La conclusione del progetto di costruire un capitalismo dal volto umano

Rapporti Sociali n. 5/6,  gennaio 1990 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Dalla presentazione del libro di G. Pelazza Cronache del diritto del lavoro 1970 – 1990

 

Il periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 ha segnato per la società italiana (e per tutte le società imperialiste) l’apogeo della realizzazione pratica del progetto di costruire un “capitalismo dal volto umano”, ossia, del progetto di costruire, sia pure solo nei paesi imperialisti, una società in cui, pur nell’ambito dei rapporti di produzione capitalisti e del lavoro salariato (quindi della capacità lavorativa come merce e del lavoratore come venditore di essa), ogni uomo disponesse dei mezzi necessari per un’esistenza normale e per il sostentamento e l’educazione delle persone a suo carico (livello salariale, trasferimento di reddito e produzione di massa), avesse nella vita produttiva della società un ruolo confacente con le sue caratteristiche (pieno impiego e scolarizzazione di massa), progredisse ragionevolmente nel diminuire la fatica, avesse sicurezza di vita in caso di malattia, invalidità e vecchiaia.

Questo progetto traspare chiaramente, come filo conduttore, dal corso seguito di fatto da tutte le società imperialiste negli anni ‘50 e ‘60 dopo che, grazie alle distruzioni e agli sconvolgimenti delle due guerre mondiali, esse ebbero superato la Grande Crisi della prima metà del secolo XX. Ovviamente un progetto che, come tutte le idee che riflettono, sintetizzandolo, il percorso di una società in una fase della sua vita, ha incominciato a formarsi nella mente di qualcuno solo a cose fatte, quando nella pratica si era già dispiegato per l’effetto dell’azione combinata di interessi contrapposti, di aspri contrasti e di lotte furibonde di uomini che di quel progetto nulla avevano in testa.

Il periodo ‘60/’70 quindi ha rappresentato il massimo delle conquiste strappate dagli operai nella società borghese, ambito in cui gli operai possono aspirare all’uguaglianza e alla libertà (ai “pari diritti e pari dignità”) di tutti i possessori e venditori di merci.

Negli anni cinquanta e più ancora negli anni sessanta si muovono piccoli passi nel riconoscimento anche legislativo di rivendicazioni operaie relative alla compravendita e all’impiego della forza lavoro, passi che sembrano dare concretezza anche in questo campo al progetto di costruzione del capitalismo dal volto umano.

Lo Statuto dei lavoratori è il punto più alto di arrivo della traduzione in istituzioni all’interno del rapporto di lavoro del progetto di costruzione di un capitalismo dal volto umano. Nello Statuto il progetto si riflette sia nelle concessioni (nei diritti riconosciuti, sanzionati e tutelati), sia nella promozione di organizzazioni sindacali a istituzioni riconosciute e tutelate.

L’euforico perseguimento del progetto, in quegli anni, si esprime del resto in tutti i campi.

I primi anni ’70 furono l’apogeo della ripresa della borghesia dopo la crisi della prima metà del secolo XX e l’inizio della sua decadenza e furono quindi l’inizio del nuovo movimento operaio. Nell’ampio movimento di massa di allora il predominio ideologico è borghese. La lotta proletaria è rivendicativa (non rivoluzionaria per il potere). Quello che da alcuni è detto “egemonia operaia” in realtà è solo rivendicazione da parte operaia (e per gli operai) dei diritti democratico-borghesi, dell’uguaglianza e della libertà dei venditori e possessori di merce: rivendicazione che sarà soffocata nella sua utopia ma che genererà un figlio illegittimo: il movimento rivoluzionario.

Il carattere “democratico” di quel periodo è democratico-borghese (cioè eguaglianza e libertà dei venditori di merci) e sforzo utopistico e ingenuo di creare eguaglianza e libertà oltre i limiti in cui essa può esistere. L’eguaglianza e la libertà dell’operaio sul posto di lavoro, nell’ambito del processo produttivo (e nello scritto che presentiamo si tratta di quest’ambito) fa a pugni con il suo ruolo di forza lavoro venduta e comperata e con il ruolo del capitalista.

 L’apogeo della realizzazione pratica del progetto coincide con ciò che ne segna la morte.

L’inizio della crisi economica toglie il terreno materiale su cui il progetto aveva potuto svilupparsi: i buoni e diffusi profitti e la conseguente continua crescita dell’apparato produttivo. Il movimento soggettivo di quegli anni (le idee, le immagini, le suggestioni, le aspirazioni, i programmi, le linee: il “vento degli anni ‘70”) esprime l’apogeo del progetto e il suo esaurimento.

Ciò porta negli anni ’70 alla reazione borghese: l’abbandono del progetto del capitalismo dal volto umano e il passaggio alla repressione: “abbiamo concesso troppo e il risultato è il casino”, questa è la lezione che la borghesia trae dagli avvenimenti in corso. L’esperienza di quegli anni ha insegnato praticamente anche alla borghesia che non c’è possibilità di eguaglianza e libertà, che sul posto di lavoro deve comandare solo il padrone (secondo la nota tesi di Romiti).

Le ineludibili leggi della concorrenza, della “competitività” della “salvezza dell’economia nazionale” rendono “irresistibile” il nuovo corso della borghesia.

Ma negli stessi avvenimenti vi è anche l’inizio di un movimento degli operai indipendente dalla borghesia. Gli anni ’70 segnano l’inizio di un nuovo corso (“nuovo” rispetto a quello che si era esaurito con la fine della 2° Guerra Mondiale) rivoluzionario del movimento operaio: ancora incerto e problematico. Ma la realtà ha insegnato praticamente che il movimento degli operai o si sviluppa come movimento rivoluzionario o cessa di esistere.

Quello che emerge dagli avvenimenti e dalla svolta degli anni ’70 è proprio che ogni tentativo che vuole introdurre libertà e eguaglianza per l’operaio nell’ambito del processo produttivo, mantenendo però l’operaio nel suo ruolo di forza lavoro venduta e comperata, urta contro la realtà, crea caos, inceppa il processo produttivo e suscita quindi, contro di sé, forze sufficienti a soffocarlo.

L’esperienza di quegli anni ha mostrato e insegnato pubblicamente che chi vuole l’emancipazione del proletariato deve andare oltre le rivendicazioni di “libertà e eguaglianza”: a Milano, nella classe operaia milanese abbiamo avuto mille esempi, ma lo stesso è avvenuto in cento altri posti a forte presenza operaia: Torino, Bergamo, Marghera, ecc.

Gli anni ’70 sono stati dunque

- la dimostrazione pratica della irrealizzabilità di creare un progetto di capitalismo dal volto umano,

- l’inizio del declino dell’egemonia borghese sul movimento operaio che la borghesia aveva ristabilito nei paesi imperialisti con l’esito della 2° Guerra Mondiale (aiutata in ciò dai revisionisti moderni che sono stati i portatori naturali del progetto tra gli operai e che ora subiscono gli effetti del suo tramonto),

- l’inizio di un nuovo corso del movimento rivoluzionario tra gli operai.

Ciò che è stato sconfitto negli anni ’70 è il progetto di costruire un capitalismo dal volto umano e i suoi portatori, con quello che ne verrà.

Non occorre dilungarsi sull’ovvio fatto che in una società in cui l’attività economica ha raggiunto un alto grado di capitalizzazione (come le società imperialiste), l’impossibilità di “eguaglianza e libertà” nell’ambito del processo produttivo, comporta l’impossibilità di “eguaglianza e libertà” nella società in generale. A ragione in questo scritto l’autore fa notare la parallela evoluzione del diritto del lavoro e del diritto penale! Altrettanto a ragione si può riscontrare la parallela evoluzione nel campo culturale: il passaggio dal predominio della cultura borghese di sinistra al predominio della cultura borghese di destra!

L’attuale è un periodo in cui tutti quelli che si dedicano seriamente e praticamente alla lotta del proletariato per la sua emancipazione (che è sempre più profondamente anche l’emancipazione di tutta l’umanità, ma non si identifica con essa), dopo l’orgia di sperimentazioni ed iniziative pratiche sviluppate nel periodo iniziale del suo nuovo corso (appunto gli anni ’70), hanno bisogno di

 - trarre e assimilare gli insegnamenti che da quella pratica si possono trarre,

- fare il bilancio di quelle esperienze connettendole con l’esperienza oramai centenaria del movimento operaio e rivoluzionario (vale a dire del movimento comunista),

- acquisire una comprensione abbastanza profonda del movimento economico e politico della società attuale.

Questi sono passaggi inevitabili per chi vuole andare avanti. Chi li evita, o un po’ prima o un po’ dopo inevitabilmente abbandona la lotta, silenziosamente o platealmente.

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