Convegno sulla resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista e sull’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista

Rapporti Sociali n. 12/13 - novembre 1992    ( versione Open Office / versione MSWord )

 

Centro di documentazione Filorosso - Viareggio (LU)

Centro di documentazione Filorosso - Milano

 

Viareggio 21-22 novembre 1992 - Sala dell’Arengo c/o Camera del Lavoro

 

Temi del convegno:

 

Nei prossimi anni le masse popolari si mobiliteranno su Scala via via più ampia ed entreranno, inevitabilmente e con un ruolo determinante, nella lotta politica, spinte dalla crisi del sistema capitalista. La resistenza delle masse popolari al procedere della seconda crisi per sovrapproduzione di capitale sarà la forza principale che nei prossimi anni deciderà del futuro assetto del mondo.

La resistenza delle masse alla crisi del sistema capitalista e la sua direzione è il campo in cui si scontreranno le forze soggettive della rivoluzione socialista e le forze soggettive della controrivoluzione.

Le forze soggettive della rivoluzione socialista possono crescere, maturare e condurre la rivoluzione socialista alla vittoria solo se impareranno a essere parte, sostegno, promotrici e direzione di questa resistenza, trasformandola in lotta per il socialismo. Sono invitati a partecipare al convegno tutti gli organismi e le realtà di movimento consapevoli che il successo delle forze soggettive della rivoluzione socialista nel nostro paese nei prossimi anni dipende dal loro legame con la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista.

 

I lavori inizieranno sabato 21 novembre alle ore 14.00 e proseguiranno domenica 22 novembre con inizio alle ore 9.30 presso la Sala della Camera del Lavoro di Viareggio (c/o Ponte girante, di fronte al Municipio; 5 minuti a piedi dalla Stazione FF. SS.)

 

Per tutte le informazioni rivolgersi alle Segreterie del Convegno

- Centro di Documentazione Filorosso, via del Terminetto 35, 55049 Viareggio (LU), Tel. 0584/961917 orario d’apertura: mercoledì e sabato ore 17.00-19.00.

- Centro di Documentazione Filorosso, C.so Garibaldi 89/A angolo via Cazzaniga, 20121 Milano orario d’apertura giovedì ore 18.00-20.00 e sabato ore 16.00-19.00.

 

È possibile prenotare sistemazioni economiche per la notte tra sabato e domenica telefonando, preferibilmente entro il 10 novembre, alla Segreteria del Convegno c/o Centro di Documentazione Filorosso, via del Terminetto 35, 55049 Viareggio (LU), Tel. 0584/961917 - orario d’apertura: mercoledì e sabato ore 17.00-19.00.

Gli Atti del Convegno verranno stampati. I partecipanti che intendono svolgere un intervento sono pregati di consegnare alla Segreteria del convegno il testo o almeno un riassunto.

  

CRISI ECONOMICA

 

La crisi economica del sistema capitalista mondiale prosegue e già hanno iniziato a manifestarsi sia la crisi dei regimi politici borghesi dei singoli paesi, sia la crisi del loro sistema politico internazionale.

Questa crisi e iniziata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta ed è la seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, cioè una crisi che si ha quando il capitale accresciuto, se si immettesse tutto nel processo produttivo (denaro-merci-produzione-nuove merci-più denaro), produrrebbe una massa di plusvalore eguale o minore di quella prodotta prima del suo accrescimento.

La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale è un fenomeno prolungato che si manifesta in modo più accentuato ora in un paese ora in un altro, attraverso avanzate e ripiegamenti, spinte e controspinte. Per alcuni anni uno degli aspetti principali della crisi attuale è stato che, stante l’impossibilità di reimpiegarle nel processo produttivo, enormi quantità di capitale sono andate ad aumentare le masse di denaro, di capitale finanziario e dei rapporti di credito e di debito e, quindi, la crisi si è manifestata finora soprattutto nel rallentamento della crescita del volume del processo produttivo. Ora, essendo quelle masse di denaro e di capitale finanziario cresciute oltre certi limiti, hanno incominciato a prodursi, per la loro stessa natura, sconvolgimenti ad esse specifici (le crisi monetarie, valutarie, borsistiche, bancarie, del debito pubblico, ecc.), che riversano i loro effetti distruttivi nel capitale produttivo e quindi in tutto il processo produttivo.

Il capitalismo comporta una produzione che può avvenire solo tramite la combinazione dei contributi parziali di individui e di unità produttive sparsi in tutto il mondo (carattere sociale della produzione e delle forze produttive). Pero questa cooperazione non avviene in base a un accordo e a un piano preliminare, ma e subordinata al mercato, al denaro, al profitto: infatti produzione di beni e servizi e valorizzazione del capitale sono condannate, nel modo di produzione capitalista, a svolgersi contemporaneamente in un unico processo.

Gli effetti più catastrofici di questa contraddizione sono attutiti da iniziative, istituzioni e pratiche che Stati e associazioni borghesi sviluppano, sempre sulla base della stessa iniziativa e proprietà individuali e private capitaliste, per incidere sull’attività economica e che sembrano avvalorare la tesi, illusoria, dell’autonomia della politica dall’economia. Questi interventi delle autorità politiche sull’economia, però, sono fatti sfruttando e adeguandosi alle leggi proprie del modo di produzione capitalista: si capisce, dunque, che l’efficacia di questi interventi è tanto più ampia quanto più vigorosa è l’iniziativa economica dei capitalisti stessi.

La crisi economica attuale si manifesta, tuttavia, proprio come carenza di iniziativa economica (investimenti in capitale produttivo) da parte dei capitalisti: la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale consiste in questo. Essa è quindi una crisi non risolvibile attraverso piani, programmi di ristrutturazione, progetti di “razionalizzazione”, ecc.

Nell’ambito del modo di produzione capitalista e della società borghese, governi, associazioni, individui prendono le loro decisioni, ma proprio perché ogni individuo deve vendere al meglio la sua merce e ogni capitalista deve prendere iniziative atte a massimizzare il profitto della frazione di capitale che egli amministra, proprio perché l’iniziativa economica individuale e privata e la proprietà privata individuale capitalista delle forze produttive è intoccabile, governi, associazioni e individui sono sostanzialmente impotenti di fronte al determinarsi e allo svilupparsi della crisi. Tutta l’impotenza dell’attuale classe dominante a fermare e invertire il corso distruttivo dell’economia mondiale, tutta la rassegnazione fatalistica predicata dall’attuale classe dominante di fronte al procedere della crisi hanno una sola origine: il rispetto e la subordinazione della società attuale alla proprietà privata capitalista delle forze produttive e all’iniziativa economica individuale dei capitalisti. I risultati inevitabili della subordinazione della società attuale alla proprietà e all’iniziativa dei capitalisti ricominciano a essere di fronte agli occhi di questa generazione come lo furono agli inizi di questo secolo di fronte agli occhi della generazione di allora. La prima crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale  (1900-1945) trovò la sua soluzione solo in seguito alla seconda guerra mondiale: furono, infatti, le profonde distruzioni e gli sconvolgimenti politici e sociali conseguenti ad aprire nuovi spazi di azione al capitale.

Altro che costo del lavoro e tregua sociale! Altro che costo della forza-lavoro! Nella nostra iniziativa di massa e ora di mettere sul banco degli imputati il “costo del capitale”, ossia quanto costa alle masse la sopravvivenza del modo di produzione capitalista!

 

RISTRUTTURAZIONE CAPITALISTA

 

La crisi in corso, come abbiamo visto, è impossibilità di valorizzare tutto il capitale fin qui prodotto. La crisi sconvolge il processo di produzione e riproduzione delle condizioni dell’esistenza delle masse perché questo, nella società borghese, è strettamente legato alla valorizzazione del capitale.

Le misure prese dagli Stati borghesi e dai gruppi borghesi, in ogni paese e a livello internazionale, di fronte agli sconvolgimenti in cui si manifesta la crisi del sistema capitalista, sono dettate dal bisogno della classe dominante (la borghesia imperialista) e dei suoi singoli gruppi e frazioni di promuovere la valorizzazione del proprio capitale e di conservare il potere. Di fronte al rallentamento della crescita e, peggio ancora, alla contrazione del volume del processo produttivo, ogni gruppo borghese “deve” cercare di valorizzare il suo capitale a spese del capitale di altri gruppi borghesi: da qui la guerra commerciale, la contesa per accaparrarsi campi di investimento, la mobilitazione del proprio Stato da parte di ogni gruppo capitalista contro gli altri; da qui la mobilitazione reazionaria delle “proprie” masse e infine la guerra. Le manifestazioni della crisi e le misure prese dai gruppi della classe dominante costituiscono “il procedere concreto della crisi”.

La crisi obbliga irresistibilmente tutte le classi a uscire dal corso abituale in cui si svolge la loro attività, ad abbandonare abitudini e modi di essere, culture e istituzioni consolidate, a cambiare idee, a cercare soluzioni: la borghesia e le classi dominanti soluzioni che consentano la valorizzazione del loro capitale e la conservazione del loro potere; la classe operaia, il proletariato e il resto delle masse popolari soluzioni ai problemi della loro sopravvivenza.

La fase precedente (1945-1975) fu caratterizzata dalla ripresa e dall’espansione del modo di produzione capitalista (il cosiddetto boom economico), cioè dalla ripresa della crescita dei profitti. Le lotte rivendicative che le masse svilupparono in quegli anni poterono strappare importanti conquiste sul piano economico, politico e legislativo, tanto da far credere a tanti che si potesse costruire un “capitalismo dal volto umano”.

Lo Stato sociale realizzato allora fu il prodotto di quella fase economica e di forti lotte operaie. Assunsero, cosi, credibilità e materialità le scelte politiche e sindacali di revisionisti e di riformisti. L’attuale crisi economica ha ricondotto tutti con i piedi per terra: il mito del “capitalismo dal volto umano” è crollato; si è disfatto il PCI; è entrato in crisi irreversibile il sindacato che cogestiva, con il capitale, la forza-lavoro; con essi sono andate in pezzi anche le speranze e le aspirazioni alimentate nelle masse in quegli anni.

In tutti i paesi imperialisti la borghesia sta eliminando, una dopo l’altra, le conquiste del proletariato: abrogandole o lasciando andare in rovina le istituzioni in cui esse si concretizzavano.

Nel nostro paese stiamo assistendo:

- alla progressiva riduzione di quella parte della spesa pubblica destinata ai servizi assistenziali e previdenziali (Scuola, Sanità, pensioni, ecc.);

- all’aumento del carico fiscale sui lavoratori e del costo di alcuni servizi essenziali, come l’istruzione, l’assistenza medica, i trasporti, a fronte di un peggioramento della loro qualità;

- alla privatizzazione di alcuni settori di pubblica utilità (Ferrovie, Poste, INPS, Scuola, ecc.) prima sottratti, almeno in una certa misura, all’azione delle leggi della valorizzazione del capitale, che la classe dominante ha lasciato andare in  rovina, così da giustificare il fatto che diventino (o ridiventino) campo d’investimento del capitale: indicativo l’esempio delle Ferrovie, dove prima sono stati eliminati 50.000 posti di lavoro e che poi sono state trasformate in società per azioni;

- ad un notevole aumento dei disoccupati e delle persone costrette a lavorare in nero, sottopagate, senza garanzie e sicurezza contro gli infortuni, a lavorare di più (straordinario, doppio lavoro, ecc.): non possiamo dimenticare che ogni anno tremila operai muoiono sul lavoro!;

- all’uso discrezionale e strumentale della cassa integrazione guadagni, diventata anticamera di licenziamenti collettivi, ai vari progetti di riforma, in senso peggiorativo, del sistema di C.I.G. sfociati nella legge n. 223 del 1991 sul la mobilità;

- all’introduzione dei contratti di formazione-lavoro e alla sostituzione della chiamata numerica con la chiamata nominativa;

- al peggioramento della contrattazione nazionale e aziendale;

- alla sterilizzazione e infine all’eliminazione della scala mobile [rivalutazione periodica dei salari in base all’indice dell’inflazione reale verificatasi, ndr] nel quadro dell’attacco agli automatismi salariali;

- all’introduzione ed estensione dei contratti a termine, cioè all’attacco al principio della stabilità del posto di lavoro e all’introduzione della “mobilità ed elasticità della forza-lavoro” conformi alle esigenze produttive del capitale;

- all’attacco all’esercizio del diritto di sciopero e all’utilizzo di misure repressive e intimidatorie come la precettazione.

Come abbiamo visto, lo smantellamento dello Stato sociale avviene in modo parziale e graduale, l’eliminazione degli ostacoli istituzionali e politici al corso della crisi (privatizzazione delle aziende pubbliche, deregulation, ecc.) è ancora in corso.

Essi non comportano una minore presenza dello Stato nell’economia, ma, al contrario, un rafforzamento dell’intervento statale al servizio dei gruppi imperialisti e l’eliminazione delle misure di salvaguardia delle masse e in generale della vita sociale e politica, dagli effetti più “selvaggi” dell’andamento del modo di produzione capitalista.

Un esempio significativo è il Trattato di Unione Europea, meglio conosciuto come Trattato di Maastricht. Questo prevede che entro il ’96 si formi in Europa un’unica Banca Centrale ed entro il ’99 una moneta comune, una politica estera e un sistema militare e di polizia comuni. Il tentativo, quindi, di alcuni grandi gruppi imperialisti europei è quello di formare una coalizione attorno ad alcuni gruppi imperialisti tedeschi, dotarsi di istituzioni e forze politiche adeguate, subordinare a sé tutto il resto del capitalismo europeo e le risorse materiali ed umane dei paesi dell’Europa occidentale e, da questa posizione di forza, scalzare i gruppi imperialisti americani e giapponesi nella lotta per l’egemonia mondiale. Nell’immediato, esso comporta in ogni paese la guerra della borghesia contro la classe operaia e le masse popolari per imporre maggiore sfruttamento e disciplina. Infatti esso impone in ogni paese un certo livello del debito complessivo dello Stato, del deficit di bilancio annuale, di inflazione, di tassi di interesse e i paesi che non hanno questi conti in regola (quasi tutti) sono obbligati ad attuare politiche economiche restrittive.

In nome di rigide politiche finanziarie i governi europei si avviano a tagliare ovunque le spese sociali e le pensioni, a ridurre le retribuzioni di chi lavora e ad aumentare i licenziamenti.

Viene applicata una generale tendenza all’omologazione verso il peggio. In Italia abbiamo già avuto almeno due casi significativi nell’ambito delle condizioni di lavoro: il lavoro  femminile notturno e un aumento dell’inquinamento accettato negli ambienti di lavoro (es. il decreto n. 277 del ’91).

La manovra antipopolare del governo Amato, nel rispetto degli obblighi di Maastricht, va nella stessa direzione. La controriforma delle pensioni, l’abolizione dell’equo canone, l’aumento dei contributi previdenziali, delle spese sanitarie, delle tasse sono la ricetta del “socialista” Amato.

 Della stessa serie di misure fa parte anche l’accordo del 31 luglio, dopo l’annosa trattativa a perdere (per i lavoratori, s’intende) sul costo del lavoro, in cui la Confindustria ha ottenuto l’eliminazione della scala mobile e il blocco della contrattazione aziendale e di categoria.

 

RESISTENZA DELLA CLASSE OPERAIA E DELLE MASSE POPOLARI

 

Le pesanti ristrutturazioni di questi anni hanno iniziato a peggiorare le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e come effetto hanno prodotto forme di resistenza, sia pure ancora parziali e limitate. La stessa crisi delle organizzazioni tradizionali dei lavoratori (PCI, sindacati, ecc.) ha permesso forti risposte operaie, in alcune situazioni anche contro le compatibilità economiche e al di fuori del quadro istituzionale. Si pensi ai portuali di Genova, ai ferrovieri, agli ospedalieri, agli aeroportuali, fino alla mobilitazione dell’84 contro il decreto che tagliava tre punti di contingenza.

In seguito la crisi di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ha imposto forme organizzative alternative e indipendenti come i comitati di base. Sono maturate le esperienze dei Cobas della Scuola, dei macchinisti del COMU, le Rappresentanze di base dell’INPS, fino ad arrivare ai Cobas dell’Alfa Romeo e dell’Alfa Sud e alla FLMU di Milano.

Attorno a queste realtà ruotano strutture autorganizzate come gli organismi di qualifica nelle Ferrovie, le rappresentanze di base nel Pubblico Impiego e nei servizi, i comitati e i coordinamenti nelle fabbriche.

Anche in Europa in questi mesi si sono sviluppate lotte significative: da quelle per il salario in Germania, a quelle in difesa dell’indennità di disoccupazione in Spagna, agli scioperi per aumenti salariali e contro le privatizzazioni in Polonia, alla mobilitazione generale contro la stangata governativa in Grecia.

La nuova e attuale crisi costringe le masse a mobilitarsi. La stessa classe dominante, che in un primo tempo ha eliminato o ristretto le istituzioni in cui trovava espressione il crescente malcontento delle masse (consigli di fabbrica, assemblee di fabbrica, referendum tra i lavoratori, assemblee elettive, diritto di sciopero, ecc.), ora inizia, a sua volta, a creare altri strumenti di mobilitazione delle masse. Il procedere della crisi fa sorgere gruppi e organismi, ognuno dei quali tenta di porsi alla testa della trasformazione della società, di determinarne l’indirizzo in conformità con i suoi interessi di gruppo e della classe dominante di cui è espressione. Le bandiere sotto le quali i singoli gruppi si muoveranno e che le singole parti delle masse da essi mobilitate innalzeranno sono svariate, diverse, contrapposte. Tutto ciò è inevitabile. Quello che è in discussione sono le forme, l’ampiezza e l’indirizzo che la resistenza delle masse prenderà, la classe che la dirigerà, il risultato che produrrà. Il nuovo assetto del nostro paese sarà il risultato del movimento delle masse e affermerà il predominio di una delle due classi principali dell’attuale società: il proletariato o la borghesia.

Abbiamo e sempre più avremo tentativi di mobilitazione delle masse da parte dei reazionari e tentativi di gruppi reazionari di prendere la direzione delle masse, sfruttando l’insofferenza e la rivolta. È inevitabile, non bisogna spaventarsene. Bisogna utilizzare anche la mobilitazione promossa dai reazionari per rivolgerla contro di loro. Nel corso della Storia di questo secolo è accaduto più volte: basta pensare alle guerre trasformate in rivoluzioni! La direzione dei gruppi reazionari sulle masse è fragile, stante la natura antagonista degli interessi di classe. Gli opportunisti sono spaventati dalla mobilitazione reazionaria delle masse perché sono spaventati da qualsiasi mobilitazione delle masse.

Noi sappiamo, invece, che sono le masse popolari che fanno la storia, che la forza motrice principale delle masse popolari sono i loro interessi materiali, che questi interessi materiali sono antagonisti a quelli della borghesia e spingono le masse verso il socialismo. Mai dobbiamo lasciarci mettere contro le masse! Possiamo unirci ad esse, valorizzando l’insofferenza e la rivolta e combattendo la bandiera reazionaria, dividendo l’uno (la mobilitazione reazionaria delle masse) in due (l’insofferenza e la rivolta da una parte e la bandiera reazionaria dall’altra).

Prendiamo ad esempio il movimento razzista anti-immigrati dei lavoratori locali che è un aspetto della mobilitazione reazionaria delle masse. Il nostro sforzo principale non deve essere diretto ad attaccare il suo razzismo, ma a sviluppare  il suo anticapitalismo. È una buona cosa che i lavoratori locali non accettino che le condizioni di lavoro e di vita che hanno conquistato a prezzo di dure lotte siano eliminate dalla borghesia imperialista che usa i lavoratori immigrati contro di loro, in funzione di crumiri. È una buona cosa che i lavoratori locali non accettino che le condizioni culturali della loro esistenza siano sconvolte dalla crisi della borghesia imperialista che obbliga milioni di lavoratori di altri paesi a riversarsi nei paesi imperialisti. Solo professionisti della collaborazione di classe ed esperti nella combinazione di frasi rivoluzionarie retoricamente dogmatiche con politiche opportuniste e conciliatorie, possono andare predicando ai lavoratori locali rassegnazione alle imposizioni della borghesia imperialista camuffandola da internazionalismo, cercando di sfruttare, a vantaggio della borghesia imperialista, il fatto che essa impone ai lavoratori locali i suoi interessi mandando in prima fila i lavoratori immigrati. Noi comunisti dobbiamo appoggiare e promuovere la lotta dei lavoratori locali per difendere i loro interessi. Questa lotta diventerà reazionaria, ossia sarà diretta dalla borghesia a suo favore, solo se i comunisti abbandoneranno alla borghesia questi lavoratori. Oggi esiste un aspetto di mobilitazione reazionaria delle masse nel quale la borghesia sfrutta la resistenza dei lavoratori locali all’eliminazione dei diritti conquistati e allo sconvolgimento delle loro abitudini di vita, per prendere la direzione di essi. Ma questa sacrosanta resistenza è oggettivamente diretta contro la borghesia imperialista. È compito delle forze soggettive della rivoluzione socialista fame emergere questo carattere e far emergere il contrasto profondo di interessi, proprio in quel campo in cui si mobilitano, tra i lavoratori locali e la borghesia imperialista e sviluppare tra i lavoratori locali una lotta a fondo, irriducibile, di resistenza.

È altrettanto una buona cosa che i lavoratori immigrati difendano il loro diritto a esistere, che la borghesia imperialista distrugge giorno dopo giorno nei loro paesi, obbligandoli alla fame o all’emigrazione. È una buona cosa che i lavoratori immigrati difendano le loro abitudini di vita e le loro culture dalla borghesia imperialista che li vuole violentare anche a questo livello. La solidarietà di noi comunisti con i lavoratori immigrati,  il nostro reale internazionalismo, non ha nulla a che fare con la protezione e la promozione di tanti “zio Tom”. I comunisti devono promuovere la lotta rivoluzionaria dei lavoratori immigrati per la difesa dei loro interessi: Noi siamo solidali con i lavoratori immigrati nella misura in cui essi lottano per i propri interessi di lavoratori, non siamo solidali con essi perché “figli anch’essi di dio” o perché “poveri cristi”. È il loro essere lavoratori che li affratella a noi, non il loro essere rassegnati a ogni imposizione della borghesia.

Se i lavoratori locali e i lavoratori immigrati lotteranno a fondo e irriducibilmente per i propri interessi, più semplice sarà per gli uni e gli altri capire che è nel loro interesse non “rompersi la testa” tra loro, ma unirsi per romperla a quella classe che è nemica di entrambi. Più emergerà il comune nemico, meno facile sarà una direzione borghese sugli uni e sugli altri e facile sarà la loro unione nella lotta rivoluzionaria. E solo la lotta comune, contro il comune nemico che unisce, affratella e porta a trattare la soluzione dei contrasti secondari. Negare questi contrasti secondari, come fanno gli umanitaristi, predicare la tolleranza (delle imposizioni della borghesia imperialista), non porta all’unità, ma alla mobilitazione reazionaria delle masse, lascia cioè libero campo alla borghesia per sfruttare a proprio vantaggio il malessere degli uni e degli altri. Non c’è altro modo per costruire l’unità!

Ciò vale per tutti i momenti e gli aspetti di mobilitazione reazionaria delle masse. Ciò che decide quale sarà il risultato della resistenza delle masse al procedere della crisi del sistema capitalista è l’azione delle forze soggettive della rivoluzione socialista, dell’avanguardia e dei comunisti e l’azione delle forze soggettive della controrivoluzione, i vari gruppi politici borghesi.

La resistenza delle masse e la sua direzione è il campo in cui le due forze si scontreranno nei prossimi anni. La resistenza delle masse popolari al procedere della seconda crisi per sovrapproduzione di capitale sarà la forza principale che deciderà del futuro assetto del mondo: le forze soggettive della rivoluzione socialista possono crescere, maturare e condurre la rivoluzione socialista alla vittoria solo se impareranno a esserne parte, a essere sostegno, a essere direzione di questa resistenza, trasformandola in lotta per il socialismo.

 Sostenere la resistenza significa:

- imparare a scorgere in ogni iniziativa delle masse l’elemento comune della resistenza al procedere della crisi del sistema borghese;

- prendere misure e iniziative per fare emergere questo elemento e farlo diventare l’elemento dirigente dell’iniziativa.

Dobbiamo imparare a conoscere le espressioni soggettive della resistenza, i torrenti e i rivoli in cui essa si compone sul nascere: composizione di classe, tendenze, parole d’ordine, organismi, individui. Dobbiamo smettere di vedere le iniziative di resistenza come slegate tra loro, casuali, cioè determinate dall’azione individuale dei promotori. Le caratteristiche dei promotori ne determinano le forme, ma non c’è promotore che riesca a mobilitare le masse quando la condizione di queste non le spinge a mobilitarsi.

Dobbiamo imparare a vedere in ogni iniziativa concreta il manifestarsi della causa unitaria e universale della resistenza al corso della crisi del regime borghese. Dobbiamo imparare a vedere in ogni iniziativa in cui una parte delle masse si mobilita, una manifestazione particolare della resistenza; imparare a riconoscere gli aspetti specifici di quell’iniziativa in cui si manifesta il generale, l’universale, il comune a tutte le iniziative; distinguere il particolare, la mediazione, la bandiera, le forme e le parole d’ordine specifiche. L’errore è vedere solo queste ultime cose, ciò che divide e non ciò che unisce. Vedere in ogni particolare l’universale e comprendere la specifica unione sono l’indispensabile punto di partenza per far vivere, emergere, rendere dirigente nell’iniziativa la vera causa che la produce: l’universale.

I reazionari puntano unilateralmente sul particolare, su ciò che divide. Dobbiamo combattere l’azione di coloro che cercano di limitare ogni iniziativa al suo particolare: la loro azione favorisce i reazionari.

Dobbiamo imparare a “superare” le esperienze di resistenza che si sono sviluppate fino ad ora, fare un salto di qualità nel comprendere la nuova realtà e nel produrre iniziative che non abbiano solamente carattere difensivo.

Le sconfitte fin qui subite dai movimenti del “posto di lavoro non si tocca”, della “Scala mobile non si tocca”, del “diritto di sciopero non si tocca” – e potremmo continuare – devono pure averci insegnato qualcosa.

Difatti, la resistenza delle masse popolari e della classe operaia in pomo luogo ha e deve avere, inevitabilmente, un aspetto difensivo e un aspetto offensivo. Il primo e teso a impedire che vengano eliminate le conquiste degli anni passati. Il secondo è la lotta contro il regime che è responsabile della crisi e non sa porre limiti ad essa. Ambedue gli aspetti sono presenti, ambedue vanno elaborati.

Il primo aspetto è la base, il più elementare, istintivo e diffuso, ma è quello che se resta dirigente porta alla sconfitta. Il secondo è quello che si sviluppa più lentamente ed è più complesso, ma è quello che diventando dirigente può condurre alla vittoria. Quindi dobbiamo raccogliere e valorizzare il primo per rendere dirigente il secondo. Dobbiamo combattere l’azione di coloro che limitano il movimento delle masse al primo aspetto. Quest’azione alimenta tra le masse iniziative condannate in partenza alla sconfitta, concentra le loro energie, i loro sentimenti e le loro aspirazioni in un’azione perdente. Quindi genera dispersione delle forze, disgregazione, demoralizzazione, sfiducia. Tutto ciò favorisce l’affermazione della direzione dei gruppi reazionari, appunto la mobilitazione reazionaria delle masse.

La difesa delle condizioni esistenti deve trasformarsi in lotta contro il procedere della crisi, contro il regime in crisi, contro il regime che non sa e non può porre fine alla crisi, contro il regime che non vuole porre fine alla crisi perché antepone a tutto il rispetto e la difesa della proprietà capitalista delle forze produttive e dell’iniziativa individuale dei capitalisti.

Non dobbiamo disprezzare l’aspetto difensivo, dire che è inutile. Chi non combatte per difendere quello che ha, tanto meno combatte per conquistare di più. Nella lotta di difesa dobbiamo far emergere gli elementi di attacco, fino a renderli dirigenti, in modo che la perdita del poco che avevamo si traduca nella determinazione che la strada giusta è prendersi tutto. Abbiamo perduto il poco proprio perché era poco.

L’aspetto offensivo è l’anima viva, vincente della mobilitazione, l’aspetto che esiste già nella resistenza, che l’azione  dell’avanguardia deve far emergere e far diventare dominante, dirigente. A favore di questo aspetto vi è l’antagonismo oggettivo tra gli interessi delle masse e quelli dei reazionari. È l’aspetto che, sviluppandosi, trasformerà la resistenza in lotta per il socialismo.

Oggi le forze soggettive della rivoluzione socialista sono divise e il movimento di resistenza esprime, come suoi tentativi di organizzazione e di innalzamento, molteplici organismi e iniziative che spesso si formano attorno a un particolare tema di lotta. Non dobbiamo negare o rifiutare questo modo in cui il movimento si sviluppa. Dobbiamo, invece, appoggiare in ognuno di questi organismi e iniziative l’aspetto di crescita che lo ha generato e combattere l’unilateralità che porta a contrapporre il proprio particolare campo di lotta agli altri campi di lotta, alla comune resistenza al procedere della crisi del sistema borghese e alla trasformazione della resistenza al corso della crisi in rivoluzione socialista.

Ogni organismo e ogni iniziativa, se sa condurre fino in fondo la lotta sul tema su cui è sorto, approderà alla lotta comune per l’eliminazione del regime borghese e l’instaurazione del socialismo.

 

CONCLUSIONE

 

Su queste premesse e su questi obiettivi invitiamo tutti gli organismi e le realtà di movimento, consapevoli che il successo delle forze soggettive della rivoluzione socialista nel nostro paese nei prossimi anni dipende dal loro legame con la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista, a partecipare al convegno per discutere:

- dello stato del movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del sistema capitalista,

- della natura attuale delle iniziative delle forze soggettive della rivoluzione socialista nei confronti del movimento di resistenza e dei problemi che esse devono risolvere.