La Voce 19

7 - Il lavoro pubblico del partito clandestino

giovedì 1 marzo 2007.
 

 

Avanti, per consolidare e rafforzare il (nuovo)Partito comunista italiano!

Il lavoro pubblico del partito clandestino

Un compagno di un organismo aderente al FP-rpc scrive.

Il passo avanti fatto recentemente nella direzione di ridare il partito alla classe operaia e alle masse popolari italiane non può che essere salutato con gioia da tutti noi.

Questo fatto tuttavia ci porta a ridisegnare certi strumenti onde adeguarli alla mutata situazione (ossia ci porta a nuove considerazioni inerenti l’organizzazione). Esso porta all’attenzione anche la questione dei tempi e dei modi con cui il processo sta procedendo (ossia ci porta a riconsiderare questioni di tattica e strategia).

1. Ritengo che una delle prime considerazioni sia prendere atto del non raggiunto obiettivo dell’unificazione delle forze soggettive (FSRS) quanto meno all’interno del Fronte (FP) inteso come luogo di dibattito tra forze oggettivamente unite dal comune scopo della lotta per la ricostruzione del partito comunista. Le forze soggettive nella loro stragrande maggioranza sono state sorde a tutte le proposte provenienti dal FP e ciò per due motivi: a) motivo soggettivo . Molte di esse sono del tutto prigioniere di una visione settaria da piccolo gruppo (fondata paradossalmente su economicismo e spontaneismo) e fino a quando la situazione non lo impone non sono disposte a rinunciare alla loro individualità di piccolo gruppo. In questo motivo va ovviamente inclusa, seppure con peso minore, la nostra stessa difficoltà a liberarci da scorie settarie appiccicate da vecchia data; b) motivo oggettivo . Le forze del FP che avrebbero dovuto innescare un processo a cascata sono molto esigue, non raggiungono la massa critica. Per questo il processo preconizzato non è avvenuto (solo pochissime realtà in Italia sono state direttamente toccate dalle proposte di dialogo del FP).

Naturalmente questa constatata sordità non significa che il discorso con tali forze vada considerato chiuso. Ciò sarebbe improponibile se pensiamo quanto l’universo delle realtà avanzate attive nei movimenti sia incredibilmente vasto. Personalmente sono convinto che il tempo lavori per i processi di unificazione e ciò dal momento che una o più organizzazioni (CARC e altre aderenti al FP) hanno lanciato la parola d’ordine dell’unificazione e ne hanno fatto un tratto distintivo della fase. Pertanto, anche con FP trasformato rispetto alla configurazione attuale, il discorso sull’unità dovrà continuare a essere un tratto distintivo almeno fino a quando il processo di unificazione non abbia avuto successo all’80% o al 90%.

2. La seconda considerazione riguarda cosa deve divenire il FP dal momento che a) la costruzione del partito ha fatto un passo avanti; b) la primitiva concezione del Fronte si è rivelata inadeguata. La risposta al quesito è deducibile dalla concezione del partito che dobbiamo avere. Il partito personalmente lo vedo come una sorta di piramide con al vertice la CP (in futuro il Comitato centrale) e sotto, in strati sempre più vicini alla base, i Comitati regionali, i Comitati provinciali, quelli cittadini e alla base di tutto i Comitati locali di Partito (sia territoriali che dei luoghi di lavoro). Il Partito per me è il cervello della classe operaia e delle masse popolari. In quanto tale deve essere salvaguardato con tutte le misure possibili dalla repressione e controrivoluzione preventiva. Sotto il Partito-cervello abbiamo il Partito-corpo (organizzativamente distinto dal Partito-cervello). Solo attraverso quest’ultimo è possibile trasformare il pensiero elaborato dal Partito-cervello in forza materiale atta a muovere le masse. Questo Partito-corpo è secondo me ciò che dovrebbe divenire l’attuale FP. Un organismo, del tutto legale nella fase attuale, che si raccorda immediatamente con le larghe masse che sentono il bisogno di comunismo, che sentono il Partito come sangue del loro sangue ma che per motivi soggettivi o oggettivi non possono scegliere la militanza di membri effettivi del Partito. Questa cosa dunque sarebbe la base su cui poggia la piramide del Partito. Quali i compiti di questo organismo? Un solo compito, quello di tradurre la linea e l’elaborazione del partito in linea di massa, in forza materiale, in azione. All’interno di esso oltre agli organismi squisitamente politici dovrebbero stare organismi più di settore afferenti ai vari fronti. Ecco questo è quel che dovrebbe essere il FP nel prossimo futuro

È chiaro che il nome Fronte potrebbe essere visto come non perfettamente adeguato alla nuova configurazione. E così potrebbe essere visto più adeguato il nome di Blocco. Anche il termine “ricostruzione” non risulta adeguato dal momento che il processo di ricostruzione è sempre più diretto dalla CP. Propongo quindi la modifica del nome “FP-rpc” in “Blocco popolare per il Comunismo”.

3. La terza considerazione riguarda il rapporto tra Partito e Blocco Popolare. Questo non può essere un rapporto di tipo burocratico. Ciò significa che il Blocco popolare dovrebbe essere organizzativamente autonomo, con una sua direzione nazionale politica eletta, etc. Il controllo del Partito sul Blocco popolare dovrebbe essere assicurato dalla presenza dei comunisti (del Partito) all’interno del Blocco, e dalla loro capacità di divenirne parte dirigente grazie alla coerenza e realismo delle proposte, grazie alla dedizione, grazie alle qualità morali, grazie alla capacità di comunicare con gli aderenti al Blocco.

4. La quarta considerazione riguarda la strutturazione interna del “Blocco popolare”. Questa è costituita da organismi “politici” e organismi di “settore”. Gli organismi politici non c’è ragione perché non vengano unificati e a livello più avanzato. Tutti gli organismi quindi dovrebbero diventare CARC. Farebbero eccezione a questa regola gli organismi di settore per es. i Centri di documentazione, circoli culturali, associazioni di solidarietà (per es. ASP), che pur rimanendo autonomi (questa autonomia sancita anche nel nome: l’ASP per esempio continuerebbe a chiamarsi ASP) dovrebbero in qualche modo essere rappresentati entro la Direzione Nazionale del Blocco.

Anche il nome CARC a mio parere si rivela inadeguato. Esso contiene il termine troppo limitativo “ Comitati ” e il riferimento alla “ Resistenza ” che il Partito tenderà sempre più a superare attraverso una strategia mista di difesa-attacco. I CARC, quindi entrerebbero nella Direzione Nazionale come “Blocco settore politico” mentre gli altri organismi come “Blocco settore massa”

5. Come ultima considerazione voglio dire che deve essere prevista dagli organismi competenti (CP e Direzione Nazionale Blocco) l’obbligatorietà dei Comunisti sia del Partito che del Blocco (anche i comunisti del Blocco non membri del Partito andrebbero valorizzati) di essere presenti negli organismi locali di settore (ricordiamoci che i comunisti sono stati capaci durante le dittature più repressive di lavorare anche nei Sindacati fascisti). Naturalmente sarà il Partito a stabilire quale suo membro si potrà esporre per periodi lunghi o brevi a lavorare in pubblico (per es. in organismi di massa o di settore). Eventualmente il Partito potrà disporre che alcuni suoi membri non debbano mai esporsi al pubblico. Il Partito infine potrà anche incaricare persone prossime ma non membri effettivi a svolgere compiti anche delicati se le condizioni lo dovessero richiedere.

10 gennaio 2005

 

 

Pubblichiamo questo scritto tra i comunicati e le lettere indirizzati alla CP, anche se il compagno che l’ha redatto non l’ha indirizzato espressamente alla CP, perché consente una messa a punto sul Partito probabilmente utile a vari lettori. Lo scritto propone uno schema di relazioni e di divisione dei compiti tra organismi diversi che in parte li confonde e in parte li combina in un modo molto diverso da quello che noi indichiamo. È impossibile distinguere nello scritto le considerazioni e proposte del compagno che riguardano il Partito, da quelle che riguardano organismi (FP-rpc, CARC, ASP, ecc.) a nome dei quali ovviamente non possiamo parlare. Siamo quindi costretti a dire la nostra sulla concezione del Partito che traspare o è esplicitamente affermata dal compagno, esponendo in positivo la nostra concezione relativamente ai punti di cui il compagno si occupa.

Secondo la concezione del partito che guida la CP e che deriva dal nostro bilancio dell’esperienza e dal patrimonio del movimento comunista, il Partito esiste con sue organizzazioni dal vertice fino alla base, dal Comitato Centrale (provvisoriamente CP) fino alla cellula (CdP di base). Esso è contemporaneamente cervello e corpo di se stesso. Esisterebbe anche se non esistessero il FP-rpc, i CARC e nessun’altra FSRS. Come il compagno ricorda, al tempo del fascismo il PCI clandestino conduceva un suo lavoro anche nei sindacati fascisti. Il Partito traduce esso stesso la sua linea in “forza materiale atta a muovere le masse”, “in forza materiale, in azione” (quanto alla “linea di massa”, è il principale metodo di direzione e di lavoro del Partito nel dirigere tutto quello che esso riesce a dirigere o cerca di dirigere, comprese ognuna delle FSRS, le organizzazioni reazionarie, gli “organismi locali di settore” di ogni genere e tipo, già esistenti o che il partito stesso fa sorgere). Se Partito-cervello e Partito-corpo fossero due organizzazioni distinte, la prima clandestina “che non si raccorda immediatamente con le masse” e la seconda legale che compie il lavoro di massa, l’unità teoria-pratica sarebbe impossibile. Il Partito non è fatto da compagni che vivono nascosti in un altro mondo, che non si “espongono a lavorare in pubblico” se non “per periodi lunghi o brevi”, ecc. Né il partito può in generale affidare “compiti delicati” a “persone prossime ma non membri effettivi”: se sono prossime al partito, ma non “membri effettivi” (cioè semplicemente non sono membri), si tratta di quelle persone che “per motivi oggettivi o soggettivi non possono scegliere la militanza nel partito” anche se “sentono il bisogno di comunismo, sentono il Partito come sangue del loro sangue”. Ma come potrebbero svolgere compiti delicati per il Partito, se non possono essere membri del Partito? Una persona del genere può solo avere un rapporto fiduciario con un membro del Partito e svolgere per lui un lavoro importante e prezioso, ma specifico, limitato e ben definito: ospitare un compagno di passaggio, sottoscrivere denaro per il Partito, procurare un indirizzo, dare un’informazione, portare un messaggio, rilanciare una parola d’ordine, contribuire a una mobilitazione, ecc. Fare insomma parte di quell’area di collaboratori consapevoli di lavorare tramite il compagno per il Partito e quindi di assoluta fiducia, che ogni membro del Partito cerca di costruire attorno a sé. Persone che per le loro caratteristiche e condizioni non fanno un lavoro regolare, continuativo e complessivo per il Partito e quindi non sono membri del Partito, in conformità con la prassi invalsa nel movimento comunista fin dalla celebre discussione del 1903, al II Congresso del POSDR in cui nacquero i bolscevichi. Il Partito è costituito da compagni, alcuni (pochi) funzionari (rivoluzionari a tempo pieno, di professione), altri (la maggior parte) in produzione; alcuni (pochi) passati nell’illegalità (che vivono con identità, apparenze e attività di copertura, come clandestini), altri (la maggior parte) che continuano a vivere nel loro ambiente di sempre; alcuni che svolgono attività politica normalmente in qualche organizzazione di massa o in qualche forza soggettiva (e quindi sono schedati dalla polizia per questa loro attività: in Italia centinaia di migliaia di persone sono schedate dai Carabinieri, dalla Polizia e forse anche da altri corpi della controrivoluzione preventiva; certamente è schedato chiunque svolge qualche attività politica o occupa qualche carica), altri che non svolgono alcuna attività politica (sono insospettabili, uomini qualunque, parte della “massa anonima”, persone al di sopra di ogni sospetto). Tutti questi compagni fanno parte del Partito, perché ognuno di essi fa parte di una organizzazione del Partito. Ogni organizzazione del Partito ha una sua vita interna (attività clandestine relative al suo proprio funzionamento: riunioni, formazione, raccolta quote, reperimento e gestione della proprie risorse, eventualmente reclutamento); ha contatti regolari, organizzati e clandestini con alcune ben definite organizzazioni del partito (e non con le altre); svolge per conto del Partito un lavoro di cui è incaricata (il suo lavoro istituzionale). Questo lavoro può essere clandestino (ad esempio preparare la stampa centrale del Partito, preparare i documenti falsi per i clandestini, tenere regolari contatti con i responsabili di determinati organismi) o semiclandestino. Si pensi ad es. ad un CdP di base, costituito da tre membri, che come compito istituzionale cura l’orientamento e dirige l’attività sindacale e politica dei lavoratori di una fabbrica di medie dimensioni, ad es. 700 lavoratori. Per quanto riguarda il loro lavoro istituzionale, i tre periodicamente si riuniscono clandestinamente tra loro, fanno l’analisi della situazione politica e sindacale della loro fabbrica e dei loro contatti e il bilancio dell’attività svolta, stabiliscono quali obiettivi il CdP si pone e quale linea seguire nella data situazione, decidono quali attività ognuno di loro deve svolgere in un dato periodo e come: alcune dovranno essere svolte individualmente, altre a gruppi di due o tre; alcune dovranno essere svolte clandestinamente (ad es. affiggere una locandina o fare scritte murali, procurarsi un calcolatore, ecc.), altre parlando (a titolo individuale o come membro dell’organismo sindacale X o del coordinamento per la solidarietà con Y o ad altro titolo) con un lavoratore o in un’assemblea. Analogamente è facile immaginare il lavoro istituzionale di un CdP intermedio. Tutto questo è molto semplice e non c’entra con il modo in cui i sindacati di regime o alternativi, le FSRS, i CARC, il FP-rpc, le cooperative, le bocciofile o altri decidono di organizzarsi per svolgere l’attività che decidono di svolgere. Perché, come insegna Lenin che in questo campo è il nostro maestro, per quanto riguarda la forma, l’organizzazione illegale si adegua essa alle organizzazioni legali, in modo da essere presente quanto più possibile capillarmente in ogni organismo delle organizzazioni legali comunque queste si strutturino. Mentre per quanto riguarda il contenuto (l’orientamento, le parole d’ordine, gli obiettivi, i metodi di lavoro, ecc.) al contrario il partito deve ottenere, col metodo della linea di massa (quindi con i mezzi che il compagno indica - coerenza e realismo delle proposte, dedizione, qualità morali, capacità di comunicare - e con gli altri che fanno parte del metodo più volte illustrato), che le organizzazioni legali seguano la linea fissata dall’organizzazione illegale (Lenin, Partito illegale e lavoro legale , 1912, in Opere vol. 19).

Nello stesso scritto, Lenin riassume il funzionamento del partito illegale dicendo: “Il partito è costituito da cellule clandestine, illegali, che devono crearsi dei punti di appoggio per il lavoro tra le masse sotto forma di una rete, quanto più possibile estesa e articolata, di svariate associazioni operaie legali” oppure ovviamente servirsi di quelle che già ci sono. “Cellule illegali attorniate da una rete di associazioni legali il più possibile larghe e articolate”, siano esse FSRS, organizzazioni sindacali, associazioni culturali, sportive, di solidarietà, ricreative o altro.