Lettere alla redazione

Rapporti Sociali n. 14-15,  inverno - primavera 1994 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Giustizia, Eguaglianza e “baby-pensioni”

 

Gli impiegati statali in Italia potevano andare in pensione grossomodo dopo 20 anni di lavoro. Poi i governi della borghesia imperialista (cioè anche dei parassiti e degli speculatori) si sono accorti che non era “giusto” che gli impiegati statali andassero in pensione dopo 20 anni e gli altri lavoratori dipendenti solo dopo 35 anni. I sindacati di regime, CGIL-CISL-UIL, sono stati d’accordo che era proprio un’ingiustizia. Ora sia i dipendenti statali sia i dipendenti privati devono lavorare tutti più anni di prima per avere diritto alla pensione: in nome dell’Eguaglianza e della Giustizia! Ho chiesto a un amico: “Non era meglio mandare tutti in pensione dopo 20 anni di lavoro?”. L’amico mi ha guardato storto: “Impossibile. Tu rinunceresti a quello che hai oggi: dal frigorifero alla bistecca, dalle ferie alla scuola?”. A me pare che se in Italia lavorassero, diciamo per 20 anni, facendo ognuna qualcuno dei lavori necessari e indispensabili, tutte le persone valide, compresi da un lato i disoccupati e le casalinghe e dall’altro i parassiti che vivono alle spalle degli altri (di interessi, di rendite, di affitti, di raggiri e di speculazioni) e quelli che svolgono attività certamente utili ma che si fanno per passione, per missione o per soddisfazione personale (artisti, sportivi, preti, politici, ecc.), il tempo di lavoro dedicato ai lavori necessari non sarebbe minore di quello che vi si dedica attualmente, si potrebbe produrre tutto quello che si produce oggi e non avremmo meno beni di consumo e mezzi di produzione di quelli che abbiamo oggi. Poi tutte le persone, per il resto della loro vita, potrebbero dedicarsi a lavori liberi, a lavori volontari, ad attività cui ci si dedica per missione o per passione, ai rapporti umani. Cosa cambierebbe? A me pare molto. Certo tutti dovrebbero veramente lavorare per 20 anni. In compenso tutti potrebbero respirare per il resto della loro vita, prima e dopo il periodo di servizio, fare cose belle e creative, volontarie, di loro gradimento, per il piacere loro e degli altri. Beninteso, capisco anch’io che una riorganizzazione del genere della nostra vita non la possono fare i capitalisti grandi o piccoli che siano, né quelli che oggi stanno meglio degli altri. La possono concepire, desiderare, imporre, impostare e dirigere solo quelli che hanno interesse a cambiare: quelli che oggi sono condannati a lavorare tutta la vita per guadagnarsi da vivere, gli piaccia o non gli piaccia il lavoro che fanno e ammesso che un lavoro glielo diano (perché avere un lavoro diventa un privilegio!).

 

 

“Viviamo al di sopra dei nostri mezzi”

 

Quante volte te la senti ripetere! Quasi quasi ci credi, ti pare vero anche se non ti sembra di fare del lusso. Certo c’è sempre qualcuno che sta peggio di te.

Ma cosa c’è oggi nelle condizioni materiali e spirituali della nostra esistenza che non possiamo produrre? Cosa c’è che non è prodotto in quantità sufficiente? C’è qualcosa di cui non siano inutilmente pieni magazzini e vetrine perché non ci sono compratori? C’è un settore industriale o agricolo che lavori a pieno ritmo con tutte le sue potenzialità senza riuscire nonostante ciò a soddisfare tutti i suoi clienti? lo non ne conosco uno. Mi pare che, parlando in modo chiaro, chi dice che viviamo al di sopra dei nostri mezzi voglia dire in realtà che noi lavoratori abbiamo (o vogliamo) salari superiori a quelli che i padroni ci possono dare, che dobbiamo accontentarci di meno. È sintomatico che non dicano mai che vivono al di sopra del loro mezzi quelli che vivono di rendite e interessi, che non propongano mai che anche questi lavorino per aumentare i “ nostri mezzi” ora scarsi!

 Io non ho gli elementi per fare i conti in tasca ad Agnelli e neanche al mio padrone che pure conosco meglio ed è molto più piccolo di Agnelli. Posso anche dare per vero che lui non possa darmi il salario che mi dà. Ma è sicuro che se io prendo di meno, io sto peggio; ma non solo: io compro di meno, quindi il commerciante vende di meno, qualche altro operaio dovrà essere licenziato e anche il mio padrone venderà di meno e vorrà darmi ancora di meno (e forse vorrà licenziarmi). È una spirale a chiudere! Pare una questione senza soluzione. Ma forse tutta la chiave dell’imbroglio si riduce a questo. Io produco qualcosa consumato da altri che a loro volta producono quello che io consumo e fin qui i padroni non c’entrano. Ma nella realtà io produco solo se un padrone mi assume e consumo quello che gli altri producono solo se il mio padrone mi paga abbastanza. Lo stesso avviene per gli altri lavoratori. Non è che viviamo al di sopra di quel che possiamo produrre; è che con il padrone di mezzo non possiamo produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno.

Ma non è colpa sua se non vende! Se lui vendesse, ci farebbe anche lavorare! Se lui guadagnasse bene, sarebbe anche disposto a pagarci di più! Vero, ma visto che non vende abbastanza e non guadagna bene, l’unica è che si tolga di mezzo, è il caso di toglierlo di mezzo perché di certo con lui in mezzo noi vivremo sempre “al di sopra dei nostri mezzi”, voglio dire “dei mezzi di cui per i suoi interessi dovremmo accontentarci”

 

 

Operai e impiegati contro evasori fiscali

 

CGIL-CISL-UIL hanno scoperto la causa della crisi, della disoccupazione e dei nostri mali in generale: l’evasione fiscale. Cercano di mobilitare operai e impiegati contro artigiani, bottegai e professionisti che, diamolo per vero, non pagano le tasse (i capitalisti e i parassiti sono al di sopra di ogni sospetto)!

Di sicuro il fisco scortica operai e impiegati.

- Ma chi è disposto a scommettere diecimila lire che se lo Stato italiano intascasse più soldi da artigiani, bottegai e professionisti alleggerirebbe operai e impiegati?

Chi è disposto a scommettere diecimila lire che se lo Stato italiano intascasse più soldi da artigiani, bottegai e professionisti ci sarebbero più posti di lavoro, meno disoccupati? Non ci sono sempre più disoccupati anche nei paesi in cui, a sentire CGIL-CISL -UIL, tutti pagano le tasse (Francia, Germania, USA, ecc.)?

Io invece sono disposto a scommettere centomila lire (anche un milione) che se questa classe dominante, con l’aiuto di CGIL-CISL-UIL, riuscirà a creare odio tra operai e impiegati da una parte e artigiani, bottegai e professionisti dall’altra, poi mobiliterà artigiani, bottegai e professionisti contro operai e impiegati per ridurre i salari di questi, accusando operai e impiegati di tutte le disgrazie che la crisi del sistema capitalista farà piovere su artigiani, bottegai e professionisti. Domandiamoci: perché se CGIL-CISL-UIL hanno a cuore l’equità fiscale non impongono l’abolizione della ritenuta fiscale in busta paga in modo da mettere operai e impiegati su un piano di maggior parità con artigiani, bottegai e professionisti?

Certamente la nostra domanda è maliziosa perché è ben vero che ciò che veramente vorremmo è: “Non una lira a questo Stato”. Parola d’ordine che la Lega Nord ogni tanto lancia, dopo che artigiani, bottegai e professionisti hanno finito di pagare le tasse e subito ritira!

 

 

Ridurre l’orario di lavoro e il salario

 

 Il governo francese, la Volkswagen, il PDS, la Chiesa e Carniti: una bella compagnia che ha finalmente scoperto il rimedio alla disoccupazione: “Lavorare un po’ meno con un po’ di salario in meno, così si lavora tutti” (“tutti” si fa per dire, qui si tratta solo di quelli che non possono vivere alle spalle degli altri di profitti, interessi o rendite).

Chi rifiuta è uno sporco egoista, che non è disposto a ridurre un po’ i suoi consumi per fare stare meglio tutti i più disgraziati di lui. Sono quelli come lui i responsabili della disoccupazione. E il gioco è fatto: chi dice che responsabile della disoccupazione è il sistema capitalista (e l’economia di mercato) è un bugiardo o un malinformato. Responsabile della disoccupazione è l’egoismo umano. Lo deve punire l’uomo o solo Dio lo può punire? Ossia: imporre riduzione di orario e salario (ma in definitiva basterebbe ridurre il salario: Agnelli è sempre il più pratico!) con legge e CC per gli egoisti che non l’accettano o lasciare a Dio di punirli e dire ai disoccupati di sperare in Dio? “Governo forte” o disoccupazione?

Questa mi pare la spirale messa in moto da governo francese, Volkswagen, PDS, Chiesa e Carniti. Del resto pongo alcuni questioni che avvalorano quanto ho detto.

- Se ci riducono il salario (sia pure riducendoci l’orario) per forza dovremo ridurre i consumi, compreremo di meno, qualche capitalista venderà ancora meno di oggi e dovrà licenziare qualche lavoratore in più (qualche “esubero” in più, qualche lavoratore in più “messo in libertà”).

- Perché la riduzione della manodopera occupata (del monte ore lavorato) dovrebbe cessare se il capitalista impiega due operai per due settimane l’uno al posto di uno per quattro settimane (o due per quattro ore al posto di uno per otto ore)?  Intatti il capitalista licenzia perché, per un motivo o l’altro, gli conviene comperare un minore monte-ore.

- Oggi un capitalista in Albania, in Romania, in Russia (e in Thailandia, Brasile, ecc.) con centomila lire al mese fa lavorare un operaio specializzato. Di quanto deve ridursi il salario in Italia perché trovi conveniente tenere aperta la sua fabbrica qui?

- Con la concorrenza interna ed estera come la mettiamo?

Dogane, regolamenti, controlli: “più Stato e meno mercato”? Ma non è possibile ridurre l’orario di lavoro in regime capitalista? Certo che sì. In un secolo i lavoratori sono riusciti a imporre la riduzione della giornata legale di lavoro da 12 ore e più (72 ore e più alla settimana) a 8 ore e più (40 ore e più alla settimana). Ma cosa abbiamo dovuto fare per ridurlo? Due guerre mondiali, una Rivoluzione d’Ottobre e varie altre lotte e proteste che hanno fatto temere ai capitalisti di perdere tutto. Certamente non l’abbiamo ottenuto con le buone, come dicono oggi PDS, Chiesa e Carniti. Certamente lottando contro i padroni, cercando di prendere tutto, alla peggio riusciremo a avere qualcosa o almeno arretreremo più lentamente. Del resto questa solidarietà tra lavoratori a cui non sono contrari o a cui sono addirittura favorevoli anche i padroni, puzza lontano un miglio: ogni padrone sa che ogni volta che i lavoratori riescono a mettersi d’accordo, è lui a farne le spese. Vi ricordate la “solidarietà nazionale “ (Occhetto non è poi molto “nuovo” rispetto a Berlinguer!)?

Con questo siamo contro la solidarietà tra i lavoratori anche se si tratta di spartirsi la miseria e le disgrazie? Assolutamente no. In ogni situazione si fa quel che si può. Stringiamoci, se non riusciamo a fare altro. Ma sia chiaro che se vogliamo por fine alla disoccupazione dobbiamo riuscire a “ridurre” il padrone: è lui che è in esubero! Solidarietà tra lavoratori sì, ma contro il padrone.

La borghesia imperialista e i suoi portavoce si occupano e preoccupano della disoccupazione solo come causa di disordine pubblico, di sovversione e cercano “ammortizzatori sociali”. Per loro il diritto e il dovere di lavorare per tutti sono malanni, per noi sono la nostra aspirazione!

 

 

Trentin e i lavori di pubblica utilità

  

Da un po’ di tempo Trentin (ma è in buona compagnia con Ingrao, Giugni e vari altri) va proponendo lavori “di pubblica utilità”, “al di fuori del mercato”, per rimediare alla disoccupazione e permettere ai padroni di continuare a licenziare con meno problemi e con la coscienza in pace.

Ma non ha mai spiegato chi pagherebbe gli addetti a questi lavori di “pubblica utilità’’.

I capitalisti? Neanche a pensarci: loro operano solo attraverso il mercato e ora per lo più licenziano.

La pubblica amministrazione? Sembrerebbe di no; di certo Trentin è in prima fila tra quelli che chiedono di ridurre la spesa pubblica (certo “qualificandola”!).

Forse Trentin propone lavoro gratuito? Lavoro forzato? Disoccupati e reclusi? O sono solo chiacchiere per tirare a campare? Per farci ingoiare il rospo del licenziamento oggi nella speranza di un lavoro “di pubblica utilità” domani?

 

 

Più mercato o socialismo? e… giochi di società

 

Esaminiamo in dettaglio un caso concreto, come esempio delle due soluzioni.

L’amministrazione delle ferrovie si rende conto che sui treni tutti i giorni viaggiano per lunghe ore molti bambini. Anziché lasciarli alle prese con genitori che cercano di aiutarli a vincere la noia comperando loro fumetti, ingozzandoli di dolci e altre cose del genere, decide di assumere degli animatori (animatrici) sociali per mettere assieme i bambini durante il viaggio, contribuire alla loro formazione e in particolare abituarli a “socializzare” con incontri casuali come sono quelli fatti durante un viaggio. Esaminiamo, come esempio, cosa succede da un punto di vista economico, quando l’amministrazione delle ferrovie ha assunto un’animatrice.

L’amministrazione delle ferrovie paga l’animatrice con, poniamo, 25 milioni netti di lire all’anno per il lavoro che svolge. L’animatrice con questo salario finalmente può vivere senza vivacchiare alle spalle dei genitori. Prende e usa cose che nella società esistono già in abbondanza e, con disperazione dei loro possessori, non trovano clienti: dai calzini all’auto, alla casa. Fin qui tutto bene.

In una società socialista la cosa si ferma qui e... tutti “vissero felici e contenti”: bambini e genitori di bambini viaggianti, animatrici, genitori di animatrici, amici di animatrici, ecc. I 25 milioni di lire che l’animatrice ha ricevuto sono buoni che delimitano la quantità di cose che lei può prendere e usare. In una società capitalista il discorso è più complesso perché il lavoro non è un mezzo per soddisfare bisogni (formazione dei bambini e sollievo dei loro genitori), ma un mezzo per valorizzare il capitale. Cosa succede?

In una società capitalista l’amministrazione delle ferrovie non dà all’animatrice semplici buoni da consegnare ai negozi o a chi altro per avere quello di cui ha bisogno. Le dà del denaro. L’animatrice, giustamente come tutti gli altri lavoratori, vuole avere denaro sufficiente non solo per i suoi bisogni immediati, ma anche per i periodi di malattia, per la vecchiaia, ecc: accantonamenti, contributi sociali, ecc. che l’amministrazione delle ferrovie deve versare a qualche fondo. In definitiva l’amministrazione non deve sborsare 25 milioni l’anno, ma, diciamo, 50 milioni l’anno. L’amministrazione però non crea denaro. Deve riceverlo da qualche parte. O lo prende a prestito da una banca o “dal pubblico del risparmiatori” emettendo obbligazioni (a prima vista banca e “pubblico” si equivalgono) o aumenta le tariffe e chiede ai viaggiatori di “pagare il nuovo servizio a prezzi di mercato”. Esaminiamo il primo caso: l’amministrazione fa un debito. Ogni anno deve pagare un interesse, diciamo del 10%: 5 milioni di lire. Le sue spese salgono a 55 milioni (l’animatrice continua a prenderne 25). Dì anno in anno l’amministrazione delle ferrovie accumula debiti (e qualcuno accumula crediti o riscuote senza far nulla). Dopo qualche anno l’indebitamento dell’amministrazione è “insostenibile”. L’animatrice  ha ricevuto anch’essa denaro, non buoni per beni. Non pensa solo a vivere, ma risparmia, perché in una società di mercato, se domani hai bisogno di qualcosa, devi avere denaro (anche se chi produce la cosa di cui tu hai bisogno a sua volta non riesce a smaltirla). I beni che giacevano inutili in sua attesa, in parte continuano a restarvi, con sofferenza dei loro possessori. L’animatrice confida i suoi risparmi, diciamo 1 milione all’anno, a una banca. La banca ogni anno le pagherà il 5%, che a sua volta deve prendere da qualche parte. A loro volta i possessori delle cose che l’animatrice va a comperare, visto che i loro clienti sono aumentati (la domanda è aumentata), aumenteranno di tanto o di poco i prezzi: la legge della domanda e dell’offerta vale anche per loro! Lasciamo al lettore di continuare a illustrare l’esempio. Ma già a questo punto è evidente che la storia si concluderà con la ristrutturazione delle ferrovie e il licenziamento dell’animatrice. 0 forse non incomincerà affatto. Esaminiamo il secondo caso: aumento dei biglietti. Siccome le entrate dei biglietti arrivano un po’ alla volta, l’amministrazione deve farsi anticipare comunque i soldi dalla banca: i suoi “costi” aumentano anche in questo caso sopra i 50 milioni, ma l’animatrice prende sempre lo stesso. Quanto ai viaggiatori, alcuni diranno: “Perché devo pagare anche se non ho bambini? Tassa sul celibato? ecc. ecc.” (Qualcuno, più radicale, proporrà di abolire i bambini, almeno sui treni!). L’animatrice risparmia 1 milione l’anno? Idem come sopra. L’animatrice consuma con sua soddisfazione beni equivalenti a 24 milioni. I viaggiatori riducono i loro consumi di 50 milioni con loro dispiacere. I possessori di beni riducono le loro vendite per 26 milioni con loro dispiacere.

Questo esempio banale mostra come rapporti di produzione diversi determinano una vita diversa. Invito i lettori di Rapporti Sociali a sviluppare ognuno per conto suo o in gruppo (come se fosse “un gioco di società”) l’esempio con maggiori dettagli, a farne altri, a moltiplicare ognuno dei casi per dieci, mille, diecimila (credo ne risulteranno cose interessanti) e inviare i risultati alla rivista. Servirà a capire cosa sono i rapporti di produzione e perché il capitalismo ci sta soffocando: produciamo più di quello che consumiamo e quindi dobbiamo consumare di meno!