Il ruolo delle caricature in politica

Rapporti Sociali n. 20 - novembre 1998 (versione Open Office / versione MSWord )

 

“Nessuno può compromettere la socialdemocrazia rivoluzionaria, se essa non si compromette da sé. Bisogna sempre rammentare e tener presente questo motto, quando l’una o l’altra tesi teorica o tattica fondamentale del marxismo riporta la vittoria o si pone soltanto all’ordine del giorno, quando contro di essa, oltre ai nemici dichiarati e seri, “si avventano” anche certi amici che la compromettono (in russo diciamo la mortificano) irrimediabilmente, tramutandola in una caricatura.

Cosi è accaduto più d’una volta nella storia della socialdemocrazia russa. La vittoria del marxismo nel movimento operaio, all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, fu accompagnata dalla comparsa di una caricatura del marxismo sotto specie di “economicismo” o “scioperismo”. Se gli “iskristi” non avessero lottato per tanti anni contro di essa, non sarebbe stato possibile difendere i principi della teoria e della politica proletaria né contro il populismo piccolo-borghese né contro il liberalismo borghese.

Cosi è accaduto al bolscevismo, che ha riportato la vittoria nel movimento operaio di massa, nel 1905, fra l’altro perché ha giustamente applicato la parola d’ordine del “boicottaggio della Duma zarista” nel periodo delle più aspre battaglie della rivoluzione russa, nell’autunno del 1905 e che ha dovuto conoscere - e sgominare con la lotta - una sua caricatura, nel periodo dal 1908 al 1910, quando Alexinski e altri fecero gran baccano contro la partecipazione alla III Duma.

Cosi stanno le cose oggi. Il riconoscimento della guerra in corso come guerra imperialista e la precisazione del suo nesso profondo con la fase imperialista del capitalismo, oltre che seri avversari, trovano anche amici poco seri, per i quali la parola imperialismo è diventata “una moda” e che, imparata questa paroletta, seminano tra gli operai la più irrimediabile confusione teorica, risuscitando tutta una sequela di vecchi errori del vecchio “economicismo”. Il capitalismo ha vinto e quindi non bisogna più pensare alle questioni politiche, argomentavano i vecchi “economicisti” negli anni dal 1894 al 1901, giungendo a negare la lotta politica in Russia. L’imperialismo ha vinto e quindi non bisogna più pensare alle questioni della democrazia politica, argomentano gli “economicisti imperialisti” del nostro tempo.

Modello di una simile disposizione di spirito, di una simile caricatura del marxismo è l’articolo di P. Kievski [Iu. Piatakov], pubblicato sopra che offre il primo tentativo di esposizione letteraria in qualche modo organica delle esitazioni di pensiero manifestatesi in alcuni circoli del nostro partito sin dall’inizio del 1915. La diffusione dell’”economicismo imperialista” tra i marxisti, che si sono schierati con energia contro il socialsciovinismo e per l’internazionalismo proletario nell’odierna grave crisi del socialismo, sarebbe un gravissimo colpo vibrato alla nostra tendenza (e al nostro partito), perché la comprometterebbe dall’interno, nel suo stesso seno, tramutandola nell’espressione di un marxismo caricaturale”.

(V.I. Lenin, Attorno a una caricatura del marxismo e all’“economicismo imperialista” (1916), in Opere, vol. 23)

 

Così diceva Lenin anni fa e così accade oggi per almeno due temi fondamentali della teoria dei CARC.

1. Crisi generale per sovrapproduzione di capitale e crisi generale. Alcuni compagni abbracciano entusiasticamente questa tesi e strafanno: “Crisi assoluta per sovrapproduzione di capitale e di merci”. Già, e perché non aggiungono: “sovrapproduzione di denaro, di lavoro salariato, di mezzi di produzione e in generale di tutte le vesti particolari che il capitale assume - di tutte le cose in cui si incarna, si oggettiva - nel suo ciclo di valorizzazione?”.

2. Resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della nuova crisi generale del capitalismo (questione che attraverso la linea di massa, determina tutta la nostra linea di condotta).

 In cosa si manifesta qui il travisamento?

Alcuni compagni aderiscono alla nostra parola d’ordine generale, ma appena si mettono a ragionare di qualche tema particolare, appena adducono argomenti, considerazioni per sostenere il loro punto di vista, risulta subito evidente che nella loro testa la resistenza che le masse oppongono al procedere della crisi è costituita dalle “lotte di difesa” punto e basta (o, in alcuni casi che è difficile dire migliori, che è costituita principalmente dalle “lotte di difesa”).

 

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