Lenin, Opere complete - Editori Riuniti Vol 8
Vperiod, n. 7.
21
(8) febbraio 1905.
DOBBlAMO ORGANIZZARE LA RIVOLUZIONE?
È accaduto da un pezzo ormai, più di un
anno fa. Nel partito russo, secondo la testimonianza di Parvus [un menscevico
che, sull’onda dell’emozione suscitata dalla “domenica di sangue” del 9 gennaio
1905 quando le truppe zariste avevano represso con il massacro di centinaia di
manifestanti la dimostrazione dei proletari di Pietroburgo promossa dal prete
Gapon, aveva rilanciato sull’Iskra,
allora giornale dei menscevichi, la parola d’ordine già lanciata dai bolscevichi
Organizzare la rivoluzione, ndr], noto
socialdemocratico tedesco, si manifestarono certi “dissensi di principio”.
Compito politico primordiale del partito proletario divenne allora la lotta
contro gli eccessi del centralismo, contro l’idea d’“imporre ordini” agli operai
da qualche Ginevra, contro ogni esagerazione nell’organizzare gli agitatori e i
dirigenti. Era questa la profonda, salda, incrollabile convinzione che il
menscevico Parvus espose nel foglio settimanale tedesco Aus
der Weltpolitik
(Dalla politica mondiale) del 30 novembre 1903.
Al buon Parvus venne fatto notare allora
(cfr. la lettera di Lenin alla redazione dell’Iskra,
dicembre 1903 [Opere complete, vol.
7]) che era caduto vittima di pettegolezzi, che i cosiddetti dissensi di
principio si basavano sulla maldicenza e che la svolta ideologica riscontrabile
nella nuova Iskra era una svolta verso l’opportunismo. Parvus non
replicò, ma le sue “idee” sull’esagerata importanza attribuita
all’organizzazione dei dirigenti vennero rimasticate in cento modi dai
neoiskristi.
Sono ormai trascorsi quattordici mesi. E la
disorganizzazione del lavoro di partito da parte dei menscevichi nonché il
carattere opportunistico della loro propaganda si sono delineati in pieno. Il 9
gennaio 1905 ha messo a nudo
le
grandi riserve di energia rivoluzionaria
proprie del proletariato e la radicale inadeguatezza dell’organizzazione
socialdemocratica. Parvus si è ravveduto. Sul n. 85 dell’Iskra ha pubblicato un articolo, in cui di fatto rinnega le nuove
idee della nuova Iskra opportunistica e aderisce alle idee della vecchia
Iskra rivoluzionaria. “C’era l’eroe, - esclama Parvus, a proposito di
Gapon, - ma non c’era il dirigente politico, non c’era un programma d’azione,
non c’era un’organizzazione...” “Si sono manifestate le tragiche conseguenze
della mancanza di organizzazione...” “Le masse si sono divise, ciascuno va per
conto suo, manca un centro di coordinamento, manca un programma d’azione.” “Il
movimento è crollato a causa della mancanza di un organismo coordinatore e
direttivo.” L’autore lancia quindi la parola d’ordine che abbiamo già citato nel
n.
6
del
Vperiod: “Organizzare la rivoluzione”.
Parvus, sotto l’influenza degli
insegnamenti della rivoluzione, si
è
convinto che “non possiamo, nelle attuali
condizioni politiche, organizzare queste centinaia di migliaia” (si tratta delle
masse pronte per l’insurrezione).”Ma noi possiamo - dice, ripetendo giustamente
la vecchia idea del
Che fare? -
creare un’organizzazione che faccia da fermento e, all’atto
della rivoluzione, unisca attorno a sé le centinaia di migliaia.” “Bisogna
organizzare i circoli operai, impegnandoli chiaramente a preparare le masse
all’insurrezione, a raccoglierle attorno a sé durante l’insurrezione, a
suscitare l’insurrezione secondo una precisa parola d’ordine.”
Finalmente! - abbiamo esclamato con un
sospiro di sollievo nel ritrovare queste vecchie e giuste idee, seppellite nel
letame della nuova
Iskra.
Alla fine l’istinto rivoluzionario del
militante del partito proletario ha preso il sopravvento, sia pure
temporaneamente, sull’opportunismo del
Raboceie Dielo.
Finalmente sentiamo la voce di un socialdemocratico che non striscia nelle
retrovie della rivoluzione, ma indica senza timori la necessità di appoggiare
l’avanguardia rivoluzionaria.
Naturalmente i neoiskristi non potevano
essere d’accordo con Parvus. “Non tutte le idee espresse dal compagno Parvus
sono condivise dalla redazione dell’Iskra”,
è detto in una nota redazionale.
Lo credo bene! Ci mancava che i redattori
“condividessero” idee che “fanno a pugni" con tutte le chiacchiere
opportunistiche da loro fatte in un anno e mezzo!
Organizzare la rivoluzione!” Eppure, c’è
l’acuto compagno Martynov, il quale sa bene che la rivoluzione è determinata da
un rivolgimento nei rapporti sociali e non può farsi su ordinazione. Martynov
spiegherà a Parvus il suo errore e gli mostrerà che, anche se il suo accenno
riguarda la necessità di organizzare l’avanguardia rivoluzionaria, si tratterà
di una “ristretta” e nefasta idea “giacobina”. E così via. In effetti il nostro
acuto Martynov si trascina dietro con una cordicella Triapickin-Martov, che sa
approfondire meglio il suo maestro e alla parola d’ordine di “organizzare la
rivoluzione” può forse sostituire quella di “scatenare
la rivoluzione”
(vedi n. 85; il corsivo è dell’autore).
Sì, lettore, proprio questa parola d’ordine
ci è stata data nell’editoriale dell’Iskra.
Evidentemente, al giorno d’oggi basta “scatenare” la lingua, per una libera
chiacchierata-processo o per un processo di chiacchiere, per scrivere
editoriali. Un opportunista ha sempre bisogno di parole d’ordine in cui un esame
più approfondito rivela soltanto parole altisonanti, arzigogoli verbali
decadenti.
Organizzare e organizzare, afferma con
insistenza Parvus, come se d’un tratto fosse diventato bolscevico. E non capisce
- poverino! - che l’organizzazione è un
processo
(Iskra n.
85, nonché tutti i precedenti numeri della nuova
Iskra
e,
in particolare, i retorici feuilletons della retorica Rosa
[Luxemburg]). Non sa, poverino, che secondo lo spirito del materialismo
dialettico non solo l’organizzazione, ma anche la tattica è un processo. Così,
alla pari di un “cospiratore”, rimugina l’organizzazione-piano! Alla pari di un
“utopista” immagina che si possa così, in modo subitaneo, in qualche, dio ce ne
scampi, secondo o terzo congresso, “organizzare” tutto di punto in bianco.
E, in effetti, a quali colonne d’Ercole del
“giacobinismo” è arrivato Parvus! “Suscitare l’insurrezione secondo una precisa
parola d’ordine”, immaginate un po’! Questo è anche molto peggio dell’idea
dell’insurrezione su “ordinazione” confutata dal nostro celebre Martynov. Non
c’è dubbio, Parvus deve andare a scuola da Martynov. Deve leggere il n.
62
dell’Iskra,
dal cui editoriale potrà apprendere quali
nefaste idee “utopistiche”
sull’insurrezione si siano diffuse, in maniera
tanto intempestiva, nel
1902
e nel 1904 nel nostro partito. Parvus deve
leggere la prefazione di Axelrod all’opuscolo di “Un operaio” [in proposito
vedere Lenin, La gente non si nutre di
chiacchiere in Opere complete,
vol. 8 - ndr] per venire a conoscenza della “piaga (sic!) profonda, perniciosa e
addirittura letale per il partito” fatta incombere sulla socialdemocrazia da chi
“ripone tutte le sue speranze nelle insurrezioni spontanee degli elementi più
arretrati, incoscienti e apertamente inselvatichiti
[!!]
delle masse popolari”.
A giudizio di Parvus è impossibile
organizzare attualmente centinaia di migliaia di uomini, e quindi egli pone in
primo piano il compito di “creare un’organizzazione che faccia da fermento”.
Come potrebbero non contorcersi i nostri
neoiskristi, dal momento che simili cose vengono scritte sulle pagine del loro
organo di stampa? E, in effetti, l’organizzazione come fermento non è altro che
l’organizzazione dei rivoluzionari di professione, la cui sola menzione fa
cadere in deliquio i nostri neoiskristi.
Siamo davvero grati all’Iskra
per aver affiancato all’editoriale l’articolo di Parvus! Come spicca con risalto
il frasario inconsistente, confuso e codino dei neoiskristi accanto alle chiare,
nette, aperte e audaci parole d’ordine rivoluzionarie della vecchia
Iskra!
Non è forse vuoto e retorico dire:
“Scompare dalla scena la politica della fiducia nelle classi dominanti per non
mistificare
mai più
la Russia o l’Europa”? In realtà, ogni
numero di qualsiasi giornale borghese europeo dimostra che la mistificazione
continua e prospera. “Il liberalismo russo moderato è stato colpito a morte”: è
una puerile ingenuità politica lo scambiare per morte del liberalismo il suo
desiderio “politico” di nascondersi. In realtà, il liberalismo è vivo e si
rianima; e anzi, proprio ora, sta per salire al potere. Anzi si è nascosto
nell’intento di mettere le mani sul potere, al momento opportuno, con maggiore
sicurezza e con minor pericolo. Proprio per questo il liberalismo civetta senza
pudore con la classe operaia. Bisogna essere inguaribilmente miopi per scambiare
per moneta sonante il civettare dei liberali (cento volte pericoloso proprio nel
momento odierno) e dichiarare con millanteria: “Proprio in questi giorni
l’opinione pubblica più progredita della borghesia democratica liberale
riconosce l’eroica funzione
del proletariato, che è l’emancipatore della
patria e l’avanguardia di tutta la nazione”. Cercate di capire, finalmente,
signori neoiskristi, che i borghesi liberali riconoscono nel proletariato
un eroe
proprio perché,
nell’assestare il colpo allo zarismo, esso non è ancora
abbastanza forte, non è ancora tanto socialdemocratico da conquistarsi la
libertà a cui aspira. Cercate di capire che non dobbiamo menar vanto delle
odierne riverenze liberali, ma mettere in guardia il proletariato e svelargli il
retroscena delle riverenze. Non vi accorgete del retroscena? Ebbene, considerate
le dichiarazioni dei fabbricanti, dei commercianti, dei
finanzieri
sulla necessità della Costituzione! Non si ritrova
in esse una chiara testimonianza della morte del liberalismo moderato? I
ciarlatani liberali parlano in tono sommesso di eroismo dei proletari, mentre
gli stessi fabbricanti rivendicano con autorità e insistenza una Costituzione
monca: ecco come stanno le cose, cortesi “dirigenti”!*
* Queste righe erano
già composte quando abbiamo ricevuto dal campo liberale le seguenti
informazioni, non prive di interesse. Il corrispondente speciale pietroburghese
del Frankfurter Zeitung (17 febbraio 1905), giornale democratico borghese tedesco,
riferisce il giudizio di un giornalista liberale di Pietroburgo sulla
situazione politica: “I liberali sarebbero sciocchi, se si lasciassero sfuggire
un momento come questo [di oggi]. I liberali hanno in mano tutte le carte
migliori, perché sono riusciti ad aggiogare gli operai al loro carro; il
governo invece non ha uomini, perché la burocrazia sbarra il passo a tutti ”. La
nuova Iskra deve essere imbevuta davvero di santa semplicità, se, in un
momento come questo, dichiara che il liberalismo è morto!
Ma le tesi più impareggiabili sono quelle
dell’Iskra a proposito dell’armamento.
“Il lavoro per armare il proletariato, per addestrare sistematicamente
un’organizzazione che renda generale e simultaneo l’attacco del popolo contro il
governo”, viene dichiarato un compito “tecnico” (!?). E noi, naturalmente, siamo
superiori alla spregevole tecnica e sappiamo guardare nell’intimo delle cose.
“Per quanto siano importanti [i compiti “tecnici”],
non sta
qui il centro
di gravità
del nostro lavoro per preparare le masse all’insurrezione...” “Tutti gli sforzi
delle organizzazioni clandestine non avranno alcun significato, se non
riusciranno a dotare il popolo di una sola arma insostituibile, se non
riusciranno a fargli sentire la
bruciante esigenza di attaccare l’autocrazia e di armarsi per
questo.
Ecco dove dobbiamo rivolgere i nostri sforzi:
alla propaganda dell’autoarmamento per gli
scopi dell’insurrezione"
(le ultime due frasi sono sottolineate
dall’autore).
Sì, sì,
questo è un modo realmente profondo di impostare la questione e differisce da
quello del limitato Parvus che è quasi arrivato sino al “giacobinismo”. Il
centro di gravità non si trova nel lavoro per l’armamento e nemmeno nella
preparazione sistematica dell’organizzazione, ma nel far sentire al popolo la
bruciante esigenza di armarsi e per giunta di armarsi da
sé.
Che bruciante senso di vergogna si prova per la socialdemocrazia dinanzi a tanta
volgarità filistea [perbenista, ipocrita, ndr] che cerca di far retrocedere il
nostro movimento! Far sentire al popolo la bruciante esigenza di armarsi è
dappertutto il compito permanente e generale della socialdemocrazia; ed esso
vale per il Giappone e per l’Inghilterra, per la
Germania
e
per l’Italia. Dovunque ci siano classi oppresse che lottano contro lo
sfruttamento, la propaganda del socialista fa sempre sentir loro, fin
dall’inizio e prima di tutto, la bruciante esigenza di armarsi, e questa “esigenza"
è già presente quando
comincia
il movimento operaio. La socialdemocrazia deve solo rendere consapevole questa
bruciante esigenza, indurre chi la prova a tener conto della necessità di
un’organizzazione e di un’azione pianificata, a tener conto di tutta la congiuntura
politica. Osservate voi stesso, per favore, signor redattore dell’Iskra,
una qualsiasi assemblea di operai tedeschi, guardate quale odio arda sui volti,
per esempio contro la polizia, come piovano i più amari sarcasmi, come le mani
si stringano a pugno. Quale forza intralcia questa bruciante esigenza di
regolare subito i conti con i borghesi e con i loro servitori che si prendono
gioco del popolo? La contrastano la forza dell’organizzazione e della
disciplina, la forza della coscienza, della
consapevolezza del fatto che le uccisioni
individuali sono assurde, che non è ancora suonata l’ora
della lotta popolare profonda, rivoluzionaria, che non c’è una situazione
politica favorevole. Ecco perché in tali condizioni il socialista non dice e non
dirà mai al popolo: armati, ma gli fa invece sentire sempre e di necessità
(altrimenti non è un socialista, ma un vuoto ciarlatano) la bruciante esigenza
di armarsi e di attaccare il nemico. Ebbene, proprio in questo oggi la
situazione russa differisce dalle condizioni del lavoro d’ogni giorno. E proprio
per questo
oggi i
socialdemocratici rivoluzionari, che sinora non hanno mai gridato
“alle armi!”, ma hanno sempre fatto sentire agli operai la bruciante esigenza di
armarsi, tutti i socialdemocratici rivoluzionari, seguendo gli operai che hanno
preso l’iniziativa della rivoluzione, lanciano la parola d’ordine:
alle armi!
Ma d’un tratto, quando finalmente la parola d’ordine è
lanciata, l’Iskra interviene e
sentenzia: no, il centro di gravità non sta nell’armamento,
ma nella bruciante esigenza di autoarmarsi. Non si tratta forse di un’inerte
pedanteria da intellettuali, non si tratta forse di un’irrimediabile vocazione a
imitare Triapickin? Per tale via non si fa forse retrocedere il partito dai
compiti vitali dell’avanguardia rivoluzionaria, inducendolo a
rimirare il “tergo” del proletariato? E, si badi, questo inverosimile
involgarimento dei nostri compiti non dipende affatto dalle qualità individuali
di questo o quel Triapickin, ma da tutta la loro posizione, formulata
impareggiabilmente in poche parole alate sull’organizzazione-processo o sulla
tattica-processo. Una siffatta posizione già di per sé condanna a temere ogni
parola d’ordine precisa, a rifuggire da ogni “piano ”, a indietreggiare di
fronte a un’iniziativa rivoluzionaria audace, a fare i pedanti e rimasticare le
vecchie cose ritrite, ad aver paura di correre troppo, mentre in concreto noi
socialdemocratici siamo ormai in palese ritardo rispetto all’iniziativa
rivoluzionaria del proletariato. È proprio vero: il morto ha afferrato il vivo,
le morte teorie del
Raboceie Dielo
hanno irrimediabilmente necrotizzato anche
la nuova Iskra.
Considerate le argomentazioni dell’Iskra
“sulla funzione politica dirigente della socialdemocrazia quale avanguardia
della classe liberatrice della nazione”. Ci insegnano che non riusciremo “a
svolgere e sviluppare con energia questa funzione per il solo fatto di prendere
appieno nelle nostre mani l’organizzazione tecnica e l’attuazione dell’insurrezione”. Pensate un po’: non
riusciremo a esplicare una funzione d’avanguardia se sapremo prendere appieno
nelle nostre mani l’attuazione dell’insurrezione! E si blatera ancora di
avanguardia! Questi ciarlatani
temono che
la storia affidi
loro una funzione dirigente nel rivolgimento democratico, pensano
con terrore
che
tocchi loro di “attuare l’insurrezione”. E così concludono - anche se non osano
ancora dirlo apertamente sulle pagine dell’Iskra -
che l’organizzazione socialdemocratica
non deve
“attuare l’insurrezione”, non deve cercare di prendere appieno nelle proprie
mani la lotta rivoluzionaria per la conquista della repubblica democratica. A
questo punto gli incorreggibili girondini del socialismo vedono ricomparire il
mostruoso giacobinismo. Essi non capiscono che, quanto maggiore sarà l’impegno
con cui ci sforzeremo di prendere appieno nelle nostre mani l’insurrezione,
tanto più grande sarà la parte di quest’opera che prenderemo nelle nostre mani, e che, quanto maggiore
sarà tale parte, tanto minore sarà l’influenza della democrazia antiproletaria o
non proletaria. Questa gente vorrebbe stare senz’altro a rimorchio dei fatti, ed
escogita persino una apposita filosofia che giustifica tale posizione; Martynov
ha già cominciato a esporla e domani, forse, toccherà
l’apice
sulle pagine dell’Iskra.
Cercate di analizzare nei vari passaggi le
sue argomentazioni: “Il proletariato cosciente, basandosi sulla logica del
processo spontaneo dello sviluppo storico, utilizza per i suoi scopi tutti gli
elementi di organizzazione, tutti gli elementi di fermento creati dalla vigilia
della rivoluzione... ".
Molto bene! Ma utilizzare
tutti
gli elementi significa appunto assumersi
appieno
la direzione.
L’Iskra
si
dà la zappa sui piedi e, accorgendosene, s’affretta
ad aggiungere :
“Senza minimamente turbarsi per il fatto
che tutti questi elementi sottraggono una parte della direzione tecnica della
rivoluzione stessa e quindi, volere o no, contribuiscono a trasferire le nostre
rivendicazioni tra gli strati più arretrati della massa popolare”.
Ci capite qualcosa? Utilizzare
tutti
gli elementi
senza turbarsi
per il fatto che essi sottraggono una parte
della direzione!!??
Abbiate un po’ di timor di dio, signori: se
noi
utilizziamo realmente tutti gli elementi, se le
nostre
rivendicazioni vengono realmente raccolte dagli strati che noi utilizziamo,
allora essi non ci
sottraggono,
ma
accettano
la nostra direzione. Se invece
tutti
questi elementi ci sottraggono effettivamente la direzione (e, beninteso, non
solo quella “tecnica”, perché la separazione dell’aspetto “tecnico " dall’aspetto
politico della rivoluzione è la più grande assurdità), allora non siamo noi a
utilizzare gli elementi, ma, viceversa, sono loro a servirsi di noi.
“Non potremo che rallegrarci se, dopo il
sacerdote che ha popolarizzato fra le masse la nostra parola d’ordine
della separazione fra lo Stato e la Chiesa, dopo la Società operaia monarchica
che ha organizzato il corteo popolare al Palazzo d’Inverno,
la rivoluzione russa si arricchirà di un generale, che condurrà per primo le
masse popolari all’ultima battaglia contro l’esercito
zarista, o di un funzionario, che per primo proclamerà la caduta ufficiale del
potere zarista.”
Sì, ce ne rallegreremo anche noi; ma non vorremmo che la gioia
per
i
possibili
eventi piacevoli ottenebrasse la nostra logica. Che cosa vuol dire che la
rivoluzione russa
si
arricchirà di un sacerdote o di un generale? Vuoi dire che un sacerdote o un
generale aderiranno o capeggeranno la rivoluzione. I “novizi " potranno
sostenere la nostra causa con piena coscienza oppure con una coscienza
incompleta. E in questa ultima evenienza (la più probabile, trattandosi di
novizi) non dovremo rallegrarci, ma rattristarci della loro inconsapevolezza e
darci da fare
con tutte le forze per correggere e integrare
la
loro
coscienza.
Fino a quando non l’avremo
fatto, fino a quando la massa seguirà un capo poco cosciente, bisognerà dire che
non è la socialdemocrazia a utilizzare
tutti
gli elementi, ma sono invece tutti gli elementi che utilizzano il partito
socialdemocratico. Il fautore della rivoluzione, l’ex prete o generale o
funzionario, può essere un democratico borghese pieno di pregiudizi, e, nella
misura in cui gli operai
lo
seguiranno, sarà la democrazia borghese a “utilizzare” gli operai. Non è forse
chiaro, signori neoiskristi? Ma, allora, perché
temete
che i sostenitori coscienti
(vale a dire
socialdemocratici) della rivoluzione ne assumano la direzione? Perché temete che
un ufficiale socialdemocratico (scelgo deliberatamente un esempio analogo al
vostro) e un militante dell’organizzazione socialdemocratica, per iniziativa e
incarico dell’organizzazione, si assuma e “prenda appieno nelle proprie mani "
le funzioni e i compiti del nostro ipotetico generale?
Ma torniamo a Parvus, che conclude il suo
ottimo articolo con l’ottimo consiglio di “gettare a mare” i disorganizzatori.
L’eliminazione dei disorganizzatori, come risulta dalle notizie da noi
pubblicate nella rubrica
Dal partito [Lenin allude a varie note pubblicate nella rubrica del n. 7 del
Vperiod, ndr],
è
la più appassionata e risoluta parola d’ordine della maggioranza dei
socialdemocratici russi. Proprio così, compagno Parvus:
“gettare a mare” nella maniera più spietata
e cominciare a farlo nei confronti di quegli eroi della stampa socialdemocratica
che hanno voluto e continuano a consacrare la disorganizzazione con le “teorie”
dell’organizzazione-processo e dell’organizzazione-tendenza. Non basta parlare,
bisogna
agire. Bisogna convocare immediatamente il congresso di tutti gli
iscritti che vogliono organizzare il partito. Non bisogna limitarsi alle
esortazioni e alle ammonizioni, ma bisogna porre a tutti gli esitanti, a tutti i
tentennanti, agli incerti e ai dubbiosi un ultimatum preciso e perentorio:
scegliete!
Sin
dal primo numero del nostro giornale noi abbiamo
presentato quest’ultimatum a nome della redazione del
Vperiod, a
nome di tutti i militanti russi che sono
stati ridotti dai disorganizzatori in uno stato di profonda indignazione.
Gettateli dunque a mare al più presto, compagni, e accingetevi a un concorde
lavoro organizzativo! Meglio cento socialdemocratici rivoluzionari, favorevoli
di fatto all’organizzazione-piano, che mille Triapickin intellettuali capaci
solo di parlare di organizzazione-processo!