potere statale, è l’azione di massa. Le azioni di massa vengono organizzate e dirette dalle organizzazioni di massa del proletariato (sindacati, partiti, consigli operai), sotto la direzione generale del partito comunista, fortemente omogeneo, disciplinato e centralizzato. La guerra civile è una guerra. In questa il proletariato deve avere dei buoni dirigenti politici e un buon stato maggiore politico, che diriga tutte le operazioni in tutti i campi di attività.

 

10. La lotta delle masse costituisce un intero sistema di azioni in sviluppo continuo, che si alimentano l’una con l’altra e portano logicamente all’insurrezione contro lo Stato capitalista. In questa lotta di massa, che è destinata a trasformarsi in guerra civile, di regola il partito guida del proletariato deve consolidare tutte le sue posizioni legali, farne dei punti di appoggio sussidiari della sua attività rivoluzionaria e subordinarli al piano della campagna principale, cioè della lotta delle masse.

 

11. Uno di questi punti di appoggio sussidiari è la tribuna del parlamento borghese. Contro la partecipazione alla lotta parlamentare non si può affatto invocare l’argomento che il parlamento è un istituto statale borghese. Il partito comunista non va in queste istituzioni per svolgere un lavoro costruttivo, ma per contribuire dall’interno a distruggere la macchina statale e il parlamento (esempi di questo sono: l’attività di Karl Liebknecht in Germania; l’attività dei bolscevichi nella Duma zarista, nella “Conferenza democratica” e nel “Pre-parlamento” di Kerenski, nell’Assemblea  costituente e nelle dume cittadine; l’attività dei comunisti bulgari; ecc.).

 

12. Questa attività in parlamento, che consiste essenzialmente nell’usare la tribuna parlamentare per l’agitazione rivoluzionaria, per smascherare gli avversari, per aggregare attorno a certe parole d’ordine quelle masse, abbondanti in particolare nei paesi arretrati, che nutrono ancora grandi illusioni democratiche nella tribuna parlamentare, deve essere interamente subordinata agli scopi e ai compiti della lotta delle masse fuori dal parlamento.

La partecipazione alle campagne elettorali e la propaganda rivoluzionaria dall’alto della tribuna parlamentare rivestono una particolare importanza per la conquista politica di quegli strati della classe operaia che finora sono rimasti lontani dal movimento rivoluzionario e dalla vita politica, come, per esempio, le masse lavoratrici delle campagne.

 

13. I comunisti, se conquistano la maggioranza nelle istituzioni comunali, devono:

a) condurre un’opposizione rivoluzionaria al potere centrale borghese;

b) fare di tutto per favorire la parte più povera della popolazione (misure economiche, organizzazione o tentativi di organizzazione di milizie operaie armate, ecc.);

c) non perdere occasione per denunciare i limiti posti dal potere statale borghese a ogni riforma radicale;

d) sviluppare su questa base un’energica propaganda rivoluzionaria, senza temere di urtarsi col potere statale;

e) in date condizioni, sostituire le amministrazioni comunali con soviet di delegati operai.

Tutta l’attività dei comunisti nelle amministrazioni comunali deve dunque rientrare integralmente nel lavoro generale di disgregazione del sistema capitalista.

 

14. Le campagne elettorali non devono essere condotte con l’obiettivo della caccia al maggior numero possibile di mandati parlamentari, ma con quello della mobilitazione rivoluzionaria delle masse all’insegna delle parole d’ordine della rivoluzione proletaria. Esse vanno condotte dall’intera massa dei membri del partito, non solo dal suo gruppo dirigente. A questo proposito bisogna sfruttare tutte le azioni di massa (sommosse, dimostrazioni, fermento fra i soldati e i marinai, ecc.) che si verifichino in un particolare momento, lavorando in stretto contatto con esse. è indispensabile mobilitare per un lavoro attivo tutte le organizzazioni proletarie di massa.

 

15. Seguendo tutte queste indicazioni e in più quelle elencate in una speciale istruzione, l’attività parlamentare dei comunisti è l’esatto opposto del volgare politicantismo praticato dai partiti socialdemocratici di tutti i paesi: questi infatti entrano nel parlamento per appoggiare questa istituzione “democratica” o, nella migliore delle ipotesi, per “conquistarla”. Il partito comunista non può ammettere altro che l’utilizzazione rivoluzionaria dell’attività parlamentare, secondo l’esempio dato da Karl Liebknecht, da Höglund [Svezia] e dai bolscevichi.

 

Capitolo 3.

 

16. L’“antiparlamentarismo” di principio, nel senso del rifiuto assoluto e categorico di partecipare alle elezioni e all’attività rivoluzionaria in parlamento, è una dottrina ingenua, infantile, che non regge alla critica. È una dottrina che a volte trae origine dal sano disgusto per i politicanti parlamentari, ma nello stesso tempo ignora la possibilità di un’attività parlamentare rivoluzionaria. Inoltre, questa dottrina è legata ad una concezione del tutto erronea del ruolo del partito, che vede nel partito comunista non l’avanguardia centralizzata degli operai, organizzata per condurre una guerra, ma un sistema decentrato di gruppi collegati tra loro in modo vago.

 

 17. D’altra parte però, la comprensione e accettazione in linea di principio dell’attività rivoluzionaria in parlamento non vogliono affatto dire che è sempre obbligatorio partecipare in ogni circostanza a date elezioni e assemblee parlamentari. Tutto dipende da una serie di condizioni specifiche. In una data combinazione di condizioni può essere necessario l’abbandono del parlamento. È quello che fecero i bolscevichi quando uscirono dal Pre-parlamento di Kerenski per farlo fallire, svuotarlo di ogni forza e contrapporgli più frontalmente il soviet di Pietroburgo mentre stavano per porsi alla testa dell’insurrezione. È quello che fecero ancora i bolscevichi con l’Assemblea Costituente, quando la sciolsero per mettere al centro della vita politica il III Congresso dei soviet. In altre circostanze può essere necessario boicottare le elezioni oppure stroncare immediatamente, con la forza, l’intero apparato statale borghese e la sua cricca parlamentare. In altre circostanze può essere necessario partecipare alle elezioni e contemporaneamente boicottare il parlamento. E così via.

 

18. Il partito comunista, una volta stabilita come regola generale che bisogna partecipare alle elezioni sia dei parlamenti centrali sia degli organi amministrativi locali e che bisogna lavorare in queste istituzioni, deve quindi in ogni caso concreto risolvere la questione sulla base dell’analisi delle particolarità specifiche di ogni situazione concreta. Il boicottaggio delle elezioni o dei parlamenti, così come l’uscita da questi ultimi, sono dunque ammissibili soprattutto quando esistono le condizioni per il passaggio immediato alla lotta armata per la presa del potere.

 

19. Bisogna sempre tener conto del carattere relativamente secondario della questione dell’attività parlamentare. Il centro di gravità sta nella lotta condotta fuori dal parlamento per il potere politico. Quindi va da sé che la questione generale della dittatura del proletariato e della lotta delle masse per instaurarla non deve essere posta sullo stesso piano della questione particolare dell’utilizzazione dell’attività parlamentare.

 

20. Perciò l’Internazionale Comunista afferma nel modo più reciso di considerare un grave errore ogni scissione o tentativo di scissione in seno ai partiti comunisti a causa di questa questione e solo per tale motivo. Il congresso chiama tutti coloro che sono a favore della lotta di massa per la dittatura del proletariato sotto la direzione del partito centralizzato del proletariato rivoluzionario esercitante la sua direzione su tutte le organizzazioni di massa, a realizzare una completa unità degli elementi comunisti, malgrado possibili divergenze sulla questione dell’utilizzazione dei parlamenti borghesi.

 

 

3. La tattica rivoluzionaria nell’attività parlamentare

 

Per assicurare l’effettiva applicazione di una tattica rivoluzionaria nell’attività parlamentare, è necessario osservare le seguenti regole.

 

1. Il partito comunista nel suo insieme e il suo comitato centrale devono assicurarsi, già nello stadio preparatorio, cioè prima delle elezioni al parlamento, che i membri del gruppo parlamentare siano sinceri e comunisti di provata fede. Il comitato centrale del partito comunista ha il diritto indiscutibile di ricusare qualunque candidato proposto da qualunque organizzazione del partito, se non è convinto che, giunto in parlamento, egli seguirà una politica veramente comunista.

Il partito comunista deve rompere con la vecchia abitudine socialdemocratica di presentare come candidati esclusivamente dei parlamentari cosiddetti “esperti”, per lo più avvocati e simili. Di regola è necessario presentare come candidati degli operai. Non bisogna esitare a candidare dei semplici membri del partito anche se ancora privi di una  grande esperienza parlamentare.

I partiti comunisti devono respingere senza pietà e con disprezzo gli arrivisti che si avvicinano al partito comunista per poter entrare in parlamento. I comitati centrali dei partiti comunisti devono convalidare soltanto le candidature di persone che hanno dato prova in lunghi anni di attività della propria incondizionata devozione alla classe operaia.

 

2. Finite le elezioni, tutta l’organizzazione del gruppo parlamentare deve essere di esclusiva competenza del comitato centrale del partito comunista, sia esso in quel momento legale od illegale. La scelta del presidente e del direttivo del gruppo parlamentare comunista deve essere approvata dal comitato centrale del partito. Il comitato centrale deve avere nel gruppo parlamentare un suo rappresentante permanente con diritto di veto. In tutte le questioni politiche importanti, il gruppo parlamentare è tenuto a chiedere preventivamente direttive al comitato centrale del partito.

Il comitato centrale ha il diritto e il dovere, quando vi è un dibattito su questioni importanti, di scegliere o di scartare gli oratori che prenderanno la parola a nome del gruppo, di esigere che le tesi svolte nei loro discorsi o il testo completo di questi, ecc., siano sottoposti alla sua approvazione. Da ogni candidato incluso nelle liste elettorali comuniste si deve esigere ufficialmente l’impegno scritto che, alla prima ingiunzione del comitato centrale, egli rinuncerà al suo mandato, in modo che il partito possa sostituirlo in ogni momento.

 

3. Nei paesi in cui elementi riformisti, semiriformisti o semplicemente arrivisti sono riusciti ad insinuarsi nel gruppo parlamentare comunista (come è già avvenuto in alcuni paesi), i comitati centrali dei partiti comunisti sono tenuti a procedere ad una radicale epurazione dei componenti del gruppo, partendo dal principio che per la causa del proletariato è molto più utile un gruppo piccolo veramente comunista, che un gruppo numeroso senza una politica comunista coerente.

 

4. Ogni deputato comunista ha l’obbligo, su decisione del comitato centrale, di combinare il lavoro legale con il lavoro illegale. Nei paesi in cui il deputato comunista, in base alle leggi borghesi, gode ancora di una certa immunità parlamentare, questa immunità deve essere sfruttata per appoggiare il partito nella sua attività illegale di organizzazione e propaganda.

 

5. I deputati comunisti devono subordinare tutta la loro attività parlamentare all’azione extraparlamentare del partito. Su indicazione del partito e del suo comitato centrale, devono regolarmente avanzare disegni di legge a carattere dimostrativo, concepiti non in vista della loro adozione da parte della maggioranza borghese, ma a scopi di propaganda, agitazione ed organizzazione.

 

6. In caso di pubbliche dimostrazioni operaie e di altre azioni rivoluzionarie, il deputato comunista ha il dovere di mettersi in prima fila alla testa delle masse.

 

7. I deputati comunisti devono, con tutti i mezzi disponibili (sotto il controllo del partito), cercare di stringere rapporti epistolari e d’altro genere con operai, contadini e lavoratori rivoluzionari di ogni settore. Non devono mai comportarsi come i deputati socialdemocratici che con i loro elettori intrattengono relazioni di affari. Essi devono tenersi in ogni momento a disposizione dell’organizzazione comunista per qualunque lavoro di propaganda nel paese.

 

8. Ogni deputato comunista al parlamento deve ricordarsi che non è un legislatore in cerca di un’intesa con altri legislatori, ma un agitatore del partito mandato in campo avverso per eseguirvi le decisioni del partito stesso. Il deputato  comunista è responsabile non di fronte alla massa indifferenziata degli elettori, ma di fronte al suo partito comunista, legale od illegale che sia.

 

9. I deputati comunisti devono usare in parlamento un linguaggio comprensibile ad ogni operaio semplice, ad ogni contadino, ad ogni lavandaia, ad ogni pastore, in modo che il partito possa pubblicare i loro discorsi sotto forma di volantini e diffonderli negli angoli più remoti del paese.

 

10. Semplici operai comunisti devono, anche se sono alle prime armi in campo parlamentare, prendere coraggiosamente la parola alla tribuna parlamentare e non dare la precedenza ai cosiddetti parlamentari esperti. In caso di necessità, i deputati di estrazione operaia possono semplicemente leggere i loro discorsi che poi saranno riprodotti nella stampa e a mezzo volantini.

 

11. I deputati comunisti devono servirsi della tribuna parlamentare per smascherare non soltanto la borghesia e i suoi tirapiedi ufficiali, ma anche i socialpatrioti e i riformisti, le mezze misure dei politici del “centro” e di altri nemici del comunismo e fare propaganda delle idee dell’Internazionale Comunista.

 

12. I deputati comunisti, anche se in parlamento sono solo uno o due, devono avere sempre un contegno di sfida al capitalismo, non dimenticando mai che è degno del nome di comunista soltanto colui che è, non a parole ma nei fatti, nemico mortale della società borghese e dei suoi lacchè socialpatrioti.

 

 

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