Il procedere della seconda crisi generale del capitalismo

Rapporti Sociali n. 20 - novembre 1998 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Dopo la fine della pace sociale nei paesi imperialisti e la fine delle illusioni di uno sviluppo degli ex paesi socialisti all’insegna del capitalismo, è crollato anche un altro pezzo del mito del nuovo ordine mondiale e della ripresa del capitalismo dalla sua crisi generale: quello della zona di prosperità dell’Asia orientale

 

Dall’estate dell’anno scorso la crisi è diventata ogni giorno di più un tema corrente sulla bocca degli esponenti della classe dominante, nel nostro paese e all’estero. Certamente essi usano il tema della crisi anche a fini terroristici, per indurre i lavoratori ad accettare nuovi sacrifici, come fino a ieri usavano la “concorrenza dei giapponesi”, la “concorrenza dei paesi asiatici”, la “concorrenza dei paesi dell’Est”. Ma sta di fatto che, mentre fino a un anno fa promettevano future meraviglie dalla “mondializzazione”, dalla “liberalizzazione”, dalla “privatizzazione” e dai sacrifici, ora sono diventati più prudenti e preoccupati. Alcuni esprimono addirittura la paura che dalla crisi finanziaria si passi a una recessione economica mondiale.

Come stanno effettivamente le cose?

Dall’estate dell’anno scorso, più precisamente dal 2 luglio quando venne ufficialmente svalutato il baht, la valuta thailandese, si sono avuti fallimenti, insolvenze e svalutazioni a catena nonostante i piani di salvataggio messi in atto dal FMI e da altri organismi pubblici e privati. E ciò proprio nei paesi indicati fino al giorno prima come nuove frontiere del capitalismo, come “miracoli economici”, in primo luogo le “tigri” e i “dragoni” asiatici: Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Corea del Sud, Singapore. La perturbazione minaccia anche il Giappone, Taiwan e le zone della Cina aperte allo sfruttamento dei gruppi imperialisti stranieri. Erano i paesi che i padroni di qui indicavano come modello, perché nascevano nuove industrie e la produzione aumentava grazie alla quasi assoluta libertà di cui godevano i capitalisti nei confronti dei lavoratori. I paesi dove i padroni di qui spostavano gli impianti perché lì godevano di manodopera a basso prezzo e senza diritti e limiti di orario, di esenzioni fiscali e di libertà di devastare le risorse naturali e l’ambiente. Ora la recessione di questi paesi potrebbe diventare cronica, combinarsi con la crisi russa e degli altri paesi ex socialisti ed estendersi tumultuosamente al resto del mondo. In questo caso si passerebbe anche da noi da un peggioramento continuo ma graduale delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari a sviluppi traumatici e violenti. O la mobilitazione reazionaria o la mobilitazione rivoluzionaria delle masse farebbero dei salti in avanti.

Ricapitoliamo il cammino con cui siamo arrivati al presente. A metà degli anni ’70 è incominciata la nuova crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. I capitalisti negli anni precedenti avevano aumentato di anno in anno il loro capitale. Il capitale complessivamente accumulato era cresciuto tanto che se, nelle condizioni generali esistenti, avessero continuato a riversarlo tutto nella produzione, come nuovo capitale produttivo,(1) esso avrebbe prodotto per i capitalisti una massa di profitto (un plusvalore) eguale o addirittura inferiore a quello che già ricavavano. Era incominciata la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.(2) Forse che i capitalisti avevano modo di comprendere la situazione a cui erano arrivati, di accordarsi su come farci fronte e di prendere le misure necessarie per mettere in pratica le loro conclusioni? Una procedura di questo genere è estranea al modo di produzione capitalista, è incompatibile con la sua natura. Ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale succhiando il sangue ai “suoi” lavoratori e in competizione con altri capitalisti: fornitori, clienti e concorrenti. Le capacità di comprensione della massa dei capitalisti non vanno oltre questo orizzonte. I casi di individui che “la pensano diversamente” vengono risolti con l’uscita degli individui dal giro. Né i capitalisti hanno l’orecchio e la mente disponibili a chi indica loro la realtà della sovraccumulazione di capitale, perché la sovraccumulazione di capitale è la campana a morte della loro classe e perché la nuova società, che supera la sovraoccupazione di capitale, non possono fondarla loro: la chiave d’accesso alla nuova società è  nelle mani della classe operaia.(3)

 

1. Chiamiamo capitale produttivo quella parte del capitale che da denaro si trasforma sul mercato in merci (strutture e mezzi di produzione, materie prime, forza-lavoro), attraversa il processo lavorativo vero e proprio, per mezzo di questo si trasforma in nuove merci, che sul mercato si trasformano in una quantità di denaro maggiore di quella iniziale. Per brevità questo percorso, questa successione di metamorfosi del capitale, si indica con l’espressione Denaro - Merci - Lavorazione - nuove Merci - più Denaro (D -M - L - nM - pD). Mentre compie questo percorso, il capitale si presenta alternativamente nelle forme di denaro, di strutture produttive, di mezzi di produzione, di materie prime, di forza-lavoro, di beni di consumo. La differenza (nM - M) tra il valore delle nuove merci prodotte e quello delle merci riunite dal capitale in vista del processo lavorativo è il plusvalore estorto dai capitalisti ai lavoratori. Questa misura è in qualche modo rispecchiata dalla differenza tra denaro realizzato dal capitalista vendendo le nuove merci (pD) e il denaro (D) con cui aveva iniziato il percorso. La differenza tra le due quantità (pD - D) è la massa del profitto realizzato dal capitalista nel processo produttivo. Il rapporto tra la massa del profitto e il capitale anticipato (D) è il saggio o tasso del profitto.

 

2. Sulla crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale si vedano in Rapporti Sociali n. 0 (1985), La crisi attuale, crisi per sovrapproduzione di capitale; n. 1 (1987), Crack di borsa e capitale finanziario; n. 5/6 (1990), Ancora sulla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale; n. 9/10 (1991), Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo; n. 12/13 (1992), La seconda crisi generale e la sovrapproduzione assoluta di capitale; n. 16 (1994-1995), La situazione attuale e i nostri compiti; n. 17/18 (1996), Per il dibattito sulla causa e la natura della crisi attuale.

 

3. Una delle correnti del socialismo utopista, nei primi decenni del secolo scorso, fu quella che cercava di convincere la classe dominante che la ragione o la giustizia o ambedue esigevano che essa cambiasse il modo di produzione, ponendo così fine alle “piaghe” della società borghese.

Esponente di primo piano di questa corrente fu Robert Owen (1771-1858) nel primo periodo della sua attività. Una delle grandi conquiste realizzate da Marx ed Engels fu la scoperta che il comunismo sarebbe risultato e poteva risultare solo dalla lotta della classe operaia contro la borghesia. Questa scoperta è chiaramente esposta in F. Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza (1882).

Naturalmente quella tesi del socialismo utopista, benché superata teoricamente dal marxismo, continuò a essere riproposta, sia come tendenza ingenua da parte di esponenti della classe dominante in via di rottura con la propria classe, sia come tentativo politico di indebolire la lotta della classe operaia. Come esponenti di questa riproposizione indichiamo il grande industriale e uomo politico tedesco Walther Rathenau (1867-1922) della AEG, il capitalista italiano Adriano Olivetti (1901-1960) della società omonima. Portavoce attuali di questa corrente sono in Italia il quotidiano il Manifesto, in Francia il mensile Le monde diplomatique.

 

Non la comprensione della situazione e un piano, ma le difficoltà pratiche della valorizzazione del proprio capitale e della realizzazione del prodotto e la concorrenza antagonista tra capitalisti che ne è derivata hanno spinto “spontaneamente e capillarmente” i capitalisti verso tre soluzioni. La liquidazione delle conquiste strappate dai lavoratori nei paesi imperialisti. Lo spostamento della produzione in paesi dove avevano assoluta libertà di sfruttamento degli uomini e di devastazione delle risorse naturali: i paesi neocoloniali e gli ex paesi socialisti. Il gonfiamento del capitale finanziario e del capitale speculativo. Queste sono state per anni le loro “risposte” collettive alla sovrapproduzione assoluta di capitale. Ognuna di queste “soluzioni” non faceva che spostare più in là il problema, preparare nuove contraddizioni e accumulare nuovo materiale infiammabile. In questi mesi le due ultime soluzioni hanno incominciato a sprigionare il potenziale distruttivo accumulato. I movimenti scomposti del capitale finanziario e il capitale speculativo hanno dato il via alla recessione delle attività produttive nei paesi neocoloniali, nei paesi dei “miracoli economici”.

Il capitale finanziario nasce direttamente dal capitale produttivo, come soluzione che ne facilita i movimenti (la “liquidità”). Le azioni, le obbligazioni, ecc. trasformano la proprietà dei mezzi di produzione e delle altre condizioni della produzione (insomma del capitale produttivo) in proprietà di titoli finanziari che fruttano una rendita e un interesse e che possono essere venduti in cambio di denaro in tagli di ogni dimensione e a chiunque. Questa trasformazione facilita la concentrazione di più capitali in un unico centro dirigente, facilita la trasformazione dei risparmi in capitale, facilita la ripartizione del patrimonio individuale dei capitalisti in più attività e settori produttivi indipendentemente dalle attitudini personali del capitalista, facilita la trasformazione del capitale in reddito, facilita il passaggio del singolo capitalista da un settore produttivo a un altro, facilita la separazione tra la proprietà del capitale e le conoscenze e le relazioni necessarie per dirigere un concreto processo produttivo. Il capitalista-finanziere e il dirigente d’azienda diventano due fi gure sociali in linea di principio distinte. Tutto questo avviene attraverso il mercato dei titoli finanziari. In questo mercato vengono vendute e comperate azioni, obbligazioni e altri titoli: certificati di proprietà che “danno titolo” (diritto) a riscuotere una quota dei profitti o un interesse su un prestito. Quindi il capitale finanziario è generato spontaneamente dal capitale produttivo che si combina col capitale bancario che raccoglie e amministra risparmi, patrimoni, denaro liquido. Il capitale finanziario è una sovrastruttura del capitale produttivo. Questo processo di generazione è avvenuto su grande scala verso la fine del secolo scorso ed è uno dei contrassegni della fase imperialista del capitalismo.(4)

Il capitale speculativo nasce dal capitale finanziario e si allontana ancora di più dal capitale produttivo. Il capitale speculativo infatti è una sovrastruttura del capitale finanziario. È capitale che vive e cresce speculando sull’esito delle operazioni del mercato del capitale finanziario: scommettendo sul prezzo che i titoli finanziari avranno in una certa data. Esso nasce da operazioni tese a ridurre il rischio delle operazioni sul mercato finanziario.(5)

 

4. “... i cinque contrassegni principali [dell’imperialismo] ... 1. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2. la fusione del capitale bancario col capitale produttivo e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria; 3. la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; 4. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo [le “transnazionali” o “multinazionali”]; 5. la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitaliste. L’imperialismo è quindi il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i gruppi internazionali ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalisti”.

V.I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), cap. 7, in Opere, vol. 22.

 

5. Un caso semplice, ma reale che aiuta a capire come nasce il capitale speculativo è il seguente. Rossi vende oggi qualcosa a 160.000 lire a Smith che gli dà una cambiale di 100 dollari con scadenza a un anno. Rossi non sa se tra un anno da 100 dollari ricaverà 160.000 lire: dipenderà da come sarà il cambio tra un anno. Per tutelarsi rispetto a una possibile riduzione del cambio (ad es. da 1.600 a 1.500 lire/dollaro), accetta l’offerta di Brambilla che si impegna a comperare da lui Rossi tra un anno 100 dollari a 160.000 lire. Brambilla ovviamente fa la sua offerta perché è convinto che tra un anno il cambio sarà più alto (ad es. 1.700 lire/dollaro).

 

La sovrapproduzione di capitale e quindi l’impossibilità di valorizzare tutto, il capitale come capitale produttivo hanno trovato per alcuni anni una valvola di sfogo nell’accrescimento del capitale finanziario e del capitale speculativo. I capitalisti hanno impiegato in operazioni finanziarie e speculative i capitali che se fossero stati impiegati come capitale produttivo avrebbero ridotto la massa del profitto e quindi creato una situazione economicamente intollerabile per i capitalisti e di conseguenza per tutte le altre classi (in un paese capitalista, se i profitti vanno male, tutta l’economia va male). Così però è cresciuta di anno in anno la massa sia del capitale finanziario sia del capitale speculativo.

Da quello che abbiamo detto derivano due conclusioni importanti.

1. Il capitale finanziario e il capitale speculativo sono rispettivamente figlio e nipote del capitale produttivo. Tutte le proposte di eliminare il capitale finanziario o il capitale speculativo mantenendo il capitale produttivo sono pie aspirazioni, economicamente irrealizzabili. Il capitale produttivo giunto ad un certo punto di sviluppo ha bisogno di generare il capitale finanziario e il capitale speculativo. Quelle proposte sono campate in aria come la proposta di mantenere la produzione mercantile ma non lasciarla sviluppare in produzione capitalista; come la proposta di mantenere la produzione capitalista senza lasciar crescere i singoli capitali oltre un certo livello, senza lasciarla sviluppare in produzione monopolistica; come altre proposte velleitarie con cui i riformisti cercano di deviare le masse popolari dalla lotta per il comunismo.

2. L’ipertrofia del capitale finanziario e del capitale speculativo è generata dalla crisi per sovraccumulazione di capitale. Per un certo tempo essa è una valvola di sfogo, un rimedio parziale alla crisi: impedisce che la crisi si dispieghi in tutto il suo potere devastante. Da qui è chiara l’inconsistenza delle proposte di limitare la crescita del capitale finanziario e del capitale speculativo entro dimensioni “ragionevoli”, mantenendo la produzione capitalista.

 In effetti nel corso di ogni crisi generale c’è una crescita enorme del capitale finanziario e del capitale speculativo.(6) In questi anni i capitalisti, le banche, le società finanziarie, individui con un certo patrimonio si sono riversati in operazioni finanziarie e speculative. Diamo alcuni numeri. Nel mondo vengono compiute operazioni valutarie (compravendita di valute) per un valore di circa 2.000 miliardi di dollari al giorno (per capire l'entità della cifra basta tenere conto che il Prodotto Interno Lordo dell’Italia ammonta circa 1.250 miliardi di dollari all’anno). Di queste transazioni, solo una minima parte, al massimo il 5%, è fatta per pagare l’importazione di merci (beni o servizi). Il resto in parte corrisponde a operazioni finanziarie da paese a paese, ma il grosso corrisponde a speculazioni sul valore delle valute (speculazioni sulla variazione dei cambi). Le venti più importanti banche d’affari mondiali nei primi sei mesi del 1997 hanno dichiarato (proprio così dichiarato!) complessivamente 4.701 milioni di dollari di utili sulle speculazioni sulle divise (di cui 552 milioni solo la Citibank che opera sul mercato delle valute con 350 agenti). Per valutare appieno l’importanza degli utili dichiarati basti tener presente che ad es. il gruppo francese Peugeot (che ha 140.000 dipendenti nel primo semestre del ’98 (che è stato un semestre particolarmente felice) ha dichiarato 330 milioni di dollari di utili.

 

6. Il gonfiamento del capitale finanziario e del capitale speculativo durante la prima crisi generale (1910-1945) è descritto, per quanto riguarda gli USA, in John Kenneth Galbraith, Il grande crollo.

 

Sono sorte come funghi società finanziarie che con un dato capitale sociale di partenza hanno raccolto quantità enormi di soldi da banche, enti pubblici, privati e si sono buttate in speculazioni i cui rischi superavano di gran lunga il capitale sociale. Il fondo LTCM (Long Term Capital Management) dell’americano J.W. Meriwether, recentemente fallito, con un capitale sociale di 4 miliardi di dollari, era arrivato a manovrare titoli per un milione di miliardi di dollari. Tra quelli che gli avevano affidato capitali, c’è anche il paladino d’austerità Fazio, il governatore della Banca d’Italia, il cui Ufficio Italiano Cambi aveva affidato alla LTCM quasi 200 milioni di dollari delle riserve italiane

La sovrapproduzione (sovraccumulazione) assoluta di capitale porta con sé anzitutto una sovrabbondanza di tutte le cose in cui il capitale produttivo si materializza: sovrapproduzione di mezzi di produzione, sovrabbondanza di materie prime, sovrapproduzione di beni di consumo, sovrabbondanza di forza-lavoro sovrabbondanza di denaro. La sovrabbondanza di forza-lavoro vuol dire una massa crescente di disoccupati, di “esuberi”, di emarginati, di poveri, di fronte a una minoranza che si arricchisce perché partecipa in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, ai benefici della crescita del capitale finanziario e del capitale speculativo. La sovrapproduzione di merci vuol dire una lotta a coltello per produrre a costi inferiori: quindi lo spostamento degli impianti in paesi dove i lavoratori sono meno organizzati, dove lo sfruttamento dei bambini e delle donne è più libero, dove le tasse sono minori, dove la devastazione dell’ambiente e delle risorse naturali è più libera. Nei paesi imperialisti vuol dire eliminazione delle conquiste dei lavoratori, eliminazione di posti di lavoro, spostamento di impianti in paesi dove c’è più libertà di sfruttamento, eliminazione o aggiramento dei contratti collettivi di lavoro (contratti d’area, prolungamento dell’apprendistato, salari d’ingresso, contratti a termine, ecc.), importazione di lavoratori disposti a tutto dai paesi neocoloniali. Il procedere della crisi ha voluto dire la distruzione di apparati produttivi concorrenti. La Germania orientale, fino al 1989 una delle maggiori potenze industriali del mondo, è ridotta a zona depressa. Le industrie dei paesi dell’Europa Orientale e dell’ex Unione Sovietica sono state o acquistate e messe in funzione al posto di industrie dei paesi imperialisti o messe fuori uso. La produzione agricola di molti paesi coloniali e degli ex paesi socialisti è stata o abbandonata o trasformata in piantagioni per l’esportazione. In molti paesi gli alimenti sono diventati in larga misura prodotto di importazione.

Questi alcuni dei risultati del progredire della crisi generale in campo economico negli anni che abbiamo alle spalle. I miracoli economici tanto vantati (Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Indonesia, Filippine, Malesia, Brasile, Zone di Nuova Economia della Repubblica Popolare Cinese, ecc.) erano costituiti da paesi dove i gruppi imperialisti avevano libertà di sfruttamento e avevano quindi impiantato industrie che producevano per l’esportazione. Un’immensa periferia che produce in condizioni infernali per i lavoratori e devastanti per le risorse naturali e invia i suoi prodotti nei paesi im perialisti mentre una parte crescente della popolazione di questi paesi cade in miseria perché estromessa dal lavoro. Man mano che i lavoratori di un paese si organizzano e rafforzano la propria capacità di difendersi dallo sfruttamento, gli impianti vengono spostati altrove. Da qui la crescita di contrasti tra paesi.

 

**** Manchette

Razzismo e classi

Il governo Prodi ha continuato la tradizione dei governi che l’hanno preceduto e ha varato le sue leggi razziali sull’immigrazione, a somiglianza degli altri governi imperialisti, dagli USA all’Australia. Il contenuto delle nuove leggi razziste è presto riassunto: libera circolazione e ogni licenza per bianchi ricchi, ogni misura repressiva, compreso l’affondamento di navi, contro poveri di colore. Per il resto (ricchi di colore e bianchi poveri) misure dettagliate. Nessuna meraviglia che in questo contesto i reali di Casa Savoia siano i benvenuti!

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Il primo dei miracoli economici a saltare è stato il Giappone. Il Giappone ha ancora oggi un’eccedenza commerciale enorme (circa 250 miliardi di dollari/anno), riserve valutarie per 200 miliardi di dollari e grandi investimenti in buoni del Tesoro USA e in altri titoli americani. Ma da quando all’inizio degli anni ’90 la banca centrale ha bloccato il credito facile per frenare la crescita della speculazione, la borsa è crollata del 50% e i prezzi delle case e dei terreni del 60 - 80%. Le banche si sono ritrovate con 1.000 miliardi di dollari di crediti inesigibili. A questo punto hanno bloccato il credito al consumo e al settore commerciale. I consumi e le importazioni sono calate e le esportazioni non possono crescere oltre un certo limite perché frenate dalle misure protezioniste USA ed europee e dalla concorrenza degli altri paesi asiatici, in particolare la Cina, contro cui il Giappone ha recentemente svalutato lo yen del 10%. Il risultato è che il prodotto interno lordo diminuisce, i prezzi all’ingrosso nell’ultimo anno sono diminuiti del 4%, la disoccupazione è aumentata: utilizzando i criteri ufficiali in uso da noi è circa al 10% della popolazione attiva. Tenuto conto che il sistema di sicurezza sociale è pressoché nullo, ciò spiega come mai il numero dei suicidi è salito ai livelli degli anni 1945-1947.

La situazione del Giappone ha reso critica la situazione degli altri paesi del Sud Est asiatico e della Corea del Nord. Non solo non possono contare sulle esportazioni in Giappone, ma devono far fronte agli sforzi dei giapponesi per esportare. A causa dei movimenti del capitale speculativo, il cambio del dollaro rispetto alle monete europee e allo yen è cresciuto da metà 1996 fino alla fine del 1997 (ora sta scendendo). Ciò ha fatto aumentare il prezzo delle esportazioni dei paesi del Sud Est asiatico che avevano tutti monete con cambio fisso col dollaro, a tutto vantaggio della Cina la cui moneta non è vincolata al dollaro. Gli speculatori hanno ulteriormente approfittato di questa situazione dando per scontato che le monete del Sud Est asiatico avrebbero dovuto svalutare. Da qui la fuga degli investimenti finanziari, il rialzo dei tassi d’interesse per trattenerli, la perdita ulteriore delle esportazioni e alla fine il collasso, aperto nel luglio ’97 dalla Thailandia, con insolvenze bancarie e patrimoni andati in fumo, chiusura di aziende, ecc. In tutti questi paesi ora l’attività economica è in riduzione, i consumi crollano, la disoccupazione è alle stelle. Il FMI ha sostenuto piani di risanamento finanziario, ma alla condizione che i governi locali aumentassero le tasse, riducessero i contributi che mantenevano relativamente bassi i prezzi di alcuni generi di prima necessità. Insomma la vita sta peggiorando, l’attività economica si riduce e le importazioni di conseguenza calano. Questo si ripercuote su altri paesi. Inoltre varie banche giapponesi ed europee hanno perso i crediti che avevano concesso e sono a loro volta sull’orlo del fallimento.

A questa situazione dei paesi asiatici è da aggiungere la situazione fallimentare della Russia, che mette in difficoltà le esportazioni europee e le banche che avevano fatto prestiti. Le due cose assieme hanno già avuto ripercussioni negative in America Latina. Ora il problema è se questo effetto si propagherà o no. In questa situazione difficile si profila un aggravamento della guerra tra gruppi imperialisti americani e gruppi imperialisti europei, in particolare tedeschi. Il FMI sostiene che i tassi di interesse in Europa devono essere ridotti, perché le imprese paghino meno interessi e rilancino  l’attività economica. Ma questo indebolirebbe l’afflusso di soldi e di investimenti al sistema finanziario dell’euro e comprometterebbe il piano tedesco di creare un sistema finanziario alternativo al dollaro. In Europa è stata lanciata la tesi che occorre adoperare le riserve delle banche centrali europee per finanziare l’attività economica in Europa. Se si tiene conto che buona parte di queste riserve sono investite in titoli americani e in particolare in buoni del Tesoro USA, vendere questi titoli per acquistare titoli di banche e altre istituzioni finanziarie europee (che dovrebbero poi finanziare le imprese europee) vorrebbe dire un crollo finanziario a Wall Street.(7)

 

7. Riassumiamo. Oggi affluiscono negli USA un’enorme quantità di merci che sono una componente determinante della produzione del Giappone, delle Zone di Nuova Economia della Cina (la versione moderna delle concessioni che gli imperialisti avevano nella vecchia Cina semicoloniale dopo il 1900), dei paesi dell’Asia orientale e di altri paesi oppressi. Gli USA pagano con i profitti e le rendite loro provenienti dall’estero, con gli aumenti vertiginosi fatti dal capitale finanziario e speculativo USA nelle orse USA ed estere, con i capitali finanziari e speculativi che dall’estero vengono investiti in titoli USA, con l’emissione di dollari. Tutte queste fonti saranno inaridite o gradualmente ridotte dalla crisi finanziaria. Milioni di americani non potranno più pagare merci prodotte dagli schiavi nel mondo: basta pensare a cosa vorrà dire il crollo dei Fondi pensione!

Alla buon’ora, diranno alcuni lettori, finalmente milioni di uomini, di donne e di bambini smetteranno di rompersi la schiena e dannarsi l’anima per inviare negli USA il prodotto del loro lavoro! Certo, ma il sistema economico dei loro paesi, salvo in certa misura la Cina, è tale che finendo di rompersi la schiena per rifornire gli USA, essi non produrranno per sé, ma non avranno neanche di che protrarre l'attuale vita di stenti. Ciò ridurrà ulteriormente il blocco delle merci di milioni di altri lavoratori. È il meccanismo con cui la crisi del capitale finanziario, nato dal capitale produttivo, si scarica infine definitivamente sul capitale produttivo.

 

Questi sono alcuni dei contrasti sul tappeto. Cosa concluderne?

Non siamo in grado di dire se è già iniziata una depressione economica mondiale. La cosa non è da escludere. Di sicuro le condizioni delle masse popolari a livello mondiale hanno subito nell’anno passato un netto peggioramento e la cosa proseguirà, con andamenti diversi nei vari paesi: cosa che faciliterà chi cerca di deviare le masse in contrasti nazionalisti. La legge dell’impoverimento assoluto dei lavoratori, propria del capitalismo, sta mostrandosi in tutta la sua forza dove la classe operaia e le masse popolari non riescono a difendere con una qualche efficacia le loro conquiste e i loro interessi. Le difficoltà attuali del movimento comunista non ci consentono di avere una buona conoscenza dello stato del movimento comunista nel mondo, ma mille indizi confermano che è in corso una diffusa rinascita che si sta sviluppando in tutti i paesi anche se a ritmi diversi.

D’altra parte nel campo della borghesia imperialista i contrasti tra gruppi imperialisti si sono fortemente accentuati. Non è un caso che gli USA fanno di tutto per mantenere un clima di forte instabilità in Europa: il loro zelo interventista in Jugoslavia è esemplare. La crisi generale aveva spinto avanti a forza la mondializzazione dell’economia, aprendo le frontiere agli investimenti diretti, all’acquisto di aziende statali privatizzate, agli investimenti finanziari e ai capitali speculativi. Ora per effetto della crisi la mondializzazione sta producendo il suo contrario: barriere protettive, svalutazioni competitive, terreno per lo sviluppo di movimenti nazionalisti, razzisti, xenofobi. I gruppi borghesi più spregiudicati nella difesa dei loro interessi vi ricorrono con decisione crescente. Il congresso USA ha bloccato per mesi l’aumento della quota USA chiesto dal FMI (18 miliardi di dollari) e lo ha sbloccato solo il 15 ottobre in sede di approvazione del bilancio federale per il ’99.

È inutile sperare in una autocritica di quelle teste d’uovo che per anni hanno imperversato negli ambienti sedicenti di sinistra portando alle stelle il modello giapponese come una nuova era del capitalismo. Vale però la pena ricordare la cosa ai nostri lettori, perché imparino anche da questo quale credito meritano quelle teste d’uovo.

Quanto al futuro che ci aspetta, è sicuro che la classe operaia, il proletariato e le masse popolari dovranno difendere con maggiore forza nel prossimo periodo le loro condizioni di vita che il corso della crisi tenderà a peggiorare. I gruppi imperialisti e i promotori della mobilitazione reazionaria prenderanno sicuramente maggior vigore cercando di additare nei regimi esistenti e nelle masse popolari degli altri paesi i nemici da combattere. L’alternativa tra mobilitazione rivoluzio naria delle masse e mobilitazione reazionaria si porrà con maggiore forza e impellenza. Proprio da questa maggiore impellenza e forza oggettive dell’alternativa si sprigioneranno maggiori energie e risorse per la soluzione di quello che è il problema chiave per la crescita della mobilitazione rivoluzionaria delle masse: la ricostruzione del partito comunista.

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