La Voce 8

La nostra lotta

venerdì 6 luglio 2001.
 

Noi comunisti, come forza politica, attualmente siamo deboli, quasi inesistenti. La causa di ciò risiede nel fatto che oggi il comunismo non è la coscienza unificante e guida, l’orientamento diffuso dei 7 milioni di operai del nostro paese. Per lo stesso motivo gli operai non sono, a loro volta, la guida degli altri 8 milioni di proletari e dei restanti 6 milioni di lavoratori appartenenti alle masse popolari. Complessivamente i tre gruppi di classi indicate comprendono, con i familiari e i pensionati, il 90% della popolazione, cioè circa 50 milioni di persone. Essi devono liberarsi dallo sfruttamento economico e dall’oppressione politica del restante 10% della popolazione, circa 6 milioni di individui, che costituisce la borghesia imperialista e classi assimilate. Ogni reale e duraturo progresso civile del nostro paese, la soluzione di tutte le principali contraddizioni che lo travagliano nonché la soluzione delle specifiche difficoltà materiali e morali delle classi più oppresse e l’instaurazione di un apporto costruttivo del nostro paese alla soluzione dei problemi economici, politici e ambientali del mondo passano attraverso la soluzione di questo problema, attraverso questo cambio di classe dirigente. (1)

Questa tesi implica molte cose e getta alcune discriminanti. Le principali implicazioni sono sei: 1. la storia la fanno le masse e non gli individui, i gruppi e i partiti - questi sono solo elementi ausiliari, promotori della mobilitazione delle masse, manifestazioni particolari e limitate, benché sostanziali e indispensabili, della mobilitazione delle masse; 2. la trasformazione della società avviene attraverso la lotta tra le classi; (2) 3. gli interessi e il movimento pratico della società attuale tracciano una divisione principale che è quella tra le masse popolari (definite come da PMP pag. 89 e segg.) da una parte e la borghesia imperialista dall’altra; 4. le classi in cui il movimento pratico divide la nostra società sono a grandi linee quelle indicate nel PMP (pag. 89 e segg.); 5. la classe operaia e solo la classe operaia può dirigere l’insieme delle masse popolari a trasformare la società; 6. la classe operaia lo può fare a condizione che sia diretta dai comunisti.

Da ognuna di queste implicazioni discende una discriminante tra noi comunisti e alcune correnti e FSRS.

Il compito storico che noi comunisti dobbiamo assolvere ha due aspetti legati tra loro, che sono le due facce della stessa medaglia. Uno è spazzar via la borghesia imperialista come classe dirigente. L’altro è trasformare la classe operaia perché diventi capace di essere classe dirigente del paese. (3)

Ognuno di questi due aspetti può realizzarsi solo se si realizza anche l’altro. Sono lo stesso compito visto da due lati diversi. Ma è importante e discriminante avere chiaro che, tra i due, è la realizzazione del secondo che condiziona la realizzazione del primo. È il secondo il compito più complesso. La storia della rivoluzione socialista lo ha confermato. (4) Questa è una discriminante nei confronti dei fautori del militarismo (dei neo-blanquisti). (5) Essi sostengono che la borghesia imperialista è in grado, con la controrivoluzione preventiva, di impedire la trasformazione della classe operaia in classe dirigente; che è in grado, con la controrivoluzione preventiva, di impedire l’accumulazione delle forze rivoluzionarie; che è in grado, con la controrivoluzione preventiva, di impedire la partecipazione delle masse popolari alla politica rivoluzionaria. Secondo loro, occorre prima sbarazzarsi della borghesia imperialista perché la classe operaia possa trasformarsi in classe dirigente. Sorge allora la questione: a chi secondo loro spetta il compito di spazzare via la borghesia imperialista come classe dirigente? I fautori del militarismo si guardano bene dal dirlo esplicitamente, cercano di sorvolare sul problema. Ma se sono coerenti e conseguenti nella loro concezione, questa implica che questo compito dovrebbe essere assolto dai “rivoluzionari”, con le loro organizzazioni combattenti e le loro iniziative combattenti (attentati). È evidente che si tratta di una concezione primitiva, velleitaria e smentita da tutta la storia, prima ancora che essere una concezione contrastante con la concezione comunista, elaborata, sviluppata e verificata dal movimento comunista nei suoi 150 anni di storia.

Ma ritorniamo al nostro compito, alla politica rivoluzionaria come noi comunisti la concepiamo, in coerenza con la realtà e con l’esperienza del movimento comunista.

Il ruolo che noi svolgeremo nei prossimi anni dipende dalla risposta che diamo in teoria e quindi nella pratica alla domanda: che cosa dobbiamo fare noi comunisti per fare diventare il comunismo la coscienza guida dei 7 milioni di operai (si badi bene: coscienza guida dei 7 milioni, non coscienza dei 7 milioni: cosa che nell’ambito della società borghese sarebbe un miraggio)? Che cosa dobbiamo fare per fare del partito comunista l’avanguardia organizzata degli operai, la loro “classe dirigente”?

Ogni gruppo di comunisti si misura con questa domanda e con la risposta che, consapevolmente o meno, esso dà a questa domanda. Anche quelli che non se la pongono e non sono consapevoli che la pratica la pone a tutti noi.

Noi abbiamo a nostro favore principalmente tre fattori.

1. Il fatto che la classe operaia è in grado di trovare una via d’uscita alla condizione in cui la crisi generale del capitalismo la comprime (eliminazione delle conquiste, flessibilità, elasticità, precarietà, distruzione, sterminio e guerra) solo prendendo il potere e instaurando il socialismo e quindi solo facendo del comunismo la sua coscienza guida: ciò renderà la classe operaia via via particolarmente accessibile alla nostra attività, più capace di assimilare le nostre idee comuniste, più disponibile a organizzarsi nelle nostre fila.

2. Il fatto che le masse popolari possono salvarsi dalla via su cui la borghesia imperialista le spinge solo seguendo la direzione della classe operaia: ciò renderà via via più facile alla classe operaia esercitare la sua egemonia e la sua direzione sulle masse popolari.

3. Il fatto che il capitalismo ha sussunto realmente (cioè ha preso in mano, organizzato e trasformato secondo la natura sua propria) e continuamente sussume realmente nuovi aspetti della vita individuale e sociale degli uomini, (6) ha ulteriormente unificato il mondo, ha ulteriormente proletarizzato i sei miliardi di abitanti del pianeta, ha reso la propria valorizzazione antagonista alla sopravvivenza di centinaia di milioni di uomini e donne, (7) per sopravvivere deve alimentare conflitti e contrasti di ogni genere (tra gruppi imperialisti, tra l’imperialismo e le borghesie nazionali, tra le varie parti delle masse popolari, tra classi, razze, religioni, culture, nazioni e regioni), deve rendere via via più acuti questi contrasti (mobilitazione reazionaria delle masse) e gettare comunque le masse popolari in pasto alla guerra. Questo semplifica il nostro compito: esso si riduce a comprendere e creare le condizioni per trasformare la guerra (dichiarata o più spesso silenziosa, “umanitaria”) condotta dall’imperialismo, in guerra delle masse popolari contro la borghesia imperialista, a far coincidere lo schieramento in guerra con la divisione principale che gli interessi e il movimento pratico della stessa società borghese tracciano e approfondiscono nella società.

Questo ultimo fattore mostra anche il legame tra la lotta che noi conduciamo nell’ambito del nostro paese e la lotta che i nostri fratelli comunisti conducono negli altri paesi: tutte queste lotte sono parti di un unico movimento, la rivoluzione proletaria mondiale che si compone della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti e della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi dipendenti dall’imperialismo, una rivoluzione a cui ogni paese porta il suo contributo specifico. Nel nostro paese e negli altri paesi si tratta di trasformare la guerra di sterminio che oggi la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari tramite i suoi rapporti di produzione, tramite il normale svolgimento dei suoi affari, dei contratti e delle transazioni, tramite prassi normali e sostanzialmente condotte senza grande impiego diretto di soldati e di armi, in una guerra vera e propria che si sviluppa man mano che le masse popolari cessano di subire rassegnatamente i soprusi della borghesia imperialista e combattono contro di essa (8) . Alcune iniziative brigantesche della borghesia imperialista favoriscono questa trasformazione della persecuzione subita in guerra: il coinvolgimento delle masse popolari in guerre, la chiamata delle masse popolari alle armi, l’addestramento delle masse popolari all’uso delle armi, il clima di guerra che i gruppi imperialisti promuovono per combattere le loro proprie guerre, le guerre che essi scatenano per tutelare i loro interessi, la militarizzazione crescente che la borghesia imperialista introduce nella società, il crescente carattere criminale (extralegale, non regolato da leggi o illegale) delle sue attività economiche.

I tre fattori favorevoli sopra indicati garantiscono che la nostra vittoria è possibile. Vi sono tuttavia anche fattori sfavorevoli che fanno sì che per noi sarà difficile conquistare la vittoria, che potremo conquistarla solo se combatteremo duramente, cioè senza risparmio di sacrifici e se non commetteremo errori troppo gravi.

Quali sono i principali fattori sfavorevoli? I principali fattori sfavorevoli sono tre. Essi sono connessi dialetticamente tra loro, ma li enuncio nell’ordine di priorità in cui oggi dobbiamo affrontarli.

1. La confusione, lo sbandamento, la demoralizzazione e la corruzione tra i comunisti e la rottura di continuità con il vecchio movimento comunista (dobbiamo affrontare quasi da zero compiti in cui erano stati fatti grandi progressi e accumulata grande esperienza). Questo fattore è aggravato ulteriormente dai limiti che comunque già aveva il vecchio movimento comunista italiano (il principale di essi era la sua debolezza in campo teorico).

3. La sfiducia degli operai in se stessi: essa è legata alla situazione generale del movimento comunista internazionale (crollo del campo socialista minato dal revisionismo moderno), alla deriva militarista del movimento rivendicativo degli anni ‘70, alla lunga azione di corruzione e di disgregazione condotta dai revisionisti moderni, alla prevalenza della destra nella Resistenza, alla prevalenza della grande borghesia e dei proprietari fondiari nella rivoluzione borghese del secolo scorso.

3. L’esperienza acquistata dalla borghesia imperialista nel campo della controrivoluzione preventiva, attraverso il fascismo, il ruolo del Vaticano e delle organizzazioni criminali, il legame con la NATO.

Nonostante questi fattori sfavorevoli, la nostra vittoria è possibile. A lungo termine è anzi sicura: prima o poi il comunismo prevarrà. Non c’è altro futuro possibile per l’umanità: lo sviluppo delle FAUS (Forme Antitetiche dell’Unità Sociale) lo dimostra in modo incontrovertibile. Ma noi non parliamo qui della vittoria del comunismo “prima o poi”. Noi parliamo della vittoria che noi comunisti possiamo e vogliamo raggiungere, parliamo di noi e delle generazioni attuali, parliamo della seconda crisi generale del capitalismo che è in corso da circa 25 anni, parliamo della situazione rivoluzionaria che si sta sviluppando come conseguenza di questa crisi generale, parliamo della lotta di cui noi siamo protagonisti e promotori.

Per sviluppare vittoriosamente la lotta che abbiamo iniziato, noi comunisti dobbiamo porre al centro della nostra attenzione e del nostro lavoro due compiti.

1. Dobbiamo rafforzare noi stessi: chiarire la nostra concezione del mondo, i nostri metodi di azione e di pensiero, imparare ad usarli nella pratica, a tradurli in iniziative, linee e misure pratiche. Chiederci sempre perché facciamo una cosa piuttosto che un’altra, perché la facciamo in un modo e non altrimenti. Assimilare il patrimonio del movimento comunista (il marxismo-leninismo-maoismo), elaborare una teoria rivoluzionaria del mondo presente e del nostro paese (il Progetto di Manifesto Programma è solo il punto di partenza), fare di ciò un’arma per conquistare le coscienze e le persone più avanzate e più capaci del nostro campo e per mobilitare le ampie masse sul piano spirituale e sul piano materiale. Dobbiamo conquistare la mente di chi pensa e il cuore di chi ancora non pensa, onde dirigere le azioni degli uni e degli altri, sviluppare in tutte le masse popolari le loro potenziali capacità di unirsi, di lottare, di progredire, di costruire, di assurgere a ruoli più alti in campo politico e in campo ideologico.

2. Dobbiamo puntare con tutte le forze sul nostro obiettivo chiave che sono i 3 milioni di operai che lavorano nelle circa 4.000 aziende capitaliste con più di 250 dipendenti e, in subordine ma in stretta connessione, su quei circa 2 milioni di proletari che lavorano in aziende non capitaliste (ferrovie, ENEL, poste, ospedali, ASL, aziende municipalizzate, enti pubblici, enti morali, amministrazioni comunali, provinciali, regionali, statale, ecc.) aventi un numero di dipendenti abbastanza elevato da rendere impossibile un rapporto personale col padrone e costringerli a un movimento collettivo e quindi capaci di assimilare il nostro programma comunista anche se non partecipano completamente delle condizioni pratiche della classe operaia. Ognuno di questi collettivi operai e proletari sotto la direzione del partito comunista è capace di un’attività politica autonoma e può esercitare una grande influenza sociale. Quando avremo conquistato loro, avremo compiuto gran parte del nostro lavoro. Essi faranno poi gran parte del lavoro restante.

La conquista dei 3 milioni di operai è un lavoro complesso, è un’arte in gran parte da scoprire e inventare, provando e riprovando. Raggiungeremo questo risultato mettendo in opera svariate iniziative. Alcune avranno i 3 milioni come obiettivo diretto; altre avranno altri obiettivi diretti e le condurremo per creare condizioni migliori per conquistare successi sull’obiettivo principale.

Potremmo enunciare il nostro compito anche nella seguente maniera. Le Dieci misure immediate sono indispensabili. (9) Sono il minimo da cui incomincia il nuovo. Sotto di quello le masse popolari italiane non potranno dare inizio al lavoro di costruzione della nuova società e i problemi accumulati dalla vecchia sono tanto aggrovigliati e arrugginiti che non possono essere sciolti uno a uno: occorre un taglio netto e radicale del groviglio di interessi costituiti che ha al centro la borghesia imperialista, la sua proprietà sui mezzi di produzione e il suo Stato e coinvolge e lega ad essi anche milioni di membri delle masse popolari. Ogni promessa di miglioramento stabile e duraturo senza quelle Dieci misure è demagogia e imbroglio (o illusione e ingenuità). Prima di aver raggiunto quel risultato minimo (punto di partenza del socialismo) indicato nelle Dieci misure , noi indichiamo semplicemente due cose:

1. raccogliere, educare e accumulare forze nella lotta per realizzare le Dieci misure e quindi in primis la costituzione del partito comunista;

2. appoggiare ogni lotta rivendicativa e ogni lotta di difesa di ogni gruppo delle masse popolari contro la borghesia imperialista facendo di ognuna di esse una scuola di comunismo. (10)

Questi sono i nostri compiti immediati, la via per realizzare il nostro compito storico.

È quindi ovvio che noi respingiamo, dobbiamo respingere e smascherare tutte le proposte di trasformazione della società che riducono la trasformazione necessaria e possibile (la trasformazione per cui lottare e in funzione della quale chiamare a lottare la classe operaia), il proletariato e le masse popolari, a un programma di obiettivi come “35 ore a parità di salario”, “lavorare meno per lavorare tutti”, “salario minimo garantito a tutti”, ecc. Ogni rivendicazione che migliora le condizioni di una parte o di tutte le masse popolari va bene, ma nella nostra situazione è un imbroglio o una ingenuità costruire un programma minimo di rivendicazioni. Gli interessi immediati delle varie parti delle masse popolari sono diversi e anche lo stesso obiettivo ha un diverso ordine di importanza per le diverse classi e settori delle masse popolari. Fare un unico programma rivendicativo vuol dire favorire la divisione tra le masse, favorire gli intrighi della borghesia. Le masse popolari attualmente possono unirsi solo sulle Dieci misure. È la realtà che lo dimostra. Persino le 35 ore hanno diviso gli operai. Lo si è visto dove sono state introdotte: in Francia, alla Volkswagen in Germania e altrove. Perché per una parte dei lavoratori hanno comportato un peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Fare di parole d’ordine del genere un programma di trasformazione della società è ingannare le masse popolari, è non prepararle, organizzarle, educarle e armarle per il vero combattimento che devono condurre; quindi vuol dire condurle alla sconfitta, mantenerle nella soggezione alla borghesia imperialista. Se ad esempio noi erigessimo a nostra parola d’ordine generale (cioè che si vuole valida per tutte le masse popolari) “lavorare meno per lavorare tutti” o “35 ore per avere tutti lavoro”, noi divideremmo e inganneremmo le masse. La durata della giornata lavorativa non è la causa della disoccupazione, il lavoro che viene compiuto nella società capitalista non è un dato monte-ore da dividere tra i lavoratori: ciò sarà vero nella società socialista, non lo è nel capitalismo. Nel capitalismo il padrone fa fare solo il lavoro che produce per lui il massimo profitto e fa lavorare nelle condizioni che gli danno il massimo profitto. Il capitalista devia da questo comportamento solo sotto la pressione, la coercizione che i lavoratori esercitano sui padroni e sul loro Stato (cioè sull’associazione, sulla rappresentanza collettiva dei padroni). Ma si tratta sempre di situazioni precarie. Il padrone cerca di rifarsi in ogni modo, di trovare vie d’uscita, di liberarsi dalla minaccia e dalla costrizione dei lavoratori.

Se noi facessimo di quelle parole d’ordine la nostra bandiera generale, vari padroni avrebbero buon gioco a dimostrare con le parole ma soprattutto con la pratica (chiudendo aziende, con ristrutturazioni e delocalizzazioni) che se il singolo lavoratore lavora meno, non solo non si lavora tutti, ma non si lavora proprio, lui chiude e delocalizza, oppure assume lavoratori (italiani o immigrati) disposti a lavorare di più. Oppure si accorderà per ridurre la durata del lavoro (35 ore invece di 40), ma in cambio di orari più flessibili (lavorare quando lui vuole, con i turni che fanno comodo a lui) e di ritmi e carichi di lavoro maggiori. Così hanno fatto i padroni in Francia e alla Volkswagen in Germania. Affrontare ora i problemi della società con simili parole d’ordine generali vale tanto poco quanto poco valse nel passato affrontarli con la parola d’ordine dello sciopero generale.

Noi dobbiamo sostenere (con la propaganda, moralmente e, man mano che le nostre forze organizzate crescono, anche in tutti gli aspetti organizzativi) tutte le lotte e le iniziative dei lavoratori per appropriarsi di ciò che la borghesia imperialista nega loro: quindi salari, contributi, servizi, espropri proletari, occupazioni e rivendicazioni di ogni genere, purché le nostre rivendicazioni tengano conto delle differenze di classe e della diversa posizione delle varie classi: anche nelle lotte rivendicative, come in tutto il resto della nostra attività, noi dobbiamo fare una politica di classe. (11) Non possiamo trattare le classi delle masse popolari come trattiamo la borghesia imperialista e dobbiamo trattare le varie classi delle masse popolari in modo adeguato ad ognuna di esse, per costruire il fronte popolare come strumento della conquista del potere e dell’instaurazione del socialismo.

Raccogliere, formare ed accumulare forze rivoluzionarie, in primo luogo ricostruire il partito comunista e lottare per farlo diventare l’avanguardia organizzata della classe operaia: questo è il nostro compito nell’immediato futuro.

Nicola P.



 

NOTE

 

1. Alcuni problemi che tormentano il nostro paese sono sorti prima dell’avvento della borghesia al potere (il papato e la coercizione materiale e morale esercitata sulle masse dalla chiesa cattolica, l’oppressione delle donne, ecc.). Ma oggi la loro soluzione è impedita dal dominio della borghesia imperialista. Tutte le forme di oppressione e di sfruttamento presenti nel nostro paese a loro volta poggiano sullo sfruttamento degli operai da parte dei capitalisti. Ciò fa sì che, quale che sia il problema che consideriamo, la sua soluzione richiede e parte dalla eliminazione dello sfruttamento degli operai da parte dei capitalisti, cioè dall’instaurazione del socialismo. Non deriva automaticamente da essa, ogni problema richiederà una cura e una lotta specifiche, ma è l’eliminazione del capitalismo che rende possibile la sua soluzione, mentre tutte le proposte di soluzione che non implicano l’eliminazione del capitalismo sono restate (basta considerare la storia del nostro paese e il risultato di tutti i tentativi di riforma materiale o morale) e resteranno lettera morta.

 

2. Molti progetti e sforzi di ammodernamento e sviluppo falliscono o danno risultati opposti a quelli attesi proprio perché non sono basati sulla lotta di classe e sulla mobilitazione delle classi oppresse. I tentativi o propositi di far spegnere il fuoco dai piromani, di far eliminare il razzismo dai razzisti, lo sfruttamento dagli sfruttatori, ecc. non hanno mai dato buoni risultati. Basta considerare i risultati dei vari accordi di pace o democratizzazioni: dal Salvador al Sud Africa, dall’Ulster alla Palestina, dal Nicaragua al Cile.

 

3. Noi non abbiamo il culto degli operai, non sosteniamo che gli operai di oggi sono brave persone. Sono il frutto della storia: delle lotte di emancipazione che hanno condotto e dell’influsso abbrutente che l’asservimento al capitalista ha su di loro. Non sono le qualità morali che li predispongono al ruolo di classe dirigente delle masse popolari nella lotta di queste contro la borghesia imperialista, ma la loro posizione nella società. Le caratteristiche morali degli operai cambieranno man mano che la classe operaia assumerà il suo ruolo di classe dirigente.

 

4. Vedasi in proposito Coproco, I fatti e la testa , Giuseppe Maj Editore (ora Edizioni Rapporti Sociali), pag. 52 e segg.

 

5. Il blanquismo fu una tendenza del movimento socialista francese del secolo XIX, promossa da Louis Auguste Blanqui (1805-1881). Blanqui prese parte attiva al movimento rivoluzionario francese, fu condannato per due volte a morte e tenuto in galera per metà circa della sua vita. I fondatori del marxismo e Lenin hanno considerato Blanqui un vero rivoluzionario e un ardente fautore del socialismo, ma lo hanno criticato aspramente per il suo settarismo e per i suoi metodi da società segreta. “Il blanquismo è una concezione che nega la lotta di classe. Attende la liberazione dell’umanità dalla schiavitù salariata non dalla lotta di classe del proletariato, ma dalle congiure di una piccola minoranza di intellettuali” (Lenin, Per un consuntivo del congresso , 1906). Tendenze blanquiste sorgono ripetutamente e spontaneamente nel movimento delle masse come forma della mobilitazione rivoluzionaria di individui che per motivi di classe o per motivi politici hanno perso o non hanno mai avuto fiducia nella possibilità che la classe operaia e le masse popolari si mobilitino in una politica rivoluzionaria che metta fine al regime della borghesia imperialista.

 

6. Sussunzione formale nel capitale: i capitalisti prendono nelle loro mani la produzione già esistente di un dato oggetto o servizio; essa quindi diventa mezzo per l’estrazione di plusvalore, in altre parole per la valorizzazione del capitale, ma mantiene grossomodo le modalità di lavorazione e le caratteristiche che già aveva. Sussunzione reale nel capitale: i capitalisti trasformano il modo di produrre (di lavorare) e di consumare un bene (o servizio) e la forma e la natura stessa del bene, rendendo tutto più conforme (più idoneo, più adeguato) alla produzione di plusvalore.

 

7. Alcuni dati di fonte borghese (quindi che attenuano le malefatte della borghesia). 3 miliardi di persone, la metà dell’umanità, vivono con un reddito nominale inferiore a due dollari al giorno. 300 milioni di bambini sono sfruttati in condizioni di schiavitù. Il 50% dei bambini soffre di malnutrizione. Più di 600 milioni di persone sono senza casa o vivono in ambienti insicuri e malsani. Il 40% della popolazione mondiale non ha accesso all’energia elettrica. 11 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno per malattie curabili, per fame o per malnutrizione. Più di un miliardo di lavoratori (individui classificati comunque come forza-lavoro) è disoccupato o sottoccupato. La ricchezza del mondo è aumentata di 5 volte negli ultimi 30 anni e proprio per ciò ci sono 600 milioni di poveri in più. Le disuguaglianze tra ricchi e poveri aumentano: la quinta parte più ricca della popolazione dispone dell’80% delle risorse, mentre la quinta parte più povera dispone di meno dello 0,5%. Le 3 persone più ricche al mondo hanno un patrimonio superiore alla somma del prodotto nazionale lordo annuo dei paesi più oppressi dove vivono circa 600 milioni di persone. Le guerre "umanitarie", cioè le aggressioni contro i popoli che non si piegano alle pretese dei maggiori gruppi imperialisti, aumentano di anno in anno.

 

8. La guerra popolare rivoluzionaria nel nostro paese in definitiva culmina nei compiti militari della rivoluzione socialista in Italia, ma non è costituita solo da essi, non si riduce ad essi. Ridurre la guerra popolare rivoluzionaria ai suoi aspetti militari, è una deviazione militarista che condanna a non riuscire a sviluppare la guerra o alla sconfitta se la guerra è già sviluppata. In questa fase precisa la guerra popolare rivoluzionaria ha come obiettivo centrale, che sintetizza tutti gli altri, la ricostruzione del partito comunista. Per questo sosteniamo che il compito principale, anche dei gruppi armati, è contribuire alla ricostruzione del partito comunista e non “rappresentare la classe operaia”, “far pesare gli interessi degli operai nella politica della borghesia”, “destabilizzare il regime”, “colpire il cuore del regime”, “punire i peggiori esponenti del regime” o come altrimenti alcuni gruppi armati indicano l’obiettivo della loro attività.

 

9. Per le Dieci misure immediate vedasi La Voce n. 5 pag. 43 e segg.

 

10. Perché sia chiaro cosa intendo con l’espressione “fare di ogni lotta di difesa una scuola di comunismo” e ad evitare che sia intesa come una frase vuota o un pio auspicio, rinvio all’articolo comparso sul n. 7-8 dell’anno scorso del mensile dei CARC, Resistenza , pag. 2 Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo .

 

11. Perché sia chiaro cosa intendo con l’espressione “fare una politica di classe” e ad evitare che sia intesa come una frase vuota o un pio auspicio, rinvio agli articoli comparsi sui numeri da 1 a 5 del 2000 del mensile dei CARC, Resistenza , a sviluppo dell’articolo Le giornate di Seattle insegnano (n. 1, 2000) e ripubblicati su Rapporti Sociali n. 26/27.

 

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Manchette

"(...) Il lavoro comunista nel senso più stretto, rigoroso della parola, è un lavoro non retribuito a vantaggio della società, un lavoro che non si fa per adempiere a un determinato obbligo né per ricevere il diritto a certi prodotti, né secondo norme legislative stabilite in precedenza; è un lavoro volontario, al di fuori di ogni norma, compiuto senza contare su una ricompensa, senza una retribuzione convenuta, un lavoro fatto per l’abitudine di lavorare a vantaggio della comunità e per la consapevolezza (divenuta abitudine) della necessità di lavorare a vantaggio di tutti; è il lavoro considerato come un’esigenza di un organismo sano.

È chiaro per chiunque che noi - cioè la nostra società, il nostro ordine sociale - siamo ancora molto molto lontani da un largo impiego di un tale lavoro, su scala veramente di massa.

Ma il fatto che la questione sia stata posta, che sia stata posta da tutto il proletariato d’avanguardia (partito comunista e sindacati) e dal potere statale, costituisce già un passo in avanti su questa via.

Per giungere al più, bisogna cominciare dal meno. (...)"

(V.I. Lenin, Dalla distruzione di un ordinamento secolare , 8.4.1920, Opere Complete , vol. 30)

 

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