La Voce 29

03.04 - Contro l’economicismo

La situazione politica e i nostri compiti
martedì 1 luglio 2008.
 
Marx nel 1852 scrisse a Weydemeyer: 

Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storici borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato: 1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi.” In Opere , vol. 39.

 

In questa fase il centro di tutto il nostro lavoro, il suo asse portante è la propaganda del socialismo: in cosa consiste il socialismo (spiegato sulla base dell’esperienza dei primi paesi socialisti e dei sintomi presenti nella nostra società, (1) che è l’anticamera, tormentosa quanto si vuole ma comunque l’anticamera del socialismo), perché l’umanità non può fare a meno del socialismo, perché il socialismo è possibile nonostante la forza e l’opposizione “a ogni costo” della borghesia e del clero, perché la classe operaia è la classe che può e deve dirigere il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo, cosa bisogna fare per arrivare a instaurare il socialismo (la via al socialismo nel nostro paese, la nostra strategia per instaurare il socialismo). Tutto il nostro lavoro deve essere permeato e inquadrato nella propaganda del socialismo come soluzione unica, come soluzione necessaria, come soluzione possibile della crisi politica, economica, culturale (intellettuale e morale) e ambientale prodotta dal capitalismo.

Nei paesi imperialisti la propaganda del socialismo è indissolubilmente associata con la lotta contro l’economicismo. È impossibile che noi comunisti conquistiamo gli operai alla lotta per instaurare il socialismo se siamo inquinati dall’economicismo.

L’economicismo è contemporaneamente 1. la concezione spontanea del proletario che già non si rassegna più ai maltrattamenti cui è sottoposto, ma che è ancora ideologicamente succube della borghesia (ha ancora la mentalità propria della società borghese) e 2. la politica borghese (promossa dalla borghesia) per questi operai. Da qui la sua persistenza e il suo riprodursi in mille forme diverse, come una malattia maligna che insidia e che dove prende piede debilita il movimento comunista.

L’economicismo è la concezione “spontanea” dell’operaio. L’operaio educato dalla società borghese, con la mentalità (la filosofia spontanea) che assorbe dalla società borghese, con la mentalità creata e resa naturale dalla pratica mercantile, del vendere e comperare, arriva alla lotta rivendicativa. Il proletario è un venditore di forza lavoro, il padrone la vuole pagare il meno possibile, il proletario cerca di venderla al prezzo più alto possibile. E scopre la forza dell’associazione come mezzo atto a questo fine. Questo è il sindacato e da qui ha avuto origine e continuamente si rigenera la lotta sindacale, rivendicativa, come che la si chiami, dentro e fuori la fabbrica.

L’economicismo è l’ambito dove la borghesia cerca di confinare l’operaio quando le condizioni generali della civiltà sono tali che è impossibile impedire la lotta delle classi proletarie contro i padroni e vietare la loro associazione a questo scopo. Da noi è stata la filosofia su cui sono nate e vissute la CISL, la UIL, le ACLI, i sindacati gialli e corporativi: l’operaio ha diritto a stare meglio e finché si limita a questo la sua lotta è giusta. Ci sono paesi come la Germania dove per legge e per contratto è proibito alle organizzazioni operaie di occuparsi d’altro. Nei paesi anglosassoni (USA, Gran Bretagna, Australia, ecc.) da decenni oramai, nell’ambito di regimi di controrivoluzione preventiva, (2) i proletari hanno condotto lotte rivendicative anche accanite, organizzate da sindacati borghesi o comunque diretti da economicisti (a volte anche molto combattivi) e le organizzazioni operaie non vanno oltre le rivendicazioni salariali e normative.

Le lotte rivendicative sono indispensabili alle classi proletarie. Ai padroni che spingono il salario più in basso possibile, che in ogni campo cercano di spremere il più possibile i lavoratori, alle Autorità che estorcono tasse, impongono restrizioni ed eliminano conquiste, i proletari oppongono lotte rivendicative, usano la forza dell’organizzazione e del numero, fanno leva sul bisogno che il padrone ha di essi come classe, del consenso e dei voti di cui le Autorità si avvalgono, per esigere salari e condizioni di lavoro e generali migliori. Fin qui noi comunisti siamo tutti d’accordo. Fin qui i disaccordi sono con chi invece sostiene la concertazione, la compatibilità, la collaborazione dei lavoratori con i padroni, le politiche dei sacrifici, la rassegnazione al meno peggio.

La divergenza tra noi comunisti e gli economicisti incomincia da questo punto. Gli economicisti sostengono che gli operai tramite le lotte rivendicative prima o poi arrivano alla lotta politica.

In che cosa consista la lotta politica, ecco il primo tema su cui molti economicisti sono reticenti o ambigui. Lotta contro il governo e le Autorità per indurli a fare leggi e norme favorevoli o almeno meno inique, a stanziare sussidi, a costruire case popolari, ecc., oppure lotta per prendere il potere e instaurare il socialismo? Gli economicisti di casa nostra, quelli che magari onestamente si credono comunisti (quelli, per fare esempi concreti, che dirigono Proletari Comunisti (RossOperaio), Rete dei Comunisti, ecc. che costituiscono varie gradazioni di economicisti) non vi diranno che per loro la lotta politica si limita alla prima cosa. Ma di fatto agli operai parlano solo della prima cosa, lasciano nell’ombra le questioni della strategia e della tattica per la conquista del potere, mischiano sindacato e partito, organizzazioni per la lotta rivendicativa e organizzazioni per la lotta politica, le organizzazioni che costruiscono sono adatte solo per il primo tipo di lotta politica. I capi di Rete dei Comunisti vi dicono anche esplicitamente che compito dell’organizzazione politica è fare da sponda politica (cioè nelle istituzioni borghesi) alle lotte rivendicative dei lavoratori, spingere le autorità borghesi a fare leggi e norme favorevoli ai lavoratori, sostenere le lotte rivendicative e le relative organizzazioni con il prestigio e l’autorità delle cariche istituzionali.

Noi comunisti sosteniamo certo anche lotte politiche rivendicative, iniziative di ogni genere fatte per indurre le Autorità borghesi a fare leggi e stabilire norme favorevoli alle masse popolari, stanziare denaro pubblico a favore delle masse popolari in sussidi, opere pubbliche, scuole, sistema sanitario, ecc. e a ridurre le esazioni fiscali e affini (ticket, bolli, ecc.), a contenere i prezzi che erodono i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti e taglieggiano i lavoratori autonomi. Ma promuoviamo nei lavoratori la coscienza che loro e le altre classi delle masse popolari hanno bisogno di instaurare il socialismo e li spingiamo con ogni mezzo a organizzarsi nella forma necessaria per realizzare questo obiettivo. Ovviamente nel campo della lotta per il socialismo ci sono diversi livelli di coscienza e diversi gradi di organizzazione. Anche noi comunisti ne siamo uno e il Partito comunista si propone di essere il livello più alto di coscienza e il grado più alto di organizzazione. Per questo mette in opera una conseguente politica di reclutamento, di formazione dei propri membri, di selezione dei propri dirigenti, di epurazione dei propri ranghi, pratica al suo interno la critica-autocritica-trasformazione e la lotta tra le due linee e funziona secondo il principio del centralismo democratico. Chiede insomma ai membri del Partito una coscienza, una condotta, uno sforzo, un impegno e una dedizione alla causa del tutto eccezionali anche tra gli operai. Tutto ciò è attinto dall’esperienza del movimento comunista che oramai dura da 160 anni e ha raggiunto grandi successi, senza confronti nel corso della storia umana, anche se negli ultimi decenni del secolo scorso ha subito rovesci e sconfitte. Di fronte ad essi i comunisti non si sono persi d’animo, hanno cercato i motivi di questi rovesci e hanno corretto gli errori e superato i limiti che avevano indebolito il movimento comunista al punto che la borghesia e il clero, che erano in declino, hanno ripreso il sopravvento. La rinascita del movimento comunista in corso nel mondo e anche nel nostro paese, all’insegna del marxismo-leninismo-maoismo e seguendo la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, conferma e verificherà la bontà delle scoperte fatte e delle correzioni apportate.

Come promuovere nei lavoratori una adeguata coscienza che occorre instaurare il socialismo e come organizzarli in modo adatto a raggiungere l’obiettivo? Gli economicisti più vicini a noi comunisti, come esempio citiamo Proletari Comunisti (RossOperaio), non negano questo compito dei comunisti, ma sostengono che le lotte rivendicative sono la via unica o principale attraverso cui gli operai arrivano a concepire che devono lottare per impadronirsi del potere e instaurare il socialismo. Vogliamo portare gli operai a lottare per instaurare il socialismo? Promuoviamo lotte rivendicative, organizziamoli perché conducano lotte rivendicative sempre più spinte, sempre più generali, sempre più combattive (“militanti”) con obiettivi sempre più ambiziosi e vedrete che prima o poi gli operai ci arriveranno a capire che bisogna farla finita con i padroni e prendere in mano il potere. Perché lo Stato interviene in mille modi nelle lotte rivendicative a sostegno del padrone: cosa certamente vera. Perché in molte lotte rivendicative lo Stato stesso è direttamente il padrone, è la principale parte nemica in causa. Infatti le condizioni normative e in alcuni casi anche economiche dei proletari dipendono dalla politica dello Stato. Cosa certamente vera e tanto più vera e importante nei paesi imperialisti dove l’economia è altamente collettiva, dove borghesia e Stato sono fusi nel capitalismo monopolistico di Stato. Basta considerare la speculazione che sta portando alle stelle il prezzo dei carburanti, degli alimentari, di altri beni di consumo e di molti servizi, rovinando i lavoratori dipendenti, i pensionati e molti lavoratori autonomi. Quindi, è la conclusione che traggono gli economicisti, chi vuole instaurare il socialismo deve promuovere e fomentare lotte rivendicative. Gli operai ne capiscono la necessità, mentre non capirebbero niente se parlassimo loro di comunismo e di socialismo. Facendo lotte rivendicative andranno a sbattere il naso contro lo Stato e saranno costretti a rendersi conto che la lotta politica è indispensabile. Non bisogna parlare agli operai di comunismo e di socialismo. Si spaventerebbero, si allontanerebbero da noi, non ci starebbero neanche ad ascoltare. Parliamo invece di salari, di condizioni di lavoro. Queste sono cose “concrete”: queste sono cose che gli operai capiscono perché le sperimentano direttamente. Se noi organizziamo delle rivendicazioni vittoriose, gli operai saranno con noi e potremo poco per volta portarli a lottare anche per instaurare il socialismo.

Su questo nocciolo nascono le mille varianti di economicismo che inquinano il movimento comunista, in certi periodi e paesi arrivano fino a soffocarlo.

Nel nostro paese i sindacati di regime, in particolare la CGIL e i sindacati di base (alternativi) sono pieni di comunisti sostenitori (fautori) di una specie di “lunga marcia verso il comunismo tramite le lotte rivendicative”. Le FSRS sono imbevute di economicismo. Proletari Comunisti (RossOperaio) proclama che “solo la lotta sindacale è concreta”. Che per essere un dirigente comunista bisogna essere “un riconosciuto dirigente sindacale”. Anche le nostre file non ne sono esenti. Quando un compagno arriva in un nuovo posto di lavoro, è “naturale”, è “inevitabile” che cerchi di organizzare qualche rivendicazione. Se non sono in corso lotte rivendicative, in fondo (benché ripeta mille frasi del Partito che dicono il contrario) gli pare che lì non c’è lotta di classe, che “tutti sono arretrati”. Quando un organismo deve stabilire cosa fare, spesso il pensiero corre solo alle lotte rivendicative che si possono promuovere. E ce n’è sempre in abbondanza di lotte rivendicative utili e necessarie, sia per gli operai come per le altre classi delle masse popolari, tante sono le malefatte dei padroni e delle Autorità. In questo periodo più ancora che negli anni scorsi.

In effetti da soli gli operai già fanno lotte rivendicative e fa loro comodo che i comunisti li aiutino. Ma è questo l’aspetto centrale del nostro compito? È vero che le lotte rivendicative si estendono e si rafforzano e prima o poi diventano lotta politica per trasformare l’ordinamento sociale?

L’esperienza mostra cose ben diverse da quelle che dicono gli economicisti. Anzitutto ci sono i lavoratori dei paesi anglosassoni, i paesi capitalisti più avanzati del mondo e anche lavoratori di altri paesi ivi compreso il nostro, che hanno condotto e conducono lotte rivendicative accanite, ma non sono arrivati e sono ancora lungi dall’arrivare ad avere coscienza che per risolvere i loro guai e smettere di dibattersi nella stessa rete, con alterne fortune, un passo avanti oggi e un passo indietro domani se non due, in balia all’iniziativa dei padroni, degli speculatori, dei banchieri, del clero e dei loro governi, devono instaurare il socialismo e ancora più lungi dall’aver costruito un’organizzazione adeguata allo scopo.

Dove i comunisti non conducono un’azione specifica per promuovere quella coscienza e creare quell’organizzazione, le lotte rivendicative non portano gli operai né alla coscienza né all’organizzazione di cui parliamo.

Viceversa ci sono numerosi esempi di paesi e di periodi storici in cui i comunisti hanno svolto il lavoro di propaganda e di organizzazione che diciamo noi, combinandolo con le lotte rivendicative contro i padroni, con le lotte politiche contro i governi e le Autorità per avere riforme e con ogni altro tipo di lotta per obiettivi circoscritti e immediati e usando ognuna di esse come scuola di comunismo. Qui i comunisti sono più volte riusciti a creare un vasto movimento di operai e di membri di altre classi delle masse popolari con la coscienza e l’organizzazione adatte a lottare per instaurare il socialismo. Basti pensare da noi al Biennio Rosso e alla Resistenza con gli anni immediatamente successivi prima che i revisionisti moderni prendessero il sopravvento nel partito comunista e un po’ alla volta, con molto sforzo, tatto e accortezza, lo trasformassero in un partito della sinistra borghese (che si occupa di lotte rivendicative, ma non di socialismo e denigra il movimento comunista). Basti pensare alla Rivoluzione d’Ottobre e all’Unione Sovietica, alla rivoluzione cinese e alla Repubblica Popolare, alle tante altre rivoluzione socialiste e di nuova democrazia che i comunisti hanno diretto nel secolo scorso e a quelle che ancora dirigono oggi.

Consideriamo ora più attentamente le cose. Per quanto siano avanzati e grandi le richieste che facciamo ai padroni e le rivendicazioni che avanziamo, per quanto siano combattive le lotte rivendicative che conduciamo, queste restano sempre una cosa qualitativamente diversa dal volersi impadronire del potere, eliminare i padroni e instaurare il socialismo. Sono due ordini di cose diverse. C’è un salto tra le due. I movimenti rivendicativi quindi differiscono dalla lotta per il socialismo anzitutto per l’obiettivo.

La lotta per il socialismo e il comunismo non è la lotta rivendicativa più avanzata, più radicale e più generale: il socialismo e il comunismo non sono affatto rivendicazioni. C’è la differenza che corre tra un ragazzo che reclama ed esige questo o quello dalla mamma e un adulto che si emancipa dalla mamma e fa la sua strada. Il comunismo e il socialismo sono prima un sogno, un sogno a occhi aperti, un sogno realista come i sogni di Pisariev di cui parla Lenin nel Che fare? (il trattato classico contro l’economicismo, scritto più di cento anni fa: lo cito a riprova di quanto sia “nuovo” l’economicismo). In secondo luogo sono una scoperta scientifica fatta da Marx ed Engels, i fondatori del movimento comunista. La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. La dottrina del socialismo e del comunismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. (3)

Con la mentalità (la filosofia) che lo sviluppo dell’economia mercantile e capitalista crea nella popolazione dei paesi borghesi e in via di divenirlo, gli operai potevano e dovevano condurre lotte rivendicative. A questo fine essi dovevano associarsi, costituirsi in sindacati, rivendicare collettivamente questo o quello dai proprietari e dalle Autorità. È quello che è avvenuto in ogni paese man mano che esso diventava borghese.

La storia di tutti i paesi moderni mostra però anche che gli operai sono più ricettivi delle altre classi alla teoria comunista (al marxismo). È facile capire il perché. Gli operai costituiscono, con la borghesia, una delle due classi della grande produzione e la società moderna si fonda sulla grande produzione, sulle forze produttive collettive, sulla divisione sempre più spinta del lavoro tra unità produttive e reparti e sulla loro combinazione. Il comunismo nel senso moderno, attuale del termine, riprende e continua lo sviluppo intellettuale, morale e pratico portato dalla borghesia nella storia umana e supera le contraddizioni che la borghesia, l’ultima delle classi sfruttatrici, non può superare, le contraddizioni (in campo economico, morale, intellettuale, politico, ambientale) in cui si dibatte oggi l’umanità e che mettono in gioco la sua stessa sopravvivenza. Gli operai per la loro posizione sono in grado di capire tutto questo più di qualsiasi altra classe, nonostante la condizione intellettuale e morale in cui la borghesia li tiene, perché il percorso che i comunisti propongono è anche la loro particolare emancipazione dalla borghesia che essi vanamente cercano con le lotte rivendicative, alle quali arrivano anche spontaneamente, ovviamente con la spontaneità propria di un lavoratore della società borghese.

Ma movimenti rivendicativi e lotta per il socialismo non si differenziano solo per l’obiettivo. Anche la struttura di una organizzazione rivendicativa, le relazioni su cui è costruita, gli statuti che la reggono sono per forza di cose diversi dalla struttura dei partiti comunisti che hanno come loro scopo centrale la lotta contro la borghesia e il suo Stato per prendere il potere e instaurare il socialismo. Proprio perché i due tipi di organizzazione hanno obiettivi diversi. Le caratteristiche dei quadri e dei dirigenti, le attitudini richieste ad essi e la loro formazione sono differenti nei due tipi di organizzazione, perché diverse sono le lotte che devono condurre, le situazioni che devono affrontare, i compiti che devono svolgere.

L’organizzazione per instaurare il socialismo si costruisce anche quando e dove non vi sono lotte rivendicative, dove non possono esserci lotte rivendicative. I comunisti costruiscono cellule di partito anche in campo nemico: nelle forze armate, nella polizia, nei carabinieri, tra i magistrati, tra le guardie carcerarie, tra i funzionari dello Stato borghese, dovunque. Il comunista che entra in un ambiente, non cerca anzitutto e sempre quale lotta rivendicativa può promuovere. Cerca chi in quell’ambiente è più accessibile agli ideali del comunismo, più capace di capirli e abbastanza generoso per aderirvi e arruolarsi nella lotta per farli valere.

Ma c’è ancora altro. Nelle società capitaliste più sviluppate, dove il capitalismo ha raggiunto lo stadio più alto del suo sviluppo, la società è oramai combinata in modo tale, la sua struttura economica è tanto collettiva che ogni rivendicazione di una parte lede gli interessi di un’altra o come minimo viene usata dalla borghesia come pretesto per ledere gli interessi di un’altra o ricavarne un vantaggio politico (dividere e contrapporre, assoggettare a sé, ecc.). Se gli operai della fabbrica X fanno un’efficace opposizione alla chiusura, il padrone chiude la fabbrica Y, magari in un altro paese e indica agli operai della fabbrica Y gli operai della fabbrica X come responsabili della loro disgrazia. I pensionati che vogliono una pensione dignitosa sono la rovina dell’economia del paese. Se gli incidenti stradali diminuiscono, officine di riparazione, fabbriche d’auto, ambulatori e pompe funebri chiudono e becchini vengono licenziati. Se diminuisce la gente che fuma, operai e contadini del tabacco e tabaccai sono nei guai. Tutta la società è costruita così. La lotta per instaurare il socialismo unisce i lavoratori e le masse popolari che le lotte rivendicative nell’ambito della società borghese metterebbero gli uni contro gli altri. In periodi di crisi economica, quando la disoccupazione imperversa, condurre lotte rivendicative diventa più difficile. Spesso si lotta, si sciopera e ci si guadagna poco o niente. L’inflazione mangerà domani l’aumento che strappi oggi. Costringi il padrone a non licenziare e quello dopodomani fallisce o delocalizza. La lotta rivendicativa sembra senza senso. Proprio in questi periodi la lotta per il socialismo dà un senso anche alle lotte rivendicative, se queste funzionano come efficaci scuole di comunismo e avvicinano alla lotta per instaurare il socialismo gli operai e le masse popolari che partecipano alle lotte rivendicative, rafforzano la loro determinazione a lottare, allargano la loro organizzazione, spingono i migliori ad arruolarsi nel partito comunista. A sua volta la coscienza e l’organizzazione comuniste infondono forza alle lotte rivendicative e sviluppano la solidarietà tra lavoratori e masse popolari di aziende, settori e paesi diversi, uniti contro i padroni, il clero e i loro governi per instaurare il socialismo.

Infine, di fronte alle lotte economiche e al resto delle lotte rivendicative, sia politiche (rivolte cioè a indurre le Autorità politiche dello Stato nemico a prendere determinate misure) sia rivolte contro singoli proprietari e altri notabili del regime, la parola d’ordine degli economicisti è “politicizzare la lotta economica”. Ma la parola d’ordine dei comunisti è “fare della lotta economica una scuola di comunismo”. (4) La lotta per instaurare il socialismo è il contesto necessario per sviluppare su larga scala e con più successi immediati le lotte rivendicative, oltre a rispondere alle domande che il capitalismo, giunto a un avanzato grado di sviluppo, pone circa il futuro dell’umanità.

Ernesto V.

 

 

Note

1. Già oggi una grande azienda è composta di decine o centinaia di reparti, a volte posti a grande distanza l’uno dall’alto. Ogni reparto ha in dotazione e riceve quanto gli è necessario per svolgere la lavorazione a cui è addetto e passa il suo prodotto, della qualità e nella quantità stabilite, a un altro reparto. Non vende né compera, non scambia, non ha rapporti mercantili con gli altri reparti. Quello che oggi sono e le relazioni che hanno tra loro le centinaia di reparti di un grande industria, domani lo faranno le migliaia di unità produttive di un paese socialista e, dopodomani, le centinaia di migliaia di unità produttive del mondo intero.

M. Martinengo ed E. Mensi, Un futuro possibile (2006), E. Rapporti Sociali.

 

2. A proposito della natura e della storia del regime di controrivoluzione preventiva, vedere Manifesto Programma, cap. 1.3.3. pag. 46-56.

 

3. Lenin, Che fare? cap. 2a, in Opere complete , vol. 5 pag. 346.

 

4. Il significato di scuola di comunismo è illustrato nel Manifesto Programma, nota 30 pag. 262.