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Avviso ai naviganti 122

23 maggio 2022

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Perché tanto livore contro le Brigate Rosse da parte della classe dominante e dei suoi portavoce?


Dopo la Festa dell’Unità Comunista promossa lo scorso Primo Maggio a Reggio Emilia dal Partito dei CARC, autorità borghesi (polizia e magistratura), esponenti del PD e mass media locali si sono scatenati contro il gruppo musicale P38 La Gang che si è esibito nella Festa e contro il presidente del circolo ARCI Tunnel (Marco Vicini) che l’ha ospitata.

Il gruppo musicale, già sotto denuncia a Torino e a Pescara, è accusato di “istigazione al terrorismo” e “apologia di reato” perché durante il concerto ha esposto una bandiera delle Brigate Rosse (BR) e nei testi delle canzoni ha inneggiato alla loro lotta armata.

Al gruppo musicale e al presidente del circolo ARCI va la nostra solidarietà che si combina con quella già espressa da numerosi organismi, gruppi e individui consapevoli che la solidarietà con chi è bersaglio della persecuzione e della repressione della classe dominante rafforza sia chi la riceve che chi la dà e contribuisce alla lotta per porre fine al corso catastrofico delle cose e far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese, cacciare Draghi e il governo delle Larghe Intese.

Ma l’episodio è l’occasione per porre ancora una volta a tutti i compagni della Carovana del (n)PCI e agli esponenti del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO) la questione: perché tanto livore vendicativo contro le Brigate Rosse da parte della borghesia, delle sue autorità e dei suoi paladini (ne è conferma il clamore per spettacoli come quello della P38 La Gang, i prigionieri e il regime speciale a cui sono ancora oggi sottoposti, le richieste di estradizione degli esuli) e l’ostinato rifiuto anche solo di parlarne e l’animosità anti-BR tra la sinistra borghese e anche tra una parte delle forze soggettive della rivoluzione socialista?

E perché invece tanta ammirazione per le Brigate Rosse tra le masse popolari negli anni in cui le BR furono attive (anni ’70 e ’80) e tra quelli di quell’epoca che sono ancora vivi oggi?

Chi vuole trovare la risposta dettagliata a questa domanda lo invitiamo a leggere l’opuscolo Cristoforo Colombo (1988).

In estrema sintesi, la risposta è che nella storia del MCCO italiano le Brigate Rosse furono l’organismo che per primo pose apertamente la questione della forma che la rivoluzione socialista deve assumere nel nostro paese e in generale nei paesi imperialisti.

Negli scritti Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi (31 dicembre 1962) e Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (febbraio 1963) inclusi in Opere di Mao Tse-tung vol. 19 (Edizioni Rapporti Sociali) il Partito comunista cinese aveva messo in luce le principali deviazioni dal marxismo-leninismo promosse dai revisionisti moderni capeggiati da Palmiro Togliatti nell’attività del PCI. L’intervento del PCC convinse una parte della sinistra del PCI e stimolò molti giovani comunisti a smettere di sottomettersi in nome della disciplina e dell’unità del partito alla destra che dirigeva il PCI e aveva contrabbandato come rivoluzione socialista le rivendicazioni sindacali e politiche del periodo del “capitalismo dal volto umano” e che sarebbe arrivata per voce di Enrico Berlinguer a esaltare l’“ombrello della NATO” steso dai gruppi imperialisti USA sull’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Dopo l’intervento internazionalista del PCC nacque anche in Italia il movimento marxista-leninista. La sua espressione più alta fu il Partito Comunista d’Italia (Nuova Unità) con alla sua testa Fosco Dinucci (1966). Esso però non patrocinava una strategia per la rivoluzione socialista diversa da quella impersonata dal vecchio PCI: si limitava a rivendicare i principi del marxismo-leninismo rinnegati dai revisionisti moderni (Togliatti, Longo, Berlinguer).

D’altra parte tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70, nel contesto della prima ondata della rivoluzione proletaria 1917-1976, una volta completata la ricostruzione postbellica, in Italia come in altri paesi imperialisti si sviluppò una grande stagione di lotte (il movimento studentesco del ’68, l’“Autunno caldo” del ‘69 e la nascita dei Consigli di Fabbrica che ne seguì furono le espressioni più significative) per strappare alla borghesia nuove conquiste di civiltà e di benessere (istruzione, sanità, pensioni, servizi pubblici, ecc.). A queste lotte la parte più reazionaria della borghesia, guidata da USA-NATO (Gladio) e impersonata dalla P2 di Licio Gelli e dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni dei governi DC, reagì con stragi e attentati: fu la strategia della tensione. La risposta spontanea (cioè non guidata dal partito comunista) a questa da parte delle masse popolari furono il movimento della lotta armata (rispondere alle armi con le armi) e la formazione delle Organizzazioni Comuniste Combattenti (OCC).

Nel campo della OCC le Brigate Rosse emersero e si imposero ponendo l’obiettivo di “ricostruire il partito comunista tramite la propaganda armata”. Obiettivo non dovevano essere solo nuove conquiste di civiltà e benessere, ma la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo. Applicarono la “linea di massa” uno degli apporti principali del maoismo: unirsi alle masse popolari sostenendo la sinistra e guidandola a conquistare il centro e isolare la destra. Da qui il largo seguito delle BR tra le masse popolari, testimoniato dal loro radicamento nelle fabbriche più importanti da Torino a Marghera (FIAT, Alfa Romeo, Siemens, Pirelli, Petrolchimico, ecc.), ma più ancora dalle misure criminali che la borghesia e i revisionisti moderni, Piero Fassino del PCI di Torino a braccetto con il generale Dalla Chiesa (l’assassino di via Fracchia a Genova), applicò per contrastarne l’influenza persistente anche dopo la loro sconfitta (la promozione del pentitismo e della dissociazione dalla lotta di classe rientrano in questo genere di misure).

A differenza del Partito Comunista d’Italia (Nuova Unità) le Brigate Rosse iniziarono a fare i conti con gli errori e i limiti che avevano impedito ai partiti comunisti dei paesi imperialisti di condurre alla vittoria la situazione rivoluzionaria generata dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1900-1945).

La BR non raggiunsero il loro obiettivo non per la forza della borghesia, ma per i limiti della concezione che li guidava e per errori compiuti nella valutazione dei rapporti tra le masse popolari e la borghesia imperialista. Le BR scambiarono la fase culminante della lotta delle masse per strappare conquiste nell’ambito della società borghese, con l’inizio della rivoluzione. Quanto ai rapporti tra gruppi e Stati imperialisti, scambiarono l’attenuazione delle contraddizioni connessa al periodo 1945-1975 di ripresa e sviluppo del capitalismo, con la scomparsa definitiva dell’antagonismo (piano del capitale). Ignorarono l’alternarsi delle crisi generali del capitalismo con periodi di ripresa dell’accumulazione del capitale: gli anni ‘70 erano giusto il periodo di passaggio dal periodo di ripresa e sviluppo seguito alla Seconda Guerra Mondiale alla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.

Le BR non riuscirono ad appropriarsi consapevolmente della linea di massa - metodo di direzione e di lavoro del partito comunista - onde restare all’avanguardia del movimento delle masse anche nella nuova fase prodotta dall’inizio della nuova crisi generale. Non fecero un bilancio giusto del movimento comunista: combinarono illusioni nei paesi socialisti e nei partiti comunisti diretti dai revisionisti moderni sovietici, con l’abbandono dell’esperienza storica del movimento comunista italiano a causa del successo che i revisionisti moderni erano riusciti a raggiungere in esso.

In conseguenza di questi errori, il legame delle BR con le masse smise di crescere e cominciò anzi ad affievolirsi.

Le BR si misero allora a imprecare contro l’arretratezza delle masse e abbandonarono il loro obiettivo dichiarato: invece di ricostruire il partito comunista deviarono nel militarismo, cioè ridussero la loro azione ad attacchi armati a esponenti della classe dominante. Significativa fu la parola d’ordine “colpire uno per educarne cento!”, come se la lotta di classe dovesse mirare a educare i capitalisti. Quindi la causa della loro sconfitta non fu la forza e la ferocia della classe dominante (dell’intervento dei servizi segreti italiani, della CIA o di altre entità), ma la debolezza dell’assimilazione della concezione comunista del mondo. Il (n)PCI ha assimilato la lezione dell’esperienza delle BR: le tesi sulla strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (cap. 3.3 del MP) e, in particolare, la concezione secondo cui la rivoluzione non scoppia ma si costruisce, tengono conto di essa.

La lotta condotta dalle BR ha mostrato, per la terza volta nella storia del movimento comunista del nostro paese dopo il Biennio Rosso (1919-1920) e la Resistenza (1943-1945), come in un paese imperialista si possono presentare le condizioni per il passaggio dalla prima alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (cioè dalla difensiva strategica all’equilibrio strategico). La loro lotta ha mostrato anche che la possibilità di sfruttare con successo le condizioni favorevoli dipende strettamente dalla qualità dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie che ha preceduto il loro presentarsi.

In termini generali, il partito rivoluzionario è un prodotto della ribellione delle masse oppresse. Ma nelle condizioni a cui è giunto il movimento comunista, il movimento delle masse oppresse riesce a svilupparsi oltre un livello elementare, rivendicativo, solo grazie all’attività del partito comunista. I comunisti non sono riusciti a costruire un partito comunista all’altezza del suo ruolo e del compito di promuovere e dirigere la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e questo ha impedito l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti, che è il motivo principale dell’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976).

Il Partito Comunista d’Italia (Nuova Unità) e le Brigate Rosse non compresero che per avanzare occorreva un bilancio dell’esperienza della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, un’esperienza sintetizzata al suo livello più alto nel maoismo. Inoltre, non compresero che il revisionismo moderno non consisteva solo nel rinnegamento della rivoluzione come mezzo per instaurare il socialismo, ma anche nello sfruttamento dei limiti e degli errori della concezione del mondo e del metodo di direzione e di lavoro dei comunisti: questi bisogna superare per battere il revisionismo moderno.

Infine non compresero che tra gli anni ’60 e ’70 anche nel nostro paese la società borghese era al culmine di un periodo in cui lo sviluppo della rivoluzione socialista si era combinata con il predominio mondiale dei gruppi imperialisti USA e che la seconda crisi generale del capitalismo si annunciava appena.

Le BR non raggiunsero l’obiettivo dichiarato e si dissolsero, ma torna ad onore di quelli che ne furono membri e degli attuali prigionieri ed esuli BR l’odio dei criminali responsabili della guerra di sterminio non dichiarata che colpisce le masse popolari italiane e sempre più si intreccia con “missioni umanitarie” delle Forze Armate italiane nei paesi oppressi e con guerre anche in Europa (dopo la Jugoslavia siamo all’Ucraina e alla Federazione Russa).



Il partito comunista è il fattore decisivo della vittoria!

I membri del (n)PCI si occupano di mobilitare le masse popolari a fare la rivoluzione che culmina nell’instaurazione del socialismo, lo sbocco positivo all’attuale crisi generale del capitalismo. Dobbiamo fissare con scienza e coscienza quali sono le tattiche che dobbiamo mettere in opera per la costruzione del partito, nell’attività sugli organismi, sui raggruppamenti e gli esponenti del MCCO, verso i lavoratori avanzati e le masse popolari, nei confronti di amministratori e tecnici progressisti (i tre serbatoi) per avanzare verso la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

Noi comunisti dobbiamo aiutare ogni lavoratore ad avere fiducia in sé e negli altri lavoratori, a osare combattere, osare vincere e instaurare il socialismo nel proprio paese. In questo modo contribuiamo anche alla rinascita del movimento comunista negli altri paesi!

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Riprodurre e affiggere ovunque, con le dovute cautele, la locandina di pag. 72 di La Voce 70 e gli adesivi dell’Avviso ai naviganti 103 è un’operazione della guerra delle masse popolari contro i padroni: vedere che il (n)PCI clandestino è presente anche dove non se l’aspettano infonde fiducia nei lavoratori e smorza l’arroganza dei padroni!