La Voce 26

Un duro colpo per il “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”

venerdì 15 giugno 2007.
 

Un duro colpo per il “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”:

una vittoria nella lotta contro l’estradizione dei tre militanti del (nuovo)Partito comunista italiano!

 

 

Il processo tenutosi a Parigi il 4, 5 e 6 aprile 07 contro i tre militanti del (n)PCI, Giuseppe Maj, Giuseppe Czeppel e Angelo D’Arcangeli e i due militanti della Fracciòn Octubre del PCE(r), José Antonio Ramon Teijelo e Manuela Ontanilla Galan, si è concluso con una nuova vittoria della lotta contro l’estradizione e contro l’Ottavo Procedimento Giudiziario a carico della “carovana” del (n)PCI.

Abbiamo inflitto una sonora sconfitta ai nemici dei lavoratori e del movimento comunista!

A partire dal 2004 la borghesia italiana e francese ha affidato la persecuzione del (n)PCI al “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”. 1 Questo aveva progettato di estradare in Italia i tre compagni e subito dopo emettere dai 15 ai 40 mandati di arresto nei confronti di presunti membri del Partito, per lo più compagni del Partito dei CARC, nel quadro dell’Ottavo Procedimento Giudiziario (OPG) condotto per “associazione sovversiva” contro la “carovana” (titolare dell’inchiesta l’aspirante Torquemada italiano: il giudice Paolo Giovagnoli della Procura di Bologna). Questo gruppo di compagni sarebbe stato privato della libertà dai 12 ai 24 mesi, periodo di arresto preventivo antecedente l’ennesimo “non luogo a procedere” o “assoluzione per mancanza d’indizi”.

Il Partito si era posto l’obiettivo di impedire questa vera e propria “caccia grossa”. La posta in gioco era importante. Il diritto dei comunisti e delle altre correnti del “movimento per trasformare lo stato attuale delle cose” (cioè la società borghese), di svolgere attività politica apertamente, alla luce del sole, in Italia è una delle principali conquiste della Resistenza. La borghesia non ha ancora osato abolirlo apertamente. Con la pluridecennale fraudolenta persecuzione della “carovana” essa cerca però di far valere di fatto la regola che chi è contiguo al (nuovo)Partito comunista italiano non ha diritto di svolgere attività politica. Bisogna difendere i diritti delle masse popolari. I diritti dei comunisti sono diritti delle masse popolari. La borghesia cerca di soffocare i comunisti per contenere la resistenza delle masse popolari, perché c’è “una prateria che può prendere fuoco”. Ma la borghesia opera fraudolentemente, perché non ha la forza di colpire apertamente. Dobbiamo approfittare di questo suo punto debole.

La vittoria tuttavia non era scontata. I rapporti di forza con cui è iniziata nel maggio 2006 questa lotta non erano infatti favorevoli, soprattutto in Francia. La linea adottata dal (n)PCI ha permesso di ribaltare la situazione, ha costretto il nemico di classe alla ritirata. La “carovana” anziché uscire con le ossa rotte da questa battaglia ne è uscita vittoriosa e rafforzata, in termini di prestigio, di accumulazione delle forze e di esperienza.

Dobbiamo festeggiare questa importante vittoria!

Questa battaglia ha mostrato concretamente di cosa il (n)PCI è capace per appoggiare le organizzazioni comuniste legali presenti nel nostro paese. In altre parole, cosa il Partito intende per solidarietà davanti alla repressione. Il (n)PCI ha tracciato la linea più efficace per ostacolare l’Ottavo Procedimento Giudiziario, benché cosciente che in caso di vittoria ci sarebbero state in Francia pene pesanti e fuori dal normale per i suoi tre militanti “nella mani del nemico”.

Questa è una grande lezione di solidarietà e di serietà rivoluzionaria che il Partito ha dato a tutto il movimento comunista del nostro paese! Bisogna farla conoscere più largamente possibile!

Ogni battaglia comporta delle perdite, dei caduti e dei feriti. Anche una battaglia vittoriosa. Le condanne pesanti inflitte in Francia a Giuseppe Maj e a Giuseppe Czeppel (3 anni di detenzione, 2 anni di libertà condizionale, interdizione a vita di entrare in Francia e mandato di cattura immediato) e ad Angelo D’Arcangeli (1 anno di detenzione e 1 anno di libertà condizionale) sono le nostre perdite in questa battaglia, il colpo di coda del nemico davanti alla sconfitta.

Alcuni compagni vedono solo le nostre perdite e dimenticano la nostra vittoria contro la manovra del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”. Dimenticano l’obiettivo che il Partito si era posto in questa battaglia. Dimenticano la guerra in corso. Alcuni vedono l’albero e dimenticano la foresta. Altri hanno un’attitudine vile e disfattista: per non avere perdite non darebbero mai battaglia. Gli uni come gli altri sono portati a concepire questa vittoria come una sconfitta, a cadere nella demoralizzazione anziché festeggiare il colpo inferto al nemico di classe, a mettere in discussione la linea seguita dal Partito nel condurre questa battaglia anziché studiarla per applicarla creativamente nelle prossime battaglie e arricchirla.

Siamo davanti ad un problema ideologico. Questi compagni non hanno ancora assimilato la concezione della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. In sintesi: ancora non comprendono 1. che per vincere la guerra bisogna dare tutte le battaglie in cui la probabilità di vincere è buona e non lasciarsi costringere a battaglie perse, 2. che se ci si lascia costringere a una battaglia persa, di regola piuttosto che una ritirata vergognosa senza combattere è meglio combattere e vendere cara la pelle, 3. che per vincere le battaglie bisogna mettersi in una logica militare ed essere disposti a fare sacrifici. Che cosa vuol dire questo?

Il nemico voleva colpire un gruppo composto da 15 a 40 compagni, voleva conquistare una posizione e ridurre ulteriormente l’agibilità politica dei comunisti. La linea seguita dal Partito ha fatto saltare i suoi piani e l’ha obbligato a fare un passo indietro. In questa battaglia abbiamo avuto tre compagni colpiti da gravi condanne (i nostri “feriti”) che comunque per lo più non sarebbero stati assolti, ma estradati in Italia. Chi è che ha vinto?

Per essere ancora più concreti, poniamoci le seguenti domande: se il (n)PCI non avesse tracciato e applicato questa linea, il Congresso tenuto dal Partito dei CARC nel mese di maggio 07 si sarebbe forse potuto tenere, data la “caccia grossa” che il Giovagnoli avrebbe fatto e che avrebbe toccato principalmente il gruppo dirigente di questa organizzazione? Sarebbe stato possibile al PdCARC partecipare con efficacia alle elezioni amministrative del 27 maggio?

Il Congresso si è invece tenuto ed è stato un passo importante in avanti nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Nelle elezioni amministrative il PdCARC ha individuato zone in cui svolgere la sua attività con forza per mobilitare i simpatizzanti della causa comunista e conquistarne di nuovi. L’unica cosa che il Giovagnoli ha potuto fare è far pubblicare qualche articolo diffamatorio nei confronti del Partito dei CARC e far pressione su alcune delle personalità italiane che avevano firmato l’appello contro l’OPG.

Allora, chi è che ha vinto?

Vedendo le cose con questa concezione, cambia anche il modo di relazionarsi con i “feriti”. Anziché piangerli bisogna rendere onore alla loro dedizione alla causa: i compagni Giuseppe Maj, Giuseppe Czeppel e Angelo D’Arcangeli sono degli esempi da seguire!

Siamo davanti alla dimostrazione chiara che l’esistenza di un partito che opera in piena autonomia e indipendenza rispetto al nemico di classe (quindi un partito clandestino guidato dal marxismo-leninismo-maoismo) costituisce una protezione per le organizzazioni legali presenti nel nostro paese e non, come ancora affermano alcuni opportunisti e soggettivisti, “la causa di tutti i problemi”. Quanto maggiore sarà lo sviluppo del partito clandestino, tanto più difficile sarà par il nostro nemico di classe attaccare una o l’altra delle organizzazioni legali, almeno finché manterrà l’attuale forma di regime “democratico”. La clandestinità permette infatti di trasformare ogni attacco in un contributo alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari; in un elemento che aggrega forze rivoluzionarie attorno al partito comunista, rafforza la resistenza delle masse popolari, aumenta l’instabilità del regime, intacca l’egemonia della classe dominante. 2 È una trasformazione che, con la sua forma “democratica”, il regime non riesce a impedire.

Se la direzione del movimento delle masse popolari non è completamente nelle mani della destra e di elementi oscillanti, per soffocare le organizzazioni legali e la resistenza delle masse popolari il nemico di classe deve cambiare forma al suo regime, sbarazzarsi della facciata “democratica” e scendere sul terreno della guerra civile. È ciò a cui il regime nella pratica si prepara da anni: corpi armati mercenari, schedature, organismi segreti, mobilitazione reazionaria delle masse popolari, ecc. Ma farà il passo solo se sarà sicuro di vincere o non ne potrà fare a meno. Quando la borghesia renderà aperta questa sua attività ora camuffata, ciò deve segnare il passaggio dalla prima alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata diretta dal (n)PCI. Per arrivare in condizioni favorevoli a questa seconda fase, la fase dell’equilibrio strategico, il Partito oggi deve sviluppare al meglio il lavoro di massa sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro e in particolare sul fronte della resistenza alla repressione.

La qualità del lavoro, l’efficacia dell’intervento sui quattro fronti è strettamente legata alla capacità di sottoporre a bilancio l’esperienza accumulata per verificare i criteri e principi elaborati, arricchirli e ricavarne dei nuovi.

Il primo fronte del PGL è “la resistenza alla repressione, la lotta alla repressione e lo sviluppo della solidarietà di classe”. L’esperienza della lotta vittoriosa condotta contro l’estradizione e la “caccia grossa” è una miniera di insegnamenti per l’attività su questo fronte. Per questo motivo insistiamo e continuiamo il lavoro di bilancio, iniziato nei due precedenti numeri de La Voce, dell’attività svolta dal Comitato di Aiuto ai Prigionieri del (n)PCI-Parigi [CAP(n)PCI-Parigi]. 3

Preparazione del processo del 4, 5 e 6 aprile 07 - il livello da cui siamo partiti

Lo studio condotto nei due precedenti numeri della rivista, ha analizzato il lavoro svolto dal CAP(n)PCI-Parigi dal maggio 06 alla fine del gennaio 07.

Venivano evidenziate due fasi: una prima fase in cui l’aspetto principale era costituito dal lavoro di propaganda finalizzato a rompere il silenzio intorno al caso (maggio-ottobre 06); una seconda fase in cui l’aspetto principale è rappresentato dalla mobilitazione (fase iniziata nel novembre 06). Quest’ultima era articolata in tre sottofasi: la preparazione dell’udienza del 1° dicembre 06, la preparazione del processo del 17, 18 e 19 gennaio 07, la preparazione del processo del 4, 5 e 6 aprile 07. Il bilancio presentato nei due precedenti numeri della rivista arrivava fino alla fine del mese di gennaio 07. La situazione che descriveva era la seguente: la campagna su “due gambe” (ossia il lavoro di propaganda/agitazione e mobilitazione, da un lato e dall’altro il lavoro di intervento nella sinistra borghese per ottenere delle prese di posizione contro l’estradizione e creare così una frattura all’interno del nemico di classe), aveva permesso di accumulare un significativo numero di forze intorno ai tre compagni del (n)PCI.

L’udienza del 17 gennaio 07 ha dimostrato l’efficacia del lavoro svolto. Vediamo perché.

L’obiettivo che il Partito aveva deciso di raggiungere in questa udienza era: rinviare il processo per guadagnare tempo e continuare la campagna contro l’estradizione. Si è dunque deciso di adottare la seguente linea: non far presentare i compagni Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel all’udienza mettendo così in difficoltà la Corte (dei tre compagni minacciati di estradizione, l’obiettivo principale del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi” era infatti Giuseppe Maj); chiedere agli avvocati di far valere già esistenti “impegni di lavoro” per le date del processo e quindi chiedere il rinvio delle udienze e comunque non presentarsi; far adottare durante l’udienza una linea di rottura al compagno Angelo D’Arcangeli; mobilitare i due militanti della Fracciòn Octubre del PCE(r), presenti in aula, affinché sostenessero come azione di solidarietà il piano ideato dal (n)PCI; cercare di innescare, attraverso la linea di rottura adottata durante l’udienza, le proteste delle persone presenti in aula in modo da far perdere del tutto il controllo della situazione al giudice.

Questa linea era la più efficace che il Partito poteva adottare. È stata la sua autonomia ideologica e organizzativa rispetto al nemico di classe che gli ha permesso di tracciarla e di attuarla con coerenza: in altre parole, la sua autonomia ideologica e organizzativa ha messo il Partito in condizione di muoversi senza farsi legare le mani dalle leggi borghesi e dalla soggezione alla classe dominante.

La validità della linea è stata dimostrata dal risultato ottenuto. D’Arcangeli ha protestato vivamente contro il giudice chiedendo il rinvio del processo data l’assenza degli avvocati. Il giudice ha dato l’ordine di espellerlo con la forza dall’aula. Le 70 persone presenti (tra militanti e personalità) si sono messe a protestare contro il giudice. Alcune di loro sono state espulse dall’aula, ma una volta fuori si sono messe a fare il giro delle altre aule del Tribunale per chiamare i presenti alla solidarietà. Il giudice prima ha chiamato i rinforzi (si è giunti ad un picco 60 di poliziotti), poi ha fatto un passo indietro e ha rinviato di tre mesi il processo. Erano decenni che in Francia non succedeva una cosa del genere... e non è un caso, dato che non esiste un vero partito comunista!

Dopo l’udienza, per rompere il silenzio mediatico con cui i giornali nazionali avevano circondato l’avvenimento, abbiamo deciso di continuare a stravolgere le regole del gioco e fare un sit-in davanti alla redazione del quotidiano Liberation. Questa pratica non è molto in uso in Francia e ha permesso di ottenere l’effetto voluto: il giorno successivo il quotidiano ha pubblicato un articolo e ha fatto prontamente anche la rettifica degli errori contenuti nell’articolo. 

Questo il livello di forza da cui partiva il lavoro di preparazione dell’udienza del 4, 5 e 6 aprile 07. Per continuare ad avanzare e a mantenere in mano l’iniziativa era necessario rilanciare ad un livello superiore il lavoro, fare un nuovo salto di qualità, sia nella mobilitazione di massa sia nell’intervento nella sinistra borghese.

L’obiettivo in vista del processo del 4, 5 e 6 aprile 07 era infatti o ottenere un nuovo rinvio o mettere le Autorità in condizione da non poter dare l’estradizione, salvo creare uno scandalo oneroso per la borghesia in prossimità delle elezioni presidenziali (22 aprile-6 maggio 07).

Mobilitazione di massa: campagna per la creazione di un fronte unito contro la repressione

Per fare un salto di qualità nella mobilitazione di massa, venne tracciata una linea attraverso cui rafforzare il contributo che il CAP(n)PCI-Parigi stava dando alla costruzione in Francia di un fronte unito contro la repressione. Ossia:

1- elevare i contenuti politici della campagna: porre con maggiore forza, insieme alla lotta contro l’estradizione, la questione della persecuzione dei comunisti nei paesi imperialisti e della controrivoluzione preventiva;

2- rafforzare il legame tra la lotta contro l’estradizione dei tre militanti del (n)PCI con le altre lotte contro la repressione;

3- estendere la campagna a livello nazionale: organizzare meeting in varie città della Francia.

Il prestigio conquistato dal Partito e dal CAP(n)PCI-Parigi con il risultato strappato durante l’udienza del 17 gennaio 07, spinse la FSRS francese che più si era investita nella lotta contro l’estradizione dei tre militanti del (n)PCI, l’Association Générale des Etudiants de Nanterre (AGEN), a fare un salto di qualità: proporre al CAP(n)PCI-Parigi di fare una campagna nazionale unitaria intorno alla parola d’ordine "creiamo un fronte unito contro la repressione!".

Il motivo per cui questa FSRS ha avanzato questa proposta, risiede, oltre che nella comprensione della necessità di superare la divisione delle lotte, anche nel fatto che una loro militante, Naima, era stata espulsa dall’Università per la sua attività politico/sindacale. Avendo avuto la possibilità di vedere da vicino la concezione e il metodo di lavoro del CAP(n)PCI-Parigi, questa FSRS è giunta alla conclusione che rafforzare i rapporti con l’organismo era fruttuoso per la campagna contro l’espulsione di Naima. La campagna su “due gambe” (mobilitazione di massa e intervento nella sinistra borghese per creare una frattura all’interno della classe dominante) costituisce infatti una novità in Francia. Nella lotta contro la repressione in generale la mobilitazione di massa esclude l’intervento nella sinistra borghese e viceversa. O la logica settaria di “nessun rapporto con il nemico” o la logica opportunista “ai lavoratori non interessa la lotta contro la repressione”. Queste deviazioni diminuiscono molto l’efficacia delle lotte e quasi azzerano le possibilità di vittoria. Ancora una volta, l’assenza di un vero partito comunista si fa sentire.

Nel mese di febbraio 07 inizia così la campagna unitaria CAP(n)PCI-Parigi e AGEN.

Il primo passo significativo è stato l’avvio dell’intervento nella sinistra borghese per il caso di Naima. Il CAP(n)PCI-Parigi ha: 1. messo a disposizione dell’AGEN tutti i suoi contatti in questo ambito; 2. ha svolto, nel periodo iniziale, un ruolo di consulente (insegnando come bisogna instaurare il rapporto con le personalità, cosa bisogna chiedergli, che tipo di appello realizzare, ecc). Inoltre ha contribuito anche a rafforzare lo sviluppo della mobilitazione di massa in solidarietà con la compagna: 1. ha messo in contatto l’AGEN con i media indipendenti con cui aveva allacciato rapporti; 2. ha dato spunti per rafforzare la propaganda e l’agitazione (in particolare ha avanzato la proposta di realizzare un opuscolo con un’intervista a Naima attraverso cui far luce sulla vicenda e denunciare l’attacco repressivo, sul modello dell’opuscolo realizzato nell’agosto 06 dal CAP(n)PCI-Parigi con l’intervista a Giuseppe Maj sulla persecuzione del Partito).

Il secondo passo significativo è stata la partecipazione del CAP(n)PCI-Parigi e dell’AGEN alla riunione organizzata dal “Comité Liberez-Les!” per promuovere una mobilitazione davanti al carcere di Bapaume (Nord della Francia), dove è detenuta Natalie Menigon militante di Action Directe, in occasione del ventesimo anniversario dell’arresto. I due organismi si impegnano a partecipare al sit-in (programmato per il 24 febbraio) e a mobilitare delle persone di Parigi per l’occasione. Allo stesso tempo, nel corso della riunione i due organismi sostengono la necessità di organizzare il sit-in nella mattinata e di partecipare nel pomeriggio alla manifestazione che si teneva a Lille (a non molti km da Bapaume) contro l’inizio della campagna elettorale di Le Pen (la destra apertamente razzista). Obiettivo: cercare di valorizzare politicamente l’unità tra la lotta antifascista e la lotta contro la repressione. Dopo un lungo dibattito e una lotta tra due linee, la proposta viene accettata e si decide di fare uno spezzone nella manifestazione di Lille. Per l’occasione, CAP(n)PCI-Parigi e AGEN realizzano un volantino unitario sulla necessità di unire l’antifascismo e la lotta contro la repressione, per la creazione di un fronte unito. Nel volantino viene inserito anche un calendario con le date di numerose iniziative contro la repressione, tra cui il processo di aprile contro il militanti del (n)PCI. La realizzazione di un calendario con iniziative riguardanti diverse lotte è una pratica non molto presente nel movimento parigino, a causa appunto dell’inesistenza di un fronte unito contro la repressione.

Il terzo passo significativo è stato l’intervento condotto dai due organismi, sotto impulso del CAP(n)PCI-Parigi che in questo tipo di azioni aveva accumulato una certa esperienza, al meeting organizzato a St.Denis (banlieue rossa di Parigi) da José Bové per la sua campagna elettorale (mese di febbraio 07). A questo meeting hanno partecipato circa 3000 persone e ovviamente numerosi erano i media. I due organismi hanno fatto un tavolo con materiale riguardante la persecuzione del (n)PCI, l’espulsione di Naima e la creazione di un fronte unito contro la repressione; sono stati distribuiti volantini che lanciavano l’appello a partecipare al processo di aprile; il CAP(n)PCI-Parigi ha fatto un intervento dal palco chiamando alla solidarietà verso i tre militanti del Partito e rinnovando l’appello a partecipare al processo; anche Naima è intervenuta denunciando il suo caso.

Il quarto passo significativo è stata la realizzazione nel mese di febbraio 07 di un meeting contro la repressione e per la creazione di un fronte unito all’Università di Nanterre promosso dall’AGEN e dal CAP(n)PCI-Parigi. Questo meeting ha aperto la strada ad altre iniziative analoghe che, sotto l’impulso dei due organismi, sono state organizzate in varie parti della Francia tra il febbraio e il marzo 07, coinvolgendo nuove realtà: meeting all’Università di Lione, meeting all’Università di Tours, meeting all’Università di Tolbiac (Parigi) e meeting al CICP di Parigi (locale autogestito). Un meeting era stato preparato anche all’Università di Tolosa, ma all’ultimo momento è saltato.

In queste iniziative è stata denunciata e fatta conoscere la persecuzione del (n)PCI, è stata denunciata l’espulsione di Naima, sono state portare altre testimonianze dirette (interventi di studenti colpiti perché si sono ribellati contro il CPE, di sindacalisti licenziati, di militanti perseguitati per aver cercato di impedire l’espulsione di immigrati clandestini - sans papiers), si è messo in luce il legame che collega i vari casi e la necessità di superare la divisione delle lotte per creare un rapporto di forza davanti al nemico di classe. Si è constatato che ampio è il sostegno che riscuote in Francia la proposta di creazione di un fronte unito contro le repressione. Allo stesso tempo, si è avuto modo di comprendere che i precedenti tentativi fatti in questo senso erano falliti in alcuni casi per una logica da intergruppo che regalava la direzione agli amici degli amici della sinistra borghese, in altri casi per via del settarismo. In sintesi: per un’errata concezione della politica da fronte e della combinazione dell’unità con la lotta.

Il quinto passo significativo è stato il volantino unitario fatto dal CAP(n)PCI-Parigi e AGEN in occasione della manifestazione contro il licenziamento di una sindacalista, Amandine, da parte di Virgin Paris (metà marzo 07). Amandine aveva partecipato anche al meeting tenutosi all’Università di Nanterre. Nel corso della manifestazione è stata affermata la necessità di costruire un fronte unito contro la repressione e nel volantino è stato di nuovo inserito un calendario con le varie iniziative. Inoltre, si è partecipato ai vari interventi che sono stati fatti a fine manifestazione. Ancora una volta, la proposta del fronte unito è stata ben accolta così come l’appello a partecipare al processo del 4, 5 e 6 aprile 07.

Parallelamente a questo lavoro unitario con l’AGEN, il CAP(n)PCI-Parigi è intervenuto costantemente su radio e tv indipendenti di Parigi e ha curato i rapporti con la stampa nazionale, in particolare con il giornale Liberation e l’AFP (l’ANSA francese), fornendo regolari aggiornamenti e tenendo alta l’attenzione intorno alla lotta contro l’estradizione.

Intervento nella sinistra borghese: l’appello per un processo equo

Per quanto riguarda la mobilitazione di personalità ed esponenti politici, il CAP (n)PCI-Parigi ha realizzato un nuovo appello, specifico per il processo del 4, 5 e 6 aprile 07, dal titolo “Non è un processo equo!”. Si decise infatti di utilizzare la legge-menzogna sul processo equo per sollevare un polverone ancor più grande intorno al caso. Nell’appello viene attaccato direttamente il giudice, madame Beauguion, denunciando la sua palese parzialità e chiedendo il rinvio del processo. Come elementi della parzialità, venivano indicati:

1- il tentativo di fare il processo il 17 gennaio 07 nonostante l’assenza degli avvocati;

2- il rifiuto di convocare i 13 testimoni richiesti dai compagni Maj, Czeppel e D’Arcangeli; 4

3- il tentativo di mettere i tre militanti del (n)PCI contro i due co-imputati della Fracciòn Octubre del PCE(r), in particolare contro José Antonio Ramon Teijelo (nell’udienza del 17 gennaio 07 il giudice ha cercato di farlo passare per un informatore di polizia);

4- il sistematico lavoro di pressione fatto sugli avvocati difensori (continui incontri individuali per cercare di trovare “punti di incontro”).

Allo stesso tempo, è stato lanciato l’appello alle personalità e agli esponenti politici più solidali affinché scrivessero al Ministro della Giustizia francese per chiedere spiegazioni sull’estradizione dei tre militanti del (n)PCI e sull’attività del "Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi". Il Ministro ha ricevuto lettere da parte di un illustre partigiano, di un sindaco e di un senatore.

Tutte queste manovre, hanno permesso di arrivare al Sindacato della Magistratura (che raggruppa il 30% dei giudici francesi). Questo sindacato ha deciso di prendere posizione contro la persecuzione del (n)PCI, come vedremo successivamente. Qui ci “limiteremo” a sottolineare che questa è una contraddizione molto importante in seno alla Magistratura e alla classe dominante francese e che è il risultato di tutto il lavoro fatto a partire dal mese di maggio 06. La classica “ciliegina sulla torta”.

Tre incidenti di percorso a cui siamo riusciti a tener testa

La qualità del lavoro svolto dalla fine del gennaio 07 all’inizio del mese di aprile 07 è stata tale da riuscire a tener testa a tre gravi problemi manifestatisi a ridosso del processo.

1- Verso la fine del mese di marzo 07 i rapporti con l’AGEN si arrestano. Questa FSRS, in seguito ai primi risultati positivi ottenuti nella campagna unitaria, aveva deciso di fare un salto di qualità: chiedere alla Delegazione della CP di organizzare per i suoi militanti un corso di formazione, sul modello dell’Università Popolare tenutasi a St.Denis nel 2004. La Delegazione della CP ha accettato, poiché il confronto e il dibattito sulla concezione e sulla linea è una delle “tre gambe” con cui il Partito sviluppa le sue relazioni nel movimento comunista internazionale. 5 Nell’affrontare la discussione su come strutturare il corso, sono emerse però con forza le differenze ideologiche e organizzative tra il Partito e l’AGEN. In sintesi, la differenza tra la concezione comunista e una concezione che dietro la facciata rossa cela l’anarco/sindacalismo (stile Rossoperaio per intenderci). Come è facile immaginare, la contraddizione principale era rappresentata dalla questione del partito. O meglio, della necessità di costruire un vero partito comunista in Francia. Mentre le Delegazione della CP voleva strutturare il corso intorno a questa tematica, l’AGEN voleva aggirarla. Con un’attitudine unilaterale l’AGEN ha infine mandato all’aria il progetto del corso di formazione. Cosa ancor più grave, ha messo fine alla campagna unitaria con il CAP(n)PCI-Parigi e all’attività di solidarietà con il Partito a circa dieci giorni dal processo. Nessuno dei loro membri era presente il 4, 5 e 6 aprile 07. Nonostante questa loro defezione, al processo erano presenti, come vedremo in seguito, ben 60 persone. Il lavoro di propaganda/agitazione e mobilitazione intorno al caso era stato tale da permettere al CAP(n)PCI-Parigi di riuscire a tener testa a questo incidente di percorso. In particolare, l’elemento che ha permesso di mobilitare 60 persone nonostante la defezione dell’AGEN all’ultimo momento, è stata la scelta da parte del CAP(n)PCI-Parigi di non affidare all’AGEN la gestione dei contatti durante la campagna unitaria.

2- Il sistematico lavoro di pressione fatto dal giudice, madame Beauguion, su due dei tre avvocati nominati dai militanti del (n)PCI ha portato uno di loro a dimettersi ad appena dieci giorni dal processo e un altro a obbligare i compagni a revocarlo, a una settimana dal processo. I due non erano disponibili a sostenere con il loro ruolo di avvocati il piano ideato dal Partito per il processo d’aprile. In altre parole, non erano disposti a subordinare la difesa dei singoli imputati alla lotta contro il progetto del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”. I tre compagni a una settimana dal processo sono stati così costretti a dare una nuova organizzazione alla difesa: hanno deciso di farsi rappresentare da un unico avvocato.

3- il sistematico lavoro di pressione da parte del giudice, madame Beauguion, ha portato anche i due militanti della Fracciòn Octubre del PCE(r) a fare un passo indietro e a non sostenere il piano programmato dal Partito per il processo d’aprile. Il Partito poteva contare quindi solo sulle proprie forze. 

Il processo del 4, 5 e 6 aprile 07

Come abbiamo visto, l’obiettivo che il Partito aveva deciso di raggiungere era o ottenere un nuovo rinvio o mettere le Autorità in una situazione tale da non poter concedere l’estradizione, salvo produrre uno scandalo oneroso per la borghesia in prossimità delle elezioni presidenziali.

Il Partito decide di ripetere la mossa fatta nel mese di gennaio: non far presentare Maj e Czeppel e far adottare una linea di rottura a D’Arcangeli. Si decide quindi di continuare a non farsi legare le mani dalla legalità borghese.

Il 4 aprile 07 il processo inizia con un articolo di mezza pagina pubblicato dal quotidiano Liberation dal titolo Cinque militanti di estrema sinistra a rischio di estradizione. In esso viene denunciata l’esistenza e il piano del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”.

In tribunale sono presenti 60 persone. Il colpo inferto al nemico durante l’udienza tenutasi a gennaio è evidente dalla misure prese per questa nuova udienza (che si addizionano alle pressioni fatte sugli avvocati e sui militanti della Fracciòn): davanti all’entrata della sala, i gendarmi hanno collocato delle transenne e prima di far entrare le persone effettuano perquisizioni pignole. Fanno entrare in aula solo 15 persone ... ad udienza già in corso! Da notare che il CAP(n)PCI nella sua campagna aveva costantemente rivendicato un’aula più grande, perché già in gennaio una parte del pubblico non aveva potuto assistere all’udienza, come la legge gliene dà diritto.

Inizia l’udienza, l’avvocato dei tre militanti del (n)PCI chiede il rinvio date le evidenti irregolarità e i vizi di procedura (oltre alle manovre denunciate nell’appello “Non è un processo equo!”, nella settimana precedente al processo il giudice commette due nuove irregolarità: “dimentica” di convocare Maj e Czeppel, convoca D’Arcangeli per “terrorismo” quando in realtà questo capo di imputazione era stato abbandonato nel settembre 06). Il giudice rigetta però la domanda di rinvio. L’avvocato l’accusa allora di essere agli ordini delle Autorità Italiane. D’Arcangeli si unisce alle proteste. Il giudice gli ordina di tacere. D’Arcangeli continua. Il giudice ordina la sua espulsione. Questa volta però i gendarmi non utilizzano la forza, si limitano a chiedere al compagno di uscire (l’esperienza insegna!). D’Arcangeli chiede a tutte le persone presenti di abbandonare con lui la sala per non legittimare il processo farsa. L’aula si svuota. Escono anche l’avvocato dei militanti del (n)PCI e il giornalista di Liberation presente. Unanime è la condanna: il processo è politico! Soltanto i due militanti della Fracciòn restano in aula con il loro avvocato.

I militanti del (n)PCI e il loro avvocato decidono di non partecipare ai due successivi giorni del processo per non legittimarlo in alcun modo. L’avvocato dei militanti del (n)PCI presenta nella stessa giornata una richiesta di ricusazione del giudice data l’evidente parzialità.

L’eco mediatica è immediata. Liberation e l’AFP (l’ANSA francese) riportano l’accaduto. Alcune personalità francesi (deputati, senatori e un vescovo progressista) il giorno successivo diffondono comunicati stampa di protesta. Anche il Sindacato della Magistratura prende posizione affermando che “in questo affaire l’accusa di terrorismo è stata strumentale e non è da escludere una strumentalizzazione della Magistratura francese da parte delle Autorità Italiane”! In Italia, il deputato Francesco Caruso del PRC scrive una lettera di protesta al Console francese. Il PdCARC e l’ASP organizzano per il 6 aprile 07 un sit-in davanti al Consolato francese di Napoli.

Il 5 aprile il procuratore chiede 5 anni per Maj e Czeppel più interdizione a vita della Francia; 2 anni per D’Arcangeli; 4 anni per Teijelo e 2 anni per Galan più interdizione a vita della Francia per ambedue.

In Francia per possesso e fabbricazione di documenti falsi la condanna abituale è quattro mesi. D’Arcangeli neanche aveva documenti falsi... Le condanne esorbitanti chieste dal procuratore sono quindi fuori d’ogni norma e hanno un chiaro carattere repressivo. Questa è la prima riflessione.

La seconda, è che il Partito ha sempre sostenuto che in caso di vittoria contro il progetto di estradizione ci sarebbero state delle condanne pesanti in Francia. Le pene che il procuratore chiedeva mostravano dunque che il Partito aveva vinto la lotta contro l’estradizione.

La terza riflessione che è opportuno fare nel quadro del presente bilancio è che, constata la vittoria, non si è avuta la dinamicità di cambiare linea il terzo giorno del processo. In altre parole, il secondo giorno del processo certificava la conclusione della “fase uno”, la vittoria della lotta contro l’estradizione e l’inizio della “fase due”, ossia la lotta contro il carattere iniquo del processo. Era dunque opportuno cambiare linea dato il cambiamento della situazione: partecipare al terzo giorno del processo e ostacolare l’emissione di condanne di quella portata. La situazione particolare determinatasi tra i vari reparti del Partito impegnati in questa operazione era però tale da non permettere questo dinamismo.

Il 6 aprile nessuno dei tre militanti del (n)PCI partecipa quindi al processo. Anche il loro avvocato è assente. La Corte emette, dopo appena dieci minuti di “consultazione”, il verdetto già detto. 

Conclusioni

Dal bilancio emerge chiaramente che l’aspetto che ha permesso al Partito di mantenere in mano l’iniziativa e di essere offensivo a livello tattico anche in una situazione di difensiva a livello strategico, è stata la sua autonomia ideologica e organizzativa dal nemico di classe. Questa sua indipendenza dalla classe dominante poggia sul marxismo-leninismo-maoismo e sulla clandestinità. Essa ha messo il Partito nella condizione di non farsi legare le mani dal legalitarismo borghese e di ricorrere anche alla violazione delle leggi per il raggiungimento dei suoi obiettivi.

In altre parole:

- non far presentare Maj e Czeppel alle udienze di gennaio e aprile 07, far loro abbandonare la libertà vigilata e farli rifugiare nella clandestinità (aspetto che ha avuto un’importanza centrale nel mettere in difficoltà il nemico e strappare la vittoria: l’obiettivo principale del piano di estradizione era infatti Giuseppe Maj e senza di lui tutta la manovra perdeva di interesse per le Autorità dei due paesi);

- aver dato a D’Arcangeli la direttiva di adottare una linea di rottura in aula fino a cercare l’espulsione dalla sala;

- aver prodotto in aula una livello di ebollizione tale da spingere le persone presenti a protestare contro il giudice e a fargli perdere così definitivamente il controllo della situazione;

- non aver rispettato il divieto di rendere pubblica la documentazione giuridica prima della fine del processo: sia nella propaganda/agitazione che nel rapporto con giornalisti e personalità è stato fatto un largo utilizzo del dossier dell’inchiesta francese, del documento di rinvio a giudizio e del dossier dell’inchiesta italiana condotta dal Giovagnoli. Solo in questo modo si è riusciti a dimostrare l’esistenza del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”, cosa che ha permesso di fare un enorme salto di qualità in avanti.

Senza tutti questi apporti che la violazione delle leggi ha permesso di dare alla lotta, il Partito non sarebbe riuscito a vincere. Le leggi imposte dal nemico di classe sono infatti studiate per ridurre l’efficacia dell’attività rivoluzionaria. Non sentirsi vincolato dalle leggi del nemico, mettersi in condizioni di usarle o violarle a secondo di quello che più conviene alla causa delle masse popolari, è elemento essenziale per riuscire a mantenere in mano l’iniziativa e la direzione della lotta: in altre parole, per riuscire a portare il nemico di classe sul terreno di battaglia che noi abbiamo deciso e lì attaccarlo senza nessuna pietà.

L’autonomia ideologica e organizzativa del Partito dal nemico di classe ha permesso inoltre di elaborare la linea della campagna su “due gambe” e di applicarla con creatività ed efficacia. Vediamo il perché.

1- Senza autonomia ideologica il Partito non sarebbe riuscito ad elaborare una giusta analisi del regime di controrivoluzione preventiva messo in piedi dal nemico di classe. In altre parole, non sarebbe giunto alla comprensione che nell’attuale forma “democratica” del regime, la borghesia ha bisogno del sostegno o comunque dell’indifferenza della maggior parte dell’opinione pubblica e che per far saltare le sue macchinazioni è necessario metterle in luce, denunciarle, sviluppare una mobilitazione intorno al caso fino a giungere alla creazione di un rapporto di forza sfavorevole per il nemico di classe.

2- Senza autonomia ideologica e organizzativa il Partito non sarebbe riuscito ad intervenire nel giusto modo nella sinistra borghese e quindi ad impedire alle varie componenti della classe dominante di coalizzarsi intorno ad un’unica linea repressiva. Si sarebbe infatti manifestato uno dei tre seguenti errori politico-ideologici:

o il Partito sarebbe caduto nella deviazione “nessun rapporto con il nemico” e quindi non avrebbe sviluppato l’intervento nella sinistra borghese, privandosi volontariamente di un’arma;

o il Partito avrebbe considerato l’intervento nella sinistra borghese come unico aspetto della sua campagna; 6

o il Partito avrebbe considerato l’intervento nella sinistra borghese come l’aspetto principale della sua campagna e avrebbe subordinato la mobilitazione delle masse popolari all’intervento nella sinistra borghese.

L’autonomia ideologica e organizzativa del (n)PCI ha invece portato all’elaborazione della seguente linea: la campagna su “due gambe” trova nella mobilitazione di massa il suo aspetto principale; questa mobilitazione deve essere condotta senza cedere la direzione alla catena degli amici degli amici della sinistra borghese (neo-revisionisti, riformisti, altermondialisti, trozkisti, autonomi, anarchici).

La linea di massa e lo studio attraverso il materialismo dialettico delle leggi che regolano il movimento delle classi è alla base dell’elaborazione di questa linea: la mobilitazione di massa è possibile solo conquistandosi la simpatia (solidarietà non unita alla partecipazione alle mobilitazioni) e il sostegno attivo (solidarietà unita alla partecipazione alle mobilitazioni) dalla sinistra presente nelle masse popolari; la catena degli amici degli amici della sinistra borghese per la sua concezione e la sua natura non riesce a mobilitare la sinistra presente nelle masse popolari: questo è il primo motivo per cui non bisogna cederle la direzione della mobilitazione. Il secondo è che per riuscire ad intervenire in maniera produttiva nella sinistra borghese bisogna sviluppare un’ampia mobilitazione di massa: solo in questo modo la sinistra borghese incomincerà la “rincorsa a sinistra”. Non bisogna quindi spostarsi a destra, ma tirare a sinistra. Questo è un secondo motivo per cui bisogna mantenere in mano la direzione.

 

Il rapporto di forza che il Partito ha creato con la vittoria contro il progetto di estradizione e gli insegnamenti ricavati, ci mettono in condizione di poter vincere anche la nuova battaglia. In altre parole:

 

- obbligare le Autorità Francesi e Italiane a fare un passo indietro rispetto alla condanna emessa nei confronti dei tre militanti del (n)PCI durante il processo politico tenutosi ad aprile;

- ottenere lo scioglimento del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”;

- obbligare Giovagnoli a chiudere l’ottavo procedimento condotto ai danni della “carovana” del (n)PCI.

 

Viva il (n)PCI!

Viva la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista!

Non un passo indietro!

 

Antonio L.



1 Vedere al riguardo l’interpellanza fatta al Senato dall’onorevole Russo Spena, reperibile sul sito del CAP(n)PCI-Parigi: http://cap-npci.awardspace.com, sezione “Prese di posizione personalità - Italia”.

2 Sull’importante ruolo che ricopre l’egemonia per il mantenimento al potere della classe borghese e, quindi, sulla necessità per il partito della sovversione di metterla in discussione e di sgretolarla vedere La Voce n. 25 Bastonare il cane fino ad affogarlo.

3 Vedere La Voce n. 24 Comitato di Aiuto ai Prigionieri del (n)PCI-Parigi e La Voce n. 25 Bilancio della campagna condotta dal CAP(n)PCI-Parigi contro l’estradizione dei militanti del (n)PCI.

4 La scelta dei testimoni era funziona- le all’obiettivo che si voleva raggiungere: denunciare la persecuzione del (n)PCI, smascherare la collaborazione delle Autorità Francesi con le Autorità Italiane e far saltare il piano del “Gruppo franco-italiano sulle minacce gravi”. E quale audizione poteva essere più funzionale a questa operazione se non quella dei componenti più illustri del “Gruppo” (in primis il giudice Paolo Giovagnoli e il Magistrato italiano di collegamento presso il Ministero della Giustizia Francese, Stefano Mogini) e delle personalità informate sui fatti (avvocato Giuseppe Pelazza di Milano, il giornalista Gianni Cipriani, il deputato Francesco Caruso e il senatore Russo Spena)? Nel processo di rottura le regole del gioco vengono stravolte e ricomposte in forme diverse realizzate in sintonia con gli obiettivi che ci si prefissa. Il testimone x può diventare così l’accusato e il testimone y può testimoniare sulla colpevolezza di x.

5 Le tre gambe con cui il Partito si muove nel movimento comunista internazionale sono: solidarietà con le organizzazioni e i partiti colpiti dalla repressione, organizzazione di iniziative unitarie laddove sono riunite le condizioni necessarie, dibattito franco e aperto sulla concezione del mondo, sul bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria, sulla strategia e sulla linea. Per saperne di più vedere La Voce n. 17 La nostra azione nel movimento comunista internazionale.

6 Come è stato fatto dai rifugiati italiani degli anni ’70 per le campagne contro l’estradizione di Persichetti e Battisti... e i risultati si sono visti.