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Scritti vari all’attenzione dei nostri lettori

Resistenza (10) - 2015

 

Cremaschi lascia la CGIL: “è irriformabile”

Sindacato per il conflitto o sindacato per l’alternativa?

A metà settembre, Giorgio Cremaschi ha annunciato con una presa di posizione pubblica la decisione di lasciare la CGIL dopo 44 anni di militanza (1971-2015). Nella CGIL negli ultimi anni Cremaschi è stato il più autorevole esponente della sinistra e ne ha promosso a più riprese l’organizzazione e l’azione (Rete 28 Aprile, La CGIL che vogliamo al XVI Congresso del 2010, il Sindacato è un’altra cosa al XVII Congresso del 2013) contro i nipotini di Craxi ed ex soci di Sacconi (Susanna Camusso & C.) e la linea della compatibilità e poi della collaborazione con cui essi hanno diretto la CGIL. Le dimissioni di Cremaschi sono il segnale della crisi in corso nella CGIL che è ancora di gran lunga il più grande e autorevole sindacato dei lavoratori. Un segnale ricco di insegnamenti sul corso delle cose e su cosa fare.

Cremaschi riduce la sua decisione a presa d’atto di una sconfitta personale del “suo” tentativo di cambiare la CGIL. Se si prende sul serio questa motivazione, il primo commento che viene spontaneo è che Cremaschi o è un po’ duro di comprendonio o è un novello don Chisciotte, visto che ci ha messo tutti questi anni a capire quello che era già chiaro da tempo: la linea della moderazione salariale patrocinata da Luciano Lama è del congresso all’EUR nel 1978, la linea della concertazione e della compatibilità patrocinata da Bruno Trentin è del 1992. Cremaschi tirerebbe solo oggi le conclusioni che gli esponenti dei sindacati alternativi e di base (COBAS, CUB, USB, SI Cobas e le decine di altri minori) hanno tirato a partire da più di trent’anni a questa parte. “Meglio tardi che mai!”, ha infatti commentato Piero Bernocchi (Confederazione Cobas). La conclusione poi sarebbe che chi resta nella CGIL o è un opportunista o è uno sprovveduto.

In realtà quello che tira Cremaschi è il bilancio dell’azione svolta dalla sinistra CGIL negli ultimi quarant’anni e della linea che la gran parte dei suoi esponenti hanno seguito per contrastare la destra che dirige la CGIL e per difendere i diritti e le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e dei pensionati. Quindi va considerato seriamente: ai fini della lotta che noi comunisti stiamo conducendo per mobilitare le masse popolari e in primo luogo gli operai a costituire un proprio governo d’emergenza e portare così a un livello più alto la rivoluzione socialista; ai fini del ruolo che possiamo far svolgere in questa lotta alla sinistra CGIL e ai sindacati conflittuali e di base; ai fini dell’orientamento degli operai e degli altri lavoratori avanzati.

Se non c’è un intervento dei comunisti, spontaneamente la resa di Cremaschi ha un effetto negativo sugli operai e gli altri lavoratori avanzati, semina disfattismo. Insinua o rafforza nella massa dei lavoratori l’influenza della borghesia e del clero, l’idea che non c’è niente da fare, non si può fare niente, è sempre stato così e sempre sarà così e che l’unica è aspettare e sperare nella ripresa economica, nel buon dio o in papa Francesco. Possiamo e dobbiamo rovesciare questo effetto spontaneo.

La scelta cui è approdato Cremaschi insegna che la linea seguita dalla sinistra CGIL logora la sinistra CGIL invece che logorare la destra come “i sinistri” e con loro gli operai e gli altri lavoratori avanzati vogliono. Perché? Perché la sinistra mantiene la lotta sul terreno che la destra ha imposto nella CGIL e tra i lavoratori: abbandono della lotta per instaurare il socialismo, rinnegamento dell’esperienza storica del movimento comunista, riduzione della lotta a contrattare con i “datori di lavoro” i salari e le condizioni di lavoro, le condizioni dell’asservimento dei lavoratori ai capitalisti e alle loro autorità. Mentre oramai da decenni, in particolare nei paesi imperialisti (lo mostrano bene la storia del movimento sindacale negli USA dall’inizio del secolo scorso e la sua storia nel nostro paese dall’ultimo dopoguerra), il movimento sindacale è diventato un’appendice del movimento comunista: un’appendice positiva attraverso cui i comunisti espandono la lotta per instaurare il socialismo e un’appendice velenosa attraverso cui i capitalisti e il clero cercano di  penetrare, corrompere, arginare il movimento comunista.

Nei periodi di espansione e crescita del movimento comunista, la bandiera dei portavoce dei capitalisti nel movimento sindacale è stata l’autosufficienza della lotta sindacale. “Il sindacato va bene, qui si tratta degli “interessi concreti” dei lavoratori, di cose che interessano tutti i lavoratori! I comunisti cercano di portare la lotta su terreni e questioni che non interessano i lavoratori, di introdurre idee e questioni che distraggono i lavoratori dai loro “interessi concreti”, che dividono i lavoratori. Sì ai sindacati, no al comunismo!”.

Se si accetta questa riduzione della lotta sindacale, il predominio della destra padronale nel sindacato è assicurato. Quali che siano le rivendicazioni e gli “interessi concreti” agitati. E gli “interessi concreti” si riducono a quelli che i padroni accettano, a quello che è “realistico”. Ci fu un periodo (quello di Pierre Carniti, di Piergiorgio Tiboni) in cui la FIM-CISL agitava rivendicazioni salariali più alte che la FIOM-CGIL! Una volta accettata questa riduzione, anche oggi il contrasto tra sinistra CGIL da una parte e sindacati alternativi e di base dall’altra si riduce a un contrasto di tipo organizzativo e a concorrenza. Anche i sindacati alternativi e di base devono accettare le imposizioni dei capitalisti e dei loro governi: l’adesione di molti di essi al Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 lo insegna. Proprio quando capitalisti e governi sono costretti dai loro interessi immediati e dalla morsa della crisi del capitalismo a dare addosso anche alla destra sindacale di cui fino a ieri si sono serviti, la sinistra sindacale, se accetta questa riduzione, si accoda alla destra e al suo destino.

Noi comunisti possiamo e dobbiamo aprire altri orizzonti alla sinistra dei sindacati di regime e ai sindacati alternativi e di base. Possiamo e dobbiamo usare a vantaggio dei lavoratori e del movimento comunista la stretta in cui si trova la destra dei sindacati di regime, la lotta che Squinzi e Marchionne e il governo Renzi ora conducono anche contro Camusso e i suoi soci.

La lotta sindacale e rivendicativa mobilita una larga massa di lavoratori. Il sindacato lega tra loro in una larga rete i lavoratori per fili connessi con imprescindibili caratteristiche della struttura produttiva della società borghese. Questo crea una scuola elementare di comunismo: di coscienza del contrasto tra le classi e di organizzazione. Questa scuola elementare, in particolare nei paesi imperialisti, adempie a un ruolo costruttivo, quindi è sana, se introduce alla scuola superiore, quella dell’unità nazionale e internazionale dei lavoratori contro i capitalisti e le loro autorità, della lotta per trasformare la società, della lotta per instaurare il socialismo. Il sindacato anche nelle condizioni attuali crea mille relazioni e mille occasioni per tessere la tela, a chi si propone di tesserla.

Per chi tesse la tela della rivoluzione socialista le manovre della destra sindacale creano occasioni per rafforzare la nostra lotta. L’offensiva del governo Renzi (ma lo stesso fa il governo in ogni paese imperialista) contro i sindacati di regime sgretola il potere della destra, mostra ai lavoratori l’impotenza cui l’asservimento ai “datori di lavoro” e ai loro governi l’hanno ridotta. Bisogna sfruttare queste occasioni. La sinistra sindacale e i sindacati conflittuali e di base sono tutti ottimi canali per chi lavora per la rinascita del movimento comunista. E il comunismo è il futuro dell’umanità, come l’adolescenza è il futuro di un bambino.