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Lo sconvolgimento in corso
Rapporti Sociali n. 34, gennaio 2004 (versione Open Office / versione Word)
Da un po' di
tempo abbiamo caratterizzato la fase attuale del movimento comunista
internazionale (inteso come forza soggettiva, organizzata e cosciente, come
insieme di partiti e di organizzazioni) con l'espressione “rinascita del
movimento comunista”. Abbiamo anche caratterizzato la fase attuale del
movimento comunista (inteso ora come movimento pratico di trasformazione
della società borghese) con l'espressione “seconda ondata della rivoluzione
proletaria che avanza in tutto il mondo”. Queste due definizioni di fase ci
danno il quadro generale nel quale si svolge la nostra lotta particolare,
come movimento comunista italiano e nel quale rientrano tutti i singoli
episodi di essa, fino ai più particolari e concreti. L'unità di concezione,
la sinergia tra l'insieme e le parti, l'interazione dei vari elementi sono
questioni che il gruppo dirigente di una guerra deve padroneggiare, per
condurla con successo e sono una componente non eliminabile
dell'internazionalismo proletario. Il modo in cui il partito comunista
prende in mano il destino della classe operaia dipende sempre dalla
concezione che esso ha della evoluzione futura delle cose. Chi è convinto
che abbiamo davanti a noi un futuro prossimo di sostanziale pace sociale,
non può condividere la nostra tattica attuale che si basa al contrario su un
futuro prossimo di sconvolgimento inevitabile dell'attuale ordinamento
sociale, cioè sulla tesi della situazione rivoluzionaria in sviluppo.
*****
Manchette
Quando la gente ha voglia di ballare, ci vuole una buona orchestra che dia il via al ballo.
Situazione
rivoluzionaria in sviluppo non significa che è in corso la rivoluzione, né
che vi sono rivolte e ribellioni. Significa che il regime politico ereditato
dal passato non può più continuare, non regge più e deve essere cambiato. La
classe dominante non riesce più a governare nei modi fino allora seguiti,
con gli istituti e le istituzioni consacrate dalla tradizione. Le classi
dominate non sono disposte a subire quello che la classe dominante vorrebbe
loro imporre. In queste condizioni, e solo in queste condizioni, una
rivoluzione è possibile. Perché essa avvenga effettivamente occorre però
anche che alle condizioni descritte si associ un partito audace,
sperimentato e capace di azioni rivoluzionarie. È come per un ballo: occorre
che la gente abbia voglia di ballare. Ma non basta. Occorre anche
un'orchestra che attacchi una musica corrispondente allo stato d'animo
generale. Se la gente non è disposta a ballare, l'orchestra suonando non può
cambiare nulla. Ma lo stesso succede se l'orchestra non attaccherà nessuna
musica.
La teoria della
situazione rivoluzionaria è stata enunciata da Lenin (
Il
fallimento della II Internazionale, 1915) ed elaborata compiutamente
da Mao (
Una scintilla può
dar fuoco alla prateria, 1927).
*****
Le due definizioni che abbiamo sopra dato, dobbiamo però intenderle entrambe come quadro d'assieme e come sviluppi realmente possibili.
Quindi da una
parte dobbiamo intenderle come sfondo generale che è composto da elementi
particolari che si combinano tra loro e sono in contrasto tra loro. Senza lo
studio concreto degli elementi particolari, che cambiano di regola ben più
rapidamente del quadro di insieme da essi composto, non andremmo lontano.
Dedurre oziosamente i particolari dal quadro di insieme, evitando di
studiarli sperimentalmente, sarebbe rovinoso. Ciò che è direttamente
percepibile, sono proprio i particolari ed è elaborando la conoscenza di
essi che abbiamo costruito il quadro di insieme. La conoscenza di questo a
sua volta ci aiuta a comprendere i particolari, a interpretare con meno
errori ognuno di essi. Ma i particolari possono smentire il quadro di
insieme, costringerci a rivederlo. Il contrario non è accettabile: sarebbe
sciocco negare un fatto o un avvenimento particolare perché non quadra nel
nostro disegno di insieme. Due scritti guida per comprendere meglio questa
questione sono Il
metodo dell'economia politica di K. Marx (in
Grundrisse Edizione Einaudi 1976 pagg. 24-33) e Sulla
contraddizione di Mao (nel vol. 5 delle
Opere di Mao
Tse-tung).
D'altra parte
si tratta di sviluppi possibili. Di avvenimenti per la realizzazione dei
quali esistono nel mondo che ci circonda le condizioni necessarie (i
presupposti) e le forze sociali interessate. Ma esistono anche le forze
sociali interessate a impedire lo sviluppo e i presupposti perché esse
trionfino e non noi. Non si tratta di scontri nei quali il vincitore è già
deciso. Gli avvenimenti indicati possono anche non realizzarsi: dipenderà
concretamente dall'esito dello scontro tra i fautori della rinascita del
movimento comunista (che a sua volta è la condizione indispensabile del
successo della seconda ondata della rivoluzione proletaria) e gli esponenti
e portavoce della borghesia imperialista. Questi infatti, tramite la
mobilitazione reazionaria delle masse e la guerra interimperialista,
cercheranno di estrarre dal caos attuale, che comunque nel prossimo futuro
andrà aggravandosi (perché non ci sono ancora le condizioni per lo
"scioglimento del dramma" nell'uno o nell'altro senso), un nuovo ordine
mondiale capitalista.
La rinascita del movimento comunista e la nuova ondata della rivoluzione proletaria sono entrambi possibili, obiettivi realistici nell'ambito della crisi generale del capitalismo in cui il mondo è impantanato e della situazione rivoluzionaria che ne deriva. La classe operaia e i suoi partiti comunisti li possono realizzare. Tramite la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e la guerra popolare rivoluzionaria essi possono approdare all'instaurazione di nuovi paesi socialisti. Essi porteranno il cammino verso il comunismo oltre il punto più alto a cui i primi paesi socialisti lo avevano portato.
Ma a questo corso delle cose si oppone la borghesia imperialista con le classi ad essa alleate (il "campo della borghesia imperialista"). I gruppi imperialisti impegneranno sempre più le loro forze e risorse per trasformare la contraddizione tra la borghesia imperialista e le masse popolari in contraddizioni tra parti di queste; per suscitare quindi la mobilitazione reazionaria delle masse popolari e tramite queste realizzare un nuovo ordine mondiale. Se la borghesia vincerà, verosimilmente essa si fonderà su una supremazia politica (statale) mondiale qualitativamente superiore rispetto a quella raggiunta nel secolo scorso dai gruppi imperialisti USA nel mondo rimasto capitalista dopo la seconda guerra mondiale. Chi sarà il titolare di questa nuova eventuale supremazia? Una delle due coalizioni di gruppi e Stati imperialisti che si stanno delineando e contrapponendo. (1)
1. La
formazione di un unico Stato mondiale borghese non è "economicamente
impossibile" (nel senso illustrato da Lenin venne
A proposito di una caricatura del
marxismo, in Opere vol. 23). Anzi non solo è possibile, ma è una tendenza reale,
della quale esistono presupposti e forze motrici: solo che non si può
realizzare “pacificamente” e “senza che ce ne accorgiamo neanche” (come
hanno sognato A. Negri e M. Hardt, tra gli altri). Alcuni la escludono
argomentando che appartiene alla natura del modo di produzione capitalista
il fatto che il capitale può esistere solo nella forma di più capitali in
concorrenza tra loro. Questi semplicemente non comprendono la formula che
usano. Basta considerare che nell'ambito di ogni paese imperialista soggetto
a un unico Stato, esistono più gruppi imperialisti in concorrenza anche
antagonista tra loro. L'unificazione politica che la borghesia ha già
imposto a regioni e popolazioni divise tra loro, fino a creare gli attuali
paesi e Stati, può riprodursi a livello più ampio, ivi compreso a livello
mondiale. Non v'è in ciò niente di “economicamente impossibile”. Lenin
trattò ripetutamente la questione. Egli non escluse la possibilità che si
formasse uno Stato borghese mondiale (si veda ad esempio la sua
Prefazione all’opuscolo di Bukharin
“L’economia mondiale e l’imperialismo”, 1915 in
Opere vol. 22). Quello che Lenin
esclude - e in ciò si contrappone alla teoria dell’ultraimperialismo
sostenuta da Kautsky - è che la borghesia ci potesse arrivare o addirittura
ci stesse arrivando attraverso un processo tutto sommato pacifico,
attraverso accordi e trattati grosso modo come negli ultimi 40 anni si è
proceduto alla “unificazione europea”.
È necessario
ricordare quanto sopra anzitutto contro quanti pensano che l'attuale crisi
generale del capitalismo non abbia altro sbocco possibile che la vittoria
della rivoluzione socialista in tutto o in buona parte del mondo. A questa
schiera sembra ad esempio aggregarsi anche S. Engel, il presidente del MLPD
(Partito Marxista-Leninista Tedesco), nella sua recente opera
Il crepuscolo degli dei (vedi pagg. 537 e 541 della edizioni
inglese).
In secondo
luogo contro quanti in buona fede accusano noi che poniamo la nuova crisi
generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria al
centro dell'analisi del movimento politico, di sostenere che andiamo verso
“il crollo del capitalismo”. Sia ben chiaro: il capitalismo non crolla e non
può crollare. Si tratta di un rapporto sociale e può solo essere sostituito
da un altro rapporto sociale instaurato dalle masse popolari guidate dalla
classe operaia. La borghesia imperialista sta facendo e farà tutto quanto le
è possibile per fare emergere dalla crisi attuale un nuovo ordinamento
capitalista e non esiterà per questo ad affrontare tutte le guerre locali e
mondiali, di aggressione contro paesi più deboli e interimperialiste e tutte
le controrivoluzioni necessarie per arrivarvi.
Ciò che è inevitabile è che la crisi generale attuale sbocchi o nella mobilitazione rivoluzionaria delle masse o nella mobilitazione reazionaria delle masse o nello scontro tra le due il cui esito deciderà della natura della soluzione dell'attuale crisi generale. Ciò che è escluso è uno sviluppo tutto sommato pacifico della crisi attuale e uno scioglimento pacifico dei nodi politici, culturali ed economici che essa ha prodotto e viene producendo: ed è proprio questo scioglimento pacifico il contesto illusorio sottinteso da tutti i programmi riformisti ed economicisti di “uscita dalla crisi” o di “gestione della crisi”. È questo che fa di questi programmi altrettante utopie e dei loro portavoce dei falsari, quale che sia la loro moralità personale.
Quanto detto fin qui è già stato detto più in dettaglio nell'articolo La crisi del capitalismo di M. Martinengo (in Rapporti Sociali n. 31/32) e nel saluto della CP (Commissione Preparatoria) all'assemblea per il decimo anniversario della fondazione dei CARC pubblicato nel n. 10 (2003) di Resistenza. Nell'ultimo anno sono tuttavia successi avvenimenti che hanno confermato ma anche precisato il quadro generale. Su due di essi è utile soffermarsi.
Lo sviluppo su grande scala della rivoluzione
democratica nei paesi musulmani
I gruppi
imperialisti non sono riusciti a pacificare l'Afghanistan benché lì tutti i
gruppi e Stati imperialisti ufficialmente collaborino alla pacificazione.
Tanto meno i gruppi imperialisti USA sono riusciti a pacificare l’Iraq. Al
contrario. Dopo la rapida occupazione (marzo-aprile ‘03) e dopo che Bush il
1° maggio ‘03 proclamò la fine della guerra, la resistenza non cessa di
rafforzarsi ed estendersi. Ancora meno pacificata è la Palestina. Qui
l'unico vero alleato di cui l'Amministrazione USA dispone nel mondo, lo
Stato sionista di Israele, non riesce a soffocare la seconda Intifada,
sebbene abbia fatto e faccia ricorso a forme di repressione di una ferocia
tale da avere ormai largamente superato quanto di peggio fecero i nazisti.
La lotta antimperialista dei tre paesi si inserisce sempre più nel più ampio
movimento rivoluzionario che interessa praticamente tutti i paesi arabi e
musulmani (dall'Estremo Oriente, al Medio Oriente, alla Africa del Nord) e
che ha già importanti ripercussioni anche nei territori metropolitani
dell'Europa e degli USA.
Per chi lo
osserva superficialmente, senza senso della storia e dando credito alla
propaganda imperialista, è un movimento reazionario di lotte contro i paesi
imperialisti all’insegna della religione islamica e del suo rinnovamento
(fondamentalismo islamico). In realtà la sostanza di quel movimento è
l’esplosione della rivoluzione democratica in gran parte dei paesi
semicoloniali. Quindi è per alcuni aspetti connesso con il malessere che
serpeggia e ogni tanto qua e là esplode in America Latina e in Africa.
I paesi
focolai di questo movimento hanno in comune il fatto di essere paesi
con grandi tradizioni di civiltà (e questo basta a fare piazza pulita di
tutte le dicerie che legano la loro arretratezza attuale alla religione
islamica che esisteva anche quando questi paesi furono all’avanguardia della
civiltà mondiale) che l’imperialismo ha legato al comune corso mondiale
della storia e allo stesso tempo relegato all’oppressione razziale e
coloniale (nel ruolo di colonie e semicolonie). I popoli della maggior parte
di questi paesi hanno partecipato attivamente e su gran scala alla lotta
anticoloniale durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. In
questi paesi (Filippine, Indonesia, Malaisia, India e Pakistan, Afganistan,
Iran, Iraq, Turchia, Siria, Libano, Palestina, Emirati Arabi, Yemen, Egitto,
Sudan, Marocco) in quell’epoca si formarono forti partiti comunisti che vi
svolsero un ruolo politico importante. Le basi della società civile feudale
e semifeudale furono allora minate e sconvolte senza però essere eliminate e
sostituite. (2)
2. Per
comprendere meglio di che cosa si parla, è utile rileggere il seguente passo
di K. Marx, Grundrisse, che dà una
traccia della storia universale, a cui appartiene anche la storia dei paesi
arabi e musulmani.
“I rapporti di
dipendenza personale (all'inizio su una base del tutto naturale) sono stati
le prime forme di società nelle quali la produttività degli uomini si
sviluppò soltanto in ambiti ristretti e in punti isolati.
L'indipendenza
personale fondata sulla dipendenza materiale (cioè da cose, ndr) è la
seconda forma importante di società (essa si ha nella società
mercantile-capitalista, con la sua alienazione delle capacità e attività
individuali che diventano semplici strumenti del capitale, ndr). In essa
giunge a costituirsi un sistema sociale di ricambio generale, un sistema di
relazioni universali, di bisogni universali e di universali capacità.
La libera
individualità fondata sullo sviluppo universale degli individui e sulla
subordinazione della loro produttività collettiva, sociale (alla
associazione degli individui, ndr), quale loro patrimonio sociale,
costituisce il terzo stadio (o forma di società, ndr).
Il secondo crea
le condizioni del terzo”.
L’avvento dei
revisionisti moderni alla direzione del movimento comunista internazionale
negli anni ‘50 ha impedito che il movimento comunista sfruttasse i grandi
successi raggiunti e superasse i suoi limiti, che la prima ondata della
rivoluzione proletaria compisse fino in fondo il suo corso e, in questi
paesi, che il movimento comunista conducesse in porto la rivoluzione
democratica nell’unica veste in cui essa era possibile, come rivoluzione di
nuova democrazia. (3)
I revisionisti
moderni in questi paesi promossero e appoggiarono quella che essi chiamarono
“una via non capitalista di sviluppo”. Di fatto essa consisteva nel potere
della borghesia burocratica con le sue velleità di uno sviluppo economico e
culturale autonomo dal sistema imperialista mondiale grazie al sostegno
dell’Unione Sovietica e del campo socialista.
(4)
3. Introdotta
da Lenin-Stalin e compiutamente elaborata da Mao, la teoria della
rivoluzione di nuova democrazia sostiene che nell'epoca imperialista solo la
classe operaia tramite il suo partito comunista può guidare con successo le
masse popolari dei paesi feudali a eliminare i rapporti feudali e liberarsi
dall'oppressione dell'imperialismo. La borghesia nazionale partecipa a
questa rivoluzione, ma non è capace di dirigerla con successo: ha troppi
legami con l'imperialismo e con le classi feudali e ha già troppi contrasti
con la classe operaia per essere una classe di combattenti d'avanguardia per
la rivoluzione democratica.
4. La borghesia burocratica è costituita da dirigenti e funzionari del settore pubblico dell'economia e da capitalisti le cui imprese nascono e si sviluppano principalmente grazie all'opera dello Stato.
I più noti
esponenti di questa “via non capitalista di sviluppo” sono stati Sukarno
(Indonesia), Nehru (India), Mossadeq (Iran), Kassem (Iraq), Assad (Siria),
Arafat (Palestina), Nasser (Egitto), Bumedien (Algeria).
Contro questo corso delle cose gruppi e Stati imperialisti ebbero buon gioco a mobilitare il clero e altri gruppi reazionari in funzione anticomunista. E la monarchia wahabita dell’Arabia svolse in questo un ruolo centrale, affine a quello svolto dal Vaticano nel mondo cristiano. Da qui sono sorti gli attuali gruppi dirigenti del fondamentalismo islamico. Per i gruppi imperialisti fu un’operazione analoga a quella condotta in Europa, e in particolare in Italia, nel secondo dopoguerra: fare del clero in generale e del Vaticano in particolare i dirigenti di uno schieramento anticomunista con seguito tra le masse. Solo che la natura semifeudale dei paesi arabi e musulmani e l’oppressione semicoloniale cui erano sottoposti non permisero che le cose andassero come sono andate in Europa. Vero che molti partiti comunisti vennero sterminati (Filippine, Indonesia, Malaisia, Iran, Turchia, Iraq, Siria, Egitto, Sudan, Marocco) e gli altri ridotti in un modo o nell’altro a ruoli secondari. Ma le forze clericali per prendere in mano la direzione delle masse popolari e conservarla hanno dovuto mettersi alla testa della rivoluzione democratica antimperialista.
La seconda crisi generale del capitalismo, sopravvenuta negli anni ‘70, ha portato con se la ricolonizzazione dei paesi semicoloniali e il loro saccheggio (debito estero e poi privatizzazione delle risorse naturali, del settore economico pubblico e dei servizi pubblici). Essa ha reso quindi ancora più pressante e vincolante quel compito. Da antidoto al movimento comunista, il clero musulmano ha dovuto diventare portavoce di quella rivoluzione che il movimento comunista non aveva portato a compimento. Da contraltare all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Hamas ad esempio è diventato promotore della lotta contro lo Stato sionista di Israele. Ciò ha posto ai gruppi e agli Stati imperialisti i problemi che sono diventati evidenti con la rivoluzione iraniana del 1979 e che gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 hanno posto al centro del movimento politico mondiale: dallo stato d’assedio negli USA, alla legislazione speciale antiterrorismo nella UE, alla “guerra mondiale contro il terrorismo”, all’aggressione dell’Afganistan e dell’Iraq, alla accelerazione dei contrasti tra gruppi e Stati imperialisti, al riarmo generale e all’accelerazione della “eliminazione delle conquiste” delle masse popolari dei paesi imperialisti.
Che si abbiano
movimenti sociali la cui coscienza teorica, impersonata dai rispettivi capi,
è in contrasto con l’opera che effettivamente compiono, non è cosa nuova
nella storia delle società divise in classi. Anche in Europa nei primi
secoli del secondo millennio dopo Cristo i primi movimenti borghesi nacquero
come movimenti di riforme e rinnovamento religiosi.
(5) Fu a proposito di
questo fenomeno che Marx affermò che non si deve valutare un movimento
sociale da quello che esso pensa di sé, ma da quello che è. Il ruolo assunto
dalle donne nella lotta contro i sionisti in Palestina, le diffuse denuncie
contro la corruzione, la povertà e la disoccupazione, le opere di carità, di
assistenza sanitaria e di istruzione che il movimento fondamentalista
musulmano viene producendo sono elementi tra altri che rivelano la sua
natura più del fervore religioso dei suoi militanti. Né la connessione tra i
due aspetti è di causa e effetto, perché ferventi religiosi c’erano anche
quando essi si dedicavano ad altro che alle opere pie e alla guerra a cui
con fervore ed eroismo si dedicano oggi. (6) È solo la rivoluzione
socialista che per sua natura richiede l’unità di teoria e pratica almeno al
livello del partito comunista che la dirige.
5. Anche in
Cina a partire dalla seconda metà del secolo XIX si scontrarono una corrente
che voleva modernizzare l'apparato economico e militare del paese mantenendo
ferma la vecchia cultura cinese e una corrente che riteneva che la
modernizzazione fosse possibile solo adottando anche la cultura borghese. Il
contrasto fu risolto, come disse Mao, dalle “cannonate della Aurora”, cioè
dalla vittoria della Rivoluzione d'Ottobre che aprì la strada a una terza
via: la rivoluzione di nuova democrazia diretta dal partito comunista e
parte integrante della rivoluzione proletaria mondiale. Ma l'arretratezza
del punto di partenza della Cina si fece tuttavia valere ancora più tardi,
quando le parti più avanzate del movimento comunista caddero nelle mani dei
revisionisti moderni. La Rivoluzione Culturale Proletaria infatti avrebbe
potuto salvare le sorti del movimento comunista e internazionale solo se
avesse prodotto un rovesciamento di direzione in Unione Sovietica. Cosa non
impossibile date le resistenze che i revisionisti moderni incontrarono
nell'attuare il loro programma di restaurazione in URSS e nel resto del
campo socialista. La minaccia che la Rivoluzione Culturale Proletaria faceva
indirettamente gravare sul loro potere indusse i revisionisti moderni a
minacciare direttamente l'aggressione della Repubblica Popolare Cinese: da
qui gli scontri di frontiera cino-sovietici come quello sul fiume Ussuri
(1969), il cedimento di Lin Piao (1973) e l'apertura della RPC agli USA
(1972).
6. Del
contrasto tra teoria e pratica nei movimenti sociali delle classi oppresse,
fino all'esistenza, nello stesso movimento, di due diverse concezioni del
mondo (una dichiarata e ufficiale e l'altra individuabile analizzando la
pratica e che emerge esplicitamente solo in circostanze particolari) e degli
effetti di questa “coesistenza” si è occupato ripetutamente A. Gramsci. Tra
l'altro nel suo Quaderno del Carcere n. 11 (vedi
Quaderni del
carcere - Edizione critica - Einaudi 1975 pagg. 1379, 1385,
1388-1389).
Ciò che a noi
comunisti pone un problema teorico è il contrasto tra questa rivoluzione
democratica antimperialista diretta dal clero musulmano e la nostra teoria
della rivoluzione di nuova democrazia. A questo problema teorico sono
strettamente legati, per chi non procede empiricamente, i problemi politici
1. del nostro atteggiamento verso la rivoluzione democratica antimperialista
dei paesi arabi e musulmani e 2. degli sviluppi possibili, degli esiti di
questa rivoluzione. Sono problemi che il movimento comunista, per portare
avanti la sua rinascita, deve risolvere sia in termini teorici che politici
stando sul terreno suo proprio della lotta per il comunismo, onde evitare di
fare una politica empirista a rimorchio ora dei gruppi imperialisti ora del
clero musulmano.
A me pare che
la nostra posizione debba riassumersi nei seguenti punti.
A. Il clero
musulmano fautore di una riforma religiosa ha preso la direzione della
rivoluzione democratica dei paesi arabi e musulmani principalmente a causa
della decadenza del movimento comunista internazionale (prodotto
dell’avvento dei revisionisti moderni alla sua direzione) e secondariamente
grazie all’appoggio che i gruppi imperialisti gli hanno fornito per
costruire un baluardo contro il comunismo.
B. Le
tradizioni possono costituire una base sufficiente – ed è già avvenuto in
più casi – per mobilitare le masse popolari a compiere azioni eroiche fino
al martirio nella lotta contro l’imperialismo, come le imprese gloriose che
sono in questo periodo compiute da tanti combattenti arabi e musulmani. Ma
difficilmente, salvo che per il concorso di circostanze eccezionali interne
e internazionali, hanno la forza necessaria per guidare una rivoluzione
vittoriosa.
C.
L’ordinamento sociale che il clero musulmano contrappone al capitalismo è
una ripetizione di quello che i movimenti clericali europei contrapponevano
alla borghesia nascente e testimonia il legame del clero riformatore con i
rapporti sociali che la rivoluzione democratica deve eliminare: i ricchi
devono moderare i loro appetiti e praticare l’elemosina, la beneficenza;
l’assistenza ai poveri, agli orfani e alle vedove è un obbligo morale
universale; il denaro bisogna prestarlo senza chiedere interesse; ecc.
Insomma niente che possa creare un ordinamento sociale che vada oltre il
capitalismo.
D. Per quanto
sopra detto e per i suoi residui legami con l’imperialismo, il clero
musulmano non potrà condurre fino in fondo la rivoluzione democratica. Anche
l’esempio dell’Iran lo conferma. Se la rinascita del movimento comunista
avanza, questo prenderà quindi la direzione della rivoluzione democratica
perché esso invece è portatore di un ordine sociale superiore.
E. I comunisti
devono appoggiare la rivoluzione democratica antimperialista dei paesi arabi
e musulmani. Non solo perché è antimperialista, ma anche perché è
democratica. Questo non vuol dire appoggiare il clero musulmano e cercare
tra esso i nostri interlocutori. Vuol dire praticare apertamente l’alleanza
e il sostegno dirigendo in tal senso le forze che i comunisti mobilitano e
dirigono (quindi ad es. la solidarietà con i combattenti arabi e musulmani
contro la persecuzione delle autorità dei paesi imperialisti, l’unità
d’azione contro le aggressioni, ecc.). Il clero musulmano in generale
rifiuterà la solidarietà, l’unità d’azione, ecc., perché è anticomunista, ma
le masse popolari arabe e musulmane le apprezzeranno sempre più man mano che
il movimento comunista ridiventerà una potenza mondiale, che le esitazioni e
le difficoltà del clero nel dirigere una rivoluzione democratica
antimperialista diventeranno evidenti.
F. Alle masse
popolari dei paesi imperialisti noi dobbiamo dire che i gruppi imperialisti
le stanno trascinando in una impresa criminale e senza prospettive, che in
più trasforma anche i nostri paesi in campi di battaglia. Che la borghesia
imperialista non è in grado di evitare che la guerra di sterminio che essa
porta contro i popoli dei paesi arabi e musulmani, venga riportata nei
nostri paesi. Che l’unico modo di impedirlo è unirsi contro la borghesia
imperialista per porre fine all’ordinamento sociale che essa difende e
impone con ogni mezzo ma che è l’unico ostacolo che impedisce alle masse
popolari dei paesi imperialisti come alle masse popolari dei paesi oppressi
di soddisfare le proprie aspirazioni di benessere, di civiltà e di pace.
Le
contraddizioni tra i gruppi e gli Stati imperialisti si sono acuite e due
coalizioni imperialiste ostili si sono un po’ meglio delineate
L’aggressione
USA contro l’Iraq ha reso più evidenti le divergenze politiche tra i gruppi
imperialisti USA e i gruppi imperialisti europei, in sostanza
franco-tedeschi. Sono venute alla luce del sole e si sono scontrati due modi
diversi di intendere le relazioni internazionali e ognuno dei due fronti si
è posizionato in conformità ai suoi interessi: il contrasto politico tra due
fronti rispecchia il contrasto di interessi tra le componenti dei due
fronti. Quindi un contrasto che ha probabilità di durare e rafforzarsi.
L’aggressione contro l’Iraq ha inoltre direttamente leso interessi francesi
e tedeschi, nel campo degli investimenti e commerciali, in Iraq, nel Medio
Oriente e in Asia Centrale. Non solo i gruppi imperialisti USA riservano per
sé investimenti e mercati, ma intimano a vecchi clienti di altri gruppi
imperialisti di cambiare fornitori, banchieri e relazioni. L’intimidazione
contro la Siria e l’Iran sono finite in pasto all’opinione pubblica. Ma
proprio la virulenza dell’attacco USA ha questa volta indotto gli
imperialisti UE a non cedere ma a contrattaccare. Non solo sul terreno
immediato, ma soprattutto rafforzando la UE. Gli imperialisti USA cercarono
di affogare l’UE politica nel mercato comune dei 25. Ebbene gli imperialisti
franco-tedeschi hanno risposto con le “collaborazioni rafforzate” e la
“Europa a più velocità”, l’avviata costruzione dello Stato Maggiore europeo,
il sistema Galileo, l’intervento comune in Iran, l’avvio di una politica
comune industriale, di ricerca e finanziaria (questo significa lo
sfondamento franco-tedesco dei parametri di Mastricht). Il blocco
franco-tedesco, se confermerà la volontà politica di fare i suoi interessi,
obbligherà per forza di cose i gruppi imperialisti degli altri paesi a
seguirli, probabilmente anche quelli britannici. La UE costituisce già oggi
una comunità in grado finanziariamente, tecnologicamente e industrialmente
di fare fronte a ogni sfida. Anche il ritardo militare rispetto agli USA è
secondario: in condizioni meno favorevoli Hitler iniziò il riarmo nel 1936 e
nel 1939 era pronto per la guerra. Per il momento agli imperialisti
franco-tedeschi basta essere in grado di fare in modo che i loro clienti in
giro per il mondo non debbano cedere alle sanzioni economiche, diplomatiche
e relative alle forniture militari minacciate dai gruppi imperialisti USA.
Vale la pena ricordare che già negli anni '70 fu lo Stato francese e non
quello USA che addestrò gli Stati sudamericani alla controguerriglia e alla
tortura.
L'attivismo
diplomatico franco-tedesco nei confronti della Russia, della Cina e del
Giappone conferma che la volontà politica di far fronte alla arroganza e al
saccheggio dei gruppi imperialisti USA si è rafforzata e incomincia ad
assumere il ruolo di via necessaria per uscire dalla stagnazione economica
della UE.
Certo questo
non vuole dire che ormai la coppia Francia-Germania si è definitivamente
costituita come nucleo della coalizione anti USA. L'impresa appare così
gravida di incognite che le esitazioni sono inevitabili: il voto della
Risoluzione 1511 al Consiglio di Sicurezza dell'ONU (che legalizza
l'occupazione USA dell'Irak) non è l'unico segnale di queste esitazioni. I
gruppi imperialisti europei devono superare lo scoglio delle loro divisioni
interne: le divergenze di interessi sono oggettivamente amplificate dalla
mancanza di unità costituzionale cui la nuova Costituzione europea, anche se
approvata, non pone realmente fine. Ma lo scoglio maggiore che essi devono
superare è costituito dalle masse popolari europee. Non si tratta di una
fantasia sentimentale; si tratta del fatto solido e duro che per lanciarsi
in una vera competizione a 360 gradi con i gruppi imperialisti USA - che è
peraltro l'unica condotta che essi possono mettere in campo per uscire dalla
stagnazione economica - i gruppi imperialisti europei devono indurre le
masse popolari europee ad accettare il riarmo e le "riforme" (pensioni,
mercato del lavoro, sicurezza sociale, ecc.) e a collaborare alla loro lotta
per l'egemonia mondiale almeno quanto le masse popolari americane
collaborano con i gruppi imperialisti USA. Altro che diritti umani e altre
ipocrisie del genere! Non è un'impresa da poco!
I due punti che
ho illustrato bastano a chiarire l'orientamento che noi comunisti dobbiamo
assumere fin da oggi.
Appoggiare la
rivoluzione democratica dei paesi arabi e musulmani, ho già detto. A ciò
segue: combattere l'imperialismo, a cominciare dall'imperialismo di casa
nostra, dall'imperialismo europeo. Ogni compiacenza verso i gruppi
imperialisti franco-tedeschi, verso i gruppi imperialisti italiani, verso il
Vaticano (non è "strano" che organizzazioni italiane che si pretendono
comuniste parlano poco o niente del Vaticano?) è non solo un sostegno a
questi briganti, ma è anche sia un sostegno ai briganti USA che ne traggono
argomenti per rafforzare il loro dominio vacillante sulle masse popolari
americane sia una rinuncia a lavorare per la rinascita del movimento
comunista. Ogni "sospensione di giudizio" su quale è e sarà la politica dei
gruppi imperialisti europei, ogni dubbio che i gruppi imperialisti europei
possono condurre verso i popoli del sud del mondo “una politica basata sulla
pari dignità, sulla solidarietà e quindi sulla fine di ogni politica di
rapina” equivale a esortare gli abitanti di un paese che sta per essere
investito da una valanga ad aspettare di vedere se la valanga sarà davvero
una valanga! (7)
7. La citazione
è tratta dal “documento supplementare” del costituendo MORIA (Movimento di
Resistenza all'Imperialismo Americano) pubblicato su
Praxis n. 33 (luglio-agosto). Non
è un caso che al MORIA abbiano aderito anche gruppi fascisti, adesione che i
promotori non respingono, se ho bene interpretato la presa di posizione dei
“presidenti del congresso di Firenze del 25 maggio” Leonardo Mazzei, Moreno
Pasquinelli, Costanzo Preve (Praxis n. 34 pag. 7). Lasciare aperta nella proposta la porta ai
gruppi imperialisti europei purché facciano domani una politica
internazionale di “pari dignità, ecc.” verso i popoli oppressi, equivale ad
aprire la porta oggi ai gruppi realmente fascisti oggi (cioè promotori oggi
della mobilitazione delle masse agli ordini di quei gruppi imperialisti che
si decideranno ad abbracciare la causa dell'Europa contro gli USA) - e
questo al di là delle intenzioni, ma perché si è chiusa oggi la porta agli
elementi avanzati delle masse popolari e in genere alle masse popolari
italiane, europee e americane.
I discorsi sul “nemico principale” e sulla “dissoluzione delle divisioni tra destra e sinistra” borghesi (ma non a caso il “borghesi” viene omesso) sono, in queste circostanze, sofismi. È chiaro che le lotte del prossimo futuro determineranno e già determinano una discriminante ben diversa da quella tra destra e sinistra borghesi (che invece, è vero, sempre più si confondono) e anche da quella tra fascismo e “antifascismo padronale” (non a caso quest'ultimo sparisce nella “pacificazione nazionale” di Violante, Ciampi, ecc.). Perché gli sconvolgimenti in corso fanno prevalere la discriminante tra borghesia e masse popolari, tra fascismo e “antifascismo popolare”: è il riflesso politico e culturale della “eliminazione delle conquiste” promossa sia dalla destra che dalla sinistra borghesi (sia dal Polo delle Libertà di Berlusconi che dall'Ulivo di Prodi-D'Alema). Per applicare in politica il principio del “nemico principale” del movimento comunista (già: nemico principale di chi? Anche su questo i promotori del MORIA tacciono), bisogna che il movimento comunista esista come forza politica - cosa che oggi ancora non è. Questa fu una delle grandi differenze fra la prima guerra mondiale e la seconda. Durante la prima giustamente comunisti inalberarono la parola d'ordine “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”. Mentre durante la seconda guerra giustamente i comunisti fecero alleanze ora con una coalizione imperialista ora con l'altra. L’autonomia del movimento comunista come terzo contendente nella soluzione dell'attuale crisi generale è per noi comunisti una questione irrinunciabile e quindi oggi lo è la sua rinascita. Questa può essere promossa solo se si lavora seguendo per ora in ogni paese la discriminante masse popolari - borghesia imperialista.
Noi dobbiamo
mettere oggi davanti a tutto la rinascita del movimento comunista: quindi la
ricostruzione di veri partiti comunisti con tutto quello che questo comporta
di lavoro con le FSRS (forze soggettive della rivoluzione socialista) e con
gli elementi avanzati delle masse popolari del nostro paese. A questo
obiettivo dobbiamo finalizzare anche la solidarietà con la rivoluzione
democratica dei paesi arabi e musulmani che è per noi indispensabile
anzitutto come strumento di educazione dei nostri compagni e degli elementi
avanzati delle masse popolari. Per lo stesso motivo è per noi indispensabile
praticare la (ed educare alla) solidarietà con i movimenti per
l'autodeterminazione nazionale che si sviluppano in Europa (baschi,
irlandesi, corsi, bretoni, ecc.) e con ogni altro movimento di lotta per i
diritti democratici delle masse popolari senza fare del rispetto del
monopolio delle autorità imperialiste sull’uso della violenza delle armi una
condizione per il nostro schieramento. Che la borghesia lo esiga e cerchi di
imporlo è ovvio. Che i rivoluzionari accettino le pretese è suicidio o
tradimento.
La solidarietà
con le guerre popolari rivoluzionarie che i comunisti guidano in alcuni
paesi (Perù, Nepal, India, Filippine, Turchia) e con le guerre civili che
essi combattono in altri (Colombia, ecc.) è parimenti già oggi l'indice di
come noi comunisti concepiamo e di come svolgeremo il nostro ruolo nella
nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Per
capirci, potremmo dire che nella situazione attuale la rivoluzione
democratica dei paesi arabi e musulmani è l'elemento di quantità e le guerre
popolari rivoluzionarie sopra indicate sono l'elemento di qualità e degli
inizi della seconda ondata.
Questa
solidarietà è condizione indispensabile per promuovere la ricostruzione di
un vero partito comunista nel nostro paese e per promuovere la rinascita del
movimento comunista in Europa, negli USA e negli altri paesi imperialisti.
Chi non pratica e non promuove tra i lavoratori e le masse popolari questa
solidarietà, cade per ciò stesso nell’economicismo. Nella concezione secondo
cui il 1. l'uomo in generale e quindi gli operai, gli altri lavoratori, le
casalinghe, gli emarginati, i giovani, i pensionati che noi comunisti
dobbiamo mobilitare, orientare, organizzare e dirigere, sono come (a sua
immagine e somiglianza) li concepisce il borghese (vale a dire tesi solo
soddisfare i loro istinti bestiali e capaci solo di questo) e quindi 2. le
rivendicazioni economiche verso i padroni e politico-economiche verso il
loro Stato, sono sempre e in ogni caso la principale se non l'unica via per
iniziare la mobilitazione della classe operaia e delle masse popolari nella
lotta contro la borghesia per instaurare socialismo e per fare del nostro
paese un nuovo paese socialista.
Umberto Campi