Indice degli scritti di Marx-Engels

Friedrich Engels, Opere Complete vol. 16, ER 1983 pagg. 472-481

Karl Marx, Per la critica dell’economia politica

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Presentazione della redazione di La Voce (luglio 2017)

L’importanza di questo scritto di Engels sta nel fatto che spiega la differenza tra il percorso logico e il percorso storico di un processo e la relazione tra i due. La premessa è ovviamente che ogni cosa si trasforma e si trasforma sulla base della sua natura secondo sue proprie leggi: noi ci occupiamo del processo della sua trasformazione e della eventuale direzione da parte nostra di questo processo. In particolare ci occupiamo del processo di trasformazione della nostra società e distinguiamo il processo dalla conoscenza e dalla direzione consapevole di esso.

Il percorso logico è costituito dal punto di partenza, dal punto di arrivo e dalle principali indispensabili tappe tra i due, in ognuna delle quali le premesse del punto di arrivo che sono allo stato di germi nel punto di partenza hanno la natura di realtà sviluppate, punto di partenza per la tappa successiva (come in una ascensione di montagna il campo base, la meta e i campi intermedi). Il percorso storico è costituito dalla successione dei passi che di fatto si compiono per passare dal punto di inizio al punto di arrivo, ivi compresi i passi sui quali si deve ritornare perché hanno portato a un punto morto, le deviazioni che hanno inutilmente allungato il cammino, le pause che si sono rese necessarie per incidenti sopravvenuti, i ritorni all’indietro dettati da momentanei scoraggiamenti, ecc. Il percorso logico è quello che si comprende solo dopo che si è compita l’ascensione e si considera il percorso che si sarebbe potuto fare se si avessero fin dall’inizio avute le conoscenze del terreno, delle difficoltà e dei risultati delle varie parti del percorso storico, conoscenze acquisite grazie al compimento del percorso storico. Il percorso storico della trasformazione della nostra società lo compiamo anche senza conoscerlo ed è fonte di sensazioni e di narrazioni. La conoscenza del percorso logico è frutto della mente che elabora l’esperienza del percorso storico.

Engels afferma che Marx già nel 1859, con Per la critica dell’economia politica, espone il percorso logico del modo di produzione capitalista, che egli ha desunto con uno studio accurato dal suo percorso storico ma che è diverso da esso. In conformità a ciò, Il capitale elaborato più tardi da Marx e pubblicato a partire dal 1867 (libro 1) è un trattato di logica dialettica applicata al modo di produzione capitalista: non è né un libro di storia del modo di produzione capitalista né la descrizione dell’economia della società del suo tempo o di oggi. La gran parte dei marxisti, tra quelli del passato in particolare Rosa Luxemburg, non hanno compreso questo e tuttora gran parte di quelli che si dicono marxisti persistono a non comprenderlo, dato che la logica dialettica è scomparsa dalla cultura corrente dei paesi borghesi ed è rimasta estranea alle file del movimento socialista prima e comunista poi dei paesi imperialisti. Denunciando questa incomprensione Lenin alla fine del 1914 scrive l’aforisma: “Non è possibile comprendere a pieno Il capitale di Marx, e in particolare il suo primo capitolo, se non si è studiata attentamente e non si è capita tutta la Logica di Hegel. Per questo, dopo mezzo secolo, nessun marxista ha capito Marx!!” (Quaderni filosofici in Opere Complete vol. 38, ER 1969 pag. 167).

Di questa incomprensione sono frutto tutte le discussioni ancora oggi correnti su cosa è ancora valido e cosa è superato delle teorie di Marx, sulla legge del valore-lavoro e altre. Nei capitoli 12 e 13 del libro 1 di Il capitale Marx dice che la manifattura è una sovrastruttura della piccola produzione di massa. Nel suo Rapporto sul programma del partito (19 marzo 1919) Lenin dice che “l’imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se se ne demolisce la cima, apparirà il vecchio capitalismo” (Opere Complete vol. 29, ER 1967 pag. 150). D’altra parte la sovrastruttura non esiste senza la struttura, come in un grattacielo l’ultimo piano non può esistere senza i piani sottostanti, giù giù fino alle fondamenta e al terreno in cui queste sono state poste (e chi ritenesse l’ultimo piano autonomo dai piani sottostanti e lo trattasse come tale, incorrerebbe in gravi errori con possibili nefaste conseguenze). È impossibile usare le dottrine economiche di Marx per comprendere il corso delle cose e per tracciare la linea da seguire se non si comprende questa loro caratteristica: esse non descrivono le relazioni economiche del mondo come è ora, ma senza di esse è impossibile capire le relazioni economiche del mondo attuale e il corso delle cose che su di esse possiamo sviluppare, grossomodo come la chimica di base che tratta di atomi, molecole, legami atomici, ecc. non descrive le reazioni che avvengono in un impianto chimico, ma è impossibile comprendere queste e progettare e gestire un impianto chimico senza aver assimilato e usare la chimica di base.

Nel testo di Engels che segue le note in corpo minore e tra parentesi quadre, come anche le due note poste alla fine del testo, sono della redazione di La Voce.

 

1.

[Das Volk, n. 14, 6 agosto 1859]

In tutti i campi della scienza i tedeschi hanno dimostrato da tempo di essere all’altezza delle altre nazioni civili. Nella maggior parte dei campi hanno dimostrato di essere loro superiori. Una sola scienza non contava nessun nome tedesco tra quelli dei suoi corifei: l’economia politica. La causa di questo fatto è evidente.

L’economia politica è l’analisi teorica della società borghese moderna. Perciò presuppone una civiltà borghese sviluppata. Una simile civiltà in Germania, dopo le guerre della Riforma [inizio nel 1517] e la guerra dei contadini [1524-1525] e specialmente dopo la guerra dei trent’anni [1618-1648], per dei secoli non ha potuto svilupparsi. La separazione dell’Olanda dall’Impero [L’Olanda fece parte del Sacro Romano Impero dal 1477 fino a poco dopo il 1550, quando divenne possesso  spagnolo. Solo alla fine del secolo XVI divenne una repubblica indipendente] escluse la Germania dal commercio mondiale, riducendo preventivamente il suo sviluppo industriale alle proporzioni più meschine.

Mentre i tedeschi si rimettevano così lentamente e penosamente dalle devastazioni delle guerre civili, mentre essi disperdevano tutta la loro energia borghese, che non fu mai troppo grande, in una lotta sterile contro le barriere doganali e i regolamenti commerciali insensati che ogni principotto e ogni barone dell’Impero imponeva all’industria dei suoi sudditi, mentre le città dell’Impero deperivano con le loro corporazioni meschine e col loro patriziato, in questo frattempo l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia conquistavano i primi posti nel commercio mondiale, fondavano una colonia dopo l’altra e spingevano l’industria manifatturiera sino al più alto grado di sviluppo, sino a che l’Inghilterra, grazie al vapore, che le permise di incominciare a valorizzare pienamente i suoi giacimenti di carbone e di ferro, si mise alla testa dell’evoluzione dell’industria borghese moderna.

Fino a che si doveva ancora condurre la lotta contro residui medievali così antiquati e ridicoli, come quelli che sino al 1830 incepparono lo sviluppo materiale borghese della Germania, una scienza economica tedesca era impossibile. Solo con l’introduzione dello Zollverein [Unione doganale istituita nel 1834 sotto l’egida della Prussia. Si allargò fino a includere tutti gli Stati tedeschi salvo l’Austria e pochi piccoli Stati] i tedeschi si trovarono in una situazione in cui potevano incominciare capire l’economia politica in generale. Da allora, infatti, incominciò l’importazione dell’economia inglese e francese per il maggior profitto della borghesia tedesca.

Il mondo degli scienziati e della burocrazia s’impadronì ben presto della merce importata e la rielaborò in un modo che non fa molto onore allo spirito tedesco.

Dal guazzabuglio dei cavalieri d’industria, dei mercanti, dei pedanti e dei burocrati datisi allo scrivere, sorse una letteratura economica tedesca, che per quanto riguarda la insulsaggine, la superficialità, l’assenza di pensieri, la prolissità e il plagio non ha uguale che nel romanzo tedesco.

Tra la gente che badava ai fini pratici, si formò dapprima la scuola protezionista degli industriali, il cui nome più autorevole, List, è ancora il meglio che la letteratura economica borghese tedesca abbia prodotto, benché tutta la sua opera famosa sia copiata dal francese Ferrier, il teorico del sistema del blocco continentale.

In opposizione a questa corrente sorse dal ‘40 al ‘50 la scuola liberoscambista dei commercianti delle province baltiche, che si misero a biascicare, con fede puerile ma interessata, gli argomenti dei freetraders (liberoscambisti) inglesi.

Infine, tra i pedanti e i burocrati che dovevano trattare il lato teorico della scienza vi furono degli aridi collezionisti privi di spirito critico come il sig. Rau, degli speculatori dalle arie di cacasenno che traducevano le proposizioni straniere in linguaggio hegeliano mal digerito come il sig. Stein, o dei letterati che andavano racimolando nel campo della “storia  della cultura” come il sig. Riehl.

Il risultato finale di tutto questo fu la cameralistica [L’insieme delle nozioni amministrative, finanziarie ed economiche raccolte sotto un’unica disciplina nell’insegnamento universitario, secondo una tradizione che risaliva al Medioevo], un pasticcio di ogni sorta di cose eterogenee, confezionate con una salsa economica eclettica, quale occorre a un referendario di Stato per passare l’esame governativo.

Mentre in Germania la borghesia, i pedanti e la burocrazia stavano ancora sforzandosi di mandare a memoria come dogmi intangibili e di spiegarsi in qualche modo i primi elementi della economia anglo-francese, si presentava sulla scena il partito proletario tedesco. Tutta la sua vita teorica traeva origine dallo studio dell’economia politica. Dal momento del suo apparire data anche l’economia tedesca come scienza indipendente [dall’economia anglo-francese]. Questa economia tedesca si fonda essenzialmente sulla concezione materialista della storia, i cui principi sono esposti brevemente nella prefazione del libro che presentiamo [Marx, Per la critica dell’economia politica]. Questa prefazione è già stata riprodotta nell’essenziale nel Das Volk, [n. 5 di Das Volk settimanale, 4 giugno 1859] al quale rinviamo.

 Non solo per l’economia, ma per tutte le scienze storiche (e tutte le scienze che non sono scienze naturali sono scienze storiche) ha avuto una importanza rivoluzionaria la scoperta contenuta nella tesi che “il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita”, che tutte le relazioni sociali e statali, tutti i sistemi religiosi e giuridici, tutte le concezioni teoriche che si presentano nella storia, possono essere comprese soltanto se si comprendono le condizioni della vita materiale dell’epoca corrispondente a ciascuna di loro e se vengono dedotte da queste condizioni materiali.

“Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.”

Questa proposizione è così semplice, che dovrebbe essere compresa di per sé da tutti coloro che non sono schiavi delle frottole dell’idealismo. Ma la cosa ha delle conseguenze sommamente rivoluzionarie non solo per la teoria, ma anche per la pratica.

“A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica, si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura... I rapporti di produzione borghesi sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sgorga dalle condizioni della vita sociale degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di tale antagonismo.”

Non appena procediamo nell’analisi della nostra tesi materialista e l’applichiamo al presente, davanti a noi si apre la prospettiva di una rivoluzione possente, della più possente rivoluzione che mai sia avvenuta.

Ma appare pure, non appena si considerano le cose con maggiore attenzione, che la proposizione, in apparenza così semplice, che la coscienza degli uomini dipende dall’esser loro e non viceversa, sin dalle prime sue conseguenze cozza in modo diretto contro ogni idealismo, anche il più mascherato. Tutte le concezioni tradizionali e abituali circa il processo della storia vengono da essa negate. Tutte le forme tradizionali del ragionamento politico cadono a terra. L’orgoglio patriottico si ribella con sdegno a una simile concezione e la considera insensata. Il nuovo modo di vedere urtò necessariamente non solo i rappresentanti della borghesia, ma anche la massa dei socialisti francesi, che vogliono sollevare il mondo con la formula magica: liberté, égalité, fraternité Ma la collera più grande essa la suscitò fra gli strilloni della democrazia volgare tedesca. Ciò malgrado, essi posero una cura speciale nel cercar di sfruttare le nuove  idee plagiandole, ma con una rara incomprensione di esse.

Sviluppare la concezione materialista applicandola sia pure a un solo esempio storico, era un lavoro scientifico che richiedeva anni di studi tranquilli, perché è evidente che non si può far nulla, in questo campo, solo con delle frasi. È evidente che soltanto una massa di materiali storici vagliati criticamente e completamente dominati può dare la possibilità di assolvere un compito simile.

La rivoluzione di febbraio 1848 portò il nostro partito sulla scena politica, rendendogli così impossibile di dedicarsi a lavori puramente scientifici. Ciò nonostante, la concezione fondamentale è come un filo rosso che si ritrova in tutte le produzioni letterarie del partito. In tutti questi lavori si dimostra che l’azione è sorta in ogni caso singolo da impulsi materiali diretti e non dalle frasi che li hanno accompagnati. Si dimostra al contrario che le frasi politiche e giuridiche sono sorte dagli impulsi materiali, allo stesso modo che l’azione politica e i suoi risultati.

Quando, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848-49, arrivò un momento in cui diventava sempre più impossibile esercitare dall’estero un’influenza sulla Germania, il nostro partito abbandonò alla democrazia volgare il campo delle beghe tra emigrati, poiché queste erano diventate la sola azione possibile.

 Mentre la democrazia volgare si ingolfava nelle baruffe, si accapigliava oggi per fraternizzare il giorno dopo e dopo due giorni lavare di nuovo in pubblico tutti i suoi panni sporchi; mentre essa andava a chiedere l’elemosina per tutta l’America, per sollevare poco dopo un nuovo scandalo per la spartizione del paio di talleri che aveva racimolato, il nostro partito fu contento di trovare nuovamente un po’ di calma per studiare. Esso aveva il grande vantaggio di possedere la base teorica di una nuova concezione scientifica, la cui elaborazione gli dava abbastanza da fare. Anche solo per questo esso non poté mai cadere così in basso come i “grandi uomini” dell’esilio.

Il primo frutto di questi studi è il libro che qui presentiamo.

 

2.

[Das Volk, n. 16, 20 agosto 1859]

In uno scritto come il presente non vi è luogo per una semplice critica frammentaria di singoli capitoli dell’economia politica, né per uno studio separato di questo o quel problema economico controverso. Esso tende piuttosto a dare una visione sistematica e complessiva di tutto l’assieme della scienza economica, a sviluppare in modo sistematico e complessivo le leggi della produzione borghese e dello scambio borghese. Gli economisti non sono altro che gli interpreti e gli apologeti di queste leggi: quindi questo sviluppo è in pari tempo la critica di tutta la letteratura economica.

Dalla morte di Hegel in poi non si è fatto nessun tentativo di sviluppare una scienza nella sua propria connessione interna. Della dialettica del maestro, la scuola hegeliana ufficiale non si era appropriata altro che l’arte di manipolare i trucchi più semplici, che essa applicava a tutto e a tutti, e spesso anche con una inettitudine ridicola. Tutta l’eredità di Hegel si riduceva per costoro a un puro schema, con l’aiuto del quale veniva artificialmente costruito ogni tema, e a un elenco di parole e di frasi che non avevano più altro scopo che di presentarsi nel momento preciso in cui venivano meno i pensieri e le conoscenze positive. Così avvenne, come diceva un professore di Bonn, che questi hegeliani non capivano nulla di nulla, ma potevano scrivere di tutto. E così era di fatto. Questi signori però, malgrado la loro sufficienza, erano così coscienti della loro debolezza che si tenevano lontani, il più che era loro possibile, da grandi compiti. La vecchia scienza parruccona manteneva il proprio terreno grazie alla superiorità del suo sapere positivo.

Quando Feuerbach infine ebbe dato congedo al concetto speculativo,(1) lo hegelismo sparì a poco a poco e si ebbe l’impressione che nella scienza si fosse ritornati al regno della vecchia metafisica con le sue categorie fisse.

La cosa aveva la sua base materiale. Al regime dei diadochi hegeliani, perdutosi nella pura fraseologia, teneva dietro naturalmente un’epoca in cui il contenuto positivo della scienza prendeva nuovamente il sopravvento sul lato formale. (2) Ma in pari tempo la Germania si gettava, con una energia straordinaria, sulle scienze naturali. Questo corrispondeva al potente sviluppo della borghesia dopo il 1848.

Poiché diventavano di moda le scienze naturali, in cui la tendenza speculativa non era mai riuscita a farsi strada in modo degno di nota, anche il vecchio modo di pensare metafisico si imponeva nuovamente e arrivava sino alla volgarità estrema di Wolff. Hegel era scomparso. Si sviluppava il nuovo materialismo delle scienze naturali. Esso dal punto di vista teorico non si distingue quasi per niente dal materialismo del secolo XVIII. Per lo più non ha su di esso altro vantaggio che quello di disporre di un materiale più ricco tratto dalle scienze naturali, specialmente dalla chimica e dalla fisiologia. In Büchner e in Vogt troviamo riprodotto fino all’estrema trivialità il modo di pensare gretto e perbenista del periodo prekantiano. Lo stesso Moleschott, che giura su Feuerbach, si impenna ad ogni istante nel modo più dilettevole dinanzi alle più semplici categorie. Il vecchio cavallo da soma dell’intelletto borghese di tutti i giorni si arresta naturalmente, perplesso, davanti all’abisso che separa l’essenza dall’apparenza, la causa dall’effetto. Quando si vuole correre a briglia sciolta sul terreno assai accidentato del pensiero astratto, non è un cavallo da soma che si deve inforcare.

 Si doveva quindi risolvere in questo campo un problema che non ha niente a che fare con l’economia politica come tale. Come trattare la scienza?

Da un lato si aveva la dialettica hegeliana, nella forma del tutto astratta, speculativa, in cui l’aveva lasciata Hegel.

Dall’altro lato si aveva il metodo ordinario, essenzialmente metafisico-wolffiano, tornato nuovamente di moda, secondo il quale gli economisti borghesi avevano scritto essi pure i loro grossi libri sconclusionati.

Quest’ultimo metodo era stato teoricamente demolito da Kant e specialmente da Hegel, in modo tale che soltanto la pigrizia e l’assenza di un altro metodo semplice poteva praticamente consentirgli di continuare a vivere.

D’altro lato il metodo hegeliano, nella forma in cui esso si presentava, era assolutamente inutilizzabile. Esso era essenzialmente idealistico, mentre qui si trattava di sviluppare una concezione del mondo che era più materialista di tutte le precedenti. Esso partiva dal pensiero puro, mentre qui si doveva partire dai fatti più testardi. Un metodo che, secondo la sua propria confessione, “andava dal niente attraverso il niente” [G.W.F. Hegel, Scienza della logica, I/2] era assolutamente fuori posto qui in questa forma. Ciò nonostante fra tutto il materiale logico esistente, questo metodo era l’unica cosa a cui almeno ci si potesse appigliare. Esso non era stato criticato, non era stato superato; nessuno degli avversari del grande dialettico era riuscito a battere in breccia il suo superbo edificio. Il metodo hegeliano era scomparso perché la scuola hegeliana non aveva saputo far niente con esso. Innanzi tutto, dunque, si doveva sottoporre a una critica profonda il metodo hegeliano.

Ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l’enorme senso storico che ne costituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno lo sviluppo del suo pensiero andava sempre parallelamente allo sviluppo della storia mondiale. Quest’ultimo non doveva in sostanza essere altro che la prova del primo.

Benché il rapporto esatto venisse in questo modo rovesciato e messo con la testa all’ingiù, il contenuto reale penetrava però da ogni parte nella filosofia. Ciò tanto più in quanto Hegel si distingueva dai suoi scolari perché non si vantava come loro dell’ignoranza, ma era uno degli uomini più eruditi che mai siano esistiti.

Egli fu il primo che cercò di dimostrare l’esistenza nella storia di uno sviluppo, di una coesione interiore e, per quanto ora molte cose nella sua filosofia della storia ci possano sembrare strane, la grandiosità della concezione fondamentale, quando la si confronta con i suoi predecessori o anche con coloro che dopo di lui si sono permessi di fare delle riflessioni generali sulla storia, è ancora oggi degna di ammirazione.

Nella Fenomenologia, nell’Estetica, nella Storia della filosofia, dappertutto penetra questa grandiosa concezione della storia. Dappertutto la materia viene trattata in modo storico, in una certa connessione, sia pure astratta e a rovescio, con  la storia.

Questa concezione della storia che apriva un’epoca nuova, era la premessa teorica diretta della nuova concezione materialista. Questo solo fatto offriva già un punto di appiglio anche per il metodo logico. Se questa dialettica scomparsa aveva già portato a tali risultati secondo il modo di vedere del “pensiero puro”, se aveva liquidato in un volger di mano tutta la precedente logica e metafisica, essa doveva essere in ogni caso qualcosa di più che sofisticheria e arte di spaccare un capello in quattro. Ma la critica di questo metodo, a cui non aveva osato e tuttavia non osa metter mano tutta la filosofia ufficiale, non era cosa da poco.

Marx era ed è il solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di far valere il metodo dialettico spogliato dei suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui esso è la sola forma giusta dello sviluppo del pensiero. Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica dell’economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi altrettanto importante quanto la concezione materialista che la fa da fondamenta.

 La critica dell’economia, anche dopo che era stato acquisito il metodo, poteva ancora essere intrapresa in due modi: storicamente o logicamente.

Poiché nella storia, come nel suo riflesso letterario, l’evoluzione va pure, in sostanza, dai rapporti più semplici ai rapporti più complicati, lo sviluppo storico-letterario dell’economia politica offriva un filo conduttore naturale a cui la critica poteva aggrapparsi. In sostanza le categorie economiche sarebbero apparse anche in questo caso nello stesso ordine che nello sviluppo logico.

Questa forma storica offre il vantaggio apparente di una maggior chiarezza, poiché viene seguita l’evoluzione reale, ma in realtà essa si ridurrebbe tutt’al più a una esposizione più popolare. La storia procede spesso a salti e a zigzag, e si sarebbe dovuto tenerle dietro dappertutto. Questo avrebbe obbligato non solo a inserire molto materiale di poca importanza, ma anche a interrompere spesso il corso delle idee. Inoltre non si può scrivere la storia dell’economia senza scrivere la storia della società borghese. Il lavoro non sarebbe mai arrivato alla fine perché mancano tutti i lavori preparatori.

Il modo logico di trattare la questione era dunque il solo adatto. Questo non è però altro che il modo storico, solo che è spogliato della forma storica e degli elementi occasionali perturbatori. Nel modo come incomincia la storia, così deve pure incominciare il corso dei pensieri. Il suo corso ulteriore non sarà poi altro che il riflesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del corso della storia; quindi un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il corso stesso della storia fornisce, poiché ogni momento può essere considerato nel punto del suo sviluppo in cui ha raggiunto la sua piena maturità, la sua classicità.

Seguendo questo metodo prendiamo come punto di partenza il primo e più semplice rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto. Cioè, in questo caso, prendiamo il primo rapporto economico [il primo rapporto della società borghese] che troviamo davanti a noi. Questo rapporto lo scomponiamo. Per il fatto che è un rapporto, ne deriva già che esso ha due lati che sono in relazione l’uno con l’altro. Ognuno di questi lati viene esaminato a sé. Da questo esame risulta il modo del loro reciproco rapporto, la loro azione e reazione reciproca. Ne risultano delle contraddizioni che richiedono di essere rimosse.

Siccome non consideriamo qui un processo astratto del pensiero che si svolgerebbe soltanto nel nostro cervello, ma un fatto reale, che si è realmente svolto in un dato momento o che si sta ancora svolgendo, queste contraddizioni devono pure aver avuto uno sviluppo e probabilmente aver trovato la loro soluzione nella pratica. Indaghiamo la forma di questa soluzione, e troveremo ch’essa è stata raggiunta con l’instaurazione di un nuovo rapporto del quale dovremo ora sviluppare i due lati contraddittori. E così via.

L’economia politica [l’analisi teorica della società borghese] incomincia dalla merce, cioè dal momento in cui dei  prodotti sono scambiati con altri prodotti, sia da individui singoli che da comunità primitive. Il prodotto che viene scambiato è merce. Ma è merce soltanto per il fatto che alla cosa, al prodotto, si collega un rapporto tra due persone o comunità, il rapporto tra il produttore e il consumatore, che nella società borghese non sono più uniti in una sola e stessa persona.

Abbiamo qui sin dall’inizio un esempio di un fatto particolare, che penetra tutta l’analisi teorica della società borghese e ha creato nelle teste degli economisti borghesi una confusione terribile. L’ economia [l’analisi teorica della società borghese] non tratta di cose, ma di rapporti tra persone e, in ultima istanza, tra classi. Questi rapporti sono però sempre legati a delle cose e appaiono come delle cose. Marx è il primo che ha scoperto l’importanza che questa connessione, intravista in certi casi, confusamente però, da questo o da quell’economista, ha per tutta l’analisi teorica della società borghese. In questo modo ha reso i problemi più difficili così chiari e così semplici, che ormai perfino gli economisti borghesi possono capirli.

Se ora consideriamo la merce sotto i suoi diversi lati, e cioè la merce quando si è sviluppata completamente e non quando comincia a svilupparsi faticosamente nello scambio naturale fra due comunità primitive, essa ci si presenta  sotto i due aspetti di valore di uso e valore di scambio. Qui entriamo senz’altro nel campo dei contrasti tra economisti. Chi vuol avere un esempio brillante di come il metodo dialettico tedesco, nel suo stadio di sviluppo attuale, è superiore al vecchio metodo metafisico piatto e volgare, per lo meno quanto le ferrovie sono superiori ai mezzi di trasporto del Medioevo, veda, in Adam Smith o in un altro qualunque degli economisti ufficiali di grido, quali tormenti hanno dato a questi signori il valore di scambio e il valore di uso: come è loro difficile separarli esattamente l’uno dall’altro e concepire ciascuno di essi nella sua particolarità determinata, e faccia poi il confronto con lo sviluppo semplice, chiaro di Marx.

Sviluppati il valore di scambio e il valore di uso, la merce viene esposta come loro unità immediata, così come essa entra nel processo di scambio. Quali contraddizioni ne derivano, lo si può leggere nella parte A Notizie storiche sull’analisi della merce del capitolo primo di Per la critica dell’economia politica.

Notiamo solamente che queste contraddizioni non hanno soltanto un interesse teorico, astratto. Esse rispecchiano pure le difficoltà sorgenti dalla natura del rapporto immediato di scambio, dello scambio semplice. Rispecchiano gli intoppi a cui conduce necessariamente questa prima forma rudimentale dello scambio. La rimozione di questi intoppi la si ha nel fatto che la proprietà di rappresentare il valore di scambio di tutte le altre merci viene trasferita a una merce speciale: il denaro. Il denaro, ossia la circolazione semplice, viene quindi sviluppato nel secondo capitolo di Per la critica dell’economia politica. Qui abbiamo precisamente: 1. il denaro come misura dei valori, parte in cui trova la sua determinazione più precisa il valore misurato in denaro, il prezzo; 2. il denaro come mezzo di circolazione; 3. il denaro come unità delle due determinazioni, come denaro reale, come rappresentante di tutta la ricchezza materiale borghese. Con ciò ha termine lo sviluppo della prima parte del libro di Marx, riservandosi alla seconda la trasformazione del denaro in capitale.

Si vede come con questo metodo lo sviluppo logico non è costretto a rimanere sul terreno puramente astratto. Al contrario, esso ha bisogno dell’illustrazione storica, del contatto permanente con la realtà. Questi esempi sono quindi inseriti in abbondanza, sia come accenni al corso reale della storia nelle diverse fasi dell’evoluzione sociale, sia come accenni alla letteratura economica. Esaminando questa, viene seguita sin dall’inizio e passo dopo passo l’elaborazione delle determinazioni dei rapporti economici. La critica delle singole concezioni più o meno unilaterali o confuse è quindi già data essenzialmente nello sviluppo logico stesso e può essere fatta con brevità.

In un terzo articolo esamineremo il contenuto economico del libro [Questo terzo articolo non venne mai pubblicato né si è trovato il manoscritto].

 

Note del redattore di La Voce

 1. Con l’espressione “concetto speculativo” si indica la concezione elaborata da Hegel secondo cui le distinte categorie del pensiero sono connesse tra loro da relazioni necessarie derivanti dalla loro stessa natura. Il pensiero deriva dal pensiero. A questa concezione Feuerbach contrappose la dimostrazione che, pensando, l’uomo costruisce nel suo cervello un riflesso (il concreto di pensiero) della realtà in cui vive e che lo circonda (il concreto reale). Ma nella concezione di Feurbach non vi era posto per l’uomo che con la guida dei suoi pensieri trasforma la realtà in cui vive e che lo circonda. In realtà dalla natura inanimata viene la natura animata e in essa il cervello dell’uomo: questo elabora un pensiero con il quale l’uomo trasforma la natura tutta, ivi compreso se stesso. Questa è la critica con cui Marx ed Engels superarono Feuerbach (vedasi la prima delle 11 Tesi su Feuerbach, 1845 - OC vol. 5, ER 1992 pag. 3).

 

 2. Con l’espressione “lato formale” qui si indica l’inquadramento delle singole scoperte delle scienze naturali (il contenuto positivo della scienza) nel sistema delle conoscenze a cui ciascuna di queste scoperte appartiene.