Indice degli scritti di Marx-Engels

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Presentazione

Sottoponiamo alla vostra attenzione questo scritto di Engels, perché esso per noi oggi è particolarmente importante come introduzione ad un approfondimento della comprensione della guerra popolare rivoluzionaria nel nostro paese.

Nella storia del movimento comunista è il primo scritto che tratta in modo sistematico della strategia della rivoluzione socialista in Europa. Questo scritto è stato trascurato dai partiti comunisti dei paesi imperialisti. Non a caso. Nessuno di essi ha elaborato una strategia della rivoluzione socialista nel suo paese. A. Gramsci è stato un’eccezione tra i dirigenti di quei partiti.

Questo scritto è già stato preso in esame da noi nell’opuscolo Federico Engels: dieci, cento, mille CARC per la ricostruzione del partito comunista, 1995.

L’“Introduzione” di Engels è arricchita delle numerose, ben 96, note esplicative di Giorgio Giorgetti che ha curato la pubblicazione di “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850” per conto di Editori Riuniti nel 1962. Aiuteranno il lettore a meglio comprendere il pensiero di Engels.

La redazione di La Voce


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L’“Introduzione” per l’edizione in opuscolo di “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, che uscì a Berlino nel 1895, fu scritta da Engels pochi mesi prima della sua morte, fra il 14 febbraio e il 6 marzo 1895.

Il 6 marzo 1895, tramite una lettera di Richard Fischer, la direzione del Partito socialdemocratico tedesco, adducendo motivi di opportunità tattica e accennando al pericolo sempre incombente di una nuova legge contro i socialisti, chiese a Engels di attutire il tono, ritenuto troppo rivoluzionario, dell’“Introduzione” e di accogliere una serie di modifiche che si considerava necessario apportarvi. Come è ora possibile vedere dalla risposta di Engels a Fischer dell’8 marzo 1895 (la lettera, scoperta in tempi relativamente recenti, è stata pubblicata per esteso solo nel 1967: cfr. nel vol. 50 delle Opere complete Marx-Engels, pp. 457-459), questi, pur manifestando riserve e critiche nei confronti dell’atteggiamento irresoluto del partito e delle sue preoccupazioni legalitarie, accolse, salvo alcune eccezioni, le richieste di modifica avanzate dalla direzione del Partito socialdemocratico tedesco e consentì che fossero cancellati i passi relativi a una eventuale lotta armata del proletariato contro la borghesia. Ma, ancor prima che uscisse l’edizione in opuscolo, il 30 marzo 1895, apparve sul “Vorwärts”, l’organo centrale della socialdemocrazia tedesca, un articolo di fondo intitolato “Wie man heute Revolution macht” (Come si fanno oggi le rivoluzioni) in cui, all’insaputa di Engels, venivano citati diversi brani della sua “Introduzione”, scelti in modo tale da farlo apparire, come egli si lamentò, “un pacifico sostenitore della legalità ad ogni costo” (cfr. Engels a Karl Kautsky, 1° aprile 1895, volume 50 delle Opere complete Marx-Engels, p. 489). Dietro espressa richiesta di Engels, l’“Introduzione” venne allora pubblicata per esteso, ma sempre con le modifiche sopra menzionate, sulla “Neue Zeit”, a. XIII (1894-95), vol. II, nn. 27-28.

I passi dell’“Introduzione” soppressi o modificati furono pubblicati per la prima volta nel 1934 nell’Unione Sovietica a cura dell’Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca. Oggi è possibile ricostruire la genesi dell’“Introduzione” engelsiana, non solo nelle modifiche apportate o accolte da Engels rispetto alla versione originaria del proprio scritto nelle pubblicazioni citate, ma anche in quelle da lui arrecate nella fase di gestazione della primitiva stesura, nell’edizione critica contenuta già nel “volume-prova” della “nuova MEGA”: Marx-Engels, “Gesamtausgabe. Editionsgrundsätze und Probestücke”, Berlin, 1972.

La presente traduzione è condotta sul testo integrale dell’“Introduzione”. I passi soppressi nell’edizione del 1895 sono contrassegnati da parentesi quadre.




Introduzione di Friedrich Engels alla prima ristampa (1) di Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Karl Marx


1. I quattro articoli che costituiscono la presente opera furono riuniti in opuscolo e ristampati a Berlino nel 1895, preceduti da quest’importante Introduzione di Engels. Prima che nel volume, l’Introduzione di Engels era apparsa nel Vorwärts [Avanti], organo centrale della socialdemocrazia tedesca, diretto da Wilhelm Liebknecht, ma con omissioni che deformavano completamente il pensiero di Engels, tanto che questi ne scriveva al Lafargue il 3 aprile 1895: “X mi ha fatto un brutto scherzo. Dalla mia Introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-1850 egli ha estratto tutto ciò che poteva servirgli in difesa della tattica a ogni costo pacifica e contraria alla violenza, che gli fa comodo predicare da un po’ di tempo, soprattutto ora che a Berlino si preparano le leggi eccezionali. Ma io raccomando questa tattica solo per la Germania d’oggi e anche qui con riserve di carattere essenziale. In Francia, Belgio, Italia e Austria non è possibile seguire questa tattica nella sua interezza e in Germania può diventare inadatta domani.” Indignato di questo lavoro “redazionale”, Engels aveva scritto a Kautsky il 1° aprile 1895: “Con mia grande sorpresa, trovo oggi nel Vorwärts un estratto della mia Introduzione, pubblicato senza che io lo sapessi e così sconciato che io vi appaio come un pacifico fautore della legalità quand même [ad ogni costo]. Tanto più vorrei che l’Introduzione apparisse nella Neue Zeit [Tempo Nuovo], perché venisse distrutta questa vergognosa impressione. Dirò molto chiaramente ciò che penso a questo proposito a Liebknecht e anche a coloro, chiunque essi siano, che gli hanno offerto questa possibilità di deformare il mio pensiero.” Tuttavia, né la Neue Zeit (quindicinale socialista pubblicato a Stoccarda, sotto la direzione di Kautsky, dal 1883 al 1923) né l’opuscolo contenente Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 riportarono il testo integrale dell’Introduzione di Engels. Su richiesta esplicita della direzione socialdemocratica, la quale temeva che il governo emanasse in Germania una nuova legge sui socialisti, Engels fu costretto a cancellare alcuni passi della sua Introduzione, relativi all’eventuale lotta armata del proletariato contro la borghesia. Il testo integrale dell’Introduzione di Engels venne pubblicato per la prima volta nell’Unione Sovietica nel 1934 (Marx, Augewählte Werke, 2 voll., Mosca-Leningrado). I passi soppressi nell’edizione dei socialdemocratici tedeschi sono indicati nella presente traduzione tra parentesi quadre.


Il lavoro che qui viene ristampato fu il primo tentativo di Marx di spiegare mediante la sua concezione materialista un frammento di storia contemporanea partendo dalla situazione economica corrispondente. Nel Manifesto del partito comunista la teoria era stata applicata a grandi linee a tutta la storia moderna. Negli articoli di Marx e miei nella “Neue Rheinische Zeitung” (2) essa era stata continuamente impiegata per interpretare gli avvenimenti politici correnti. Qui invece si trattava di dimostrare, nel corso di uno sviluppo di parecchi anni (1848-1850), altrettanto critico quanto caratteristico per tutta l’Europa, l’intimo nesso causale e quindi, secondo il concetto dell’autore, di ricondurre gli avvenimenti politici all’azione di cause in ultima istanza economiche.(3)


2. Nuova Gazzetta Renana. Quotidiano democratico diretto da Marx, che fu pubblicato a Colonia dal 1° giugno 1848 al 19 maggio 1849.


3. Engels parla di “cause in ultima istanza di economiche” per evitare ogni fraintendimento della concezione materialistica della storia. Nella lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890 (in Marx-Engels, Sul materialismo storico, cit. pp. 75 e sgg.) egli aveva affermato: “Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e riproduzione della vita reale. Di più non fu mai affermato né da Marx né da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l’unico fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della soprastruttura - le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto la battaglia, ecc., le forme giuridiche e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi - esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante. Vi è azione e reazione reciproca di tutti questi fattori ed è attraverso di essi che il movimento economico finisce per affermarsi come elemento necessario in mezzo alla massa infinita di cose accidentali (cioè di cose e di avvenimenti il cui legame intimo reciproco è così lontano e così difficile da dimostrarsi, che possiamo considerarlo come non esistente, che possiamo trascurarlo). Se non fosse così, l’applicazione della teoria a un periodo qualsiasi della storia sarebbe più facile che la soluzione di una semplice equazione di primo grado.” Su ciò cfr. fra l’altro A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, in Opere, vol. II, Einaudi, Torino 1948, pp. 96-98.


Nel giudicare avvenimenti e serie di avvenimenti della storia contemporanea non si sarà mai in condizio aprile ne di risalire sino alle cause economiche ultime. Persino oggi che la stampa tecnica specializzata fornisce un materiale così ricco, non è possibile nemmeno in Inghilterra seguire giorno per giorno il corso dell’industria e del commercio sul mercato mondiale e i mutamenti che sopravvengono nei metodi di produzione, in modo da poter in qualsiasi momento fare il bilancio generale di questi fattori multiformi, complessi e in continua mutazione, fattori di cui i più importanti, inoltre, agiscono a lungo e in modo latente prima di erompere improvvisamente e violentemente alla superficie. Una netta visione della storia economica di un periodo determinato non può mai formarsi contemporaneamente, ma soltanto successivamente, dopo che sia stato raccolto e studiato il materiale. La statistica è qui un ausiliare necessario ed arriva sempre in ritardo. Per la storia contemporanea corrente si è quindi costretti anche troppo spesso a considerare questo fattore, che è il più decisivo, come costante, ad assumere come data e immutabile per l’intero periodo la situazione che si riscontra all’inizio del periodo considerato, o a prendere in considerazione soltanto quei mutamenti di questa situazione che sgorgano da avvenimenti che sono manifesti e che perciò si presentano essi pure in modo aperto. Il metodo materialista dovrà perciò limitarsi anche troppo spesso a ricondurre i conflitti politici a lotte di interesse delle classi sociali e delle frazioni di classe preesistenti, determinate dalla evoluzione economica e a ravvisare nei singoli partiti politici l’espressione politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni di classe.

È evidente che tale inevitabile negligenza di quei mutamenti della situazione economica - base vera di tutti gli avvenimenti che si devono indagare - che si producono durante gli avvenimenti stessi, non può essere che una fonte di errori. Ma tutte le condizioni di una esposizione sintetica della storia contemporanea racchiudono in sé inevitabilmente fonti di errori, il che però non impedisce a nessuno di scrivere la storia contemporanea.

Quando Marx si accinse a questo lavoro, l’accennata fonte di errori era ancora più inevitabile. Durante il periodo rivoluzionario del 1848-49 era semplicemente impossibile seguire le fluttuazioni economiche che si compivano in quello stesso momento, o anche solo abbracciarle con uno sguardo generale. Lo stesso dicasi dei primi mesi dell’esilio di Londra, nell’autunno e nell’inverno 1849-50. Ebbene, fu appunto quello il momento in cui Marx incominciò il suo lavoro. E nonostante queste circostanze sfavorevoli, l’esatta conoscenza tanto della situazione economica della Francia prima della rivoluzione di febbraio, quanto della storia politica di questo paese dopo questa rivoluzione, gli permisero di dare una esposizione degli avvenimenti che rivela la loro intima connessione con una perfezione che non fu più raggiunta in seguito e che resistette brillantemente alla duplice prova cui la sottopose in seguito lo stesso Marx.

La prima prova la si ebbe quando Marx, a partire dalla primavera del 1850, ebbe nuovamente agio di dedicarsi agli studi economici e si accinse innanzi tutto allo studio della storia economica degli ultimi dieci anni. In questo modo gli risultò completamente chiaro dai fatti stessi ciò che sino allora egli aveva ricavato in modo quasi aprioristico da materiali insufficienti: che la crisi commerciale mondiale del 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e di marzo e che la prosperità industriale ristabilitasi a poco a poco dalla metà del 1848 e giunta al suo apogeo nel 1849 e nel 1850, fu la forza che dette vita e nuovo vigore alla reazione europea.(4)


4. Cfr. pp. 100 e sgg., 279-286.


Ciò fu decisivo. Mentre nei primi tre articoli (apparsi nei fascicoli di gennaio, febbraio e marzo della “Neue Rheinische Zeitung”, Amburgo 1850)(5) traspare ancora l’attesa di una prossima ripresa di energia rivoluzionaria, la rassegna storica fatta da Marx e da me nell’ultimo fascicolo doppio,(6) apparso nell’autunno del 1850 (maggio-ottobre), rompe una volta per sempre con questa illusione: “Una nuova rivoluzione non è possibile se non in seguito a una nuova crisi. L’una è però altrettanto sicura quanto l’altra”.(7) Ma questo era altresì l’unico mutamento sostanziale che vi era da introdurre. Quanto alla interpretazione degli avvenimenti data nei capitoli precedenti e al nesso causale che in essi veniva stabilito, non vi era assolutamente nulla da cambiare, come lo prova il seguito della narrazione, dato nella stessa rassegna e che va dal 10 marzo sino all’autunno 1850. Perciò ho inserito questo seguito nell’attuale ristampa, come quarto articolo.


5. La Neue Rheinische Zeitung, Politisch-ökonomische Revue [Nuova Gazzetta renana. Rivista di politica ed economia], redatta a Londra da Marx e da Engels e stampata ad Amburgo, avrebbe dovuto essere la continuazione della soppressa Neue Rheinische Zeitung. Il primo fascicolo uscì nel gennaio 1850.


6. A proposito di questa rassegna, fatta in comune da Marx e da Engels, cfr. quanto viene affermato da Engels nelle poche righe da lui premesse all’ultimo articolo (p. 279, nota 1). In base a ciò e a quanto scrive Engels in Per la storia della Lega dei comunisti (cfr. K. Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, cit., p. 28) è chiaro che l’ultimo articolo di Le lotte di classe in Francia è opera comune di Engels e di Marx o almeno che Engels vi ha in parte contribuito.


7. Cfr. p. 286.


La seconda prova fu ancora più dura. Immediatamente dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851,(8) Marx prese nuovamente in esame la storia della Francia dal febbraio 1848 sino a questo avvenimento, il quale poneva temporaneamente un termine al periodo rivoluzionario (“Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”, terza edizione, Amburgo, Meissner, 1885).(9) In questo opuscolo viene nuovamente trattato, sebbene più succintamente, il periodo esposto nel nostro scritto. Si confronti con la presente questa seconda esposizione, scritta alla luce di un avvenimento decisivo avvenuto un anno più tardi e si vedrà che l’autore ebbe ben poco da cambiare.


8. Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873), figlio dell’ex re d’Olanda e nipote di Napoleone I. Mescolatosi nella giovinezza ai carbonari aveva partecipato ai moti del 1830-1831 nello Stato pontificio. Nel suo scritto Rêveries politiques [Meditazioni politiche] (1832), sostenne la necessità di una monarchia repubblicana che assicurasse, con l’ordine, ogni libertà possibile ed elaborò un progetto di costituzione che era un miscuglio di idee repubblicane e imperiali, di velleità costituzionali e socialisteggianti. Accordatosi con vecchi bonapartisti e con alcuni elementi dell’esercito e dell’opposizione repubblicana provocò a Strasburgo, nel 1836, un’insurrezione contro Luigi Filippo, facilmente soffocata. Perdonato ed espulso dalla Francia, pubblicò nel 1839 Des idées napoléoniennes [Delle idee napoleoniche], che esponeva le linee di una politica interna basata sulla fusione dei partiti e di una politica estera basata sulla confederazione dei popoli e il trionfo dei diritti di nazionalità. Nel 1840 fece un secondo tentativo insurrezionale contro Luigi Filippo, con lo sbarco sfortunato di Boulogne. Fu catturato e condannato alla reclusione perpetua, ma riuscì a fuggire e si stabilì in Inghilterra, da dove tornò in Francia nel febbraio 1848. Nel frattempo in Francia intorno al suo nome si costituì un partito bonapartista, che mentre lo indicava alla borghesia come il continuatore delle tradizioni di ordine e conservazione sociale di Napoleone I e all’esercito come l’erede delle glorie napoleoniche, cercava di presentarlo alle masse come amico del popolo, facendo leva sul suo scritto L’extinction du paupérisme [L’estinzione del pauperismo] e sulla promessa che egli avrebbe eliminato le imposte che gravavano sui contadini. Eletto deputato all’Assemblea costituente del 1848, rassegnò le dimissioni, non ritenendo ancora giunto il suo momento, ma prese posto all’Assemblea dopo le elezioni suppletive di settembre, in cui fu eletto da cinque dipartimenti. Sulla sua elezione alla presidenza delle repubblica e sulla sua successiva attività politica cfr. l’esposizione di Marx da p. 155 fino alla fine della presente opera. La profonda scissione verificatasi in Francia tra i deputati orleanisti e legittimisti del partito dell’ordine, la frattura creatasi tra il parlamento borghese e la massa della borghesia (la quale vedeva in lui il paladino dell’ordine), la disponibilità delle forze militari di Parigi, gli permisero, nella notte tra l’1 e il 2 dicembre 1851, di realizzare un colpo di Stato, accompagnato dall’arresto e dalla deportazione dei vari capi-partito. Dopo aver ottenuto mediante un plebiscito l’approvazione di una costituzione che rendeva decennale la carica del presidente della repubblica, rimettendo nelle sue mani la nomina dei membri del Senato e del Consiglio di Stato, che prevedeva l’elezione a suffragio universale di un’assemblea (priva però di iniziativa legislativa), che riuniva quindi il potere nelle mani di Luigi Napoleone, questi con un secondo plebiscito, avvenuto il 2 dicembre 1852, si fece proclamare imperatore dei Francesi e assunse il nome di Napoleone III. Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana, fu vinto e fatto prigioniero dopo la sconfitta di Sédan, dopodiché in Francia fu proclamata la Repubblica.


9. Traduzione italiana in K. Marx-F. Engels, Il 1848 in Germania e in Francia, cit., pp. 249-358.


Ciò che conferisce inoltre un’importanza del tutto speciale al nostro scritto è che esso enuncia per la prima volta la formula in cui l’unanimità dei partiti operai di tutto il mondo riassume brevemente la sua rivendicazione della trasformazione economica: l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte della società. Nel secondo capitolo, a proposito del “diritto al lavoro”, che viene designato come “prima formulazione goffa in cui si riassumono le rivendicazioni rivoluzionarie del proletariato”,(10) si dice: “Ma dietro il diritto al lavoro sta il potere sul capitale, dietro il potere sul capitale sta l’appropriazione dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe operaia associata e quindi l’abolizione del lavoro salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci”.(11)


10. Per il significato di quest’affermazione di Marx cfr. ciò che egli dice nelle pagine 49-54 e 70.


11. La lotta del proletariato di Parigi per il diritto al lavoro, per l’organizzazione del lavoro, esprimeva l’illusione di poter risolvere i problemi dei lavoratori accanto a quelli della borghesia, nel quadro di una repubblica e di una società che nel 1848 non potevano che essere borghesi (cfr. le pp. 100 e sgg., 163). Ma nella società borghese, caratterizzata dalla proprietà capitalistica dei mezzi di produzione e oggettivamente dominata dalla tendenza del capitale di estorcere agli operai la maggior quantità possibile di lavoro gratuito, di plusvalore, a realizzare il profitto, il diritto al lavoro (come qualsiasi forma di organizzazione del lavoro che muti sostanzialmente le condizioni del proletariato) è un “controsenso, un meschino, pio desiderio.” Esso si presenta come un limite inaccettabile al diritto al massimo profitto da parte del capitalista. Questi impiega e licenzia i propri operai, organizza il loro lavoro, nel quadro dello sviluppo anarchico della produzione capitalistica e dell’alternarsi di periodi di prosperità e di crisi, uniformandosi unicamente alla sua privata ricerca del massimo profitto e non a considerazioni sociali e umanitarie, utilizzando a tale scopo lo Stato borghese con tutto il suo apparato repressivo e amministrativo. Anzi, come dimostrerà Marx in Il capitale (Ed. Rinascita, I, 3, pp. 78-99), l’esistenza di un esercito di riserva, composto di disoccupati temporanei o permanenti, non è soltanto una conseguenza, ma anche una necessità dell’industria capitalistica, la quale se ne serve per tenere bassi i salari e per attingervi temporaneamente braccia supplementari nei periodi di espansione della produzione. Il diritto al lavoro, l’organizzazione del lavoro nell’interesse dei lavoratori anziché dei capitalisti, può divenire realtà solo in una società in cui non operino più le leggi oggettive che regolano il funzionamento dell’economia capitalistica, in una società che non sia dominata dalla ricerca del massimo profitto da parte dei capitalisti, ma dalla tendenza oggettiva al soddisfacimento dei bisogni dei lavoratori. Ma ciò presuppone l’espropriazione dei capitalisti e l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori associati, in modo da permettere la loro utilizzazione secondo un piano, in funzione degli interessi sociali anziché di quelli privati. In una tale società che non può organizzarsi nella repubblica borghese, bensì nell’ambito della dittatura del proletariato, i mezzi di produzione cessano perciò di essere capitale, cioè mezzi per lo sfruttamento del lavoro altrui da parte dei capitalisti che li posseggono, cosi come scompare il salario, cioè la retribuzione del lavoro nelle condizioni del capitalismo, mediante la quale l’operaio riceve solo una parte del lavoro da esso prodotto (destinata a permettergli la conservazione e la riproduzione della sua forza-lavoro), mentre il capitalista si appropria dell’altra parte, il plusvalore. (La parte del prodotto sociale che non entra direttamente nella retribuzione individuale dei lavoratori, anziché essere accumulata nelle tasche dei capitalisti, nella società comunista viene assorbita da un fondo sociale da impiegarsi per le esigenze generali della collettività). La rivendicazione del diritto al lavoro, che già allora si trovava in aperto contrasto con le esigenze del capitale e dello Stato borghese, non poteva perciò non trasformarsi, nella coscienza degli operai, una volta che la loro stessa esperienza li avesse liberati dalle illusioni da cui essa era circondata nel ‘48, nella lotta per l’abolizione del capitale e del lavoro salariato, per la conquista di quello Stato e di quella società entro cui soltanto il diritto al lavoro e unorganizzazione del lavoro corrispondenti alle loro esigenze potevano essere realizzati.


Qui è dunque - per la prima volta - formulata la proposizione secondo la quale il socialismo operaio moderno si distingue nettamente tanto da tutte le diverse sfumature di socialismo feudale, borghese, piccolo-borghese, ecc., quanto dalla confusa comunità dei beni del comunismo utopistico e del comunismo operaio primitivo.(12)


12. Engels contrappone qui il socialismo scientifico alle diverse tendenze a cui vengono ricondotte, nella terza parte del Manifesto, le precedenti dottrine socialiste e comuniste (cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., pp. 90-110): il socialismo feudale, che fingendo di battersi per gli interessi del proletariato, ma partecipando in pratica a tutte le violenze contro di esso, non faceva che esprimere la polemica reazionaria di qualche legittimista francese (Bigot de Morogues, Villeneuve Bargemont, ecc.) o di alcuni conservatori inglesi (Disraeli, Carlyle) contro la borghesia (al cui predominio avevano dovuto soggiacere, rimproverandole “non tanto di produrre un proletariato in generale, quanto di produrre un proletariato rivoluzionario” (cfr. ibidem, pp. 90-94); il socialismo piccolo-borghese, con a capo il Sismondi (1773-1842), che esprimendo le posizioni della piccola-borghesia (oscillante tra la borghesia e il proletariato e che lo sviluppo del capitalismo, per effetto della concorrenza, ricacciava continuamente nel proletariato), proponeva di “ristabilire i vecchi mezzi di produzione e di scambio e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società”, oppure di “imprigionare di nuovo i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi rapporti di proprietà ch’essi hanno spezzato e non potevano non spezzare” (ibidem, pp. 94-96); il socialismo borghese degli economisti e dei filantropi, uno dei cui esponenti è il Proudhon (1809-1865), che “desidera di portar rimedio ai mali della società per assicurare l’esistenza della società borghese”, che vuole “le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne risultano”, “la società attuale, senza gli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono”, “la borghesia senza il proletariato”, oppure, nella sua forma più pratica, che chiede “miglioramenti amministrativi” sul terreno dei rapporti di produzione borghesi (cfr. ibidem, pp. 102-104). Mentre quest’ultimo vuole conservare i rapporti attuali, nell’interesse della borghesia e i primi due chiedono, dal punto di vista degli aristocratici e dei piccolo-borghesi, un impossibile ritorno al passato, il socialismo scientifico, operaio, lottando per l’appropriazione sociale dei mezzi di produzione, esprime scientificamente la necessità di abolire i rapporti di produzione borghesi e di creare, mediante una trasformazione rivoluzionaria della società, rapporti completamente nuovi. Le linee fondamentali di tali rapporti non sono frutto dell’immaginazione o di una “descrizione fantastica della società futura”, ma appaiono come il necessario sbocco delle contraddizioni stesse della società borghese, nella quale predomina la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e l’appropriazione privata dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti. Il socialismo scientifico non affida questa trasformazione rivoluzionaria, come fanno invece gli inventori di sistemi utopistici (cfr. ibidem, pp. 104-110), alle illusioni sulla buona volontà della classe dominante o dalla pacifica predicazione di un nuovo Vangelo, ma alla lotta rivoluzionaria e autonoma della classe operaia per la propria emancipazione, per l’abbattimento del sistema capitalistico. Per comunismo operaio primitivo, Marx ed Engels intendevano la “rozza tendenza a tutto eguagliare”, presente nella letteratura che accompagnò i primi moti del proletariato (cfr ibidem, p. 105). Sulle forme primitive di comunismo, cfr. in K. Marx-F. Engels-V.I. Lenin, La prospettiva del comunismo, Editori Riuniti, Roma 1960, pp. 215-219, un passo di Marx tratto dai Manoscritti economico-filosofici del 1844,


Quando Marx, in seguito, estese questa formula all’appropriazione anche dei mezzi di scambio, questa estensione, che del resto sulla base del “Manifesto del Partito comunista” si comprende da sé, non esprimeva che un corollario della proposizione principale.(13) Recentemente in Inghilterra alcuni sapientoni hanno ancora aggiunto che anche i “mezzi della distribuzione” debbono essere passati alla società. Sarebbe difficile a questi signori dire quali siano questi mezzi economici di distribuzione, diversi dai mezzi di produzione e di scambio,(14) a meno che non si parli di mezzi di distribuzione politici: imposte, assistenza ai poveri, compresi il Sachsenwald (15) e altre dotazioni. Ma in primo luogo questi sono già ora mezzi di distribuzione in possesso della comunità, dello Stato o del comune e in secondo luogo noi li vogliamo appunto abolire.(16)


13. Con l’appropriazione sociale dei mezzi di produzione, il processo attraverso cui vengono ripartite nei differenti settori dell’industria e dell’agricoltura le macchine e le materie prime prodotte dalla collettività e attraverso cui i lavoratori associati entrano individualmente in possesso, in una misura determinata, dei mezzi di consumo, processo che nella società capitalistica si svolge mediante lo scambio, assume necessariamente un carattere nuovo e viene regolato direttamente dalla società secondo un piano. Su ciò cfr. quanto scrive Marx nella Critica del programma di Gotha (in Marx-Engels-Lenin, La prospettiva del comunismo, cit., pp. 127-131), ma tenendo conto, in pari tempo, del dibattito svoltosi in URSS, durante gli ultimi dieci anni, a proposito della necessità della produzione mercantile e dello scambio (sebbene di tipo particolare) per lo sviluppo dell’economia socialista e fino all’edificazione del comunismo, nel quale si estinguono del tutto (cfr. fra l’altro: G. Stalin, Problemi economici del socialismo in URSS, Ed. Rinascita, Roma 1953, J. Kronrod, Caratteristiche della produzione mercantile nel sistema economico socialista, in “Politica ed economia”, gennaio 1959, pp. 18-27).


14. Parlare di passaggio alla società dei mezzi di distribuzione, intesi come qualcosa di diverso dai mezzi di produzione e di scambio (come fecero i “fabiani” inglesi, a cui sembra alludere qui Engels) significa cadere nell’errore di “fare della cosiddetta distribuzione l’essenziale” e di “porre su di essa l’accento principale”, significa uniformarsi all’abitudine “di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si muova principalmente sul perno della distribuzione”, abitudine che “il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi” (K. Marx, Critica del programma di Gotha; vedi questi passi in Marx-Engels-Lenin, La prospettiva del comunismo, cit., pp. 130-131).I cosiddetti rapporti di distribuzione” (vale a dire, nella società capitalistica, il salario, il profitto e la rendita) non sono infatti, per Marx ed Engels, altro che “espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato” e perciò mutano con il mutare di questo (cfr. K. Marx, Il capitale, cit., III, 3, pp. 299-301).


15. Vasta proprietà regalata nel 1871 al cancelliere tedesco Bismarck dall’imperatore di Germania Guglielmo I.


16. Con l’appropriazione sociale dei mezzi di produzione e l’abolizione delle classi viene abolita l’assistenza ai poveri, in quanto viene abolito il pauperismo e l’assistenza diviene una funzione permanente esercitata dalla società verso tutti i suoi membri; vengono inoltre abolite le imposte in quanto la società, disponendo direttamente del prodotto sociale, non deve più prelevare dai singoli, per tale via la quota di esso che è necessaria per soddisfare i bisogni collettivi.


Quando scoppiò la rivoluzione di febbraio (1848), ci trovavamo ancora tutti, per quanto riguarda le nostre concezioni circa le condizioni e lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari, sotto l’influenza della precedente esperienza storica, specialmente della Francia. Era proprio quest’ultima, infatti, che aveva dominato tutta la storia europea a partire dal 1789 e da cui anche ora era stato nuovamente dato il segnale del rivolgimento generale. Era quindi naturale e inevitabile che le nostre concezioni della natura e dello sviluppo della rivoluzione “sociale” proclamata a Parigi nel febbraio 1848, della rivoluzione del proletariato, fossero fortemente colorite dai ricordi dei modelli del 1789-1830.(17) E specialmente quando il sollevamento di Parigi trovò la sua eco nelle insurrezioni vittoriose di Vienna, Milano, Berlino, quando tutta l’Europa sino alla frontiera russa venne trascinata nel movimento;(18) quando poi in giugno a Parigi venne combattuta la prima grande battaglia per il potere tra il proletariato e la borghesia;(19) quando la vittoria stessa della propria classe scosse a tal punto la borghesia di tutti i paesi che essa si rifugiò di nuovo nelle braccia della reazione feudale monarchica poco prima rovesciata,(20) date le condizioni di allora non poteva più esistere per noi nessun dubbio che era scoppiata la grande lotta decisiva e che questa lotta doveva venir combattuta in un solo periodo rivoluzionario di lunga durata e pieno di alternative, il quale però poteva chiudersi soltanto con la vittoria definitiva del proletariato.


17. Cioè dei modelli della Rivoluzione francese (1789-1794) e della rivoluzione parigina del luglio 1830. Tra il 1830 e il 1848 la polemica politica dei repubblicani e dei democratici francesi è profondamente imbevuta di ricordi della rivoluzione del 1789, e furono scritte su di esse numerose opere storiche che esprimevano il punto di vista delle differenti frazioni repubblicane, dai Fatti della rivoluzione francese dei repubblicani borghesi Dupont e Marrast alla Storia popolare della Rivoluzione francese del comunista utopistico Cabet. Durante il loro soggiorno parigino, tra il 1843 e il 1845, Marx ed Engels si avvicinarono a questa letteratura ed approfondirono la loro conoscenza della Rivoluzione e della recente storia francese, come risulta chiaramente dalla Sacra famiglia, uscita nel 1845.


18. La rivoluzione parigina del 24 febbraio 1848 fu seguita dall’insurrezione di Vienna del 13 marzo, che costrinse il ministro Metternich a fuggire e l’imperatore a promettere la convocazione di un’Assemblea costituente; dall’insurrezione di Berlino che raggiunse il suo apice il 18 marzo e costrinse Federico Guglielmo IV a convocare un’assemblea e a concedere una costituzione, dalle insurrezioni vittoriose di Venezia e di Milano del 17 e 18 marzo, che costrinsero gli Austriaci a evacuare le due città. Altri movimenti rivoluzionari si susseguirono nel continente europeo, dalla manifestazione dell’11 marzo a Praga e dall’insurrezione del 15 marzo a Budapest, ai movimenti del 18 marzo in Svezia e del 9 giugno in Valacchia, alle insurrezioni di Cracovia e della Posnania del 25-26 aprile e del 2-8 maggio 1848.


19. Sull’insurrezione operaia di Parigi del 23-25 giugno del 1848; cfr. le pp. 138-145.


20. Come affermano Marx ed Engels in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, “già all’inizio dell’aprile del 1848 il torrente rivoluzionario era stato arginato su tutto il continente europeo dall’alleanza che quelle classi della società, le quali avevano tratto profitto dalla vittoria iniziale, avevano immediatamente stretto coi vinti. In Francia, la piccola borghesia e la frazione repubblicana della borghesia si erano unite alla borghesia monarchica contro i proletari; in Germania e in Italia, la borghesia vittoriosa si era affrettata a cercare l’appoggio della nobiltà feudale, della burocrazia statale e dell’esercito contro la massa del popolo e dei piccoli borghesi” (cfr. K. Marx-F. Engels, Il 1848 in Germania e in Francia, cit., p. 62). La paura del proletariato, il quale aveva costituito la principale forza d’urto durante le insurrezioni e dell’“anarchia”, si rafforzò dovunque nella borghesia dopo l’insurrezione operaia di Parigi del giugno 1848, ma “in sostanza era evidente sin dal principio del dramma rivoluzionario che la borghesia liberale non poteva affermarsi contro i partiti feudali e burocratici sconfitti ma non distrutti, se non ricorrendo all’appoggio dei partiti popolari e più avanzati; e che in pari tempo essa aveva bisogno dell’appoggio della nobiltà feudale e della burocrazia contro l’attacco di queste masse più avanzate” (ibidem, p. 49). Su ciò cfr. anche F. Engels, La guerra dei contadini in Germania, cit., pp 9-14 e 18-22.


Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo in nessun modo le illusioni della democrazia volgare raccolta attorno ai governi provvisori futuri in partibus.(21) Questa contava su una vittoria rapida, decisiva una volta per tutte, del “popolo” sugli “oppressori”; noi su una lotta lunga, dopo l’eliminazione degli “oppressori”, tra gli elementi contraddittori che si celavano precisamente in questo “popolo”.(22) La democrazia volgare aspettava la nuova esplosione dall’oggi al domani;(23) noi dichiaravamo già nell’autunno 1850 che almeno il primo capitolo del periodo rivoluzionario era chiuso e che non vi era da aspettarsi nulla sino allo scoppio di una nuova crisi economica mondiale. Per questo fummo messi al bando come traditori della rivoluzione da quegli stessi che in seguito fecero tutti, quasi senza eccezione, la pace con Bismarck,(24) nella misura in cui Bismarck trovò che ne valeva la pena.(25)


21. Propriamente in partibus infidelium: nelle terre degli infedeli. In questo caso significa governo-fantoccio all’estero. Nel febbraio del 1848 si era costituito a Londra una specie di governo centrale della democrazia europea, con lo scopo di dirigere le lotte dei partiti democratici europei, al quale parteciparono il Mazzini, Ledru-Rollin, Ruge, ecc. In concomitanza con esso sorsero a Londra comitati o “governi provvisori dell’avvenire” per i singoli paesi. Su ciò cfr. la corrispondenza tra Marx ed Engels dei primi mesi del 1851, in Carteggio Marx-Engels, Ed. Rinascita, Roma 1951-1953, vol. 1.


22. Per democrazia volgare Marx ed Engels intendono le correnti democratiche e radicali europee, i cui maggiori esponenti furono il Ledru-Rollin in Francia, il Ruge in Germania, il Kossuth in Ungheria, il Mazzini in Italia. Marx li definì “rappresentanti del piccolo borghese”, ma non nel senso che essi siano necessariamente, “per cultura e situazione personale”, dei bottegai o dei piccoli borghesi in genere, bensì nel senso che “la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltrepassa nella sua vita e perciò essi tendono, nel campo della teoria, agli stessi compiti e alle stesse soluzioni a cui l’interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica” (K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, cit., pp. 286-287). I loro programmi si riassumono “nel fatto che vengono richieste istituzioni democratiche repubblicane non come mezzi per eliminare entrambi gli estremi, il capitale e il lavoro salariato, ma come mezzi per attenuare il loro contrasto e trasformarlo in armonia (ibidem, p. 286, e cfr. i giudizi sul loro comportamento politico e sulle loro illusioni di rappresentare tutto il popolo, ibidem, pp. 289-290). Marx ed Engels combatterono aspramente le illusioni sull’unità del popolo della democrazia “volgare” (essi chiamarono “volgare” ogni teoria che, invece di penetrare l’essenza dei fenomeni, si fondava sulle loro apparenze esteriori, come ad esempio l’“economia volgare”) e sottolinearono sempre contro di esse il fatto che, nella rivoluzione democratica, il popolo è l’unione di classi differenti (comprendente nel 1848 il proletariato, i contadini, la borghesia rivoluzionaria) per l’abbattimento dei comuni “oppressori”, ma che queste differenze di classe vengono inevitabilmente in primo piano dopo la vittoria (cfr per esempio K. Marx-F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, cit., p. 42).

La vittoria del popolo anziché essere “decisiva” e avvenire “una volta per tutte”, nella rivoluzione democratico-borghese poteva portare, nel migliore dei casi, a una repubblica democratica, diretta dalla borghesia e tendente a soddisfare gli interessi di classe della borghesia contro il suo diretto antagonista, il proletariato. Ma nella repubblica democratica gli operai avrebbero trovato il terreno, tanto più favorevole quanto più essa fosse conseguentemente democratica, per prepararsi alla lotta decisiva contro la borghesia (cfr. qui le pp. 107-117). Di qui l’interesse del proletariato a partecipare alla rivoluzione democratica col fine di renderla quanto più fosse possibile estesa e conseguente, di impedire che il tradimento della borghesia tendente per paura del proletariato al compromesso con le vecchie classi dominanti, la lasciasse incompiuta.

Inoltre, “mentre i piccoli borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione” il compito del proletariato è di “rendere permanente la rivoluzione fino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, fino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, fino a che l’associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti nel mondo, si sia sviluppato al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi e fino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari (dall’Indirizzo del Comitato centrale della Lega dei comunisti del 1850, in K. Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, cit., pp. 91-92). Sulla base di questi principi di strategia e di tattica del proletariato era necessario impedire che esso si confondesse nel “popolo” e far sorgere una “organizzazione indipendente del partito del proletariato” (ibidem, pp. 94-98). È basandosi su questi principi che Lenin, nel 1905, elaborerà la strategia e la tattica del proletariato russo (cfr., in particolare, il suo scritto Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica).


23. Ne sono una prova il prestito rivoluzionario e i manifesti magniloquenti e permeati dalla convinzione che la rivoluzione fosse imminente, lanciati ai tedeschi, ai rumeni, ecc., dal Comitato centrale della democrazia europea, nel 1851.


24. Otto von Bismarck Schönhausen (1815-1898), esponente del conservatorismo reazionario della classe feudale-militare degli Junker (aristocrazia terriera prussiana). Prima deputato alla Dieta prussiana, ministro di Prussia alla Dieta di Francoforte, poi ambasciatore a Pietroburgo e a Parigi. Nel 1862 divenne presidente del consiglio prussiano. Ostile alle idee liberali e allo stesso nazionalismo tedesco nella misura in cui era verniciato di liberalismo, sviluppo un’azione politica tendente a spezzare in Germania ogni legame fra gli ideali di nazione e di libertà, a realizzare l’unità della Germania “col sangue e col ferro”, sotto la direzione della Prussia e con l’esclusione dell’Austria dalla Confederazione germanica. Nel frattempo egli governava all’interno senza curarsi della camera prussiana e senza bilancio, con la piena libertà di un antico ministro dell’assolutismo. Presentandosi abilmente alle popolazioni degli altri Stati germanici, al fine di interessarle al suo piano di unità tedesca, come fautore del suffragio universale per l’elezione dell’Assemblea federale di Francoforte e riuscendo a legare al suo gioco perfino il Lassalle e lo Schweitzer, esponenti del movimento proletario tedesco, nel 1866 il Bismarck attaccò l’Austria e gli altri Stati tedeschi ad essa favorevoli, con la neutralità di Napoleone III e l’alleanza dell’Italia, riportando una vittoria che permise l’ingrandimento della Prussia a Occidente mediante l’annessione del regno di Hannover, del principato dell’Assia e del ducato di Nassau, la creazione di una Confederazione della Germania del Nord diretta dalla Prussia, l’inserimento nell’orbita prussiana degli Stati della Germania meridionale e l’esclusione dell’Austria dalla politica germanica. Nel 1870 riuscì a provocare la guerra con la Francia, nella quale la Prussia riportò una grande vittoria seguita dall’annessione dell’Alsazia-Lorena e dalla proclamazione del re di Prussia a imperatore di Germania ad opera di tutti i principi tedeschi. Divenuto nel 1871 anche cancelliere dell’Impero, con la sua politica il Bismarck cercò di consolidare i successi ottenuti, di fare della Germania l’ago della bilancia in Europa senza comprometterne la posizione con nuove avventure belliche e cercando, in pari tempo, di isolare la Francia per impedirle di realizzare le alleanze necessarie per attuare un programma di rivincita contro la Germania. La politica interna di Bismarck, malgrado l’esistenza di un parlamento imperiale eletto a suffragio universale, mantenne un carattere autoritario, imperniato sulla preponderanza in campo diplomatico, economico e militare dell’imperatore e del cancelliere dell’Impero, a cui nemmeno l’assetto federale della Germania poté costituire un contrappeso.

Essa si espresse fra l’altro nelle leggi contro i socialisti (1878), accompagnate talvolta da una politica paternalistica verso la classe operaia, che non riuscirono però a impedire il rafforzamento del socialismo. Il Bismarck fu licenziato dal nuovo imperatore Guglielmo II.


25. Allusione all’appoggio dato più tardi alla politica bismarckiana da parte di Ruge, Kinkel ed altri democratici tedeschi che nel 1851 sostenevano l’imminenza della rivoluzione.


Ma la storia ha dato torto anche a noi; ha rivelato che la nostra concezione d’allora era una illusione. La storia è andata anche più lontano; essa non ha soltanto demolito il nostro errore di quel tempo; essa ha pure sconvolto radicalmente le condizioni in cui il proletariato ha da lottare. Il modo di combattere del 1848 è oggi sotto tutti gli aspetti antiquato e questo è un punto che in questa occasione merita di essere esaminato più da vicino.

Tutte le passate rivoluzioni hanno condotto alla sostituzione del dominio di una classe con quello di un’altra; ma sinora tutte le classi dominanti erano soltanto piccole minoranze rispetto alla massa del popolo dominata. Una minoranza dominante veniva rovesciata, un’altra minoranza prendeva il suo posto al timone dello Stato e rimodellava le istituzioni politiche secondo i propri interessi. E ogni volta si trattava di quel gruppo di minoranza che le condizioni dello sviluppo economico rendevano atto e chiamavano al potere. Appunto per questo e soltanto per questo avveniva che la maggioranza dominata partecipava al rivolgimento schierandosi a favore di quella minoranza, oppure si adattava tranquillamente al rivolgimento stesso. Ma se prescindiamo dal contenuto concreto di ogni caso, la forma comune di tutte quelle rivoluzioni consisteva nel fatto che esse erano tutte rivoluzioni di minoranze. Anche quando la maggioranza prendeva in esse una parte attiva, lo faceva soltanto, coscientemente o no, al servizio di una minoranza; questo fatto però, o anche solo il fatto dell’atteggiamento passivo e della mancanza di resistenza della maggioranza, dava alla minoranza l’apparenza di essere rappresentante di tutto il popolo.(26)


26. Nelle precedenti rivoluzioni borghesi, la borghesia non era che una minoranza rispetto alla massa della popolazione. Tuttavia, poiché lo sviluppo del modo di produzione borghese, capitalistico, era in quei momenti la condizione indispensabile per l’ulteriore sviluppo delle forze produttive e quindi per il progresso generale della società rispetto alle condizioni feudali che lo inceppavano, toccava necessariamente alla borghesia, in quanto impersonava il modo di produzione capitalistico e non si trovava ancora di fronte un proletariato organizzato come classe, la direzione del movimento rivoluzionario antifeudale. Ciò rendeva possibile la formazione, sotto la guida della borghesia (che sembrava perciò esprimere la somma degli interessi e degli ideali di tutto il popolo), di un vasto schieramento di forze raggruppante tutti gli strati antifeudali della società. “In tale stadio i proletari non combattono dunque i loro nemici, ma i nemici dei loro nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Tutto il movimento storico è così concentrato nella borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della borghesia” (K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, cit., p. 69). A questa, “in tutte le tre grandi rivoluzioni della borghesia (la Riforma in Germania, la rivoluzione inglese del secolo XVII e la rivoluzione francese del 1789) i contadini forniscono l’esercito per la lotta, mentre dopo la vittoria sono proprio la classe che viene immancabilmente rovinata dalle conseguenze economiche della vittoria stessa.” (F. Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Ed. Rinascita, Roma 1951, p. 31)


Dopo il primo grande successo, la minoranza vittoriosa in generale si scindeva: una metà era soddisfatta dei risultati raggiunti, l’altra voleva andare più avanti e presentava nuove rivendicazioni, che corrispondevano almeno in parte all’interesse reale o apparente della grande massa popolare. Queste rivendicazioni più radicali vennero in certi casi anche realizzate, ma spesso solo per un momento. Infatti il partito più moderato prendeva di nuovo il sopravvento e le ultime conquiste andavano in tutto o in parte perdute di nuovo. Gli sconfitti gridavano allora al tradimento, o attribuivano la sconfitta al caso. In realtà però le cose stavano per lo più a questo modo: le conquiste della prima vittoria non erano state assicurate che dalla seconda vittoria del partito più radicale; raggiunto questo punto e quindi anche ciò che era momentaneamente necessario, i radicali e i loro successi sparivano nuovamente dalla scena.


27. Engels scrisse a proposito della rivoluzione inglese del secolo XVII: “La borghesia della città si lanciò per la prima volta nel movimento; i contadini medi (yeomanry) lo fecero trionfare. … Un secolo dopo Cromwell, la yeomanry inglese era quasi scomparsa. Eppure fu solo per la partecipazione di questa yeomanry e dell’elemento plebeo delle città che la lotta venne combattuta fino alla vittoria e Carlo I fatto salire sul patibolo. Affinché potessero venire assicurate almeno quelle conquiste della borghesia che erano mature e pronte ad essere mietute, era necessario che la rivoluzione oltrepassasse di molto il suo scopo, esattamente come in Francia nel 1793 e in Germania nel 1848. Sembra che questa sia una delle leggi dell’evoluzione della società borghese” (ibidem, pp. 31-32). Infatti la rivoluzione inglese oltrepassò di molto il suo scopo grazie al movimento egualitario dei livellatori, la cui opera, sotto la spinta della borghesia più avanzata che esigeva trasformazioni radicali, dette un impulso decisivo allo sviluppo della rivoluzione tra il 1647 e il gennaio 1649 (in cui fu decapitato il re e proclamata la repubblica).

Ma una volta assicurata la vittoria della rivoluzione e sconfitti i presbiteriani, favorevoli al compromesso col re, i livellatori seguiti dalle classi lavoratrici accentuarono le loro tesi egualitarie in polemica contro la grossa borghesia, mentre le frazioni borghesi e molti strati piccolo-borghesi che li avevano precedentemente seguiti si raccolsero intorno a Cromwell. Quest’ultimo, dopo aver vinto insieme ai livellatori, li provocò ad una rivolta terminata con un rapido soffocamento del loro movimento (maggio 1649). Seguì allora un lungo periodo contrassegnato dalla dittatura borghese di Cromwell, sostenuta dalla grande borghesia terriera e commerciale. Qualcosa di analogo avvenne anche nel corso della Rivoluzione francese: il predominio politico della fazione borghese più radicale (i giacobini), realizzatosi nel periodo del Terrore con la vittoria della Montagna sotto la guida di Robespierre, assicurò la vittoria definitiva sul feudalesimo, dopodiché il potere con la reazione termidoriana, passò nelle mani della borghesia conservatrice (8-10 termidoro, cioè 26-28 luglio 1794).


Tutte le rivoluzioni dell’età moderna, incominciando dalla grande rivoluzione inglese del secolo XVII, hanno presentato questi lineamenti, che sembravano inseparabili da ogni lotta rivoluzionaria. E sembrava che essi fossero da applicarsi anche alle lotte del proletariato per la sua emancipazione; tanto più applicabili in quanto proprio nel 1848 si potevano contare sulle dita coloro che comprendevano anche solo in una certa misura in quale direzione si dovesse cercare questa emancipazione. Persino a Parigi, anche dopo la vittoria, le stesse masse proletarie non avevano nessuna idea chiara circa la via da battere. Eppure il movimento esisteva, istintivo, spontaneo, insopprimibile. Non era proprio quella la situazione in cui doveva vincere la rivoluzione, diretta bensì da una minoranza, ma questa volta non nell’interesse della minoranza, bensì nel più genuino interesse della maggioranza?(28) Se in tutti i periodi rivoluzionari un po’ lunghi si erano potute guadagnare così facilmente le grandi masse popolari anche solo mediante plausibili miraggi presentati loro dalle minoranze che le spingevano avanti, come avrebbero potuto essere meno accessibili a idee che erano il riflesso più esatto della loro situazione economica, che non erano altro che l’espressione chiara, razionale, dei loro bisogni, da loro stesse ancora incompresi, sentiti soltanto in modo ancora confuso? È vero che questo stato d’animo rivoluzionario delle masse aveva lasciato il posto quasi sempre, e per lo più molto presto, a uno spossamento e si era persino trasformato nel suo contrario, non appena, svanita l’illusione, era subentrato il disinganno.(29) Ma questa volta non si trattava di miraggi, bensì della soddisfazione degli interessi genuini della grande maggioranza stessa, interessi che non erano certamente chiari a questa grande maggioranza, ma che presto, nel corso della realizzazione pratica, avrebbero dovuto apparirle abbastanza chiari, con convincente evidenza. E se nella primavera del 1850, come è dimostrato nel terzo articolo di Marx, lo sviluppo della repubblica borghese sorta dalla rivoluzione “sociale” del 1848, aveva concentrato il vero potere nelle mani della grande borghesia - monarchica per giunta - e per contro aveva raggruppato tutte le altre classi sociali, i contadini come i piccoli borghesi, attorno al proletariato, in modo che durante e dopo la vittoria comune non esse, ma il proletariato agguerrito dall’esperienza doveva diventare il fattore decisivo, non esistevano forse in questa situazione tutte le prospettive di trasformare la rivoluzione della minoranza in rivoluzione della maggioranza?


28. Nel 1848, tanto a Parigi quanto a Vienna e a Berlino (cfr. p. 49, nota 3), dopo la prima grande vittoria rivoluzionaria, ottenuta mediante la lotta della forza più radicale, del proletariato, i rappresentanti politici della minoranza borghese si proponevano di arrestare il corso della rivoluzione disponendosi al compromesso con le forze politiche rovesciate (cfr. p. 50, nota 2). Il fatto che il proletariato, perfino a Parigi, dove aveva raggiunto un forte sviluppo, non avesse idee chiare sui suoi obiettivi e sul modo di raggiungerli, sembrava indicare che esso, dopo aver esaurito la sua funzione di forza d’urto contro il precedente regime, dovesse sparire dalla scena (come infatti avvenne: cfr. p. 290 e, ibidem, nota 1) al pari dei livellatori inglesi nel 1649. Tuttavia la forza spontanea del movimento, che tendeva a far proseguire la rivoluzione sulla base di rivendicazioni più avanzate, lasciava intravedere a Marx e ad Engels la possibilità che una minoranza, costituita da un partito proletario capace di mettersi alla testa del movimento e di esprimere coerente le esigenze economiche, politiche e sociali del proletariato e della maggioranza della popolazione fosse in grado, lottando contro la minoranza borghese in alleanza con la quale era stata combattuta la prima fase della rivoluzione, di guidare la maggioranza del popolo alla vittoria contro la borghesia.


29. Si allude qui alla rapida disintegrazione della base sociale dei livellatori, dopo la proclamazione della repubblica e la sconfitta dell’insurrezione avvenuta in Inghilterra nel maggio del 1649, nonché al progressivo abbandono dei giacobini da parte della loro base popolare dopo la vittoria della reazione termidoriana in Francia nel 1795 e il fallimento delle due insurrezioni giacobine dell’aprile e del giugno 1795.


La storia ha dato torto a noi e a quelli che pensavano in modo analogo. Essa ha mostrato chiaramente che lo stato dell’evoluzione economica sul continente era allora ancor lungi dall’esser maturo per l’eliminazione della produzione capitalista; essa lo ha provato con la rivoluzione economica che dopo il 1848 ha guadagnato tutto il continente e ha veramente installato la grande industria in Francia, in Austria, in Ungheria, in Polonia e da ultimo anche in Russia; che ha veramente fatto della Germania un paese industriale di prim’ordine - tutto ciò su una base capitalista, capace quindi ancora nel 1848 di ben grande espansione.(30) Ma è stata precisamente questa rivoluzione industriale che ha fatto dappertutto luce sui rapporti di classe, che ha eliminato una massa di forme di transizione provenienti dal periodo della manifattura e, nell’Europa orientale, persino dall’artigianato corporativo, che ha creato una vera borghesia e un vero proletariato della grande industria e li ha spinti sulla scena dell’evoluzione sociale.(31) Ma in conseguenza di ciò la lotta tra queste due grandi classi, che nel 1848, fuori dell’Inghilterra, esisteva soltanto a Parigi e tutt’al più in alcuni grandi centri industriali, si è estesa per la prima volta a tutta l’Europa e ha raggiunto un’intensità che nel 1848 non si poteva ancora concepire. Allora, i numerosi e oscuri evangeli delle sette con le loro panacee;(32) oggi l’unica teoria di Marx universalmente riconosciuta, d’una chiarezza trasparente e che formula con precisione gli obiettivi finali della lotta.(33) Allora, le masse divise e distinte per località e nazionalità, legate soltanto dal sentimento delle sofferenze comuni, poco sviluppate, gettate confusamente dall’entusiasmo alla disperazione;(34) oggi, un solo grande esercito internazionale di socialisti, che avanza senza soste e di cui si accrescono ogni giorno il numero, l’organizzazione, la disciplina, la comprensione, la certezza della vittoria.(35) E se anche questo potente esercito del proletariato non ha ancora raggiunto la meta, anche se esso, lungi dal conseguire la vittoria con una sola grande battaglia, deve progredire, lentamente, di posizione in posizione, con una lotta dura e tenace, ciò dimostra una volta per sempre come fosse impossibile conquistare la trasformazione sociale del 1848 con un semplice colpo di sorpresa.


30. A proposito dell’impossibilità di sostituire, nel 1848, la produzione capitalistica con quella socialista, vale come principio generale ciò che affermò Marx nella sua Prefazione a Per la critica dell’economia politica (Ed. Riuniti, Roma 1957, p. 11): “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.”


31. Per rivoluzione industriale s’intende qui il trapasso delle attività industriali dalla fase artigianale o manifatturiera alla fase dell’industria meccanica, iniziatosi in Inghilterra nella seconda metà del secolo XVIII e sviluppatosi successivamente nel continente europeo. Per forme di transizione eliminate dalla rivoluzione industriale, Marx ed Engels intendevano le forme che assumono un carattere intermedio fra quelle tipicamente feudali e quelle del capitalismo moderno: tale è per esempio la figura del commerciante che si impadronisce direttamente della produzione e pone sotto il suo controllo gli artigiani, i quali ricevono da lui la materia prima conservando, formalmente, le caratteristiche dei produttori indipendenti, ma divenendo nei fatti una specie di salariati subordinati al commerciante come a un capitalista senza che egli, d’altra parte, assuma il carattere specifico del capitalista industriale (K. Marx, Il capitale, III, I, pp. 400-401); tale è per esempio il rapporto mezzadrile in cui non vi è la separazione tipica del capitalismo tra proprietario fondiario, fittavolo capitalista e lavoratore, ma in cui il proprietario è in pari tempo capitalista, mentre il mezzadro oltre che lavoratore è anche proprietario di una parte del capitale (cfr. ibidem, III, p. 212).

Per manifattura Marx ed Engels intendono la forma che assume l’azienda capitalistica nel periodo precedente la grande industria, forma nella quale i lavoratori salariati sono direttamente subordinati a un capitale e, sulla base della divisione del lavoro, forniscono lavoro manuale servendosi ancora degli strumenti e delle capacità tecniche del lavoro artigiano (cfr. ibidem, I, 2, pp. 34-70). Per artigianato corporativo Marx ed Engels intendono la produzione industriale caratteristica delle città medievali, fondata sul lavoro dei maestri artigiani, cioè produttori diretti e indipendenti (piccoli padroni), che nella loro bottega, con l’aiuto dei familiari, di apprendisti o di garzoni, compivano manualmente tutte le operazioni necessarie per trasformare la materia prima in prodotto finito. Gli artigiani erano perlopiù riuniti in corporazioni, che costituivano per essi un mezzo di difesa contro le pretese dei grossi mercanti, fissavano i salari e limitavano il numero di garzoni che ciascun artigiano poteva impiegare, regolavano i sistemi di fabbricazione, l’approvvigionamento della materia prima, la vendita dei prodotti ecc., divenendo perciò a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive un ostacolo al progresso tecnico e alla necessità del capitale di disporre liberamente degli operai, di fissarne senza alcun limite il numero, il salario e la tecnica produttiva. Solo con la rivoluzione industriale, che consente un impetuoso sviluppo del modo di produzione capitalistico e della borghesia industriale moderna, insieme a un corrispondente sviluppo del proletariato, poteva venire alla luce, in modo netto, l’antagonismo fondamentale tra il proletariato e la borghesia (che nell’ambito delle precedenti forme di transizione non avevano ancora assunto il loro volto tipico), potevano quindi maturare le condizioni per una rivoluzione proletaria vittoriosa.


32. Engels allude col termine setta tanto alle associazioni, segrete o meno, influenzate dal pensiero dei comunisti utopisti (dalle società icariane dominate dalle teorie del Cabet, alla Lega dei Giusti ispirata dal pensiero del Weitling), quanto ai gruppi che si erano raccolti in Francia tra il 1840 e il 1850, intorno ai “socialisti dottrinari” come Proudhon, Blanc, ecc. (cfr. p. 206, nota 2 e pp. 267-268). Per queste sette il socialismo è l’“espressione della verità, della ragione, della giustizia assolute e basta svelarlo perché esso conquisti il mondo con la sua propria forza”, indipendentemente dalle condizioni oggettive della società e dalla lotta di classe del proletariato; “se non che la verità, la ragione, la giustizia assolute sono diverse per ogni caposcuola e la maniera di concepirle è condizionata dal suo intelletto soggettivo, dalle sue condizioni d’esistenza, dalla quantità delle sue conoscenze e dal suo modo di pensare”, così che si sviluppa da esse “una specie di socialismo eclettico confusionista… una miscela che consente le sfumature più diverse di sfoghi critici scarsamente efficaci, di dottrine economiche e di rappresentazioni di società future dovute ai vari capisetta…” (F. Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, cit., p. 56). Nella lettera a Bolte del 29 novembre 1871 (cfr. K. Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, cit., p. 209-211) Marx dà il nome di setta a ogni organizzazione socialista che cerca di “prevalere sul movimento reale della classe operaia”, che è “ostile all’organizzazione del vero movimento operaio alla quale tende l’Internazionale” e considera tale anche l’Associazione generale degli operai tedeschi di Lassalle. Egli afferma fra l’altro: “Lo sviluppo delle sette socialiste e quello del vero movimento operaio sono sempre in proporzione inversa. Sino a che le sette hanno una giustificazione (storica), la classe operaia non è ancora matura per un movimento storico indipendente. Non appena essa giunge a questa maturità, tutte le sette diventano essenzialmente reazionarie.”


33. Sugli obiettivi finali cfr. le pp. 48-49, 141. Su di essi si era creato alla fine del secolo XIX, in cui scriveva Engels, un largo accordo nella grande maggioranza dei movimenti socialisti d’Europa e d’America.


34. Sulla prima fase delle lotte operaie v. Manifesto del partito comunista, cit., pp. 68-74.


35. Col Congresso operaio di Parigi del 1889 era stata fondata la Seconda Internazionale nella quale, a differenza della Prima Internazionale (1864-1872) prevaleva l’indirizzo marxista. Diretta da un ufficio permanente stabilito a Bruxelles, che coordinava l’attività dei partiti che vi aderivano, essa vivrà fino alla prima guerra mondiale.


Una borghesia divisa in due frazioni monarchiche dinastiche (36) che prima di tutto però desiderava la calma e la sicurezza per i suoi affari pecuniari;(37) di fronte ad essa un proletariato vinto,(38) sì, ma ancor sempre minaccioso, attorno al quale si raccoglievano sempre più la piccola borghesia e i contadini; la minaccia continua di un’esplosione violenta, che malgrado tutto non offriva nessuna prospettiva di soluzione definitiva.(39) Tale era la situazione, che si sarebbe detta fatta apposta per il colpo di Stato del terzo pretendente, del pretendente pseudodemocratico (40) Luigi Bonaparte. Con l’aiuto dell’esercito questi pose fine il 2 dicembre 1851 alla situazione tesa e assicurò all’Europa la pace interna, per gratificarla, in cambio, di una nuova era di guerre.(41) Il periodo delle rivoluzioni dal basso era, intanto, chiuso; seguì un periodo di rivoluzioni dall’alto.


36. I legittimisti, che sostenevano il ritorno della monarchia “legittima” dei Borboni, la quale aveva regnato in Francia fino al 1792 e, deposta durante la Rivoluzione francese, era tornata sul trono dopo la caduta di Napoleone, per esserne definitivamente cacciata dalla rivoluzione del luglio 1830; gli orleanisti, che sostenevano il ritorno della dinastia degli Orléans il cui unico re, Luigi Filippo, era salito al trono nel luglio 1830 per esserne cacciato in seguito alla rivoluzione del 24 febbraio 1848. Su ciò cfr. le pp. 201-203.


37. Infatti nel corso del 1851, di fronte ai continui contrasti tra il potere esecutivo rappresentato da Luigi Napoleone (il quale tendeva a limitare progressivamente l’autorità del parlamento borghese e a preparare un colpo di Stato) e il partito dell’ordine (in via di disgregazione per l’accentuarsi delle divergenze tra orleanisti e legittimisti) la borghesia francese, anziché sostenere le posizioni del proprio partito, del partito dell’ordine, per la difesa del parlamento borghese e del proprio diretto potere di classe, ritenendo che tali contrasti nuocessero alla tranquillità pubblica e ai propri affari, finì con lo staccarsi progressivamente dal partito dell’ordine e dalla sua stampa, rivendicando un governo forte e favorendo le usurpazioni di Luigi Napoleone, aprendo cosi la via al colpo di Stato del 2 dicembre 1851. Cfr K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, cit., pp. 330-342.


38. Si allude alla sconfitta degli operai parigini nel giugno 1848 (cfr. le pp. 136-145).


39. In quanto lo stato dell’evoluzione economica in Francia non era ancora maturo per l'eliminazione della produzione capitalistica (cfr. pp. 111-117).


40. Pseudodemocratico non soltanto per la demagogia sociale con cui si presentava alle masse popolari nelle vesti di amico del popolo e delle nazionalità oppresse (cfr. p. 43, nota 3), ma in particolare per il modo con cui cercò, nell’ottobre del 1851, di accattivarsi la benevolenza del popolo in vista del futuro colpo di Stato, proponendo il ristabilimento del suffragio universale, abolito con la legge del 31 maggio 1850.


41. Successivamente al colpo di Stato del 2 dicembre 1851, (cfr. p. 43, nota 3), che assicurò a Luigi Napoleone prima la dittatura e poi l’Impero, dopo aver emanato severe leggi repressive contro il movimento operaio e annientato l’opposizione, Napoleone III trascinò la Francia in una lunga serie di guerre: la guerra di Crimea (1844-1845), l’estensione delle conquiste francesi nel Sahara, in Algeria e nel Senegal (1854-1860), la guerra con l’Austria in alleanza con il Regno di Sardegna (1859), l’inizio della conquista francese dell’Indocina e la spedizione in Siria (1860-1861), la spedizione nel Messico (1862-1867), la guerra contro la Prussia (1870-1871). Inoltre la neutralità francese, concordata con Bismarck, consentì l’attacco prussiano all’Austria (1866), seguito alla precedente guerra austro-prussiana contro la Danimarca (1864).


Il ritorno all’impero del 1851 forni una nuova prova dell’immaturità delle aspirazioni proletarie di quel tempo. Ma quel ritorno stesso doveva creare le condizioni nelle quali queste aspirazioni dovevano maturare. La tranquillità all’interno assicurò un pieno sviluppo al nuovo slancio dell’industria; la necessità di dare un’occupazione all’esercito e di distrarre con questioni di politica estera le correnti rivoluzionarie, generò le guerre in cui Bonaparte, col pretesto di far valere il “principio di nazionalità”, cercò di arraffare delle annessioni per la Francia.(42) Il suo imitatore, Bismarck, segui la stessa politica per la Prussia; fece nel 1866 il suo colpo di Stato, la sua rivoluzione dall’alto contro la Confederazione tedesca e l’Austria, non meno che contro la Konfliktskammer prussiana.(43) Ma l’Europa era troppo piccola per due Bonaparte. Così l’ironia della storia volle che Bismarck abbattesse Bonaparte (1870-1871) e che il re Guglielmo di Prussia non instaurasse soltanto l’impero piccolo-tedesco, ma anche la repubblica francese.(44) Il risultato generale fu però che in Europa l’indipendenza e l’unità interna delle grandi nazioni, con la sola eccezione della Polonia, erano diventate realtà. Certo, entro confini relativamente modesti, ma in modo abbastanza ampio perché il processo di sviluppo della classe operaia non trovasse più un ostacolo essenziale nelle complicazioni nazionali. I becchini della rivoluzione del 1848 erano diventati i suoi esecutori testamentari.(45) E accanto ad essi già si levava minaccioso l’erede del 1848, il proletariato, nell’Internazionale.


42. La difesa del “principio di nazionalità”, che pareva potersi ricollegare alla partecipazione giovanile di Luigi Bonaparte ai moti carbonari, era un pretesto (adeguato a un periodo storico contrassegnato dalla lotta di molti popoli europei per la propria indipendenza) per giustificare all’estero e all’interno (in Francia l’opinione pubblica più avanzata, sia durante il regno di Luigi Filippo sia nel 1848-1849, aveva caldeggiato l’intervento francese al fianco dei popoli oppressi) la politica espansionistica del Secondo Impero tendente a capovolgere a proprio favore l’assetto ricevuto dall’Europa, nel 1815, dopo la sconfitta di Napoleone I. In questo quadro si parlava di una missione storica della Francia e di Napoleone III, parallela alla missione svolta dalla Francia di Napoleone I per la diffusione in Europa dei principi borghesi della Rivoluzione francese. Ma in realtà, per fare un esempio, dietro all’alleanza del 1859 fra Francia e Regno di Sardegna anziché l’ideale del “principio di nazionalità” da far valere a vantaggio del popolo italiano, c’era da un lato la volontà di annettere, in cambio dell’aiuto al Piemonte, la Savoia e Nizza, dall’altro lato la prospettiva di sostituire il predominio austriaco in Italia col predominio francese; mediante la creazione di un regno dell’Italia centrale sotto il principe Gerolamo Bonaparte e di un regno dell’Italia meridionale sotto Luciano Murat. Inoltre, c’era indubbiamente il tentativo di togliere di mano ai democratici mazziniani la soluzione della questione italiana, indebolendo il loro partito e in conseguenza l’opposizione democratica in Francia: infatti, non appena Napoleone III si rese conto dell’irrealizzabilità di questo piano, abbandonò la guerra tradendo l’impegno contratto col Cavour di proseguirla fino all’annessione del Veneto al Piemonte.


43. Con Konfliktskammer si intende qui la camera prussiana, in cui la borghesia liberale rivendicava per sé, contro il governo, il potere politico esclusivo e un governo eletto dalla propria maggioranza. Il parallelo fra “la rivoluzione dall’alto” compiuta da Luigi Napoleone contro la costituzione francese con il colpo di Stato del 2 dicembre 1858 e “la rivoluzione dall’alto” compiuta da Bismarck contro la costituzione della Dieta federale tedesca e la sovranità “legittima” di tre principi tedeschi con l’unificazione della Germania sotto l’egida della Prussia (cfr. p. 53, nota 1) viene affrontato da Engels in Violenza ed economia nella formazione del nuovo impero tedesco, cit., pp. 46-55. Engels sottolinea fra l’altro che entrambi avevano combattuto a oltranza e vittoriosamente le rivendicazioni parlamentari della borghesia, avevano realizzato le rivendicazioni sostanziali di questa: l’uno le aspirazioni nazionali di questa, l’altro un governo forte che garantisse il pacifico sviluppo degli affari. Inoltre entrambi si erano serviti del miraggio del suffragio universale per fare appello alle masse popolari a favore dei propri disegni politici e per civettare con il movimento sociale in ascesa, dimostrando che “il suffragio universale, manipolato a dovere, non presentava assolutamente nessun pericolo.”


44. Furono chiamati Piccoli Tedeschi i sostenitori di un Impero tedesco sotto l’egemonia prussiana e con l’esclusione dell’Austria, in contrapposizione ai Grandi Tedeschi che volevano un Impero comprendente anche le provincie tedesche dell’Austria. Durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, in seguito alla disfatta francese di Sédan, Napoleone III fu preso prigioniero e il 4 settembre 1870 fu proclamata a Parigi la repubblica. Successivamente, il 18 gennaio 1871, nel castello di Versailles, tutti i principi tedeschi riuniti offrirono a Guglielmo I la corona imperiale germanica.


45. Si era cioè sostanzialmente realizzata l’unità e l'indipendenza della Germania e dell'Italia, uno degli ideali per cui si era combattuto nelle rivoluzioni del 1848. Ciò era avvenuto col contributo diretto di forze come il Secondo Impero (alleato del Piemonte nella guerra d’indipendenza italiana del 1859), il quale aveva rappresentato in Francia e in Europa la reazione agli ideali democratici e repubblicani del ‘48 o come la monarchia feudale-militare prussiana (alleata anch’essa dell’Italia nella guerra d’indipendenza del 1866) che aveva realizzato l’unità tedesca dopo essere stata, nel 1848-1849, l’araldo della reazione contro il movimento rivoluzionario in Germania, dopo aver represso la lotta delle forze più democratiche ed essere giunta fino allo scioglimento, nel 1849, dell'Assemblea di Francoforte. Sull’importanza dell’indipendenza e dell’unità nazionale per il movimento operaio, vedi Engels, nella Prefazione del 1893 all'edizione italiana del Manifesto del partito comunista, cit, p. 50.


Dopo la guerra del 1870-71 Bonaparte scompare dalla scena e la missione di Bismarck è compiuta, cosicché questi può ridiscendere al livello di un grande proprietario fondiario qualunque. Il periodo viene chiuso, però, dalla Comune di Parigi. Un tentativo sornione di Thiers (46) di rubare alla Guardia nazionale di Parigi i suoi cannoni provocò un’insurrezione vittoriosa.(47) Apparve ancora una volta che a Parigi non è più possibile nessun’altra rivoluzione, che non sia una rivoluzione proletaria. Dopo la vittoria il potere cadde nelle mani della classe operaia da sé, senza la minima opposizione. E ancora una volta apparve quanto questo potere della classe operaia fosse impossibile anche allora, venti anni dopo il periodo illustrato nel nostro libro. Da una parte la Francia lasciò in asso Parigi, stette a guardare mentre questa si dissanguava sotto le palle di MacMahon;(48) d’altra parte la Comune si consumò nella infeconda controversia dei due partiti che la dividevano, dei blanquisti (maggioranza) e dei proudhoniani (minoranza) (49) ignari ambedue del da farsi. La vittoria gratuita del 1871 fu altrettanto infruttuosa quanto il colpo di sorpresa del 1848.


46. Louis-Adolphe Thiers (1797-1877), statista e storico francese, È autore di una storia della Rivoluzione francese e di una storia del Consolato e dell’Impero, in cui si fece difensore dello Stato forte. Fautore, nel 1830, di Luigi Filippo, dopo l’ascesa di questi al trono fu ministro dell’interno nel 1832, nel 1834 e nel 1835. Fu il principale responsabile del massacro della via Transnonain, avvenuto nel corso dell’insurrezione repubblicana di Parigi del 1834, insurrezione che egli stesso aveva cercato di provocare per poterla reprimere selvaggiamente. Presidente del consiglio dei ministri per brevi periodi, nel 1836 e nel 1840, fu frequentemente accusato di malversazioni ed ebbe notevoli insuccessi nella politica estera. Passato nelle file dell’opposizione dinastica, cercò di servirsi dell’agitazione per la riforma elettorale, alla vigilia della rivoluzione del 1848 febbraio (agitazione a cui non prese però parte direttamente), con la speranza di poter sostituire al gabinetto Guizot un gabinetto Thiers, che l’insurrezione popolare rese però impossibile. Sul suo atteggiamento fra il 1848 e il 1850 quale esponente della frazione orleanista del partito dell’ordine, cfr. il presente scritto di Marx. Arrestato dopo il colpo di Stato del 2 dicembre, subì un breve esilio. Dal 1863 fu deputato di opposizione sotto l’Impero di Napoleone III, Dopo la proclamazione della repubblica prese parte alle trattative con la Prussia del 1870-1871, che portarono alla capitolazione della Francia (da lui firmata nella qualità di capo del potere esecutivo conferitagli dall’Assemblea nazionale riunita a Bordeaux). Nel 1871 il Thiers si adoperò per l’abbattimento della Comune di Parigi, rendendosi direttamente responsabile del massacro dei comunardi. Da allora al 1873 il Thiers fu presidente della repubblica. Cfr. il giudizio sul Thiers dato da Marx in La guerra civile in Francia (K. Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, cit., pp. 156-202).


47. All’indomani della proclamazione della repubblica, la maggioranza della Guardia nazionale era costituita dagli operai di Parigi, i quali si erano arruolati in essa per la difesa della città. Il loro malcontento per i preliminari di pace, che consentivano ai prussiani di entrare a Parigi, si trasformò in rivolta il 18 marzo 1871 quando, abbandonata Parigi insieme all’Assemblea Nazionale il Thiers, con lo scopo di togliere le armi dalle mani degli operai, mandò alcune truppe di linea a rubare alla Guardia nazionale l’artiglieria di sua appartenenza che era stata fabbricata durante l’assedio di Parigi e pagata con una sottoscrizione pubblica.

Il 26 marzo fu eletta e il 28 marzo fu proclamata la Comune di Parigi, che costituì la prima incarnazione della dittatura del proletariato. L’esempio di Parigi non fu però seguito nel resto della Francia, salvo in poche città industriali come Saint-Étienne, Limoges e Marsiglia. Ciò rese inevitabile la sconfitta della rivoluzione nella lotta contro le forze governative.


48. Marie-Edmé-Patrice-Maurice de MacMahon (1808-1893), maresciallo di Francia, partecipo alle campagne d’Algeria, di Crimea, d’Italia e alla guerra franco-prussiana. Nel 1871 fu comandante in capo delle truppe versagliesi contro la Comune. Presidente della repubblica francese dal 1873 al 1879.


49. Engels, nella sua introduzione a La guerra civile in Francia (in K.Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, cit., p. 139), definisce così i seguaci di Blanqui: “Allevati alla scuola della cospirazione, tenuti assieme dalla rigida disciplina a questa corrispondente, essi partivano dall’idea che un numero relativamente piccolo di uomini risoluti e bene organizzati fosse in grado, in un dato momento favorevole, non solo di impadronirsi del potere, ma anche di mantenerlo, spiegando una grande energia, priva d’ogni riguardo, fino a che fosse riuscito loro di trascinare la massa del popolo nella rivoluzione e di raggrupparla intorno alla piccola schiera dei dirigenti. Per questo occorreva prima di tutto l’accentramento più rigoroso, dittatoriale di ogni potere nelle mani del governo rivoluzionario.” I proudhoniani seguivano invece le dottrine del Proudhon, “il socialista del piccolo contadino e del maestro artigiano”, che “odiava l’associazione di odio positivo”, cioè l’associazione degli operai nella produzione. Egli diceva che essa conteneva in sé più male che bene, che era di sua natura infruttuosa e persino dannosa, perché era una catena messa alla libertà dell’operaio; che era un puro dogma, improduttivo e oneroso, in contrasto tanto con la libertà del lavoratore quanto col risparmio del lavoro e che i suoi svantaggi crescevano più rapidamente che i suoi vantaggi; che in contrapposto ad essa la concorrenza, la divisione del lavoro e la proprietà privata erano forze economiche positive.” (ibidem, p. 138)


Con la Comune di Parigi si credette di aver definitivamente sepolto il proletariato combattente. Ma tutt’al contrario dalla Comune e dalla guerra franco-tedesca data la sua ascesa più poderosa. Il rivolgimento completo di tutta l’arte della guerra, causato dall’arruolamento di tutta la popolazione capace di portare le armi in eserciti che non si contano ormai più che per milioni e da armi da fuoco, proiettili ed esplosivi di efficacia sinora sconosciuta, da un lato pose fine bruscamente al periodo delle guerre bonapartistiche e assicurò lo sviluppo pacifico dell’industria, rendendo impossibile ogni altra guerra che non sia una guerra mondiale di un orrore inaudito e di conseguenze assolutamente incalcolabili. D’altro lato questo rivolgimento dell’arte della guerra, grazie alle spese militari crescenti in progressione geometrica, spinse le imposte a un’altezza vertiginosa e quindi gettò le classi popolari più povere nelle braccia del socialismo. L’annessione dell’Alsazia-Lorena, causa immediata della folle corsa agli armamenti, ben poté istigare sciovinisticamente l’una contro l’altra la borghesia francese e la borghesia tedesca; per gli operai dei due paesi essa divenne un nuovo mezzo di unione.(50) E l’anniversario della Comune di Parigi divenne il primo giorno di festa generale di tutto il proletariato.


50. La Francia cedette l’Alsazia-Lorena alla Prussia con il trattato di pace di Francoforte del 10 maggio 1871. Cfr. il giudizio di Engels sulle conseguenze politiche di tale annessione, sfavorevoli all’Impero tedesco, in Violenza ed economia, cit., pp. 73-84.


Come Marx aveva predetto, la guerra del 1870-71 e la sconfitta della Comune avevano contemporaneamente spostato il centro di gravità del movimento operaio dalla Francia alla Germania.(51) In Francia occorsero naturalmente degli anni per rifarsi del salasso del maggio 1871. In Germania, invece, dove l’industria, favorita dalla manna dei miliardi francesi,(52) si sviluppava sempre più rapidamente, come in una serra calda, ancora più rapidamente e intensamente si sviluppava la socialdemocrazia. Grazie all’intelligenza con la quale gli operai tedeschi seppero far uso del suffragio universale introdotto nel 1866, lo sviluppo sorprendente del partito si manifestò apertamente al mondo intero in cifre inoppugnabili. 1871: 102.000; 1874: 352.000; 1877: 493.000 voti socialdemocratici. In seguito venne il riconoscimento di questi progressi da parte delle autorità superiori, sotto la forma della legge contro i socialisti;(53) il partito fu momentaneamente disperso, il numero dei voti cadde nel 1881 a 312.000. Ma ciò venne rapidamente, superato e ora, sotto la pressione della legge d’eccezione, senza stampa, senza organizzazione esteriore, senza diritto di associazione e di riunione, ora è incominciata per davvero la rapida estensione del movimento: 1884: 550.000; 1887: 763.000; 1890: 1.427.000 voti. Allora la mano dello Stato è stata paralizzata. La legge contro i socialisti è svanita; il numero dei voti socialisti è salito a 1.787.000, più di un quarto dei voti complessivi. Il governo e le classi dominanti avevano esaurito tutti i loro mezzi, senza utilità, senza scopo, senza successo. Le prove palpabili della loro impotenza, che le autorità, dal guardiano notturno sino al cancelliere del Reich, avevano dovuto subire - e ciò da parte dei disprezzati operai - queste prove si contavano a milioni. Lo Stato era giunto alla fine del suo latino; gli operai non erano che al principio del loro.

Ma gli operai tedeschi avevano reso alla loro causa anche un altro grande servizio, oltre al primo, che consisteva nella semplice loro esistenza come il partito socialista più forte, più disciplinato, più rapido nel suo sviluppo. Mostrando ai loro compagni di tutti i paesi come ci si serve del suffragio universale, essi avevano dato loro una delle armi più efficaci.


51. Su ciò cfr. La guerra dei contadini in Germania, cit., pp. 22-26.


52. Si allude qui all’indennità di guerra di cinque miliardi di franchi oro che la Francia si impegnò a pagare col trattato di pace del 10 maggio 1871.


53. Essa fu emanata nel 1878, prendendo a pretesto un attentato contro l’imperatore Guglielmo I.


Il suffragio universale esisteva in Francia già da molto tempo, ma era caduto in discredito per l’abuso fattone dal governo bonapartista.(54) Dopo la Comune non era più esistito un partito operaio che potesse utilizzarlo.(55) Anche in Spagna esso esisteva dal tempo della repubblica,(56) ma in Spagna l’astensione elettorale era sempre stata la regola di tutti i partiti seri di opposizione. Anche le esperienze svizzere di suffragio universale erano tutto fuorché un incoraggiamento per un partito operaio. Gli operai rivoluzionari dei paesi latini si erano abituati a considerare il diritto di voto come una trappola, come uno strumento di mistificazione governativa. In Germania fu tutt’altro.


54. Cfr. p. 62, nota 1.


55. Dopo la repressione della Comune, l’Assemblea Nazionale emanò la legge del 14 marzo 1872 per punire l’affiliazione all’Internazionale e, mentre Parigi veniva mantenuta fino al 1875 sotto lo stato d’assedio, gli organi di polizia scioglievano anche associazioni operaie a carattere limitato, onde impedire la riorganizzazione del movimento operaio e socialista, che riprenderà forza solo nel decennio successivo.


56. Nel 1873-1874 vi fu in Spagna la repubblica a cui seguì con Alfonso XII la restaurazione borbonica, accompagnata dalla concessione di una nuova costituzione. Intorno a ciò e all’astensione elettorale cfr. K. Marx-F. Engels, Contro l’anarchismo, Ed. Rinascita, Roma 1950, pp. 19-23.


Già il “Manifesto del Partito comunista” aveva proclamato la conquista del suffragio universale, della democrazia, come uno dei primi e più importanti compiti del proletariato militante (57) e Lassalle aveva ripreso questo punto.(58) Quando poi Bismarck si vide costretto a introdurre questo diritto di voto come unico mezzo per interessare le masse popolari ai suoi piani, i nostri operai immediatamente presero la cosa sul serio e inviarono August Bebel (59) nel primo Reichstag costituente. Da quel giorno essi hanno utilizzato il diritto di voto in un modo che ha recato loro vantaggi infiniti e che è servito di esempio agli operai di tutti i paesi. Secondo le parole del programma marxista francese, il diritto di voto è stato da essi transformé, de moyen de duperie qu’il a été jusqu’ici, en instrument d’émancipation, trasformato da strumento d’inganno, quale è stato sino ad ora, in strumento di emancipazione.(60) E quando anche il suffragio universale non avesse dato altro vantaggio che quello di permetterci di contarci ogni tre anni, di avere, grazie alla regolare verifica del rapido e inatteso aumento dei voti, aumentato in egual misura la fede degli operai nella vittoria e la paura dell’avversario, diventando così il nostro miglior mezzo di propaganda; di darci una nozione esatta delle nostre proprie forze e di quelle di tutti i partiti avversari, fornendoci così un criterio superiore a qualsiasi altro per regolare la nostra azione e preservandoci tanto dalla pusillanimità inopportuna, quanto dalla intempestiva temerità; se questo fosse il solo vantaggio che abbiamo ricavato dal diritto di voto, sarebbe già più e più che sufficiente. Ma il suffragio universale ha fatto molto di più. Nell’agitazione elettorale ci ha fornito un mezzo che non ha l’eguale per entrare in contatto con le masse popolari là dove esse sono ancora lontane da noi; per costringere tutti i partiti a difendere dai nostri attacchi davanti a tutto il popolo le loro opinioni e le loro azioni. Inoltre esso ha aperto ai nostri rappresentanti al Reichstag una tribuna, dall’alto della quale essi hanno potuto parlare ai loro avversari nel parlamento e alle masse con tutt’altra autorità e libertà che nella stampa e nelle riunioni. Di quale aiuto è stata per il governo e per la borghesia la loro legge contro i socialisti, se l’agitazione elettorale e i discorsi socialisti nel Reichstag hanno continuamente aperto in essa delle brecce?(61)


57. Cfr. Manifesto del partito comunista, cit., pp. 111-112.


58. Ferdinand Lassalle (1825-1864), avvocato e filosofo socialista tedesco, già in contatto con Marx ed Engels nel 1848-1849. È autore di vari scritti, tra cui un lavoro su Eraclito e l’opera Il sistema dei diritti acquisiti, sui quali il giudizio di Marx non fu positivo. I contrasti politici tra lui e Marx, già presenti a proposito della valutazione della guerra d’Italia del 1859, si accentuarono dopo la fondazione dell’Associazione generale degli operai tedeschi, di cui il Lassalle fu l’animatore. Ciò fu dovuto in particolare alle idee espresse dal Lassalle in quel periodo in una serie di opuscoli e discorsi, nei quali egli propugnava la costituzione di associazioni cooperative sovvenzionate dallo Stato che, secondo il suo pensiero, avrebbero dovuto permettere di spezzare la “legge bronzea del salario” e di dare all’operaio tutto il frutto del suo lavoro (concetti teoricamente respinti da Marx). Questa illusione riformistica di trasformare la società utilizzando le sovvenzioni dello Stato attuale, come anche la rivendicazione di uno Stato popolare tedesco fondato sul suffragio universale, portarono il Lassalle, nella questione dell’unità tedesca, al compromesso con la politica pseudodemocratica del Bismarck, con il quale egli ebbe contatti diretti. Morì ucciso in duello.


59. August Bebel (1840-1913), operaio tornitore, fino alla morte fu uno dei capi più influenti della socialdemocrazia tedesca. Insieme con W. Liebknecht fondò nel 1866 il Partito popolare sassone, che univa la piccola borghesia e gli operai sulla base di un programma democratico antiprussiano. Egli fu il capo dell’ala proletaria che nel 1869 costituì a Eisenach il Partito operaio socialdemocratico tedesco. Durante il conflitto franco-prussiano assunse una posizione internazionalista. Nelle elezioni al primo parlamento dell’Impero (Reichstag) avvenute il 3 marzo 1871, egli fu l’unico eletto del suo partito. Condannato al carcere nel 1872, fu rieletto nel 1874. Combatté contro l’anarchismo e il revisionismo; dopo la morte di Engels si spostò a destra, divenendo il capo di una tendenza centrista nel partito tedesco e nella II Internazionale.


60. Questa frase è tolta dalla parte introduttiva del programma del Partito operaio francese di J. Guesde e P. Lafargue, redatto sotto le direttive di Marx e approvato nel congresso di Le Havre del 1880.


61. Sull’utilizzazione del parlamento borghese da parte del partito della classe operaia cfr. anche Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, cap. VII.


Ma con questa efficace utilizzazione del suffragio universale era entrato in azione un nuovo metodo di lotta del proletariato, che andò sviluppandosi rapidamente. Si trovò che le istituzioni dello Stato, in cui si organizza il dominio della borghesia, offrono ancora altri appigli a mezzo dei quali la classe operaia può combattere queste stesse istituzioni statali. Si partecipò alle elezioni delle differenti Diete,(62) dei consigli comunali, dei probiviri; si contese alla borghesia ogni posto alla conquista del quale potesse partecipare una parte sufficiente del proletariato. Così accadde che la borghesia e il governo arrivarono a temere molto più l’azione legale che l’azione illegale del partito operaio, più le vittorie elettorali che quelle della ribellione.


62. Accanto al Parlamento dell’Impero (Reichstag) esistevano i parlamenti dei singoli Stati dell’Impero (Landtage), dotati sul piano locale di ampie autonomie.


Anche qui infatti le condizioni della lotta avevano subito un mutamento sostanziale. La ribellione di vecchio stile, la lotta di strada con le barricate, che sino al 1848 erano state l’elemento decisivo in ultima istanza, erano considerevolmente invecchiate.

Non facciamoci illusioni: una vera vittoria della insurrezione sull’esercito nella lotta di strada, una vittoria come tra due eserciti, è una delle cose più rare. Gli insorti stessi del resto ben di rado avevano contato su di essa. Si trattava per essi soltanto di paralizzare le truppe con influenze morali, che nella lotta tra gli eserciti di due paesi belligeranti non entrano affatto in gioco o vi entrano in misura molto piccola. Se la cosa riesce, la truppa rifiuta di marciare, oppure il comando perde la testa e l’insurrezione è vittoriosa. Se la cosa non riesce, anche se l’esercito è inferiore come numero, si impone la superiorità derivante dal migliore armamento e dalla migliore istruzione militare, dalla unità di comando, dall’impiego razionale delle forze combattenti e dalla disciplina. Il massimo che l’insurrezione può dare in un’azione veramente tattica, è la costruzione e la difesa razionale di una barricata singola.

L’appoggio reciproco, la disposizione e l’impiego delle riserve, in una parola, la cooperazione e il collegamento nell’azione dei distaccamenti singoli, indispensabili anche solo per la difesa di un solo rione della città, nonché di tutta una grande città, per lo più non possono essere ottenuti o possono essere ottenuti soltanto in modo estremamente difettoso. Della concentrazione delle forze combattenti in un punto decisivo non si può dunque nemmeno parlare.

Perciò la resistenza passiva è la forma di lotta che prevale: l’attacco si scatena qua e là, ma solo in via d’eccezione, sotto forma di incursioni e attacchi di fianco occasionali; di regola però si riduce all’occupazione delle posizioni abbandonate dalle truppe in ritirata. A questo si aggiunge ancora che l’esercito dispone di artiglieria e di truppe del genio perfettamente equipaggiate e istruite, mezzi di lotta che mancano quasi sempre agli insorti. Nessuna meraviglia dunque che anche le lotte sulle barricate combattute col più grande eroismo - a Parigi nel giugno 1848, a Vienna nell’ottobre 1848 e a Dresda nel maggio 1849 (63) - terminassero con la sconfitta dell’insurrezione, non appena i capi che dirigevano l’attacco, immuni da riguardi politici, agirono con criteri puramente militari e i soldati rimasero loro fedeli.

I numerosi successi degli insorti fino al 1848 furono dovuti a cause molto varie. Nel luglio 1830 e nel febbraio 1848 a Parigi, come nella maggior parte delle battaglie di strada spagnole,(64) tra gli insorti e l’esercito vi era una guardia civica,(65) la quale o prendeva direttamente le parti dell’insurrezione, oppure col proprio contegno fiacco e irresoluto faceva esitare anche l’esercito e per di più forniva armi all’insurrezione. Là dove questa guardia civica si schierò sin dall’inizio contro l’insurrezione, come nel giugno 1848 a Parigi, questa venne senz’altro sconfitta. A Berlino la vittoria del popolo fu dovuta nel 1848 in parte al notevole afflusso di nuove forze armate durante la notte e il mattino del 19 marzo, in parte all’esaurimento e al cattivo vettovagliamento delle truppe, in parte infine alla paralisi del comando. Ma in tutti i casi la vittoria fu riportata perché la truppa si rifiutò di obbedire o perché i capi militari mancarono di decisione o perché ebbero le mani legate.


63. Engels allude all’insurrezione operaia di Parigi del 23-25 giugno (cfr. pp. 138-145), all’insurrezione popolare di Vienna del 6 ottobre tendente a impedire la partenza di nuove truppe dirette contro la rivoluzione ungherese e terminata con la capitolazione del 31 ottobre e, infine, all’insurrezione democratica di Dresda del 4 maggio, inizialmente vittoriosa e successivamente sconfitta dall’esercito. Sulla tattica dell’insurrezione cfr. K. Marx-F.Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, cit., p. 99.


64. Si allude qui alla guerra civile spagnola (1833-1839).


65. È chiamata anche Guardia nazionale: si tratta di una milizia pubblica composta di cittadini armati, destinata a presidiare le conquiste rivoluzionarie. Essa fece la sua comparsa in Francia durante la Rivoluzione francese e fu presente nelle grandi rivoluzioni europee del secolo XIX. Per lo più composta da elementi della borghesia nelle sue varie gradazioni, fino alla piccola borghesia (ne era di solito escluso il proletariato), essa era generalmente la fedele rappresentante armata degli interessi di classe (talvolta contraddittori) delle varie frazioni borghesi da cui provenivano i suoi membri.


Persino nell’epoca classica dei combattimenti di strada la barricata aveva dunque un effetto più morale che materiale. Essa era un mezzo per scuotere la resistenza dell’esercito. Se essa resisteva sino a che questo effetto era raggiunto, la vittoria era sicura. Se no, si era battuti.

[È questo l’elemento principale che bisogna tener presente anche quando si esaminano le probabilità di successo di eventuali futuri combattimenti di strada.]

Le probabilità di successo erano del resto abbastanza cattive già nel 1849. La borghesia si era gettata dappertutto dalla parte dei governi;(66) “cultura e proprietà” salutavano e trattavano festosamente l’esercito impiegato contro le insurrezioni.(67) La barricata aveva perduto il suo fascino; il soldato non vedeva più dietro ad essa “il popolo”, ma ribelli, mestatori, saccheggiatori, spartitori di bottino, la feccia della società; l’ufficiale aveva col tempo acquistato esperienza delle forme tattiche del combattimento di strada; non marciava più diritto e senza coprirsi contro la trincea improvvisata, ma la aggirava attraversando giardini, cortili e case. E con un po’ di abilità, in nove casi su dieci la cosa riusciva.


66. Sul voltafaccia della borghesia, cfr. pp. 50, nota 2 e 142-144.


67. Cfr. a proposito delle insurrezioni del 1849 in Germania (Dresda, Palatinato, Baden, ecc.) K. Marx-F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, cit., pp 97-111.


Ma da quel tempo si sono verificati moltissimi altri cambiamenti e tutti a favore dell’esercito. Se le grandi città sono diventate notevolmente più grandi, gli eserciti si sono accresciuti ancora di più. Parigi e Berlino non si sono quadruplicate dal 1848 ad oggi, ma le loro guarnigioni si sono più che quadruplicate. Per mezzo delle ferrovie queste guarnigioni possono più che raddoppiarsi in ventiquattr’ore e in quarantott’ore possono diventare eserciti giganteschi. L’armamento di questa massa di soldati enormemente accresciuta, è diventato incomparabilmente più efficace. Nel 1848 il fucile non rigato a percussione: oggi il fucile a ripetizione di piccolo calibro, che tira quattro volte più lontano ed è dieci volte più preciso e dieci volte più rapido. Allora le palle massicce e gli obici dell’artiglieria scarsamente efficaci: oggi le granate a percussione, di cui una basta per mandare in aria la miglior barricata. Allora il piccone dei soldati del genio per far breccia nei muri divisori: oggi le cartucce di dinamite.

Dal lato degli insorti, al contrario, tutte le condizioni sono diventate peggiori. Una insurrezione che attiri le simpatie di tutti gli strati popolari è difficile si riproduca; nella lotta di classe non avverrà infatti mai che tutti i ceti medi si raggruppino in modo così esclusivo attorno al proletariato da far quasi scomparire il partito della reazione raccolto attorno alla borghesia. Il “popolo” apparirà quindi sempre diviso e verrà perciò a mancare una leva potente che fu tanto efficace nel 1848. Se è vero che dalla parte degli insorti vi sarà un maggior numero di uomini che hanno compiuto il servizio militare, tanto più difficile sarà però il loro armamento. I fucili da caccia e di lusso degli armaioli - se pure la polizia non li avrà resi precedentemente inservibili asportando un pezzo dell’otturatore - anche in una lotta a piccola distanza non reggono assolutamente in confronto con i fucili a ripetizione dell’esercito. Fino al 1848 ci si poteva fabbricare da sé con polvere e piombo le necessarie munizioni: oggi la cartuccia è diversa per ogni fucile e tutte si assomigliano soltanto per il fatto di essere un complicato prodotto della grande industria e quindi impossibile a improvvisarsi, di modo che la maggior parte delle armi sono inservibili se non si posseggono le munizioni adatte ad esse. Infine, i nuovi quartieri delle grandi città, costruiti dopo il 1848, a vie lunghe, diritte e larghe, sembrano fatti apposta per l’azione dei nuovi cannoni e dei nuovi fucili.(68) Sarebbe pazzo il rivoluzionario che scegliesse di sua volontà i nuovi distretti operai del nord e dell’est di Berlino per una lotta di barricate.


68. Fu questo, per esempio, il motivo fondamentale per cui sotto Napoleone III il prefetto Haussmann trasformò Parigi in una città moderna con larghe vie e ampie piazze.


[Vuol dire ciò che nell’avvenire la lotta di strada non avrà più nessuna funzione? Assolutamente no. Vuol dire soltanto che dal 1848 le condizioni sono diventate molto più sfavorevoli ai combattenti civili e molto più favorevoli all’esercito. Una futura lotta di strada potrà dunque essere vittoriosa soltanto se questa situazione sfavorevole verrà compensata da altri fattori. Essa si produrrà perciò più raramente all’inizio di una grande rivoluzione che nel corso ulteriore di essa e dovrà essere impegnata con forze molto più grandi. Ma allora queste, com’è avvenuto nel corso della grande rivoluzione francese e poi il 4 settembre e il 31 ottobre a Parigi,(69) preferiranno l’attacco aperto alla tattica passiva delle barricate.](70)


69. Il 4 settembre 1870 fu abbattuto l’Impero di Napoleone III e proclamata la repubblica; il 31 ottobre 1871 alcuni battaglioni di operai parigini, sotto la direzione di Blanqui, diede l’assalto al municipio di Parigi, senza però raggiungere il loro intento di creare un governo rivoluzionario.


70. Su questa tesi di Engels, che la tattica dell’insurrezione dipende dal livello della tecnica militare, cfr. lo scritto di Lenin del 1906 “Gli insegnamenti dell’insurrezione di Mosca”, in Lenin, La rivoluzione del 1905, cit., pp. 222-229. Cfr. anche in Lenin, Opere scelte, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948, vol. II, Il marxismo e l’insurrezione, pp. 108-112 e Consigli di un assente, pp. 121-122.


Comprende ora il lettore perché i poteri dominanti ci vogliono ad ogni costo condurre là dove i fucili sparano e le sciabole fendono? Perché oggi ci si accusa di vigliaccheria per il fatto che non scendiamo senz’altro nella strada, dove siamo a priori sicuri della sconfitta? Perché si invoca da noi con tanta insistenza che ci prestiamo una buona volta a far la parte della carne da cannone?

I signori sciupano invano tanto i loro inviti quanto le loro provocazioni. Non siamo così stupidi. Con egual ragione potrebbero pretendere dal loro nemico che nella prossima guerra scenda in campo contro di essi in formazioni di linea come ai tempi del vecchio Fritz,(71) o a colonne di intere divisioni, come a Wagram e a Waterloo (72) e per giunta munito di fucili a pietra. Se sono cambiate le condizioni per la guerra tra i popoli, non meno sono cambiate per la lotta di classe. È passato il tempo dei colpi di sorpresa, delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta di una trasformazione completa delle organizzazioni sociali, ivi devono partecipare le masse stesse; ivi le masse stesse devono già aver compreso di che si tratta, per che cosa danno il loro sangue e la loro vita. Questo ci ha insegnato la storia degli ultimi cinquant’anni. Ma affinché le masse comprendano quel che si deve fare è necessario un lavoro lungo e paziente. Questo lavoro è ciò che noi stiamo facendo adesso e con un successo che spinge gli avversari alla disperazione.


71. Federico II il Grande (1712-1786), re di Prussia dal 1740.


72. A Wagram, il 6 luglio 1809 Napoleone batté gli Austriaci; a Waterloo, il 18 giugno 1815 Napoleone fu definitivamente battuto dagli eserciti inglese e prussiano.


Anche nei paesi latini si comprende sempre più che la vecchia tattica deve essere riveduta. Dappertutto [l’attacco senza preparazione è passato in seconda linea, dappertutto] si imita l’esempio tedesco dell’utilizzazione del diritto di voto, della conquista di tutti i posti che ci sono accessibili.

In Francia, dove pure da più di cento anni il terreno è stato minato da rivoluzioni su rivoluzioni, dove non vi è partito che non abbia pagato il suo tributo alle cospirazioni rivoluzionarie; in Francia, dove in conseguenza di ciò l’esercito è tutt’altro che sicuro per il governo e dove in generale le condizioni per un coup de main (73) insurrezionale sono molto più favorevoli che in Germania,(74) anche in Francia i socialisti si convincono sempre più che per essi nessuna vittoria durevole è possibile se non conquistano prima la grande massa del popolo che ivi è costituita dai contadini.(75) Anche in Francia il lento lavoro di propaganda e l’attività parlamentare vengono riconosciuti come il compito immediato del partito.(76) E i successi non si sono fatti aspettare. Non solamente sono stati conquistati numerosi consigli comunali, ma alla camera vi sono cinquanta socialisti, i quali hanno già abbattuto tre ministeri e un presidente della repubblica.


73. Colpo di mano.


74. Ciò è dovuto al fatto che “se Parigi grazie all’accentramento politico domina la Francia, nei momenti di convulsioni rivoluzionarie gli operai dominano Parigi” (cfr. p. 106). Questa tesi era stata convalidata dall’esperienza della Comune. Completamente diversa era la situazione della Germania, caratterizzata dal decentramento politico e dall’esistenza, anche dopo la fondazione dell’Impero, di numerose Diete regionali che costituivano centri di potere autonomi.


75. Uno dei più importanti insegnamenti che Marx ed Engels ritrassero dagli avvenimenti del 1848-1849, fu appunto la consapevolezza che per ottenere una vittoria durevole, il proletariato doveva conquistare i contadini alla lotta contro il capitale e agli ideali del socialismo e che lo sviluppo e l’accentuarsi del sfruttamento capitalistico nelle campagne, accompagnato dal crollo delle precedenti illusioni politiche dei contadini, rendeva possibile tale conquista (cfr. nel presente scritto di Marx le pp. 115 e sgg., 253-262 e in K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, cit., le pp. 348-355). Questa tesi espressa più volte da Marx e da Engels, sia sottolineando la necessità di “sostenere la rivoluzione proletaria con una specie di seconda edizione della guerra dei contadini” (Carteggio Marx-Engels, cit., vol. II, p. 443), sia polemizzando con la tendenza a scagliarsi solo contro la borghesia, senza ricordarsi dello sfruttamento feroce esercitato dalla nobiltà feudale (ibidem, vol. IV, p. 274), fu approfondita da Engels nel suo scritto del 1894 su La questione dei contadini in Francia e in Germania. Su ciò anche F. Engels, La guerra dei contadini in Germania, cit., pp. 15-18. Tale tesi - che è in netto contrasto con le affermazioni di alcuni dirigenti della II Internazionale, secondo i quali il proletariato non avrebbe dovuto o potuto prendere il potere finché esso non avesse costituito la maggioranza effettiva della popolazione di un paese - è stata particolarmente sviluppata da Lenin, che ha fatto dell’alleanza tra i contadini e gli operai, sotto la direzione di questi ultimi, uno dei cardini della sua concezione della dittatura del proletariato e della strategia rivoluzionaria del partito della classe operaia.


76. Cfr. p. 69 e ibidem, nota 3.


In Belgio gli operai hanno conquistato l’anno scorso il diritto di voto e hanno vinto in un quarto dei collegi elettorali.

Nella Svizzera, in Italia, in Danimarca, persino in Bulgaria e in Romania i socialisti sono rappresentati nel parlamento.

In Austria tutti i partiti sono d’accordo nel ritenere che non ci si può impedire più a lungo l’accesso al Reichsrat.(77) Che vi entreremo è certo; si discute soltanto per quale porta.

Persino in Russia, quando si riunirà il famoso Zemski Sobor,(78) l’assemblea nazionale contro la quale così inutilmente si impunta il giovane Nicola,(79) possiamo essere sicuri che anche ivi saremo rappresentati.

Con questo naturalmente i nostri compagni all’estero non rinunciano affatto al loro diritto alla rivoluzione. Il diritto alla rivoluzione è del resto il solo vero “diritto storico”, l’unico su cui riposano tutti gli Stati moderni senza eccezione, compreso il Mecklemburgo, la cui rivoluzione aristocratica ebbe termine nel 1755 con quel “patto di successione” che ancor oggi costituisce la gloriosa consacrazione scritta del feudalesimo.(80) Il diritto alla rivoluzione è così incrollabilmente penetrato nella coscienza universale, che persino il generale von Boguslavski (81) fa risalire a questo diritto del popolo il diritto al coup d’État (82) ch’egli rivendica per il suo imperatore.


77. Consiglio dell’Impero.


78. In origine gli Zemski Sobor erano le assemblee dei boiari, dei nobili e di una parte dei mercanti, convocate saltuariamente dagli zar per discutere questioni politiche particolarmente importanti. Nella seconda metà dell’800, quando da varie parti si rivendicava la convocazione di un’assemblea rappresentativa, il nome di Zemski Sobor venne adoperato dai liberali nel significato di parlamento con poteri limitati e dai rivoluzionari populisti nel senso di assemblea costituente. In questo senso lo adopera anche Engels.


79. Nicola II (1868-1918), zar di Russia dal 1894.


80. I numerosi dissidi scoppiati nella prima metà del secolo XVIII fra il duca del Meclemburgo-Schwerin e la nobiltà furono accomodati nel 1755 grazie al “patto di successione” di Rostock. In base ad esso la nobiltà e il consiglio provinciale, costituito dai borgomastri delle 49 città privilegiate, costituirono una Dieta in comune. Con questa nuova costituzione il potere cade essenzialmente nelle mani della nobiltà, mentre le altre classi rimasero prive di ogni rappresentanza. Come esempio dell’origine rivoluzionaria degli Stati moderni, cfr. ciò che si dice sulla “rivoluzione dall’alto” compiuta dal Bismarck nelle pp. 63 e 82 (vedi anche le nostre note ad esse).


81. Albrecht von Boguslavski (1834-1905), generale prussiano, autore di opere di carattere militare.


82. Colpo di Stato.


Ma qualsiasi cosa possa accadere negli altri paesi, la socialdemocrazia tedesca si trova in una situazione speciale e ha quindi anche, almeno per ora, un compito speciale. I due milioni di elettori ch’essa manda alle urne, insieme ai giovani, non elettori, che la seguono, formano la massa più numerosa, più compatta, il “gruppo d’assalto” decisivo dell’esercito proletario internazionale. Questa massa fornisce già ora più di un quarto dei voti espressi ed è in continuo aumento, come dimostrano le elezioni suppletive al Reichstag, le elezioni alle diete dei singoli Stati, le elezioni municipali e dei probiviri. Il suo aumento si compie in modo spontaneo, costante, irresistibile e in pari tempo tranquillo, come un processo naturale. Tutti i tentativi del governo per ostacolarlo sono stati vani. Già oggi possiamo contare su due milioni e un quarto di elettori. Avanzando di questo passo, per la fine del secolo avremo conquistato la maggior parte dei ceti medi della società, dei piccoli borghesi come dei piccoli contadini e saremo diventati nel paese la forza decisiva, alla quale tutte le altre dovranno inchinarsi, lo vogliano o non lo vogliano. Mantenere ininterrotto il ritmo di questo aumento, sino a che esso sopraffaccia da sé l’attuale sistema di governo, [non consumare in combattimenti d’avanguardia questo gruppo d’assalto che si rafforza di giorno in giorno, ma conservarlo intatto sino al giorno decisivo,] tale è il nostro compito fondamentale. E vi è un solo mezzo, con cui potrebbe esser momentaneamente arrestato e persino rigettato addietro per un certo tempo questo accrescimento continuo delle forze di combattimento del socialismo in Germania: un conflitto di grandi proporzioni con l’esercito, un salasso come quello del 1871 a Parigi. A lungo andare, anche questo verrebbe superato. Far sparire a colpi di fucile un partito che si conta a milioni è cosa cui non bastano tutti i fucili a ripetizione d’Europa e d’America. Ma l’evoluzione normale sarebbe frenata, [il gruppo d’assalto forse non sarebbe più a disposizione nel momento critico], la lotta decisiva (83) verrebbe ritardata, protratta e costerebbe gravi sacrifici.(84)


83. Nel testo falsificato del Vorwärts la parola Entscheidungskampf (lotta decisiva) era stata sostituita con Entscheidung (decisione).


84. La politica dei bolscevichi dal luglio all’ottobre 1917 costituisce un chiaro esempio per la comprensione di quest’indicazione strategica, mediante la quale Engels sottolinea la necessità, per il partito della classe operaia, di riserbarsi la scelta del momento favorevole per vibrare il colpo decisivo e di non lasciarsi trascinare all’insurrezione dalle provocazioni dell’avversario, il quale cerca di imporre la lotta armata in un momento a lui favorevole, per isolare e annientare le forze rivoluzionarie prima che esse siano in grado di conquistare il potere o, una volta conquistato, di conservarlo. È in base a questo principio che Lenin, mentre proclamava all’indomani della manifestazione proletaria del 4 luglio a Pietrogrado che non esisteva più la possibilità di conquistare il potere per via pacifica, bensì mediante una lotta decisiva, invitava in pari tempo il proletariato a non lasciarsi provocare alla lotta in un momento a lui sfavorevole (cfr. Lenin, Sulle parole d’ordine, in Opere scelte, cit., pp. 56-61). Infatti, sebbene il 3-4 luglio “Pietrogrado fosse stata in qualche momento nelle nostre mani, i nostri operai e i nostri soldati non avrebbero voluto battersi, morire per tenere la città; essi non erano ancora così ‘esasperati’, in loro non ribolliva ancora un odio così intenso e contro i Kerensky e contro i Zereteli e i Cernov; i nostri militanti non erano ancora temprati dall’esperienza delle persecuzioni contro i bolscevichi condotte col concorso dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi, non avremmo conservato il potere perché prima dell’avventura di Kornilov l’esercito e la provincia avrebbero potuto marciare e avrebbero marciato contro Pietrogrado. Invece il completo mutamento del quadro, a partire dalla fine di settembre 1917, caratterizzato dal favore per i bolscevichi della maggioranza della classe operaia e del popolo, che stavano per essere ridotti alla disperazione e che in base alla loro stessa esperienza apprezzavano il valore della direzione rivoluzionaria bolscevica, faceva apparire la certezza di un’insurrezione vittoriosa (Lenin, Il marxismo e l’insurrezione, ibidem, pp. 108-112). In L’estremismo, malattia infantile del comunismo (ibidem, p. 605), approfondendo ulteriormente questo tema, Lenin affermò che è necessario, per potere considerare matura la “battaglia decisiva”, che: “1) tutte le forze di classe che ci sono ostili si siano sufficientemente imbrogliate, si siano sufficientemente azzuffate fra di loro, si siano sufficientemente indebolite in una lotta superiore alle loro forze… che 2) tutti gli elementi intermedi, a differenza della borghesia, esitanti, vacillanti, instabili e cioè la piccola borghesia, la democrazia piccolo-borghese, si siano sufficientemente mascherati di fronte al popolo, si siano sufficientemente screditati col loro fallimento all’atto pratico, … che 3) nel proletariato sia sorta e si sia potentemente affermata una tendenza di massa ad appoggiare le azioni rivoluzionarie più decise, più ardite e coraggiose contro la borghesia.” Cfr. anche ibidem, p. 598.


L’ironia della storia capovolge ogni cosa. Noi, i “rivoluzionari”, i “sovversivi”, prosperiamo molto meglio con i mezzi legali che con i mezzi illegali e con la sommossa. I partiti dell’ordine, com’essi si chiamano, trovano la loro rovina nell’ordinamento legale che essi stessi hanno creato. Essi gridano disperatamente con Odilon Barrot:(85) la légalité nous tue, la legalità è la nostra morte;(86) mentre noi in questa legalità ci facciamo i muscoli forti e le guance fiorenti e prosperiamo ch’è un piacere. E se non commetteremo noi la pazzia di lasciarci trascinare alla lotta di strada per far loro piacere, alla fine non rimarrà loro altro che spezzare essi stessi questa legalità divenuta loro così fatale.(87)


85. Camille Hyacinthe Odilon Barrot (1791-1873), avvocato esponente dell’opposizione liberale sotto la Restaurazione. Fu uno di coloro che contribuirono a dare alla rivoluzione del 1830 una soluzione monarchica. Sotto la monarchia di luglio appoggiò il Thiers contro il Guizot e dal 1840 al 1848 fu alla camera il capo dell’opposizione dinastica la quale, pur accettando l’istituto monarchico, voleva limitarne i poteri con maggiori controlli parlamentari e chiedeva l’allargamento del numero degli elettori. Partecipò alla campagna dei banchetti per la riforma elettorale e, quando questa contrariamente alle sue intenzioni sboccò nella rivoluzione del febbraio del 1848, si offrì a placare gli insorti e accetto da Luigi Filippo l’incarico, concesso però troppo tardi, di formare il governo insieme al Thiers (cfr. p. 102, nota 3). Eletto deputato alla Costituente nel 1848, partecipò in qualità di orleanista alla formazione del partito dell’ordine. Dopo l’elezione di Luigi Bonaparte alla presidenza della repubblica, fu da questi nominato presidente del suo primo ministero e restò in carica fino all’ottobre 1849 (sulla sua attività in tale periodo cfr. le pp. 176-237). Rimasto in disparte dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, si riavvicinò a Luigi Napoleone nel 1870, nell’epoca dell’“Impero liberale”. Nel 1872 il Thiers lo nominò presidente del Consiglio di Stato.


86. Cfr. p. 189


87. Questa tendenza della borghesia a sopprimere la legalità democratica, quando l’avanzata vittoriosa del proletariato nell’ambito di essa metteva in pericolo il suo dominio di classe, si è manifestata e si manifesta con particolare evidenza, nell’epoca dell’imperialismo, con le varie forme di fascismo. Nel momento attuale, la grande forza raggiunta dal movimento operaio in molti paesi capitalistici (come l’Italia) in cui si è radicata nelle masse popolari, attraverso la tradizione parlamentare e la lotta antifascista, una profonda coscienza democratica e socialista, l’esistenza di un forte campo socialista e di un ancor più vasto fronte antimperialista che hanno mutato profondamente i rapporti di forza internazionali, creano le condizioni per far fallire attraverso grandi azioni di massa i ripetuti attacchi della grande borghesia e dei suoi partiti contro le libertà democratiche e per avanzare nell’ambito di queste verso il socialismo.


Per il momento essi fanno nuove leggi contro la sovversione.(88) Tutto è di nuovo capovolto. Questi fanatici dell’antisovversione non sono essi stessi i fautori di ieri della sovversione? Siamo forse stati noi a provocare la guerra civile nel 1866? Siamo forse stati noi a cacciare il re dell’Hannover, il principe elettore d’Assia, il duca di Nassau, dai loro domini ereditari e legittimi e ad annettere questi domini? E questi sovvertitori della Confederazione tedesca e di tre corone per grazia di Dio si lamentano del sovversivismo?(89) Quis tulerit Gracchos de seditione querentes?(90) Chi permetterà che gli adoratori di Bismarck scaglino insulti contro i sovversivi?


88. Si allude qui al nuovo progetto di legge contro i socialisti presentato al Reichstag il 5 dicembre 1894 e discusso da una commissione speciale fino al 25 aprile 1895. L’11 maggio il progetto venne respinto.


89. Intenzionato ad escludere dalla politica tedesca l’Austria (che presiedeva la Confederazione germanica costituita nel 1815) Bismarck riuscì a provocare incidenti tra l’Austria e la Prussia a proposito dell’amministrazione austro-prussiana dei ducati ex danesi dello Schleswig, Holstein e Lauenburg, trovando così il pretesto per intraprendere un’azione di forza, con la neutralità di Napoleone III e l’alleanza dell’Italia. Egli prese questa “guerra civile per quello che era, ossia per una rivoluzione… La sua condotta di fronte alla Dieta federale fu rivoluzionaria. Invece di sottomettersi alla decisione costituzionale delle autorità confederali, le accusò di aver violato i principi della Confederazione - un puro pretesto - e sciolse la Confederazione, proclamò una nuova costituzione con un Reichstag eletto con un rivoluzionario suffragio universale e finalmente cacciò la Dieta federale da Francoforte”, occupò gli Stati tedeschi che avevano appoggiato l’Austria e sconfisse rapidamente gli austriaci (battagli di Sadowa). La pace di Praga del 23 agosto 1866 sancì l’annessione alla Prussia dell’Hannover, dell’Assia-Kassel e del Nassau, lo scioglimento della precedente Confederazione germanica presieduta dall’Austria, la costituzione della Confederazione germanica del Nord che comprendeva tutti gli Stati a nord della cosiddetta linea del Meno ed era presieduta dal re di Prussia, mentre i quattro Stati della Germania meridionale (Württemberg, Baden, Baviera e Assia granducale) venivano legati con trattati segreti alla Prussia. Su ciò cfr. F. Engels, Violenza ed economia, cit., pp. 46-56.


90. Chi sopporterà che i Gracchi accusino gli altri di sedizione?


Ma facciano pure le loro leggi contro i sovversivi; le rendano pure anche più gravi; rendano pure di gomma elastica tutto il codice penale; non otterranno altro che una prova di più della loro impotenza. Per mettere sul serio alle strette la socialdemocrazia dovranno prendere ancora ben altre misure. Alla sovversione socialdemocratica, che per il momento vive nell’osservanza delle leggi, essi possono opporre solo la sovversione propria del partito dell’ordine, la quale non può vivere senza violare le leggi. Il signor Rössler,(91) il burocrate prussiano e il signor von Boguslawski, il generale prussiano, hanno indicato loro la sola via seguendo la quale forse possono ancora aver ragione degli operai, che decisamente non si lasciano più trascinare alla lotta di strada. Violazione della Costituzione, dittatura, ritorno all’assolutismo, regis voluntas suprema lex!(92). Orsù, coraggio,signori miei, qui non bastano le chiacchiere, qui bisogna far sul serio!


91. Konstantin Rössler (1820-1896), pubblicista e deputato nel 1849 all’assemblea di Francoforte. Diresse il Literarisches Büro di Berlino e fu sostenitore della politica di Bismarck.


92. La volontà del re legge suprema!


Ma non dimenticate che il Reich tedesco, come tutti i piccoli Stati e in generale come tutti gli Stati moderni, è il prodotto di un patto, del patto in primo luogo dei principi tra di loro e in secondo luogo dei principi col popolo. Se una parte rompe il patto, tutto il patto viene meno e anche l’altra parte allora non è più vincolata. [Come Bismarck ci ha così ben dimostrato nel 1866. Se voi violate dunque la Costituzione del Reich, allora la socialdemocrazia è libera e può fare nei vostri confronti ciò che vuole. Ma ciò che essa farà allora, si guarda bene dal farvelo sapere oggi!]

Sono passati quasi esattamente 1600 anni da quando nell’Impero romano agiva ugualmente un pericoloso partito sovversivo. Esso minava la religione e tutte le basi dello Stato; esso negava per l’appunto che il volere dell’imperatore fosse la legge suprema; esso era senza patria, internazionale, si estendeva in tutte le terre dell’impero, dalla Gallia all’Asia e al di là dei confini dell’impero. Esso aveva fatto per un lungo periodo di tempo un lavoro segreto sotterraneo, di disgregazione; ma da parecchio tempo già si sentiva abbastanza forte per mostrarsi alla luce del sole. Questo partito sovversivo, conosciuto col nome di cristianesimo, era anche fortemente rappresentato nell’esercito: intere legioni erano cristiane. Quando erano comandate a prestar servizio d’onore alle cerimonie dei sacrifici della chiesa di Stato pagana, i soldati sovversivi spingevano la temerità sino a porre sui loro elmi in segno di protesta dei distintivi particolari: delle croci. Persino le abituali vessazioni di caserma dei superiori erano vane. L’imperatore Diocleziano (93) non poté più assistere passivamente al modo come l’ordine, l’obbedienza e la disciplina venivano minate nel suo esercito. Egli prese misure energiche, mentre vi era ancora tempo. Promulgò una legge contro i socialisti, volevo dire contro i cristiani. Le riunioni dei sovversivi vennero proibite; i loro locali vennero chiusi o addirittura demoliti; i distintivi cristiani, croci ecc., vennero proibiti come i fazzoletti rossi in Sassonia. I cristiani vennero dichiarati incapaci a coprire cariche di Stato; essi non potevano nemmeno essere caporali. Siccome allora non si disponeva ancora di giudici così ben addestrati alla “considerazione delle persone”, come li prevede il disegno di legge del signor von Köller,(94) si proibì puramente e semplicemente ai cristiani di domandar giustizia davanti ai tribunali. Anche questa legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strapparono dai muri per scherno; anzi, si dice che a Nicomedia (95) essi avrebbero incendiato il palazzo in cui si trovava l’imperatore. Allora questi si vendicò con la grande persecuzione dei cristiani dell’anno 303 dell’era nostra. Essa fu l’ultima del genere. E fu così efficace che diciassette anni dopo l’esercito era composto in gran maggioranza di cristiani e che il successivo autocrate di tutto l’impero romano, Costantino, dai preti detto il Grande, proclamò il cristianesimo religione di Stato.(96)

Londra, 6 marzo 1895


93. Imperatore dal 285 al 305 d.C.. Effettuò una radicale riorganizzazione dell’Impero romano sulla base dell’assolutismo monarchico e dell’accentramento burocratico, cercando di dare al potere assoluto dell’imperatore un contenuto religioso. Nello sforzo di ricostituire in tal senso l’unità morale dell’Impero minata dal cristianesimo, scatenò contro questo, nel 303 d.C., la persecuzione più terribile, riaffermando l’obbligo del culto personale dell’imperatore.


94. Ernst Mathias von Köller (1841-1928), conservatore prussiano, ministro dell’interno negli anni 1894-1895, presentò al Reichstag il progetto di legge contro i socialisti di cui si è detto sopra.


95. Antica città della Bitinia (sul mar di Marmara), una delle quattro capitali dell’Impero romano sotto Diocleziano e sede di quest’ultimo.


96. Costantino, imperatore dal 312 al 337 d.C.. Con l’editto di Milano del 313 d.C. egli concesse la tolleranza ai cristiani, alle cui comunità furono restituiti i beni confiscati durante la persecuzione e concessi anche i privilegi riservati fino ad allora ai pagani. Le tesi sul cristianesimo qui espresse da Engels vengono da lui approfondite nello scritto Per la storia del cristianesimo primitivo, pubblicato nella Neue Zeit nel 1895 (Cfr. F. Engels, Sulle origini del cristianesimo, Ed. Rinascita, Roma 1953).