Il campo della rivoluzione socialista
Classe operaia, proletariato, masse popolari

Rapporti Sociali n. 12/13 - novembre 1992    ( versione Open Office / versione MSWord )

 

In questo scritto si vuole mostrare che nel nostro paese, nell’attuale situazione rivoluzionaria in sviluppo, il campo della rivoluzione socialista è composto dalle masse popolari, che al loro interno la classe operaia è la sola classe che è in grado di dirigere tutte le altre classi nella lotta per il socialismo, che le classi proletarie sono quelle su cui la classe operaia può fare maggiore affidamento.

 

Quando diciamo classe operaia indichiamo fondamentalmente i lavoratori che i capitalisti assumono perché producendo merci (beni o servizi) valorizzino il loro capitale.(1)

Essa è, tra tutte le classi che costituiscono le masse popolari, la sola che, per il ruolo specifico che svolge nella struttura economica della società capitalista, direttamente contrapposta al capitale,(2) posta in una condizione tale da non poter concepire altra emancipazione come classe che non sia il superamento del modo di produzione capitalista, è dal capitale stesso concentrata ed educata all’organizzazione e all’azione collettiva, può sviluppare le condizioni materiali e spirituali necessarie per dirigere tutto il resto delle masse popolari nell’abbattimento della società borghese e nella costruzione della nova società socialista.

 

1. Sull’analisi di classe si veda anche Rapporti Sociali n.3, pag. 18 segg.

 

2. Dicendo che la classe operaia è direttamente contrapposta al capitale intendiamo dire:

- che la classe operaia lavora per valorizzare il capitale (produrre plusvalore),

- che la classe operaia subisce direttamente le leggi della valorizzazione del capitale: a pari valore prodotto, il salario e inversamente proporzionale al plusvalore e l’antagonismo si estende ai ritmi, alle condizioni igieniche e di sicurezza del lavoro, ecc.,

- che la volontà del padrone si presenta ad essa solo come personificazione della legge oggettiva del capitale (l’azienda è “produttiva” o non è “produttiva", il mercato “tira” o non “tira”, legge della domanda e dell’offerta, la concorrenza, produttività-profitto, occupazione-produttività del lavoro, ecc.).

 

Con questo vogliamo dire che la classe operaia è un tutto omogeneo? No. Essa e divisa al suo interno

- per condizioni materiali (grandi concentrazioni, piccole concentrazioni, mobilità sociale, aristocrazia operaia, ecc.);

- per la diversa natura delle merci prodotte (beni o servizi: il settore dei servizi e di sussunzione più recente nel capitale e il suo contenuto determina effetti formali che lo differenziano dal settore che produce beni);

- per condizioni che si sono determinate nel corso della storia (esperienza di organizzazione, di lotta, di direzione, ecc.);

- per i diversi legami degli operai con altre classi: operai che hanno altre occupazioni secondarie (coltivazione della terra, piccoli negozi, ecc.), operai in nuclei familiari composti da elementi di varie classi, operai con risparmi, operai proprietari di case e di altri beni immobili, ecc;

- per la diversa qualità della capacità lavorativa degli operai (operai semplici, operai qualificati, ecc.);

- per la diversa situazione dei settori e delle regioni in cui gli operai lavorano (settori e regioni in crisi, settori e regioni in sviluppo, settori di antica data, settori nuovi, settori già “ristrutturati”, ecc.);

- per altre contraddizioni (uomini/donne, giovani/adulti, nazionalità, lavoratori locali/lavoratori immigrati, cultura, religione, ecc.).(3)

 

3. Vedasi anche Rapporti Sociali n.11, pag. 18, la parte La divisione lei lavoratori in gruppi in base a contraddizioni che hanno carattere di classe.

 

Quindi le questioni della costruzione e del rafforzamento dell’unità conseguiti trattando le contraddizioni in seno al po polo e ponendo in primo piano la contraddizione con il nemico, riguardano anche la classe operaia.

Cosa vogliamo dire affermando che la classe operaia è la classe rivoluzionaria per eccellenza e che è l’unica classe in grado di dirigere il processo rivoluzionario di tutte le masse popolari?

Non la generica e vuota affermazione che la classe operaia è rivoluzionaria, ma precisamente

- che la classe operaia è la sola, tra le classi che compongono le masse popolari, che è capace di assumere la direzione delle altre nel processo rivoluzionario;

- che la sua emancipazione come classe particolare non può compiersi che attraverso il superamento del modo di produzione capitalista e quindi come emancipazione universale dal capitalismo;

- che, di conseguenza, il movimento della sua emancipazione particolare comprende in sé, nella loro forma più generale, gli antagonismi specifici delle altre classi popolari con la borghesia imperialista ed è l’espressione massima della crisi del modo di produzione capitalista.

Non si tratta quindi di un ruolo sempre e comunque in atto. Né la classe operaia è permanentemente “sul piede di guerra”, né essa è soggettivamente, politicamente sempre una forza rivoluzionaria. Si tratta invece di un ruolo storico che essa può svolgere e che solo essa può svolgere: se non lo svolge la classe operaia, nessun’altra forza può svolgerlo. Il passaggio di questo ruolo rivoluzionario e dirigente dal regno delle cose oggettivamente possibili al regno delle cose effettive è, invece, un processo storicamente determinato, è il risultato dell’azione dell’oggetto sul soggetto (nel corso della quale la classe operaia produce le sue avanguardie, i comunisti) e, quindi, del soggetto sull’oggetto (nel corso della quale i comunisti organizzano la classe operaia in classe dirigente), dell’essere sulla coscienza e, quindi, della coscienza sull’essere. È una lotta e, come ogni lotta, è composta di scontri, ognuno dall’esito incerto.

Non si tratta neanche di un ruolo quantitativo della classe operaia: nel senso che gli operai sono la maggioranza della popolazione, che il loro numero è aumentato o diminuito, ecc. Si tratta di un ruolo qualitativo che la classe operaia ha in esclusiva, che non discende dalle qualità intellettuali o morali dei suoi membri, né dai risultati particolarmente brillanti della sua attività politica, quale si è svolta finora. È un ruolo che discende unicamente dalla posizione che essa occupa nella struttura economica della società borghese e che non può sparire che con la società borghese stessa. Quanto poi alle qualità intellettuali e morali dei suoi membri, essi non sono la causa del ruolo della classe operaia, ma, al contrario, è solo man mano che il ruolo rivoluzionario e dirigente della classe operaia passa dal regno delle cose possibili al regno delle cose effettive che anche le qualità intellettuali e morali dei suoi membri sono spinte a cambiare, migliorarsi e adeguarsi al nuovo ruolo che essi stanno assumendo.

 

Quando diciamo proletariato indichiamo fondamentalmente i lavoratori il cui reddito proviene dalla vendita della loro forza-lavoro, che non posseggono altra forza produttiva che la propria capacità lavorativa.

Oltre alla classe operaia fanno parte del proletariato anche

- lavoratori dipendenti del settore pubblico (amministrazione centrale, regionale, provinciale, comunale, USSL, altri enti locali) e semipubblico;

- lavoratori di enti culturali, assistenziali, enti senza fine di lucro, ecc.;

- lavoratori addetti ai servizi personali (camerieri, autisti, giardinieri, ecc.);

- lavoratori dipendenti da imprese familiari (cioè non capitalista) e da lavoratori autonomi;

lavoratori precari, disoccupati, semioccupati, ecc.

 

Nei paesi imperialisti queste classi costituiscono una parte notevole della popolazione. Esse sono gli alleati più saldi su cui la classe operaia può fare affidamento. Proprio perché anch’esse non posseggono altra forza produttiva che la loro forza-lavoro, le altre classi che compongono il proletariato sono direttamente connesse alla classe operaia, vi è un conti nuo viavai di uomini tra di esse, molte forme di organizzazione e culturali sono comuni (la lotta rivendicativa sul salario e sulle condizioni di lavoro, ecc.).

Quando diciamo masse popolari indichiamo fondamentalmente tutte le classi che in una determinata formazione economico-sociale e in una determinata fase della sua trasformazione sono unibili contro la borghesia imperialista sotto la direzione della classe operaia. Oltre al proletariato, nel nostro paese, nella nuova fase della lotta di classe di cui siamo all’inizio, fanno parte delle masse popolari anche:

- lavoratori autonomi (coltivatori diretti, artigiani, camionisti-proprietari, negozianti e benzinai, venditori ambulanti, ecc.),

- piccoli proprietari di aziende individuali e familiari il cui reddito proviene, in parte rilevante, dal proprio lavoro e solo in misura minore dallo sfruttamento del lavoro altrui;

- piccoli professionisti;

- soci di cooperative di produzione;

- pensionati e familiari dei gruppi indicati non inseriti a loro volta in attività produttive (casalinghe, studenti, ecc.);

- piccoli risparmiatori e piccoli proprietari immobiliari le cui condizioni di vita sono affini a quelle dei lavoratori e le cui proprietà sono frutto recente di redditi da lavoro o che percepiscono rendite e affitti per effetto del decadimento dell’importanza economica della loro proprietà; (4)

- lavoratori dipendenti che nelle unità produttive svolgono il ruolo di quadri di livello inferiore e quindi partecipano in parte anche ai ruoli propri del capitalista.(5)

 

4. Come ad esempio contadini troppo poveri che nel processo di proletarizzazione danno in affitto la loro terra e la loro casa, artigiani che stanno subendo lo stesso processo, ecc.

 

5. Lo sviluppo della struttura capitalista della società ha comportato che nell’ambito della produzione di merci (nelle fabbriche, ecc.) tra capitalista proprietario, organizzatore e dirigente del processo lavorativo e gli operai sfruttati da esso si sono introdotti lavoratori, anch’essi venditori della loro forza-lavoro, che aiutano il capitalista a svolgere le sue funzioni (dirigenti, quadri e capi). Proprio perché partecipano delle funzioni del capitalista, ma sono anche lavoratori dipendenti, quando si deve risolvere il problema della loro collocazione di classe occorre rispondere alle questioni: che ruolo hanno nello sfruttamento del resto della forza-lavoro? Quanto condividono delle funzioni del padrone, in che misura fanno le veci del padrone? Che proporzione c'è tra il loro ruolo di sostituti del padrone e il loro ruolo di lavoratori? Se la proporzione è decisamente sbilanciata a favore del secondo, essi appartengono alla classe operaia o al proletariato a seconda dei casi. Se la proporzione è decisamente sbilanciata a favore del primo, essi appartengono o alla borghesia nazionale o alla classe dominante (al campo dell’imperialismo, delle forze della reazione). Se la proporzione tra le due parti è grossomodo equilibrata, essi appartengono a questa classe particolare delle masse popolari.

 

Queste classi costituiscono una parte rilevante della popolazione del paese, sono lavoratori o vicini alle condizioni dei lavoratori. Tra ognuna di esse e le classi proletarie vi sono nel nostro paese molti legami. Molte famiglie sono aggregati di esponenti di vane classi popolari, molti piccoli proprietari vendono saltuariamente la propria forza-lavoro, molti artigiani e rivenditori non sono che disoccupati che sbarcano il lunario, ecc. Viceversa un certo numero di proletari hanno proprietà e rendite da esse (terreni, case date in affitto, risparmi affidati al circuito bancario e finanziario, ecc.). Nel corso della crisi del modo di produzione capitalista la borghesia imperialista non può che sacrificare gli interessi di queste classi e rendere difficile la loro vita: fallimenti, peggioramento delle condizioni di vita, incertezza del futuro proprio e dei figli. Il procedere della crisi spingerà inevitabilmente queste classi alla mobilitazione per trovare soluzioni per la propria sopravvivenza. I contrasti di interessi tra queste classi da una parte e la classe operaia e le altre classi proletarie dall’altro sono secondari rispetto ai contrasti tra esse e la borghesia imperialista. Quindi la classe operaia può in una certa misura fare affidamento su di esse. L’andamento dell’alleanza dipenderà in primo luogo dai rapporti di forza che la classe operaia saprà stabilire di fronte alla borghesia imperialista; in secondo luogo dalla direzione che la classe operaia saprà esercitare, combinando unità e lotta. Qui parliamo della linea generale che la classe operaia deve avere nei confronti di queste classi, che è una cosa diversa dalle misure concrete con cui essa va attuata e che variano da situazione  concreta a situazione concreta. Per creare unità, in un certo periodo può essere necessaria la lotta: si può fare la guerra per raggiungere un accordo o fare un accordo per arrivare alla guerra; deve quindi essere chiaro se nei confronti di una classe si lavora per l’unità o per l’eliminazione.

 

La classe dominante del nostro paese è la borghesia imperialista. Il nostro paese è, per la sua struttura economica, paese imperialista. Tuttavia nel nostro paese vi e anche una “borghesia nazionale”: industriali e commercianti capitalisti, professionisti di medio livello, appaltatori, quadri dirigenti di medio livello nelle imprese capitaliste pubbliche e private, nella pubblica amministrazione e nelle altre unità, ecc. I loro affari non hanno legami diretti con il mercato internazionale, essi operano in un ambito nazionale o locale; non possiedono capitale finanziario oppure ne possiedono in misura marginale rispetto alle loro attività capitaliste produttive; sono, in linea generale, sfruttati dal capitale finanziario attraverso le banche e le assicurazioni; sono esclusi dai circoli del capitalismo di Stato e, in genere, dal potere politico, di cui al contrario subiscono le imposizioni. Si tratta quindi di una classe distinta dalla borghesia imperialista che domina il nostro paese. D’altra parte, è una classe distinta anche dalla piccola borghesia proprietaria di imprese familiari, di botteghe artigiane, ecc. Infatti la sua attività economica non è diretta a procurarsi un reddito, ma a ingrandire il suo capitale. Bisogna approfondire l’analisi di classe del nostro paese e della sua collocazione nel sistema capitalista mondiale per capire in che misura la borghesia nazionale può essere alleata, in che misura va neutralizzata, in che misura va combattuta come appartenente al campo nemico.

Il campo nemico, nella nuova fase della lotta di classe caratterizzato dal procedere della seconda crisi generale per sovrapproduzione di capitale e dalla resistenza delle masse popolari ad esso, è assai ridotto: in esso si trovano

- la borghesia imperialista del nostro paese e internazionale dei settori finanziario, bancario, assicurativo, industriale, agricolo, commerciale,

- i grandi funzionari civili e militari dell’amministrazione centrale, degli enti locali e delle istituzioni affini,

- i dirigenti di livello superiore delle imprese capitaliste pubbliche e private e delle istituzioni culturali, religiose, ecc.,

- i grandi personaggi della politica borghese nazionale, del Vaticano e degli enti stranieri insediati in Italia,

- i grandi redditieri,

- i familiari di queste classi.

In generale alti funzionari e dirigenti sono anche titolari di grandi proprietà finanziarie o immobiliari. Il capitale finanziario, i1 sistema del capitalismo di Stato e la partecipazione al potere politico sono il terreno comune che unisce queste categorie. Esse costituiscono la classe che esercita la propria dittatura sul resto della popolazione, quali che siano gli strumenti con cui regola i rapporti tra i gruppi concorrenti che la compongono e i rapporti tra essa e le masse popolari. Tuttavia questa classe e lacerata da contraddizioni che nella crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale diventano antagoniste. Ogni frazione di capitale può valorizzarsi appropriarsi di plusvalore e accumulare solo se un altro capitale muore: e nessun capitalista si rassegna a lasciare uccidere il suo capitale da un altro, neppure per il bene supremo della “classe” o “bene comune della classe”. Le contraddizioni tra gruppi imperialisti interagiscono inoltre con la contraddizione tra borghesia imperialista e masse popolari. In definitiva le contraddizioni tra gruppi imperialisti si traducono inevitabilmente in crisi dei regimi politici dei singoli paesi e in crisi del sistema politico internazionale della borghesia imperialista. Ogni reale politica rivoluzionaria deve considerare attentamente queste contraddizioni che indeboliscono il campo nemico e usarle a suo vantaggio, guardandosi bene, contemporaneamente, dal confondere i nemici dei propri nemici con i propri alleati.

 

Perché e importante distinguere classe operaia, proletariato, masse popolari?

Anche le società imperialiste sono divise in molte classi. Quanto più la società borghese va oggettivamente verso il co munismo, cioè più la contraddizione tra il carattere collettivo delle forze produttive e la proprietà individuale di esse diventa antagonista, tanto più aumentano le classi, diverse dalla classe operaia, che, per diversi motivi, con diversa determinazione e in modo diverso a seconda della situazione concreta, sono contro lo stato attuale delle cose, i cui interessi sono oggettivamente contrastanti con quelli della borghesia imperialista. Questo è un indice di quanto la società è matura per il socialismo. Le varie classi che compongono le masse popolari costituiscono il campo della rivoluzione socialista, cioè le classi che, nel corso dell’attuale crisi economica e politica, le forze soggettive della rivoluzione socialista possono riuscire a riunire sotto la direzione della classe operaia contro la borghesia imperialista.

Ma ognuna di queste classi, proprio perché non è classe operaia, anche se parteciperà alla rivoluzione si porterà dietro inevitabilmente anche i suoi pregiudizi, le sue fantasie reazionarie, le sue debolezze e i suoi errori (tutte cose connesse con la sua collocazione nella struttura economica dell’attuale società borghese e con l’esperienza che ad essa ne deriva). Se la classe operaia non impara a dirigere queste classi, esse inevitabilmente ne inquineranno le fila e ne rovineranno le organizzazioni politiche e di lotta o addirittura cadranno sotto la direzione della borghesia imperialista (come e successo nei paesi imperialisti durante la prima grande crisi rivoluzionaria della prima metà del secolo). D’altra parte la classe operaia non può imparare a dirigerle né se le considera eguali a se stessa né se le considera classi antagoniste da eliminare.

Alcuni compagni rifiutano di distinguere classe operaia, proletariato e masse popolari e credono di essere con ciò “di sinistra”. Questi compagni rifiutano la concezione secondo cui le masse popolari sono il soggetto della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Essi si dividono in due correnti.

  1. Alcuni, nella loro fantasia rigettano tutte la classi popolari diverse dalla classe operaia o dal proletariato nel campo della controrivoluzione (“un’unica massa reazionaria”). Essi non distinguono le contraddizioni in seno al popolo dalle contraddizioni antagoniste, dalle contraddizioni “tra noi e il nemico”. Sono i compagni che cadono nella deviazione che indichiamo con l’espressione settarismo. Si tratta di una vecchia deviazione. Nella seconda metà del secolo scorso, quando il capitalismo stava appena entrando nell’epoca imperialista, Marx ed Engels lottarono decisamente contro la tesi che il resto delle masse popolari tedesche, all’infuori della classe operaia, costituivano una “massa reazionaria”, tesi sostenuta dal grande organizzatore della classe operaia tedesca, Lassalle. Lenin, all’inizio di questo secolo, ebbe a lottare contro i sedicenti marxisti russi che si opponevano all’alleanza operai-contadini e contro gli pseudo-marxisti della Seconda Internazionale che si opponevano all’alleanza tra il proletariato dei paesi imperialisti e le masse oppresse delle colonie e delle semicolonie.

  2. Altri non distinguono le vane classi in cui le masse popolari sono divise, mischiano in un unico ammasso interclassista classi che hanno sì un comune nemico ma hanno anche contraddizioni tra loro, classi che prendono parte alla rivoluzione socialista con ruoli diversi, con interessi diversi, con motivazioni diverse e con una determinazione diversa. Questi compagni non vedono le contraddizioni in seno al popolo, quindi tanto meno le trattano, tanto meno dirigono giustamente il processo dello scontro e della soluzione. Essi quindi lasciano campo libero alla borghesia imperialista, alla sua “arte di comando”, perché sfrutti le contraddizioni in seno al popolo. Essi, nella loro fantasia, “arruolano” tutte le classi che compongono le masse popolari indistintamente e allo stesso titolo nel campo della rivoluzione (“siamo tutti proletari”). Sono i compagni che cadono nella deviazione che indichiamo con le espressioni populismo e interclassismo.

In realtà, rifiutando di prendere atto di queste distinzioni reali, entrambi i gruppi rifiutano di affermare il ruolo dirigente della classe operaia: se tutta la popolazione che è contrapposta alla borghesia e classe operaia, su chi la classe operaia esercita il suo ruolo dirigente? Su se stessa? Sulla borghesia? Se solo la classe operaia è contrapposta alla borghesia, su chi la classe operaia esercita il suo ruolo dirigente? Su se stessa? Sulla borghesia? Va da sé che questi compagni saranno incapaci di esprimere e impersonare la direzione della classe operaia nella rivoluzione, che è appunto direzione della classe operaia sulle altre classi popolari che partecipano alla rivoluzione con ruoli e in forme differenti.

  

Alcuni compagni sostengono che il fronte unito delle classi rivoluzionarie (6) è proprio della rivoluzione nelle colonie e nelle semicolonie, non della rivoluzione nei paesi imperialisti.

 

6. Non a caso parliamo di fronte unito delle classi rivoluzionarie e non di fronte unito delle forze di sinistra, delle forze socialiste, ecc. Il fronte unito delle classi rivoluzionarie corrisponde a un oggettivo schieramento di interessi materiali da cui le forze soggettive della rivoluzione socialista devono far emergere la sua espressione politica adeguata ai bisogni della rivoluzione socialista nei suoi vari passaggi. I fronte unito delle forze di sinistra, socialiste, ecc. è una soluzione che in alcuni casi va bene e in altri si è rivelata una soluzione a scapito del fronte unito delle classi rivoluzionarie sulla base dei loro interessi materiali, una soluzione paralizzante, che ha tolto autonomia al partito comunista. Il fronte unito delle classi rivoluzionarie infatti non è l’unione delle organizzazioni politiche, delle forze soggettive, degli intellettuali, ecc. La storia dei paesi europei durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1910-1945) è ricca di episodi di fronti uniti delle organizzazioni politiche che ostacolano il fronte unito delle classi rivoluzionarie. Il partito bolscevico realizzò in Russia per vari anni un saldo fronte unito delle classi rivoluzionarie senza alcuna unione di organizzazioni politiche e anzi lottando contro e organizzazioni di “sinistra” (menscevichi, socialisti rivoluzionari, anarchici, ecc.). Il partito comunista cinese, al contrario, costruì un’unione di organizzazioni politiche come espressione del fronte unito delle classi rivoluzionarie. È utile studiare accuratamente queste esperienze: cosa diversa dallo studiare l’interpretazione che di esse danno gli storici borghesi e revisionisti, alla Spriano per esempio.

 

Questi compagni applicano meccanicamente delle formulette apprese dai libri di storia (e neanche da libri di storia di buon livello) e non guardano il processo reale. Questi compagni sicuramente non si sono chiesti perché la rivoluzione socialista non ha trionfato nei paesi imperialisti durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1910-1945). Il problema concreto a cui questi compagni devono rispondere è: quali sono nel nostro paese le classi che possono partecipare alla rivoluzione socialista? Quali sono le classi i cui interessi sono contrapposti a quelli della borghesia imperialista e i cui contrasti con la borghesia imperialista sono resi antagonisti dalla crisi economica e politica in corso? È solo la classe operaia? Oppure sono varie classi, ma sono tutte assimilabili alla classe operaia quanto al ruolo nella rivoluzione socialista?

Il fatto è che nel nostro paese, come in tutti gli altri paesi imperialisti, esistono varie classi si che da un lato non vanno confuse con la classe operaia e dall’altro hanno interessi oggettivamente contrapposti a quelli della borghesia imperialista e il cui antagonismo nel corso della crisi economica e politica in atto diventerà sempre più acuto. Da qui la politica del campo delle classi rivoluzionarie, del fronte unito delle classi rivoluzionarie sotto la direzione della classe operaia.

La differenza tra paesi imperialisti da una parte e colonie e semicolonie dall’altra è fondamentale. Ma essa consiste nella diversa struttura economica e nella diversa natura della rivoluzione in atto. Nelle colonie e nelle semicolonie il fronte unito delle classi rivoluzionarie diretto dalla classe operaia tramite il partito comunista non lotta per il socialismo, ma per eliminare i residui feudali e la dominazione imperialista, il problema della terra e in generale il problema centrale, i contadini sono la forza principale (benché non la forza dirigente) della rivoluzione, la rivoluzione in corso e una rivoluzione di nuova democrazia. Nel paesi imperialisti, invece, la rivoluzione in corso è già una rivoluzione socialista, il carattere collettivo delle forze produttive e del processo produttivo è già principale rispetto al carattere individuale, la lotta riguarda l’abolizione della proprietà capitalista (individuale e privata) delle forze produttive e la sua sostituzione con la proprietà collettiva.

I compagni che rifiutano di prendere atto che nel nostro paese esistono varie classi che possono prendere parte alla rivoluzione e che tra di esse la classe operaia è la sola classe che può dirigere, non riusciranno a imparare

- a dirigere con successo il processo della formazione dell’unità tra le diverse classi delle masse popolari attraverso lo sviluppo delle contraddizioni che esistono tra di loro,

- a dirigere ogni classe delle masse popolari a mettere in primo piano i suoi interessi materiali e a difenderli fino in fondo, cioè fino ad approdare alla contrapposizione antagonista alla borghesia imperialista e ai suoi alleati.

Questi compagni in campo politico si fermano agli schieramenti attuali che sono sfavorevoli alla rivoluzione e, se attaccano, attaccano “in tutte le direzioni contemporaneamente”. Quando considerano le singole classi, mettono in primo  piano le posizioni culturali o politiche attuali di queste classi, che sono secondarie e transitorie. In sintesi, sbandierando una supposta purezza rivoluzionaria, non vedono il processo concreto attraverso cui le classi che oggi sono soggettivamente estranee o contrarie alla rivoluzione, possono essere dirette a trasformarsi, in conformità ai loro interessi materiali e sviluppando senza restrizioni la lotta per la loro difesa, in componenti (più o meno solidi, più o meno affidabili e più o meno duraturi) del fronte della rivoluzione socialista.

Il movimento delle masse popolari è generato in primo luogo dal movimento economico, dall’esperienza diretta che le masse popolari compiono nel processo di produzione delle condizioni materiali della propria esistenza: questo è il motore primo. A ciò si aggiunge tutta l’esperienza che le masse popolari fanno nel corso stesso del loro movimento rivendicativo e di lotta politica, man mano che esso si sviluppa.

Il motore primo del movimento delle masse popolari, quindi, non è la comunicazione e la suggestione; non sono fatti misteriosi come il carisma dei leader, ecc.; non è la coercizione extra economica, politica (che può avere un ruolo determinante solo in certi brevi momenti di passaggio). I compagni che attribuiscono a questi fattori il ruolo principale nel generare il movimento delle masse popolari sbagliano completamente. È tuttavia ovvio che ciò che in linea generale è secondario, in determinate condizioni può diventare principale.

Man mano che la crisi economica e la conseguente crisi politica procedono, la borghesia imperialista non può che prendere, a fronte degli sconvolgimenti in cui la crisi si manifesta, misure dettate dal bisogno di conservare il potere e dal bisogno di ognuno dei gruppi che la compongono di promuovere la valorizzazione del proprio capitale. Lo sconvolgimento del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali, le manifestazioni della crisi e le misure prese dai gruppi della classe dominante costituiscono nel loro assieme in ogni paese “il procedere concreto della crisi”, il corso della crisi nella combinazione dei suoi aspetti politici e culturali.

La resistenza al procedere della crisi della società borghese è la causa comune universale del movimento delle masse popolari nella fase di cui siamo all’inizio.(7)

 

7. Alcuni compagni contrappongono a questa tesi il fatto, apparentemente ovvio, che la causa dell’azione delle masse è “psicologica". Che relazione c'è tra questa affermazione e quella da noi fatta sopra? Per ogni uomo quasi tutte le sue azioni esistono in qualche modo nella sua coscienza prima di esistere nel mondo esterno e hanno la loro motivazione immediata nella sua coscienza. Quindi di quasi ogni azione umana si può dire che ha una causa psicologica. Già, ma da dove viene la psicologia (la coscienza, le idee, i sentimenti, le impressioni, gli stati d’animo, i valori morali, ecc.) di un individuo? Qui incomincia la divergenza tra materialisti e idealisti. Noi materialisti sosteniamo che la psicologia di ogni uomo è determinata principalmente dall’esperienza e che la parte costitutiva principale dell’esperienza è la lotta per procurarsi le condizioni materiali dell’esistenza. In breve diciamo che le idee vengono dalla pratica. Gli idealisti negano che le idee vengano principalmente dalla pratica e indicano varie fonti. Quelli di vecchio stampo indicavano dio, la coscienza innata, ecc. La versione più aggiornata di idealisti sostiene che la coscienza dell’uomo è formata dalla comunicazione, dalla suggestione, ecc. Si tratta di un idealismo senza dio, ma non per questo meno idealismo e politicamente meno al servizio della classe dominante. Infatti se fosse vero che la coscienza degli uomini e formata dalla comunicazione e dalla suggestione, essendo evidente che i mezzi di comunicazione e di suggestione sono al 99,99% in mano alla classe dominante, la nostra impresa di forze soggettive della rivoluzione sarebbe chiaramente un’impresa disperata, tanto quanto lo sarebbe se fosse vero che la proprietà privata e le altre caratteristiche del capitalismo sono “naturali", “create da dio", ecc.

La realtà è che la comunicazione e la suggestione valgono a formare la coscienza degli uomini solo nei campi in cui manca l’esperienza pratica (su dio, sugli ufo, ecc.) o nei campi di nessuna rilevanza pratica. Nei campi che riguardano la vita e oggetto quindi dell’esperienza, la cosa non funziona. Provate quanto volete a far dire a tutte le TV con i migliori spot pubblicitari che l’amanita phalloides è un ottimo e gustoso fungo e distribuitela pure gratis a ogni angolo di strada. Qualcuno proverà a mangiarla, starà male e la sua esperienza dissuaderà gli altri. La vostra comunicazione e suggestione, smentite dalla pratica, non attaccheranno. La comunicazione e la suggestione che la società esistente è una buona cosa o almeno il meglio possibile, la classe dominante le ha sempre fatte, ma esse sono valse a qualcosa solo nei periodi in cui le masse popolari riuscivano a vivere.

 

Questo vuol dire che le masse popolari muoveranno, dappertutto e di periodo in periodo, in modo omogeneo, nella tessa direzione, con gli stessi metodi? Assolutamente no! La forza motrice, la causa del movimento è universale, comune, omogenea. Le condizioni esterne, soggettive e soggettive, in cui essa si sviluppa, il materiale in cui essa assume le sue forme concrete, sono diversi: da paese a paese, da un gruppo all’altro, di periodo in periodo. Ne risultano movimenti diversi, eterogenei, contraddittori. Un sasso che si abbatte su una mina provoca un’esplosione, un sasso che si abbatte su  una testa provoca, a volte, un’implosione.

I1 movimento delle masse popolari che inizia a svilupparsi ora è il risultato elementare, diffuso e confuso dell’azione della crisi economica e politica del regime borghese. Le mille forme concrete tra loro contraddittorie che esso assume, sono il risultato della mediazione(8) della causa comune con le svariate condizioni concrete, materiali e culturali, delle singole parti delle masse popolari, con le contraddizioni secondarie che ognuna di esse vive.

La resistenza al corso della crisi politica ed economica del regime borghese è la causa comune e universale dei mille movimenti tra loro contraddittori di cui spontaneamente, nella sua fase iniziale, si compone il movimento delle masse popolari. L’attuale movimento delle masse popolari è variegato e contraddittorio: diventa comprensibile, quindi, scopriamo le ragioni delle sue varie facce, solo se connettiamo ognuna di esse alla sua fonte principale e ricostruiamo nella nostra mente le “mediazioni” (i passaggi) attraverso le quali il movimento si determina, assume le sue mille forme concrete.

 

8. Una comprensione profonda del concetto di mediazione è necessaria per comprendere il rapporto tra generale e particolare, tra essenza e fenomeno, ecc. Si veda su ciò anche Rapporti Sociali n.2, pag.14.

 

Per prendere e mantenere la direzione del movimento delle masse popolari e dirigerlo contro il nemico principale delle masse popolari (la borghesia imperialista i suoi alleati), la classe operaia e, per essa, il suo partito, il partito comunista, deve far emergere, portare in primo piano e rendere elemento dirigente, in ogni movimento particolare delle masse popolari, la forza motrice dello stesso movimento, la sua causa. La classe operaia e il suo partito non devono attaccare direttamente la diversità, l’eterogeneità e la contraddittorietà dei movimenti particolari, ma “superarli” facendo emergere, in ognuno di essi, causa che è comune a tutti i movimenti. Per capirci, prendiamo alcuni esempi.

Nei paesi imperialisti vi sono sintomi di un movimento razzista anti-immigrati dei lavoratori locali; esso è un aspetto dell’incipiente mobilitazione reazionaria delle masse. Lo sforzo principale delle forze soggettive della rivoluzione socialista non deve essere diretto ad attaccare il razzismo di questo movimento, ma a sviluppare il suo anticapitalismo. È una buona cosa che i lavoratori locali non accettino che le condizioni di lavoro e di vita che hanno conquistato a prezzo di dure lotte siano eliminate dalla borghesia imperialista che usa contro di essi, in funzione di crumiri, i lavoratori immigrati. È una buona cosa che i lavoratori locali non accettino che le condizioni culturali della loro esistenza siano sconvolte dalla crisi della borghesia imperialista che obbliga milioni i lavoratori di altri paesi a riversarsi nei paesi imperialisti. Solo professionisti della collaborazione di classe, quali quelli annidati nella redazione di giornali come Il Manifesto ed esperti della combinazione di frasi rivoluzionarie retoricamente dogmatiche con politiche opportuniste e conciliatorie, quali quelli annidati nella direzione di Rifondazione comunista, possono andare predicando ai lavoratori locali rassegnazione alle imposizioni della borghesia imperialista travestendola da internazionalismo, cercando di sfruttare a vantaggio della borghesia imperialista il fatto che essa impone ai lavoratori locali i suoi interessi mandando avanti in prima fila i lavoratori immigrati. Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono appoggiare e promuovere la lotta dei lavoratori locali per difendere i loro interessi. Questa lotta diventerà reazionaria, ossia sarà diretta dalla borghesia imperialista a suo favore, solo se, appunto come vogliono i signori annidati ne Il manifesto e in Rifondazione…..comunista (?!), i comunisti abbandoneranno alla borghesia questi lavoratori. Forse obietteranno che a questo “movimento razzista” non partecipano lavoratori, ma solo ... borghesi. Ma se è cosi, perché venite a predicare il vostro “internazionalismo da signori” tra i lavoratori? Di cosa vi preoccupate? Lo pseudointernazionalismo de Il manifesto e di Rifondazione comunista ha la stessa puzza della politica dei sacrifici e dell’austerità, ossia della rassegnazione al corso della crisi del regime borghese e del rifiuto della lotta per la rivoluzione socialista. La realtà è che oggi esiste una corrente della mobilitazione reazionaria delle masse in cui la borghesia imperialista sfrutta la resistenza dei lavoratori locali all’eliminazione dei diritti conquistati e allo sconvolgimento delle loro abitudini di vita per prendere la direzione di essi. Ma questa sacrosanta resistenza e oggettivamente diretta contro la borghesia imperialista. È compito delle forze soggettive della rivo luzione socialista far emergere questo suo carattere e far emergere il contrasto profondo di interessi, proprio in quel campo in cui si mobilitano, tra i lavoratori locali e la borghesia imperialista e sviluppare tra i lavoratori locali una lotta a fondo, irriducibile, di resistenza.(9)

È altrettanto una buona cosa che i lavoratori immigrati difendano il loro diritto a esistere che la borghesia imperialista distrugge giorno dopo giorno nei loro paesi obbligandoli alla fame o all’emigrazione. È una buona cosa che i lavoratori immigrati difendano le loro abitudini di vita e le loro culture dalla borghesia imperialista che li vuole violentare anche a questo livello.(10) La solidarietà dei lavoratori locali con i lavoratori immigrati, il reale internazionalismo, non ha nulla a che fare con la protezione e la promozione di tanti “zio Tom". Le forze soggettive della rivoluzione socialista devono promuovere la lotta rivoluzionaria dei lavoratori immigrati per la difesa dei loro interessi. La solidarietà tra i lavoratori locali e i lavoratori immigrati può essere creata e diventare una forza reale solo nella misura in cui sia i lavoratori locali sia i lavoratori immigrati lottano per i propri interessi di lavoratori; predicare ai lavoratori locali di essere solidali con i lavoratori immigrati perché “figli anch’essi di dio” o perché “poveri cristi” è un mestiere da preti e da provocatori ben pasciuti. La loro predicazione ottiene in generale l’effetto opposto: di ghettizzare i lavoratori immigrati e facilitare la nascita di movimenti razzisti tra i lavoratori locali. Conviene spedirli a fare le loro prediche tra i capitalisti! Avviene tra lavoratori locali e lavoratori immigrati quello che avviene anche tra i diversi gruppi di lavoratori locali: la lotta contro la borghesia unisce i lavoratori, la sottomissione alla borghesia inevitabilmente alimenta e fa crescere tutte le possibili contraddizioni e lascia spazio alla borghesia imperialista per appigliarsi a tutte le differenze.(11)

I lavoratori locali e i lavoratori immigrati più lotteranno a fondo e irriducibilmente per i propri interessi più semplice sarà, per gli uni e gli altri, concludere che è nel loro interesse non “rompersi la testa” tra di loro, ma romperla assieme a quella classe che impedisce di vivere sia agli uni sia agli altri. Più emergerà il comune nemico, meno facile sarà una direzione borghese sugli uni e sugli altri e più facile la loro unione: la diversità si trasformerà in emulazione nella lotta rivoluzionaria. È solo la lotta comune, contro il comune nemico, che unisce e porta a trovare la soluzione dei contrasti secondari. Negare questi contrasti secondari, come fanno gli umanitaristi, predicare la tolleranza (delle imposizioni della borghesia imperialista), non porta all’unità, ma alla mobilitazione reazionaria delle masse; lascia cioè libero campo alla borghesia imperialista per sfruttare a proprio vantaggio il malessere degli uni e degli altri.(12) Non c’è altro modo per costruire l’unità!

 

9. Naturalmente ciò ha poco a che fare con quanto fanno correntemente le organizzazioni umanitarie sedicenti antirazziste.

 

10. Questo vale benché molte delle abitudini di vita e delle culture dei lavoratori immigrati siano destinate a trasformarsi di fronte allo sviluppo della loro lotta contro la borghesia imperialista. Ma è tutta un’altra questione che lasciarsi espropriare della propria identità culturale dalla borghesia imperialista stessa. Su questo piano la stessa cosa succederà anche ai lavoratori locali. La vecchia cultura degli uni e degli altri era direttamente legata al loro ruolo di classi sfruttate e quindi entrambi nel corso della rivoluzione saranno obbligati a “mutare pelle".

 

11. Non va dimenticato che “in determinate condizioni, tutte le cose che sono differenti costituiscono una contraddizione” (Mao Tse-tung, Note di lettura 3, in vol. 5 delle Opere di Mao Tse-tung). Quali sono le “determinate condizioni"? Una sicuramente è l’unità!

 

12. Ricordiamo che la borghesia imperialista non solo ha usato i lavoratori dei paesi imperialisti contro i lavoratori dei paesi coloniali e semicoloniali, ma ha usato anche i lavoratori dei paesi coloniali contro i lavoratori dei paesi imperialisti; non solo sul piano economico, ma anche sul piano militare. Basta pensare ai poliziotti e ai carabinieri reclutati nel Meridione e nelle isole dello Stato italiano; ai poliziotti e ai soldati che gli Stati e i movimenti reazionari hanno reclutato e reclutano nelle colonie e nelle semicolonie e usano nei paesi imperialisti; al ruolo delle truppe coloniali marocchine durante la guerra nazionale rivoluzionaria in Spagna e al ruolo delle truppe africane nella repressione degli ammutinamenti sul fronte francese durante la prima guerra mondiale, ecc.

 

Nella lotta che le forze soggettive della rivoluzione socialista devono condurre (ma la lotta è oggettivamente in corso anche se noi non ne abbiamo coscienza: la nostra coscienza direttamente cambia solo il nostro ruolo nella lotta, non l’esistenza e la natura della lotta) esistono due campi e solo due campi: quello della classe operaia – e delle classi ad  essa alleate – che lotta per il socialismo e quello della borghesia imperialista che lotta per la conservazione del capitalismo. Nella nostra società le opinioni sono mille e cento le correnti: ma, dato che la nostra società ha solo due vie davanti a sé (la rivoluzione socialista o la conservazione del capitalismo), ogni opinione e ogni corrente lavora a favore di una delle due vie e quindi, in definitiva, tutte le opinioni e tutte le correnti si dividono in due campi. Più la lotta procede, più tutte le forze prenderanno posizione in uno dei due campi. Unire in un ampio fronte rivoluzionario tutte le classi che compongono le masse popolari e creare, al suo interno un salda direzione della classe operaia è non solo possibile (perché conforme alla correlazione degli interessi oggettivi), ma è anche la condizione indispensabile per la vittoria della rivoluzione socialista.

I comunisti devono distinguere classe operaia, proletariato, masse popolari, perché devono affermare la direzione della classe operaia sulle masse popolari e unire tutte le masse popolari in un grande fronte di lotta contro la borghesia imperialista e i suoi alleati.

I comunisti devono, all’interno di ogni classe, distinguere gli strati che hanno condizioni specifiche, perché solo tenendo conto degli interessi concreti possono dirigere il processo della formazione dell’unità delle masse popolari contro la borghesia imperialista.

I comunisti devono distinguere all’interno di ogni strato, nel momento dato e rispetto alla lotta concreta, la sinistra (quella parte che è già decisa a cambiare anche se manca ancora di un orientamento concreto), la destra (quella parte che è ancora ostile ai cambiamenti) e il centro (quella parte che oscilla tra sinistra e centro). I comunisti devono individuare, all’interno di ogni iniziativa le correnti da appoggiare (non necessariamente quelle che si proclamano “di sinistra”, bensì quelle che portano l’iniziativa sulla strada che la conduce a confluire, con tutta la sua ricchezza, nel movimento generale) e quelle da combattere (quelle che, indipendentemente da quello che proclamano, portano l’iniziativa alla separazione e alla contrapposizione rispetto al movimento generale) e sviluppare misure corrispondenti.

È solo lavorando sulle divisioni reali che si può unire!

Non aver paura dei contrasti interni alle masse popolari!

Sviluppare la lotta all’interno delle masse popolari trasformandola in unità nella lotta comune contro la borghesia imperialista!

Unire tutte le classi che compongono le masse popolari nel campo della rivoluzione socialista!

Affermare la direzione della classe operaia su tutte le masse popolari!