La guerra di sterminio non dichiarata della borghesia imperialista contro le masse popolari

Rapporti Sociali 34 - gennaio 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

***** Manchette

La Redazione di Rapporti Sociali ha rivolto al compagno Giuseppe Maj, membro della Commissione Preparatoria (CP) del congresso di fondazione del (nuovo) Partito comunista italiano, l’invito a collaborare alla nostra rivista. Il compagno ha raccolto l’invito e ci invia questo interessante articolo.

Ringraziamo il compagno per questo suo contributo, che ci aiuta a comprendere meglio la natura e la portata della guerra della borghesia imperialista contro le masse popolari. Contributi come questo confermano il ruolo di questo compagno come punto di riferimento per il movimento rivoluzionario, ruolo che è esaltato piuttosto che indebolito dall’azione repressiva che lo ha preso di mira e che da decenni insiste nei suoi confronti.

 

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Nella nostra stampa abbiamo più volte riassunto le relazioni che la borghesia imperialista nel progredire della seconda crisi generale del capitalismo ha instaurato e impone alle masse popolari con l’espressione “guerra non dichiarata di sterminio”. È certo che alcuni lettori trovano esagerata questa espressione; l’ho più volte riscontrato con le persone con cui ho parlato. Eppure noi non usiamo questa espressione metaforicamente. Non è un’esagerazione. È un’espressione che collega tra loro e dà un nome alle centinaia di episodi che vengono dalla stessa fonte e appartengono a un comune fenomeno sociale (come le centinaia di “fatti d’armi” e altri che compongono ogni guerra), ma che la pubblicistica borghese presenta ogni giorno isolandoli l’uno dall’altro e presentando l’uno come frutto del caso, l’altro dell’ignoranza, il terzo della malvagità di qualche individuo, il quarto come “assurdo”, il quinto come una “catastrofe naturale”, il sesto come opera dell’“asse del male” di turno e così via. Molti di essi sono episodi in cui ognuno di noi si imbatte nella sua pratica quotidiana perché avvengono attorno a noi e di alcuni di essi siamo anche noi vittime e non solo spettatori. Dall’immigrato annegato o soffocato sulla “via della speranza”, alle donne che vivono in condizioni di coprifuoco, ai morti e mutilati negli “incidenti” sul lavoro, per le strade o negli “incidenti domestici”, ai bambini deformati da cibi adulterati e privati della formazione sentimentale e pratica di cui hanno bisogno. Se il problema della sicurezza personale si pone in modo sempre più acuto al punto che le autorità ci speculano alla grande, è perché le relazioni sociali che la classe dominante ci impone generano sofferenze, costrizioni e conflitti a non finire. La borghesia imperialista certo non ha creato essa queste relazioni né le governa a suo arbitrio. I suoi singoli membri non ne sono responsabili nel senso in cui parliamo comunemente delle responsabilità di un individuo per le sue azioni. Ma essa le amministra, le gestisce, le impone con ogni mezzo e ricorre a ogni forma di repressione e ferocia contro movimenti e individui che le vogliono cambiare. Essa è la personificazione di quelle relazioni di oppressione e di sfruttamento che si sono accumulate e strutturate nel corso della nostra storia plurimillenaria, che quella storia ci ha lasciato in eredità insieme alle condizioni per porvi fine: quindi oramai come relazioni superflue, arbitrarie, assurde perché prive di una loro necessità e quindi intollerabili e ingiuste.

Con l’espressione “guerra non dichiarata di sterminio” noi riassumiamo le condizioni estreme, arbitrarie e intollerabili in cui la borghesia imperialista con l’accentuarsi della seconda crisi generale dell’ordinamento sociale capitalista costringe le masse popolari, gli effetti devastanti, le privazioni, le esclusioni ed emarginazioni dalle condizioni che le conquiste moderne hanno reso possibili. Una condizione resa intollerabile proprio dal fatto che oggi gli uomini hanno le forze e le conoscenze sufficienti per creare un ordinamento sociale superiore e un mondo in cui mangiare a sazietà, avere una casa decente, ricevere un’assistenza sanitaria efficace e un’educazione adeguata alle proprie capacità e alla propria volontà, avere un ruolo dignitoso nella vita sociale e una parte nell’attività e nel lavoro svolto dalla società sia per ogni individuo una condizione universale e scontata come respirare l’aria. Le condizioni pratiche della vita umana  non sono oggi peggiori di quelle che esistevano nel lontano passato. Non è vero che siamo regrediti se consideriamo la nostra storia a largo raggio e quindi non ci limitiamo all'effettiva regressione che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni e che ancora stiamo vivendo a causa dell'eliminazione delle conquiste che le masse popolari avevano strappato alla borghesia nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria. Solo sciocchi o imbroglioni possono dire che stiamo andando verso la barbarie rispetto a una mitica “età dell’oro” che sarebbe esistita nel lontano passato. Più con la conoscenza risaliamo all’indietro nella storia umana meno troviamo “età dell’oro” e “paradisi terrestri”. Troviamo piuttosto società in cui la schiavitù del bisogno, la ferocia e la barbarie nelle relazioni sociali (dalla schiavitù al delitto d’onore, dallo sterminio delle popolazioni vinte fino a “estirpare la loro razza” ai sacrifici rituali di bambini) anziché essere riconosciute come tali erano prassi normale e accettata, dovere morale e motivo d’onore, proclamati dal senso comune e consacrati da tutti gli dei per bocca dei loro preti. Il grande progresso dell’epoca a cui apparteniamo è che quella ferocia e barbarie che ancora vengono praticate e imposte dall’ordinamento sociale esistente sono dalla comune coscienza giudicate come ferocia e barbarie. Perfino la classe dominante che le perpetua le camuffa (guerre umanitarie, ecc.) e le nasconde come vizi (pedofilia, prostituzione, ecc.). Esse sono universalmente condannate come intollerabili.

Il grande progresso della nostra epoca è che la ferocia e barbarie del nostro passato “preistorico”, quasi animale, anche se non sono “relegate nel museo della preistoria come l’arco, la clava e il telaio a mano”, già non sono più condizioni necessarie della nostra sopravvivenza quali furono nel passato, ma sono diventate al contrario una sopravvivenza superflua del passato e un ostacolo al pieno dispiegarsi della capacità che abbiamo raggiunto di disporre senza limiti delle risorse naturali e di governare la nostra stessa vita ed esperienza e che dobbiamo solo esercitare. Per questo esse sono comunemente sentite come arbitrarie e ingiuste e sono conservate e imposte al complesso della società da una classe ristretta. Essa ne è l’unica beneficiaria, che concentra in sé la scala di valori, i gusti e le aspirazioni delle classi dominanti delle epoche barbariche del passato che riverbera sinistramente sul resto della popolazione e della vita sociale. Essa personifica e incarna tutto il vecchio e l’arretrato della nostra storia di cui, proprio perché concentrato, diventa meno difficile liberarci. Essa continua a trasfondere i valori e i criteri di un mondo storicamente sorpassato nei criteri con cui governa il mondo attuale e dispone della nostra comune capacità. E proprio per questo motivo per imporre questi criteri deve ricorrere a sforzi e violenze senza fine e richiamare in vita perfino pratiche, valori e autorità che in misura più o meno larga erano stati messi da parte: dal diritto del più forte all’autorità divina.

Se guardiamo gli effetti crescenti della sopravvivenza della dominazione della borghesia imperialista, essi sono veramente gli effetti di una guerra di sterminio, che la classe dominante per interesse e i portavoce delle masse popolari per arretratezza oppure per opportunismo non dichiarano tale. È una guerra che non ha frontiere perché è una guerra che si svolge in ogni paese, in ogni angolo del mondo: nei paesi imperialisti come nei paesi ex - socialisti, come nei paesi oppressi. È una guerra di cui vediamo chiaramente le vittime. Sono i milioni di persone che muoiono di fame, i milioni di persone emarginate da ogni dignità sociale e ridotte a vivere di beneficenza, di elemosine e di sussidi pubblici o privati, escluse da un ruolo dignitoso nella vita sociale. Sono i lavoratori resi sempre più precari e flessibili, sempre più privati dei diritti che avevano conquistato, sempre più ridotti a “variabili dipendenti” dei profitti, delle “scelte strategiche”, delle concezioni e delle aspirazioni di un pugno di magnati della finanza che li vorrebbero ridurre a farsi la guerra tra di loro per strapparsi il diritto di essere sfruttati e quindi per ciò anche remunerati. Sono i milioni di persone depresse e che muoiono di malattie curabili, che sono gettate ai margini della società dalle misure che la borghesia imperialista deve prendere per restare a galla. Sono i milioni di persone scarnificate dal bisogno e dalla fatica. Sono i milioni di persone rese obese e istupidite dai consumi che la borghesia imperialista deve spingere e aumentare perché sono una componente essenziale del benessere dell'economia secondo il suo ordinamento sociale. Sono i milioni di persone torturate in vario modo dalla miriade di guerre nel senso tradizionale del termine che la  borghesia scatena o suscita.

In occasione della “Giornata mondiale dell’alimentazione e dell’esclusione sociale” celebrata dalla FAO il 5 ottobre del 2003, questa organizzazione dell’ONU ha indicato in 11 milioni il numero dei bambini di età inferiore ai 5 anni morti nel 2001 (mortalità infantile) e in 6 milioni il numero di quelli morti unicamente per denutrizione o malattie facilmente curabili. Ora la FAO e l’ONU sono organizzazioni del tutto interne alla borghesia imperialista, da essa completamente controllate e composte da funzionari ispirati da concezioni conformi al suo ordine sociale: se i loro dati sono sbagliati lo sono nel senso che la realtà per le masse popolari è ancora peggiore.

Nessuna guerra ha mai fatto tante vittime. I caduti britannici della Seconda guerra mondiale (quindi nei sei anni tra il 1939 e il 1945) sono stati 365.000 di cui 100.000 civili. Tra giugno e settembre del 1944 quindi in 4 mesi di combattimenti (lo sbarco in Normandia è del 6 giugno) la Germania ebbe 55.000 morti e 340.000 feriti o prigionieri sul fronte occidentale e 215.000 morti e 625.000 feriti o prigionieri sul fronte orientale. Nei 4 anni e mezzo della Prima guerra mondiale (tra il 1914 e il 1918) la Francia ha avuto un milione e mezzo di caduti e 4 milioni di feriti. Molti lettori certamente conoscono cifre che confermano la mia affermazione, nessuno conosce cifre che la smentiscano.

Alcuni certamente obiettano che “però la popolazione mondiale continua lo stesso a crescere”. Certamente lo farebbero tipi come Giovanni Sartori se trattasse la questione dottamente sul Corriere della Sera, come spesso usa. Per stabilizzare la popolazione mondiale bisognerebbe uccidere molto più di 6 o di 11 milioni di bambini all’anno. Anzi per evitare di avere di conseguenza una popolazione vecchia, per avere una popolazione giovane e stabile, secondo il sogno degli eugenisti nazisti o fascisti (o semplicemente borghesi come quel dottor Alexis Carrel cui il comune di Compiègne ha recentemente dedicato una via) bisognerebbe uccidere altrettanti vecchi (così si risolverebbero anche i problemi delle casse pensioni, assistenza sanitaria e servizi sociali), molti milioni di vecchi, tanti quanti sono i bambini che nascono.

Naturalmente dovrebbe trattarsi di vecchi lavoratori perché i ricchi è bene che vivano a lungo trasmettendo il loro “savoir faire”. Del resto anche i bambini che l’ordinamento sociale uccide (pardon: che muoiono di stenti e di malattie curabili) sono bambini di lavoratori e di altri miserabili ed emarginati, comunque di genitori già essi stessi esuberi: anche la mortalità infantile varia in ogni paese a seconda della classe sociale.

Ogni persona degna di vivere perché apprezza la vita non può tuttavia fermarsi ai bambini che l’ordinamento sociale capitalista uccide ogni anno. Ovviamente l’ordinamento sociale capitalista è solo una espressione astratta per indicare un insieme di concreti rapporti tra gli uomini che qualcuno tiene in piedi, di cui qualcuno difende l’esistenza: individui concreti che lottano per conservarlo e imporlo a chi lo rifiuta, che lo fanno marciare e lo gestiscono. L’ordinamento sociale capitalistico non è certo “opera dello Spirito Santo” né sta in piedi “per volontà di Dio”. Facciamo quindi qualche passo avanti e vediamo meglio l’effetto che questa classe dominante ha sulla vita delle masse popolari.

In occasione della “Giornata mondiale contro la povertà” che l’ONU ha celebrato il 16 ottobre, il giorno successivo alla Giornata della FAO, questo organismo della stessa classe dominante ha pubblicato alcuni numeri. Nel mondo 840 milioni di persone soffrono regolarmente la fame, 1,2 miliardi di persone sopravvivono con un reddito inferiore a 1 dollaro al giorno e 2,8 miliardi con un reddito inferiore a 2 dollari al giorno. Ogni giorno solo per fame muoiono 24.000 persone, cioè circa 8,5 milioni all’anno.

Manca forse il cibo? Kofi Annan che certo le potenze imperialiste non hanno posto a capo dell’ONU perché è un rivoluzionario né pagano profumatamente perché lavori contro i loro interessi con una qualche efficacia, il 15 ottobre ha tuttavia dichiarato: “La fame è un fenomeno immorale e assurdo. La produzione agricola è in costante aumento. È giunta al livello di poter sfamare il doppio dell’attuale popolazione mondiale. Si possono fornire un minimo di 2800 calorie al giorno a circa 12 miliardi di persone a fronte di 6,2 miliardi di essere umani che vivono nel pianeta”.

Il relatore speciale dell’ONU per il diritto all’alimentazione, il professore ed ex deputato europeo Jean Ziegler, anche  lui certamente non un rivoluzionario, il 14 ottobre a Ginevra ha dichiarato: “Non è una fatalità, non c’è nessuna legge di natura che spieghi questo massacro quotidiano. Le multinazionali private hanno un ruolo essenziale nella non realizzazione del diritto all’alimentazione. Un bambino che muore di fame viene assassinato dall’ordine del mondo. Un ordine dove la povertà resta un dramma di proporzioni colossali. Basti pensare che 2 miliardi e 800 milioni di persone, la metà di tutta la popolazione mondiale, vivono con meno di 2 dollari al giorno, cioè sotto il reddito minimo stimato dalla Banca Mondiale come limite per la sopravvivenza di un essere umano”.

Ma vivere non è solo mangiare. Non è solo il mangiare che manca. Il relatore straordinario della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per i brevetti sui medicinali ha preparato un libro rosso in cui illustra le morti e malattie conseguenza del prezzo che le industrie farmaceutiche (pochi monopoli mondiali) impongono. I dati erano tali che questi monopoli hanno cercato di impedire la pubblicazione del libro e di farlo ritirare: ora circola con la copertina azzurra.

Ai morti e agli ammalati bisogna aggiungere tutte le persone escluse dall’educazione, da una formazione adeguata alle possibilità attuali e alle loro capacità. Le persone emarginate dalla vita sociale, private della propria dignità, senza prospettiva per il futuro, costrette a occuparsi solo della propria sopravvivenza, che vivono nella paura, nella precarietà, in stato di dipendenza e nella depressione. Il quadro delle vittime della borghesia imperialista e del suo ordinamento sociale incomincia così a completarsi e diventa realistico.

Esageriamo quando diciamo che la borghesia imperialista conduce in ogni angolo del mondo, anche nei paesi imperialisti, una guerra non dichiarata di sterminio delle masse popolari? Le vittime non sono una esagerazione. Gli stessi agenti della classe dominante le contabilizzano. Certamente essi si guardano in generale dall’indicare i responsabili dello sterminio e si guardano sempre dall’indicare rimedi efficaci e realistici. I più sensibili si raccomandano al buon cuore dei dominatori. Come raccomandare le vittime delle razzie al buon cuore dei razziatori! Un responsabile FAO dichiara: “Lanciamo un appello per raccogliere 500 milioni di dollari in contributi per arrivare ai 4,3 miliardi che ci servono per sfamare 110 milioni di persone entro la fine del 2003”. La beneficenza e l’elemosina sono l’altra faccia dell'oppressione e dello sfruttamento. Gli sfruttatori sono munifici ammiratori delle “Madri Terese di Calcutta” che gestiscono i soldi che essi destinano alla beneficenza! Cosa farebbero le “Madri Terese di Calcutta” se tutti gli uomini vivessero felicemente e dignitosamente?

Noi comunisti ci dedichiamo a promuovere, mobilitare, orientare, organizzare e dirigere la resistenza collettiva delle masse popolari alla guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia imperialista conduce contro di loro in ogni angolo del mondo. Per questo siamo un pericolo per la borghesia imperialista ed essa cerca di soffocarci sul nascere.

Certo noi non abbiamo in tasca una ricetta di un ordinamento sociale in cui certamente uomini e donne, bambini e vecchi vivranno felici. Né una simile ricetta sarebbe di una qualche utilità perché gli ordinamenti sociali non si costruiscono su ordinazione. Ma oggi noi viviamo in un ordinamento sociale che uccide, tortura moralmente oltre che fisicamente, mutila intellettualmente oltre che fisicamente. La nostra società è governata da individui che misurano il loro successo dai soldi che accumulano, che vorrebbero indurre tutti gli individui con una qualche energia a regolarsi come loro e che riverberano la loro fosca mentalità su tutti gli aspetti della nostra vita: tutto deve essere merce e ogni relazione deve essere gestita come un’azienda. Noi comunisti sappiamo che un altro mondo è possibile. Sappiamo che milioni di uomini e donne, di bambini e di vecchi ne hanno bisogno e lo vorrebbero se solo avessero la possibilità di concepirlo e di capire che è possibile. Noi siamo concretamente impegnati ad accendere in loro questa speranza e questa volontà, a trasformarla nel corso della concreta lotta rivoluzionaria in fiducia e a fare di questa fiducia l’arma principale per costruire quel nuovo mondo. La sua costruzione incomincia dal mettere alla direzione della nostra società individui e organismi che misurano il loro successo e spingono ognuno di noi a misurare il proprio successo dal numero di uomini e donne, di bambini e vecchi che si liberano dal bisogno, affrontano con serenità la vita, trovano un  posto e un ruolo dignitoso nella società, esprimono il meglio che le loro caratteristiche individuali permettono e guardano con fiducia e speranza al loro avvenire.

L’esperienza dei primi paesi socialisti ci assicura che la nostra lotta è ben fondata. Quei paesi con la loro esperienza ci danno, proprio anche con le difficoltà con cui si sono scontrati fino a restarne soffocati, insegnamenti preziosi per avanzare su questa strada. Come la Comune di Parigi, pure sconfitta e non ancora risorta a 130 anni di distanza, illuminò tuttavia il ben più lungo cammino compiuto nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria.

Da qui noi comunisti partiamo e continuiamo così la lotta che da 150 anni a questa parte il movimento comunista conduce, con risultati che, nonostante le difficoltà incontrate e le sconfitte subite, confortano senza limiti le nostre aspirazioni e le nostre certezze.

 

Giuseppe Maj

Carcere La Santé, Parigi

 

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