Esistono più marxismi?

Rapporti Sociali n. 21 - febbraio 1999 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Si è appena concluso il 1998, il 150° anno del movimento comunista e il 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels che segna la nascita del movimento stesso come movimento cosciente della sua natura, dei suoi obiettivi e dei suoi metodi. “Il comunismo è morto”, proclama la borghesia a gran voce. Che il marxismo fosse morto, lo aveva già incominciato a proclamare a gran voce, con la preveggenza che oggi ognuno può valutare, Benedetto Croce negli ultimi anni del secolo scorso, insomma un secolo fa, dall’alto della sua autorità di grande intellettuale della borghesia imperialista europea. Ma resta il fatto che il marxismo continua ad essere ben vivo persino nei discorsi e nelle pubblicazioni della borghesia. Nel 1998 sono comparse in tutto il mondo, anche a opera di case editrici borghesi, nuove edizioni del Manifesto del partito comunista, di gran lunga il libro di cui sono state stampate più copie e in più lingue nella storia dell’umanità.

Tanto interesse della borghesia non è casuale. Lo spettro che 150 anni fa si aggirava per l’Europa, togliendo il sonno a papi, ministri, capitalisti e poliziotti, oggi si è “mondializzato”: si aggira per tutto il mondo. La borghesia dedica enormi risorse a criticare, denigrare e indebolire il marxismo, proprio perché esso è la scienza della rivoluzione socialista, un’arma preziosa per chi l’imbraccia. Particolarmente insidiosi sono i tentativi di deformare il marxismo, di farne una dottrina come le altre, di contrabbandare per marxismo una dottrina contraffatta, di occultare il suo carattere di strumento della rivoluzione socialista, della lotta dei proletari e dei popoli oppressi di tutto il mondo. Particolarmente insidiosi perché a questi tentativi collaborano, quali che siano le loro intenzioni e motivazioni, anche personaggi che nell’attività pratica appartengono al campo delle forze rivoluzionarie e si presentano come comunisti. La triste esperienza dei revisionisti dell’inizio del secolo che portarono la II Internazionale al crollo del 1914 e la ancora più triste esperienza dei revisionisti moderni (la serie inaugurata da Kruscev e Togliatti e arrivata fino a Gorbaciov, Teng Hsiao-ping e ... Occhetto) che hanno portato partiti comunisti e paesi socialisti al crollo del 1989 devono rendere ogni comunista particolarmente vigile contro i deformatori del marxismo e l’influenza che essi esercitano.

Una categoria particolare di deformatori del marxismo sono quelli che sostengono che esistono più marxismi. Infatti in questo modo essi introducono, veicolano, legittimandole, deformazioni e caricature del marxismo che tanto hanno nociuto agli operai e ai popoli oppressi di tutto il mondo, le pongono sullo stesso piano della scienza che guida la rivoluzione proletaria e alimentano confusione, deviazioni ed errori.

A introduzione del libro Economia, etica e politica nel pensiero di Che Guevara, dello scrittore cubano Carlos Tablada Pérez, edito in Italia nel 1996 dalla casa editrice il Papiro di Milano, leggiamo la seguente dichiarazione: “Penso che ci si impone una nuova realtà, e cioè il pluralismo nell’interpretazione del marxismo. Non credo che sia stato positivo il fatto che alcuni lo abbiano interpretato in un determinato modo e abbiano preteso d’imporre la propria interpretazione a tutti gli altri. Da tempo sono giunto alla conclusione che ci dev’essere pluralismo d’interpretazione del marxismo, altrimenti la teoria si trasforma in una dottrina quasi religiosa e in un dogma”. Questa dichiarazione è firmata Fidel Castro ed è datata Città del Messico, 3 dicembre 1988. L’autore del libro la premette alla sua presentazione, che intitola Il marxismo del Che e nella presentazione stessa ribadisce più volte il concetto che “ci sono molti marxismi. Non esiste una sola interpretazione del marxismo e nessuna delle interpretazioni esistenti è padrona assoluta della verità”, concetto che egli ripetutamente accosta a quello che “il comunismo non è una dottrina ma un movimento”, “il marxismo non è una dottrina ma un movimento” e altre affermazioni analoghe che negano ogni valore al marxismo (al comunismo) come concezione del mondo e come metodo di azione e lo riducono al solo movimento pratico. Ci sarebbe da congratularsi se quella dichiarazione di Fidel Castro e le affermazioni di Tablada fossero le loro grida di gioia perché il crollo dei paesi socialisti li ha liberati dalla cappa soffocante del revisionismo moderno, che fino al 1989 i loro “alleati sovietici” pre sentavano come marxismo ortodosso. Purtroppo quanto Tablada scrive nel resto della presentazione del libro citato e le lodi che Fidel Castro spande nel mondo all’indirizzo di papa Woityla, del re di Spagna, di Benetton e di altri illustri oppressori dei lavoratori, ci confermano che non di liberazione dal revisionismo moderno si tratta, ma di un’immersione ancora più profonda in esso.

Che senso ha infatti la tesi che “esistono più marxismi”? Premettiamo che noi non vogliamo e non possiamo entrare in merito alla linea seguita dal Partito comunista cubano nel dirigere la rivoluzione cubana. Ogni linea particolare è una combinazione originale degli elementi universali del marxismo, validi per la lotta delle classi e dei popoli oppressi di tutto il mondo, con la situazione particolare e solo le masse popolari, la classe operaia e i comunisti cubani sono in grado di giudicare la linea seguita dal Partito comunista cubano e di correggerla se necessario. Quando nel 1962 il Partito comunista cinese pubblicò l’opuscolo Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi (Opere di Mao Tse-tung, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali), esso disse: “Sebbene a nostro parere l’attuale linea del Partito comunista italiano sulla questione della rivoluzione socialista sia sbagliata, noi non abbiamo mai cercato d’interferire perché naturalmente, si tratta di una cosa sulla quale solo i compagni italiani devono decidere. Ma ora il compagno Togliatti proclama che questa teoria delle “riforme di struttura” è una “linea comune all’intero movimento comunista internazionale” e dichiara unilateralmente che la transizione pacifica è “diventata un principio di strategia mondiale del movimento operaio e del movimento comunista”.

Questa questione coinvolge non solo la fondamentale teoria marxista-leninista della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria, ma anche il problema fondamentale dell’emancipazione del proletariato e del popolo in tutti i paesi capitalisti. Allora, come membri del movimento comunista internazionale e come marxisti-leninisti, noi non possiamo non esprimere le nostre opinioni al riguardo”. Noi condividiamo interamente questa posizione per quanto riguarda la linea seguita dal Partito comunista cubano nel dirigere la rivoluzione cubana. Ma la tesi che “esistono più marxismi” (come la tesi che “non esiste una dottrina marxista”) vuole essere un’affermazione di carattere universale, valida per tutti i paesi e quindi essa riguarda anche noi, aspiranti comunisti italiani. È vero che esistono più marxismi? Cosa significa questa tesi?

Essa significa il contrario della verità. Significa che il marxismo non è una guida per la lotta della classe operaia o che il marxismo tratta di cose che con la lotta delle classi e dei popoli oppressi non c’entrano affatto, perché ovviamente nella lotta pratica, come in ogni aspetto della vita pratica, non si può seguire un po’ una direzione e un po’ la direzione contraria, non è indifferente quale direzione si segua. Chi propaganda la tesi che esistono più marxismi e che uno vale l’altro, priva la classe operaia e le masse oppresse dell’esperienza e del patrimonio teorico del movimento comunista. Le condanna a brancolare nel buio. Cosa sarebbe un muratore se non facesse propria l’esperienza dei muratori che l’hanno preceduto e la scienza che è stata elaborata su quell’esperienza? Cosa farebbe se lavorasse a casaccio, seguendo ora una teoria e ora una opposta? Non è la tesi che “esistono più marxismi” parente prossima delle tesi che “non esiste alcuna teoria scientifica della rivoluzione proletaria”, che “il marxismo è fallito”, che “il marxismo è morto”?

Il marxismo (e il materialismo dialettico come concezione del mondo e metodo d’azione pratica) è uno strumento fondamentale del proletariato nella lotta di classe contro la borghesia. Esso non è solo un’interpretazione di alcuni aspetti e sotto alcuni punti di vista dell’epoca che stiamo attraversando. Il marxismo è l’elaborazione più elevata dell’esperienza della lotta di classe e la concezione del mondo più corrispondente alla realtà che chiunque debba e voglia superare lo stato presente delle cose deve impugnare.

Anzitutto il marxismo è uno strumento che solo i comunisti possono impugnare con successo: “i comunisti - diceva Marx - hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario”.

Nella realtà non esistono strumenti adatti in assoluto per qualunque obiettivo. Ogni strumento è adatto a svolgere deter minate funzioni, raggiungere determinati obiettivi, a perseguire determinati scopi. Quindi il valore, il risultato dell’utilizzo di uno strumento dipende dalle mani di chi lo impugna.

Il marxismo non è il fucile con cui chiunque può sparare, che è efficace (soprattutto quando è efficiente) per chiunque lo impugni: il marxismo è lo strumento con cui la classe operaia analizza la situazione concreta, definisce e orienta la propria lotta contro la borghesia. La borghesia non può oggettivamente usare il marxismo per perseguire i suoi scopi perché il marxismo è la concezione e il metodo d’azione che porta all’abbattimento della borghesia stessa come classe, alla sua scomparsa; mentre l’interesse della borghesia è sopravvivere, nonostante lo sviluppo oggettivo del modo di produzione su cui essa si basa sia stato la sua culla e sia ora la sua bara. Quindi il marxismo non è lo strumento adatto alla borghesia per risolvere i suoi problemi.

Per questo ogni volta che qualcuno si riempie la bocca di marxismo o di termini e concetti ad esso legati occorre sempre chiedersi quale sia la sua natura di classe e, per dirla con Lenin, bisogna chiedersi “a chi serve?”.

La validità di uno strumento è sempre la validità rispetto agli interessi di chi lo usa.

Ma ogni strumento valido è ambito da chiunque, perché anche se non lo può usare ai fini per cui è stato creato o scoperto, lo può sempre rendere inservibile ai propri nemici o impedire od ostacolare ad essi il suo utilizzo.

La borghesia ha fatto esperienza diretta dell’efficacia del marxismo nella lotta che la classe operaia ha condotto contro di essa. Ciò che la borghesia può fare del marxismo è solamente storpiarlo, travisarlo, revisionarlo (non nel senso di metterlo a punto!), confonderne il più possibile l’utilizzo da parte del proletariato.

È necessario battere il chiodo contro una tendenza propria del movimento comunista italiano a sottovalutare l’aspetto ideologico come parte della lotta di classe. Un ottimo metodo per rendere inefficace l’attacco del proprio nemico è impedire che esso sappia bene dove e contro chi tirare i suoi colpi. Il marxismo, come strumento di analisi e di orientamento, è anche il mirino lungo la canna del fucile impugnato dalla classe operaia e puntato contro la borghesia. Quest’ultima ha tutto l’interesse a rendere inefficace quello strumento, è anzi il suo metodo difensivo più efficace nella fase in cui essa opera principalmente sul profilo della controrivoluzione preventiva.

Inquinare il marxismo, diffonderne interpretazioni quanto più varie, numerose, contraffatte e fuorvianti possibile è un metodo efficace per la borghesia di spargere sale sul terreno delle masse popolari, del proletariato e della classe operaia allo scopo di rendere difficile il germogliare di elementi avanzati, di avanguardie che mettono in discussione e minacciano il sistema su cui essa basa la sua esistenza.

È per questa ragione che la borghesia si affanna a “mettere le mani” sul marxismo. Eminenti dirigenti politici e portavoce borghesi dichiarano oggi addirittura di essere marxisti! L’ex-ministro del tesoro Tremonti del governo Berlusconi, lo stesso Rutelli sono solo due esempi. A quale scopo? Per rendere le masse popolari, il proletariato e la classe operaia incapaci di comprendere la situazione attuale e organizzarsi seguendo una linea giusta per rivoluzionarla. Innanzitutto, nel nostro paese, per impedire la ricostruzione del partito comunista.

Ma non sono solo personaggi ed esponenti della borghesia imperialista che si prodigano in tal modo. La storia del movimento comunista è ricca di esempi di elementi sedicenti “di sinistra”, comunisti, rivoluzionari o addirittura “ultra-rivoluzionari” che sostengono a vario titolo che è necessario aggiornare il marxismo per renderlo più adeguato, per attualizzarlo. E a dimostrazione delle loro tesi accampano analisi sulla “modernizzazione” della tecnologia con la “rivoluzione informatica” e la “mondializzazione” dell’economia. Mentre si guardano bene, i vari revisionisti del marxismo, di mettere in evidenza in cosa invece l’attuale modo di produzione è immutato dalle sue origini; evitano accuratamente di illustrare come i rapporti di produzione restano gli stessi, anche modificandosi enormemente le forze produttive. E così sarà fino a quando non sarà instaurato il potere di una classe che sia rivoluzionaria rispetto alla borghesia (come la borghesia lo fu rispetto all’aristocrazia nel feudalesimo), che distruggerà gli attuali rapporti di produzione per sostituirli con altri, meglio adeguati al carattere collettivo già raggiunto dalle attuali forze produttive: ovvero la classe operaia.

 Oggi anche Fidel Castro sostiene che esistono “più marxismi”, e allo stesso tempo sostiene che gli spagnoli sono fortunati ad avere il re che si ritrovano e gli italiani ad avere papa Woityla in casa loro. Chiediamolo ai proletari spagnoli e italiani cosa ne pensano! Anche D’Alema e Bertinotti fanno a gara a chi è discepolo e interprete più fedele e accreditato del pensiero del capo del più potente gruppo politico-finanziario italiano. D’Alema non perde occasione (vedi da ultimo l’intervista a El Pais del 14 dicembre ’98) per dichiarare che Woityla aveva ragione a condannare i comunisti. Ma quale vantaggio hanno ricavato le classi e i popoli oppressi dall’imperialismo dalla predicazione e dall’azione del capo del Vaticano?

A chi giovano queste dichiarazioni di Fidel Castro, di D’Alema, di Bertinotti? Sono forse di aiuto alle masse popolari spagnole o italiane, alla classe operaia di questi paesi o del resto del mondo per comprendere qual è la reale contraddizione dell’attuale società, cosa fare? Certo si può sempre sostenere che Fidel ha vari motivi per fare dichiarazioni che tatticamente puntino ad ottenere posizioni migliori, ma cosa c’entra questo con il marxismo? È forse imbrogliando le masse e adulando la borghesia che si accumulano forze per la rivoluzione, per instaurare il socialismo o per difenderlo dagli attacchi della borghesia? È forse sostenendo che la borghesia è in grado di elaborare teorie più efficaci e strumenti migliori per abbattere se stessa di quelli usati dalla classe operaia nella sua lotta per la conquista del potere, che si contribuisce a superare il capitalismo?

Il marxismo mette in luce la contraddizione principale della nostra epoca: la contraddizione tra capitale e lavoro, quella tra borghesia e classe operaia, quella tra capitalismo e socialismo come sistemi di produzione che oggettivamente sono destinati l’uno a soccombere e l’altro a emergere e vincere nella cruenta lotta di classe. Questa resta la caratteristica fondamentale della nostra epoca e il marxismo l’ha ben individuata e analizzata. Ogni situazione specifica richiede, ovviamente, soluzioni specifiche. Lo stesso Lenin non si stancava mai di sottolineare come la possibilità di vittoria della rivoluzione in Russia era frutto di ben determinate condizioni specifiche del luogo e del momento. Non per questo accampava reinterpretazioni del marxismo a sostegno della particolarità della situazione in cui lottava, anzi: proprio il materialismo dialettico insegna ad individuare il particolare nel generale, a distinguere i nessi tra i due, a comprendere la contraddizione principale e a trattare, alla luce di questa, le contraddizioni secondarie. Proprio il marxismo è l’affermazione della validità della specificità, del particolare come parte del generale e senza del quale il generale non esisterebbe. Ma il marxismo indica anche le leggi fondamentali proprie del modo di produzione in cui viviamo: quello capitalista. Senza la comprensione di queste leggi o con il tentativo di reinterpretarle per adattarle alla propria incapacità di vedere i processi in corso o per renderle accettabili alla borghesia, non è possibile comprendere e far prevalere lo sviluppo rivoluzionario nel movimento oggettivo della realtà.

Il marxismo resta lo strumento fondamentale della lotta per l’emancipazione del proletariato contro la borghesia. Esso è una ben precisa concezione del mondo, valida finché il mondo attuale non sarà cambiato. È un ben preciso metodo di conoscenza e d’azione valido finché la classe operaia non avrà guidato le masse popolari a mettere definitivamente fine alla società basata sulla divisone in classi di sfruttati e di sfruttatori. Di questa scienza della rivoluzione proletaria avranno bisogno le classi e i popoli oppressi finché avranno bisogno della rivoluzione proletaria.

 

Lupo

 

***** Manchette

Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano

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Alcuni collaboratori del CARC di Milano, nei gruppi di studio e di lettura che si sono svolti nel mese di novembre, hanno così riassunto l’importanza di questo passo: “Era ora che i comunisti italiani avessero un documento del genere”; “con la pubblicazione del Progetto tutti quelli che si dicono comunisti sono chiamati a mettersi in ballo e a essere conseguenti. Non si può, più far finta di  niente e continuare tutto come prima”; “con il Progetto cominciamo non solo a essere contro, ma a dire anche che cosa concretamente vogliamo”.

Alcuni dati parziali sulla diffusione in un solo mese confermano il grande interesse che suscita questo documento: sono state vendute più di 70 copie a Napoli e altrettante a Milano.

Abbiamo avviato un lavoro di studio e confronto con collaboratori e simpatizzanti, lavoratori avanzati, forze soggettive singole e organizzate che si svilupperà e accompagnerà il lavoro dei CARC del prossimo anno (…)

Da Resistenza n 1, gennaio 1990.

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