La "crisi del capitalismo"

Rapporti Sociali n. 31/32, dicembre 2002  (versione Open Office / versione Word)

 

In questi ultimi mesi la "crisi del capitalismo" è diventata in tutto il mondo un'espressione ricorrente anche nella pubblicistica borghese, se non altro per negarne o scongiurarne l'esistenza. Vi sono stati gli scandali finanziari americani ed europei, il crollo spettacolare dei valori di alcuni importanti titoli azionari, i fallimenti di alcune grandi società e in generale la svalorizzazione del capitale borsistico che ha mangiato i risparmi e i capitali di decine di milioni di individui (in larga misura americani con una buona presenza di europei) e ha importanti ripercussioni sulle attività produttive delle aziende capitaliste e sui redditi dei proletari e dei lavoratori autonomi che da esse dipendono.(1) Con questo la questione della "crisi del capitalismo" si è imposta all'ordine del giorno.

Alcuni pubblicisti borghesi cercano di esorcizzare la crisi presentandola semplicemente come una crisi etica. Nel corso degli ultimi anni sarebbero drasticamente diminuite l'osservanza delle leggi, la "moralità" e l'onestà degli amministratori delle grandi imprese, dei loro controllori, dei gestori di fondi di investimento e dei consulenti finanziari. Si sarebbero diffuse varie forme di collaborazione alle spalle del pubblico e di corruzione tra questi gruppi sociali, gli uomini politici e gli alti funzionari della Pubblica Amministrazione. Quindi, come a gran voce dall'alto del suo scranno presidenziale ha proclamato George W Bush, basterebbe punire severamente le "mele marce", rafforzare i controlli e aumentare le pene.(2)

Altri pubblicisti borghesi presentano la crisi attuale come una crisi del vecchio diritto societario. Le norme e le leggi che regolano la vita delle società e degli altri soggetti economici collettivi sarebbero oramai inadatte alle nuove forme e ai nuovi rapporti che si sono sviluppati nell'attività economica. Di conseguenza per affrontare la crisi attuale basterebbe una buona riforma del diritto societario.(3)

 

1. Il "valore" complessivo delle azioni quotate nelle principali Borse in pochi mesi è diminuito di svariate migliaia di miliardi di dollari. Per capire il significato di questa cifra, bisogna pensare che il PIL dell'Italia è dell'ordine di 1.000 miliardi di dollari, quello degli USA dell'ordine di 10.000  miliardi di dollari e quello mondiale, per quello che vale la stima, dell'ordine di 30.000 miliardi di dollari.

 

2. In questo quadro rientra la legge Sarbanes-Oxley promulgata negli USA a fine luglio.

 

3. Di questo in Italia si occupa la Commissione Vietti in base alla legge delega 366 del 2001. Riforme del diritto societario sono allo studio anche in sede USA e in sede UE.

 

È ovvio che i portavoce della borghesia imperialista cerchino di minimizzare la gravità della situazione, per quanto anche gli esponenti più dediti a "infondere ottimismo" nel pubblico (come George W Bush e da noi Tremonti) e persino quelli abituati allo sghignazzo di facciata (come Berlusconi) da alcune settimane abbiano cambiato cera e si mostrino preoccupati.

Da queste interpretazioni edulcorate degli avvenimenti di questi mesi non possono venire elementi utili per capirne la natura. Infatti per capire il loro senso bisogna anzitutto capire in modo giusto la natura della crisi generale in corso. Perché gli avvenimenti di questi mesi sono manifestazioni del suo progredire.

Sulla sponda opposta, ma sempre nell'ambito della cultura borghese, alcuni scrutano e discutono se siamo o no alla vigilia di un crollo del capitalismo, "come quello del 1929". Essi mostrano di avere una conoscenza superficiale degli avvenimenti del 1929. Questi non portarono né potevano portare ad alcun "crollo del capitalismo".(4) Furono in realtà solo un episodio all'interno dello svolgimento della prima crisi generale del capitalismo (1900-1950) la quale né iniziò né ebbe fine nel '29.

 

4. Lenin già nel 1919 (VIII congresso del PC(b)R) aveva spiegato che quando vengono meno (crollano) le forme del capitale finanziario, riemergono le forme del vecchio capitalismo. Non esiste un imperialismo puro perché l'imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo.

 

Tuttora alcune FSRS si ostinano a negare che vi sia una sostanziale diversità tra le crisi economiche decennali del secolo XIX, nell'epoca preimperialista, e le crisi che si sono sviluppate  nell'epoca imperialista. Essi non comprendono che allora si trattava di crisi che si ripetevano sostanzialmente eguali a se stesse a intervalli quasi fissi in quanto forme di sviluppo (modi del procedere) proprie del modo di produzione capitalista le cui leggi si affermano solo tramite sbandamenti di segno opposto (in questo senso sono analoghe ai brevi cicli recessione-espansione che si succedono di continuo ancora oggi e che sono le vecchie crisi cicliche attenuate dalle misure anticicliche (FAUS) che la borghesia ha costruito). Invece dall'inizio dell'epoca imperialista, epoca del declino del capitalismo e delle rivoluzioni socialiste, sono sopravvenute le crisi generali che sono le convulsioni attraverso cui una società che non sa ancora governare se stessa ma ha già in una certa misura sviluppato le condizioni materiali e spirituali per farlo, impara a governarsi ed elabora le forme e le istituzioni di questo proprio governo. Si tratta di una società che sta uscendo dal regno della necessità (in cui gli uomini dovevano impegnare il grosso delle loro energie per strappare alla natura di che vivere ed erano schiavi ignari delle sue leggi e dei propri rapporti sociali che li opprimevano anch'essi come leggi di natura - le leggi oggettive dell'economia, come dicono ancora oggi gli economisti borghesi) per entrare nel regno della libertà (in cui gli uomini, non più divisi in classi ma consapevolmente associati, oramai dominano la natura e i propri rapporti sociali e decidono come e cosa produrre e cosa fare per realizzare i propri obiettivi). Per dirla con Engels, si tratta di una società che sta uscendo dalle barbarie della preistoria per entrare finalmente nella storia. A ciò corrisponde il fatto che si sviluppano, a ondate successive, rivoluzioni socialiste e rivoluzioni di nuova democrazia che restringono un po' qui un po' là, per tentativi più o meno riusciti e duraturi, il dominio della barbarie ereditata e la borghesia stessa è costretta ad elaborare e a mettere in opera Forme Antitetiche dell'Unità Sociale (FAUS): relazioni e istituzioni che in qualche misura fanno valere il carattere già collettivo delle attività economiche in un contesto di rapporti di produzione ancora capitalisti che lo negano. A ciò corrisponde il fatto che le crisi generali dell'epoca imperialista iniziano come crisi economiche, ma trovano soluzione solo tramite rivolgimenti politici e culturali.

Altre FSRS si ostinano a confondere in una unica interminabile crisi del capitalismo tutti gli avvenimenti dell'epoca imperialista. Esse negano che l'epoca imperialista si divida in una successione di fasi distinte da salti qualitativi. In questo modo esse si impediscono di vedere il concreto movimento delle contraddizioni e di potervi intervenire con iniziative politiche differenziate a seconda delle fasi. Non a caso si tratta di FSRS dogmatiche. In particolare esse si impediscono di vedere nella loro ampiezza gli effetti della prima ondata della rivoluzione proletaria e il ruolo che giocano oggi le Forme Antitetiche dell'Unità Sociale ben più sviluppate di quanto lo fossero durante la prima crisi generale. Due fattori che rendono lo svolgimento della seconda crisi generale del capitalismo in parte diverso dallo svolgimento della prima proprio per il ruolo maggiore che l'attività politica svolge nel movimento economico. Questo resta ingovernabile perché avviene ancora nel contesto di rapporti di produzione capitalisti, ma nel suo concreto svolgimento risente continuamente degli interventi politici. Come un cavallo imbizzarrito non fa quello che il suo cavaliere vorrebbe, ma reagisce a suo modo agli stimoli di quello.

Non a caso queste FSRS dicono che l'umanità si trova oggi come ieri ancora di fronte al bivio "socialismo o barbarie". Perché non vedono i progressi che l'umanità ha comunque compito verso il comunismo. La realtà mostra invece che l'umanità ha comunque camminato verso il comunismo,  cioè verso l'adeguamento dei suoi rapporti di produzione al carattere già collettivo delle sue attività economiche. Ma ci sono due strade attraverso le quali essa marcia: una è quella diretta e rapida della conquista immediata del potere da parte della classe operaia e dell'instaurazione del socialismo; l'altra è quella lenta, penosa e tormentosa dei tentativi di dare il via alla trasformazione socialista e della costruzione e distruzione di FAUS sotto la dominazione della borghesia imperialista finché non saranno maturate condizioni soggettive più favorevoli per la conquista del potere da parte della classe operaia e l'instaurazione del socialismo.

A proposito della natura dell'attuale crisi generale abbiamo già illustrato altrove che si tratta della seconda crisi generale del capitalismo, iniziata negli anni '70.(5) Quando diciamo crisi generale intendiamo una crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale che si trasforma in crisi politica e culturale e che solo sviluppandosi in questa veste può arrivare a soluzione. A differenza di quanto avveniva per le crisi cicliche del sec. XIX e di quanto avviene per gli attuali brevi cicli recessione-espansione, non è possibile trovare in campo puramente economico una soluzione all'attuale crisi. Quindi tutti quelli che non studiano la trasformazione della crisi economica in crisi politica e culturale e non seguono gli sviluppi della crisi politica e culturale proprio in quanto sviluppi della crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale, non sono in grado di capire il significato degli avvenimenti in corso. Già della prima crisi generale, quella iniziata alla fine del secolo XIX, si è visto che essa ha trovato soluzione solo nello sviluppo della prima ondata della rivoluzione proletaria e nella trasformazione dell'assetto politico del mondo completato con la seconda guerra mondiale e l'instaurazione dell'egemonia dei gruppi imperialisti USA su tutto quanto restava del mondo capitalista. Ma anche quando accetta la tesi che "dalla crisi del '29 ci si sollevò solo con la seconda guerra mondiale", la cultura borghese l'accetta solo come tesi empirica, come constatazione di un fatto, non risale alla legge che vi si manifesta.

 

5. La situazione e i nostri compiti, in Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995), pagg. 5-17.

 

Comprendere lo stato attuale della crisi generale del capitalismo e i compiti politici che ne derivano per noi comunisti, significa sostanzialmente capire fino a che punto essa è già diventata una crisi politica e culturale e a che punto essa si è già sviluppata sul piano politico.

 

1. Sovrapproduzione assoluta di capitale vuol dire che il capitale accumulato non può essere tutto impiegato a estrarre plusvalore allargando il processo di produzione capitalista vero e proprio fino ad assorbire in esso tutto il proletariato disponibile. Nelle condizioni date dalla prima ondata della rivoluzione proletaria e dalle FAUS già sviluppate, un allargamento del processo di produzione propriamente capitalista nella misura consentita dal capitale già accumulato avrebbe portato ad estrarre un plusvalore eguale o minore di quello che i capitalisti estraggono con un capitale minore.

Qui sta la fonte sia delle grandi bolle finanziarie e delle connesso rastrellamento e distruzione di capitali e di risparmi e di molti altri fenomeni degli ultimi 30 anni.(6)

Ma qui sta anche la fonte della ragnatela di interessi su prestiti, imposte, diritti, brevetti, estorsioni, tariffe, prezzi di monopolio, concessioni con cui la borghesia imperialista sfrutta un numero crescente di lavoratori dei paesi imperialisti e soprattutto dei paesi semicoloniali ed ex socialisti (i paesi oppressi) senza assorbirli nel processo di produzione capitalista vero e proprio. Ciò ha creato una enorme massa di popolazione, nei paesi imperialisti e nei paesi oppressi, che per le condizioni pratiche della sua vita fluttua tra il lavoratore dipendente da capitale (l'operaio nel senso più stretto  del temine) e il piccolo imprenditore e comprende il "proletariato metropolitano"(7), la massa di disperati che sopravvive di sovvenzioni, beneficenza, espedienti e sotterfugi e i lavoratori più o meno realmente autonomi.

 

6. Crack di borsa e capitale finanziario, in Rapporti Sociali n. 1 (febbraio 1988), pagg. 9-25.

 

7. Per riprendere una delle definizioni dei cultori del "proletariato metropolitano", indicativa anche se approssimativa, esso è "costituito da precari, lavoratori flessibili, disoccupati, extracomunitari, lavoratori in nero, tossicodipendenti".

 

Qui sta anche la fonte della guerra di sterminio sistematica, capillare e prolungata che la borghesia imperialista conduce da anni contro le masse popolari dei paesi imperialisti e contro le masse popolari dei paesi oppressi. Questa guerra vuol dire soffocare le rivoluzioni socialiste e le rivoluzioni democratiche dei paesi oppressi, eliminare le conquiste di civiltà e di benessere strappate durante la prima ondata della rivoluzioni proletaria, reimporre la vecchia barbarie anche in quei settori e aspetti della vita in cui il movimento comunista l'aveva in qualche misura limitata, distruggere le condizioni di vita tradizionali che sopravvivevano nei paesi oppressi. L'obiettivo che la borghesia imperialista persegue in questa guerra è cancellare le condizioni, gli ordinamenti, le abitudini che rendono impossibile uno sfruttamento sulla scala che il capitale accumulato di per sé consentirebbe. I morti di questa guerra si contano oramai a milioni ogni giorno, le vittime storpiate fisicamente o moralmente a centinaia di milioni. La resistenza che le masse popolari di ogni paese oppongono in forma dispersa e disorganizzata a questo attacco della borghesia imperialista non può venirne a capo nonostante i miracoli di eroismo che le masse popolari compiono.

La contraddizione tra la borghesia imperialista e le masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi è antagonista e questo antagonismo si manifesterà in forme sempre più acute. Qui sta la base sicura e duratura su cui noi comunisti possiamo, tramite il partito comunista, portare la classe operaia, il cui antagonismo con la borghesia è di lunga data, a stabilire la sua egemonia sulle classi e i popoli oppressi guidandoli ad una guerra vittoriosa contro la borghesia imperialista in una nuova ondata di rivoluzioni socialiste e di rivoluzioni di nuova democrazia. Chi chiude la classe operaia in se stessa, in una semplice difesa delle proprie conquiste, chi non comprende che la classe operaia deve stabilire la propria direzione sulla classi e sui popoli sfruttati e oppressi mostrando di essere capace di guidarli a una guerra vittoriosa contro la borghesia imperialista, non ha nulla a che fare col comunismo, oltre a condannare alla sconfitta la classe operaia.

Ovviamente il primo passo di questo "lungo cammino" è la raccolta dei comunisti e degli operai avanzati in partito: la ricostruzione di veri partiti comunisti. Solo concentrando le sue forze l'avanguardia può svolgere il suo ruolo nei confronti delle grandi masse.

 

2. Abbiamo fin qui parlato della contraddizione tra la borghesia imperialista e le masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi. Ma se considerassimo solo questa contraddizione non comprenderemmo gli avvenimenti correnti. Occorre considerare anche le contraddizioni tra i gruppi e gli Stati imperialisti.

Tutta una diffusa cultura borghese di sinistra attenua queste contraddizioni e, soprattutto, nega che esse abbiano carattere antagonista, cioè che siano risolubili solo con la guerra. È una cultura che prescinde dalla natura del modo di produzione capitalista che Marx ha esposto già circa 150 anni fa, benché molti suoi esponenti si dichiarino marxisti. Nel suo ultimo congresso il PRC ha approvato una tesi (le tesi 14 del documento di maggioranza) che nega esplicitamente che le contraddizioni interimperialiste possano assumere carattere antagonista. In un libro che ha avuto molta pubblicità e molte vendite (L'impero) un vecchio esponente della "dissociazione" negli anni  '70, il prof. Antonio Negri, ha argomentato la stessa tesi. Tutti i gruppi imperialisti del mondo costituirebbero oramai un'unica oligarchia che avrebbe il suo centro politico nello Stato USA. In sostanza il prof. Negri e il suo collega Michael Hardt hanno analizzato il mondo attuale seguendo un metodo d'indagine che il prof. Negri usava già nelle sue elaborazioni "leniniste" degli anni '60. Questo metodo consiste nel fotografare la situazione attuale e dipingere il futuro quale risulterebbe dall'azione inalterata delle tendenze che hanno portato alla sua formazione. La situazione attuale è la superiorità politica e militare dello Stato USA e la sua arrogante ingerenza negli affari in ogni angolo del mondo. Che cosa di più banale che proiettare nel futuro questa situazione e immaginare come si svolgeranno le cose se questa situazione perdurasse e si consolidasse?

Dal punto di vista della teoria della conoscenza, il metodo del prof. Negri è il metodo empirista. Il procedimento conoscitivo tipico di questo metodo consiste nel misurare i fatti nel tempo e proiettare nel futuro la tendenza che essi mostrano, senza preoccuparsi più di tanto o del tutto ignorando il meccanismo che li ha prodotti. Eppure è evidente a tutti che se misuro l'altezza di un bambino a un anno, a cinque, a dieci e deduca l'altezza che egli raggiungerà a trenta estrapolando fino a trenta il grafico costruito con le altezze misurate e gli anni, arrivo a previsioni decisamente discordanti dalla realtà. Il problema che bisogna porsi è: le tendenze che hanno portato alla situazione attuale hanno in se stesse la potenzialità di continuare a valere indefinitamente o portano in se stesse controtendenze che possono, non in astratto ma per il concorso di forze e circostanze reali, crescere di forza allo sviluppo delle prime fino a superarle e a invertire il corso delle cose?(8)

 

8. Un esempio per chiarire la questione. In Italia negli anni '80 i capitalisti hanno incominciato a smembrare le grandi unità produttive per diminuire la capacità dei lavoratori di far valere i loro interessi. Poteva questa tendenza a disperdere i lavoratori protrarsi all'infinito? No, perché a parità di altre condizioni la concentrazione dei lavoratori incrementa la produttività e la dispersione la riduce. Quindi la dispersione conteneva in sé fattori che ad un certo punto avrebbero portato all'inversione della tendenza: per aumentare la produttività i padroni dovranno concentrare i lavoratori.

 

9. Gli Stati e i gruppi capitalisti statali, in Rapporti Sociali n. 4 (luglio 1989), pagg. 26-31.

 

Orbene proprio lo sviluppo che ha portato lo Stato USA alla attuale situazione di forza mostra già il prevalere delle controtendenze che rendono la sua preminenza instabile e di breve periodo. Nel lontano 1989 in un articolo della rivista Rapporti Sociali veniva posto il problema che oggi il prof. Negri risolve con l'arbitrarietà del metodo empirico, ma veniva analizzato con metodo marxista.(9) L'autore si chiedeva: "Lo Stato USA è o no lo Stato della borghesia imperialista di tutto il mondo? Lo Stato USA cura la stabilità politica e il mantenimento dell'ordine pubblico nei vari paesi così come li cura negli USA?". E alla domanda non dava una risposta univoca, perché allora le due risposte si presentavano ancora entrambe come possibili. E ciò nonostante che perdurassero ancora ampie tracce della sfiducia in se stessa che la sconfitta del Vietnam aveva generato nella borghesia imperialista USA e i gruppi imperialisti giapponesi sembrassero in procinto di "comperare" gli USA. A poco meno di 15 anni di distanza è evidente che lo Stato USA non è, né è indirizzato a divenire lo Stato della borghesia imperialista di tutto il mondo. La borghesia imperialista USA si è ripresa dal colpo inflittole dalle sconfitte subite negli anni '70 (Vietnam, Laos, Cambogia, Iran, Nicaragua, Angola, Mozambico, Etiopia, ecc.). Ma si è ripresa guidata da un gruppo di potere (i cui esponenti politici e culturali sono quelli che dirigono George W Bush: Cheney, Rumsfeld, Ashcroft, Perle, Wolfowitz, ecc.) che per risolvere i problemi della stabilità del suo potere negli USA lede senza riguardi gli interessi degli altri gruppi imperialisti. Esso ha usato senza scrupoli contro gli altri gruppi imperialisti il monopolio monetario mondiale, la NATO, la vittoria sull'URSS e il crollo del campo socialista, la guerra nel Golfo, la guerra in Jugoslavia. Teso a conservare la governabilità degli USA, a questo fine ha accresciuto ogni giorno le sue pretese nei confronti non solo delle masse popolari del resto del mondo, ma anche degli altri gruppi  imperialisti e delle altre classi sfruttatrici. È quindi evidente che lo Stato USA impersona, afferma e tutela gli interessi dei gruppi imperialisti USA nella loro lotta contro gli altri gruppi imperialisti. Non è lo Stato della borghesia imperialista di tutto il mondo. Il corso degli avvenimenti ha risposto in modo univoco e irreversibile alla domanda che nel 1988 non aveva ancora una risposta sola.

Il Giappone è in stagnazione da dieci anni e lo resterà fino a quando si saranno create le condizioni interne e internazionali perché i gruppi imperialisti giapponesi si scuotano di dosso la tutela, le imposizioni e limitazioni che ad essi hanno imposto i gruppi imperialisti USA e che sono la vera causa della permanente stagnazione del Giappone.

La debolezza dello sviluppo economico della UE rispetto agli USA ha la stessa causa della stagnazione del Giappone, ma è ben più gravida di pericoli stante le ben più vaste relazioni internazionali ed esperienze di dominio mondiale della UE. I gruppi imperialisti europei hanno già creato molte condizioni per competere con i gruppi imperialisti USA, ma hanno ancora molta strada da fare proprio sul piano politico e militare. Questa strada potrebbe però essere percorsa in tempi brevi se il bisogno diventasse impellente: cioè se le pretese dei gruppi imperialisti USA diventassero tali da essere drammaticamente incompatibili con la governabilità in Europa. E tutto lascia pensare che lo diventeranno presto proprio a causa della crisi che attanaglia sia gli USA che la UE.

L'unificazione economica del mondo forzata dai gruppi imperialisti USA per salvare se stessi dalla crisi, accelera la fine della loro egemonia politica. Infatti l'unificazione del mondo non è solo politica e militare. Tanto meno è solo fittizia. Essa si traduce nella sincronizzazione dei cicli economici. E proprio questo rende meno sostenibile la soggezione ai gruppi imperialisti USA. Quando gli USA non fanno da locomotiva dell'economia mondiale, la UE e il Giappone non possono neanche loro farlo perché anch'essi sono in recessione proprio perché sono ancora politicamente dipendenti dagli USA. Quindi la crisi economica si aggrava, le recessioni di breve periodo diventano più gravi e più prolungate. Questo peggiora ovunque le condizioni della governabilità.

Per competere economicamente con i gruppi imperialisti USA, ai gruppi imperialisti giapponesi o europei non basta la forza economica: occorre anche la forza politica e militare. Solo così essi possono sottrarsi alle pressioni e ai ricatti che i gruppi imperialisti USA esercitano tramite il loro Stato e ai freni che pongono al loro stesso sviluppo economico. Solo così essi possono assicurare ai propri clienti economici una adeguata protezione dalle manovre destabilizzatrici che gli imperialisti USA non mancherebbero di mettere in opera contro gruppi e Stati che nella contesa economica si schierassero con i loro concorrenti giapponesi o europei.

I gruppi imperialisti giapponesi ed europei lavorano da tempo per rafforzarsi politicamente. Assicurato il rafforzamento politico, il rafforzamento militare sarà cosa facile: gli imperialisti giapponesi ed europei dispongono di tutto il potenziale scientifico, organizzativo e industriale per colmare in pochi anni il divario che li separa oggi dai gruppi imperialisti USA in campo militare.

Le ancora caute mosse dei gruppi imperialisti giapponesi per stabilire autonome relazioni con la Corea del Sud, con la Corea del Nord e con la Cina fanno parte di un processo di sganciamento dalla tutela USA. Gli USA sono interessati a mantenere la massima divisione e la massima  conflittualità nella zona, per poter mantenere il proprio dominio in Corea del Sud e in Giappone e, mantenendo la tutela sul Giappone, mantenere sotto tutela anche il resto dell'Estremo Oriente.

Se permane il modo di produzione capitalista, l'UE può svilupparsi economicamente solo con una politica aggressiva verso gli USA, se riarma e si scontra anche politicamente con gli USA, se pone fine alle angherie dei gruppi imperialisti USA in Europa e nel resto del mondo. Cioè con una nuova guerra interimperialista (calda o fredda, quanto calda e quanto fredda, non siamo indovini), perché non è immaginabile che i gruppi imperialisti USA lasceranno di buon grado il ruolo che hanno conquistato dopo la sconfitta del Vietnam di solo 25 anni fa e che è anche la condizione della loro sopravvivenza politica negli USA. Essi anzi hanno già apertamente dichiarato che non tollereranno che alcun altro Stato cerchi di raggiungere la parità politica e militare con il loro Stato: un chiaro avvertimento ai gruppi imperialisti UE. Ma anche il loro potere negli stessi USA ha dei limiti importanti: quelli posti dalle contraddizioni di classe che si vanno aggravando e dalle tradizioni democratiche della società americana che i gruppi imperialisti USA stanno violando e calpestando.

Prima o poi la rottura economica tra i gruppi imperialisti diventerà anche rottura politica e militare. Questa è la via attraverso la quale la borghesia imperialista crea spontaneamente, per sua natura, le condizioni per una nuova guerra interimperialista. Al di là di ogni piano e complotto, si tratta di una tendenza spontanea che comunque produce i suoi risultati..

L'aggravamento delle contraddizioni interimperialiste e il carattere antagonista che esse assumono preparano le condizioni per una futura guerra interimperialista che solo lo sviluppo della nuova ondata della rivoluzione proletaria può impedire prevenendola.

 

Questi sviluppi della "crisi del capitalismo" mostrano chiaramente quale è, a grandi linee, il compito dei comunisti. Il compito strategico dei comunisti a livello mondiale consiste nello sviluppare la guerra delle masse popolari dirette dalla classe operaia contro la borghesia imperialista sì da prevenire la nuova guerra interimperialista o almeno ritardarla il più possibile in modo che la crisi generale in corso si chiuda con una grande vittoria della nuova ondata della rivoluzione proletaria anziché con l'instaurazione di un nuovo assetto mondiale ancora dominato dai gruppi imperialisti. Strategicamente nel mondo vi sono tre centri che lotteranno per prevalere: gli USA con gli Stati a loro asserviti, la coalizione di gruppi imperialisti che si sta formando contro gli USA, il movimento comunista internazionale. Oggi nessun borghese scommetterebbe un centesimo su questo terzo contendente. Ma esso lavora nel senso della storia dell'umanità e delle sue potenzialità materiali e spirituali. Al suo rafforzamento e per la sua vittoria lavoriamo noi comunisti. I nostri potenziali alleati sono in ogni angolo del mondo, anche negli Stati Uniti d'America.

Marco Martinengo