La settima discriminante - Quale partito comunista?

Una introduzione necessaria

mercoledì 4 agosto 1999.
 
Un partito che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria

INDICE


 

Una introduzione necessaria

 

Tra le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista operanti in Italia questa formula è stata posta al centro del dibattito sul partito già nel 1995, con l’opuscolo pubblicato dai CARC in occasione del centenario della morte di F. Engels.(1) Nel dibattito tra le FSRS nessuno ha contestato apertamente e direttamente questa formulazione. In realtà vi è però una divergenza che pesa nel lavoro che le FSRS conducono per la ricostruzione del partito comunista e nelle linee che lo guidano. La divergenza è stata ben espressa nel recente (15 novembre 1998) Coordinamento Nazionale della CCA (Confederazione dei Comunisti/e Autorganizzati) da G. Riboldi che ha affermato: “Noi oggi non siamo in una situazione né rivoluzionaria, né prerivoluzionaria”. Questa sua affermazione è strettamente connessa al suo ripetuto richiamo, sempre nello stesso contesto (la relazione che ha presentato al Coordinamento), alla “stabilità di questo potere politico”, al “programma della stabilità capitalistica” che sarebbe impersonato dal governo D’Alema, al “processo di normalizzazione [che] rischia di affermarsi stabilmente in assenza di opposizione sociale che ne ostacoli la realizzazione”, alla “concertazione neocorporativa [che] rischia di funzionare regolarmente e di stabilizzarsi in assenza di soggetti politici e sindacali che rifiutano e combattono l’accettazione dei parametri economici, politici e istituzionali imposti dagli accordi di Maastricht”: in sintesi, alla stabilità che secondo GR hanno gli attuali regimi borghesi e l’assetto delle loro relazioni internazionali, stabilità che solo la lotta (delle classi o dei soggetti politici e sindacali: qui la differenza non ha importanza) potrebbe scuotere.

Il merito della relazione di GR è di aver posto nettamente e apertamente un’obiezione che in altri progetti, proposte e relazioni (ad esempio nella relazione presentata allo stesso Coordinamento da Leonardo Mazzei) è sottintesa o solo accennata di sfuggita. Facciamo quindi riferimento alla relazione di GR per esaminare anche le obiezioni di altri.

G. Riboldi fa alcune altre affermazioni preziose per questa analisi. Dice: “L’aspetto principale della fase ... non è solo la “crisi ideologica del riformismo”(2), ma [anche] la “crisi economica del capitalismo” e l’accentuarsi delle contraddizioni dei poli imperialisti”. E ancora: “Sarebbe un errore credere che la crisi e il progressivo peggioramento delle condizioni di vita di per sé possono condurre a una mobilitazione rivoluzionaria delle masse”.

Osserviamo ora gli avvenimenti reali alla luce e con lo strumento del materialismo dialettico. La storia degli ultimi decenni mostra

- che da un certo periodo in qua, all’incirca dalla metà degli anni ‘70, il meccanismo della valorizzazione del capitale ha incominciato a perdere colpi;(3)

- che da qui sono nate l’eliminazione delle conquiste di benessere e di civiltà che le masse popolari avevano strappato nei trent’anni precedenti (“i gloriosi trenta” della pubblicistica borghese)(4), la ricolonizzazione dei paesi semicoloniali (piano Brady e simili) e lo sfruttamento della loro popolazione e delle loro risorse ambientali fino all’estinzione, il crollo (1989) e la devastazione dei paesi socialisti che il lungo dominio dei revisionisti moderni aveva reso economicamente, finanziariamente e culturalmente dipendenti dall’imperialismo, il gonfiarsi del capitale finanziario fino a sovrastare e schiacciare il capitale produttivo, la privatizzazione delle aziende pubbliche, l’eliminazione dei “lacci e lacciuoli” - le regole di salvaguardia del pubblico interesse,(5) la corsa alla costituzione di un numero ristretto (poche unità) di monopoli mondiali nei settori più importanti, le lotte sempre più aspre tra i gruppi imperialisti, la crescita delle differenze economiche tra paesi, regioni, gruppi e classi;

- che da qui è nata anche la crisi di tutti i regimi politici dei paesi imperialisti e del sistema delle loro relazioni internazionali (cioè la crisi politica);

- che da qui sono venute anche la crisi culturale che sconvolge miliardi di uomini da un capo all’altro del mondo, l’incertezza del futuro, l’insicurezza generale, la precarietà, la mancanza di stabilità, proprio di quella stabilità contro cui G. Riboldi e soci chiamano a lottare come Don Chisciotte chiamava a lottare contro i mulini a vento.(6)

Dove porta questo corso delle cose? Esso accentua la contraddizione tra borghesia imperialista e masse popolari e le contraddizioni tra i gruppi imperialisti. Le masse sono costrette a cercare nuove soluzioni ai loro problemi di vita e di lavoro, dato che la borghesia imperialista distrugge essa stessa (nei paesi imperialisti, nelle colonie, nei paesi socialisti) le vecchie soluzioni. Sono cioè costrette a mobilitarsi. Noi abbiamo dato un nome a questa mobilitazione delle masse indotta dalla crisi generale del capitalismo, l’abbiamo chiamata “resistenza delle masse popolari al procedere della crisi”.(7) Che la si chiami come si vuole. È però incontestabile che essa è il fattore politico più importante del presente, è il terreno su cui si danno battaglia tutte le classi, le forze e i gruppi che lottano per il potere. Quindi di per sé “la crisi e il progressivo peggioramento delle condizioni di vita non producono la mobilitazione rivoluzionaria delle masse”, come giustamente osserva GR che però omette di aggiungere che di per sé producono la mobilitazione delle masse che è il fattore principale e indispensabile della trasformazione della società e quindi la base oggettiva di ogni progetto politico realistico che non si riduca a declamazione e a vaniloquio. Non è forse vero? Chi ha generato e genera la migrazione di milioni di persone da un continente a un altro? Chi ha generato e genera la ribellione crescente di milioni di persone a questa “invasione”? Chi ha generato e genera l’abbandono delle organizzazioni di regime e delle istituzioni (elezioni, ecc.) del regime? Chi ha generato e genera l’esplosione di religioni, sette, volontariato, doppio e triplo lavoro, violenze gratuite, ecc.? Chi ha generato e genera quell’insieme di fenomeni che si riassumono nell’imbarbarimento: la malavita, l’esplosione della delinquenza giovanile, gli scandali, l’insofferenza, la “ingovernabilità delle metropoli”? Quindi la crisi generale produce di per sé la mobilitazione delle masse: non mobilitazione rivoluzionaria, ma mobilitazione!

La crisi, proprio perché è crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, genera anche la lotta antagonista tra gruppi imperialisti perché ognuno deve valorizzare il suo capitale e il capitale accumulato è troppo e il plusvalore estorto ai lavoratori, per quanto grande e crescente, non basta a valorizzarlo tutto. Ogni capitalista per valorizzare il suo capitale oltre a spremere a morte i lavoratori deve anche “uccidere” un altro capitalista, deve appropriarsi del suo capitale. Questo rende antagonisti i contrasti tra gruppi imperialisti.

Queste tendenze che ognuno può constatare, creano forse stabilità? No, di per sé generano instabilità, sconvolgono regimi e relazioni tra classi, paesi, nazioni e Stati. Non è quello che avviene sotto i nostri occhi?

Ebbene, a questa situazione la cui comprensione nell’insieme e nei dettagli è essenziale per ogni attività politica autonoma (cioè che non sia a rimorchio e al servizio di altri che pensano e decidono al nostro posto), che nome diamo?

Noi la chiamiamo situazione rivoluzionaria in sviluppo.(8) È una situazione in cui i vecchi poteri crollano e crolleranno e altri poteri si affermeranno lottando e imponendosi ai loro avversari: come è avvenuto nel corso della prima crisi generale del capitalismo (1910-1945). In questa situazione la mobilitazione delle masse può diventare rivoluzionaria o diventare reazionaria, ma non una terza cosa!

La mobilitazione delle masse, che la crisi generale produce di per sé, deve crescere sotto una direzione, non può crescere senza direzione. Quale sarà la direzione che effettivamente si affermerà in un caso concreto, non dipende dalla crisi, ma da altri fattori: come dire che ogni uccello a primavera fa il nido e lo deve appoggiare da qualche parte, ma che lo appoggi da una parte o dall’altra non dipende dalla primavera. Crescerà come mobilitazione rivoluzionaria, certamente non di per sé, non ineluttabilmente, ma solo se le FSRS, se il partito comunista della classe operaia (quindi le FSRS oggi e il partito comunista domani) saranno capaci di far prevalere in essa la direzione della classe operaia, rispetto a quella di tutti gli altri pretendenti (i gruppi imperialisti promotori della mobilitazione reazionaria), quindi se saranno capaci di trasformarla in lotta per il comunismo, in rivoluzione socialista. In caso contrario la mobilitazione delle masse crescerà come mobilitazione reazionaria, come mobilitazione delle masse diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista che mobilita le masse nella sua lotta contro altri gruppi imperialisti che a loro volta mobilitano altre masse, cioè nelle guerre imperialiste in cui i gruppi imperialisti e i loro clienti scagliano le masse le une contro le altre.(9) È stato anche dimostrato dalla pratica, ed è comprensibile anche teoricamente, che la mobilitazione reazionaria può essere trasformata in mobilitazione rivoluzionaria e viceversa. Nel giugno-luglio 1919 la piccola borghesia urbana italiana portava le chiavi dei negozi alle Camere del lavoro, la stessa piccola borghesia urbana due anni dopo forniva reclute alle squadre fasciste che davano la caccia agli operai. Viceversa i soldati che nel 1940 avevano applaudito Mussolini che li chiamava alla guerra, nel 1944 gli davano la caccia come partigiani. La storia della prima crisi generale è folta di trasformazioni di questo genere.

Ma come possono le FSRS essere capaci di far crescere la mobilitazione delle masse (la resistenza che le masse oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo) come mobilitazione rivoluzionaria (cioè come lotta per il comunismo, come rivoluzione socialista), se neanche si accorgono di questa mobilitazione che cresce di per sé, se continuano a fare i loro chiacchiericci senza rendersi conto di questa esplosione in arrivo, di questa colata lavica che va montando? Che cosa significa il fatto che un autorevole esponente di una FSRS nasconde dietro la negazione di una tesi (la crisi produce di per sé mobilitazione rivoluzionaria delle masse) che, a quanto risulta, nessuno sostiene, il suo silenzio su una tesi (la crisi produce di per sé mobilitazione delle masse) che, se è vera come lo è, in questa fase sta alla base di tutta l’attività politica rivoluzionaria consapevole, di ogni progetto realistico di politica rivoluzionaria? Stante che la crisi effettivamente in corso fa mobilitare le masse, ogni piano di politica rivoluzionaria, ogni concezione del divenire della società, ogni concezione della rivoluzione socialista che non sono lavoro per far diventare rivoluzionaria la reale mobilitazione delle masse, quella che effettivamente si sviluppa, ogni progetto di creare un altro tipo di rivoluzione socialista sono un proposito sciocco, uno sterile gioco intellettuale e una dispersione di forze.

Il ragionamento di GR in sintesi è: “La crisi ecc. non producono di per sé la mobilitazione rivoluzionaria delle masse, quindi non ha senso occuparsi della mobilitazione delle masse che la crisi di per sé produce e di cosa dobbiamo fare per farla diventare rivoluzionaria. Passiamo quindi a parlare d’altro”.

Proprio al contrario le FSRS devono studiare con la massima cura la reale mobilitazione delle masse che la crisi produce di per sé, questa colata lavica che monta, devono scoprire le leggi dello sviluppo della resistenza delle masse al procedere della crisi generale del capitalismo, devono far leva sulle tendenze positive presenti in questa resistenza per far prevalere in essa la direzione della classe operaia, cioè per trasformarla in lotta per il comunismo.

Noi dobbiamo costituire un partito comunista che sia in grado di adempiere a questo compito, perché questo e non altro è il compito che gli sta di fronte.

Per chiunque vede la reale connessione tra crisi economica per sovrapproduzione assoluta di capitale, crisi generale (economica, politica e culturale), lotte tra gruppi imperialisti, crisi del riformismo (delle politiche riformiste, dei riformisti, degli illusionisti delle riforme) e mobilitazione delle masse, è quindi chiaro che la classe operaia, il proletariato, le masse popolari, la causa del comunismo hanno bisogno di un partito che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, perché siamo proprio in una situazione rivoluzionaria in sviluppo, una situazione di grande instabilità e precarietà degli attuali regimi politici borghesi, che va di per sé verso la mobilitazione delle masse che sarà rivoluzionaria o reazionaria a secondo della capacità delle forze politiche di capire e applicare a proprio vantaggio le sue leggi di sviluppo.

La seconda crisi generale genera di per sé un periodo di guerre e di rivoluzioni. Quali guerre, quali rivoluzioni, con quali esiti provvisori, con quale esito finale? Questo lo “deciderà” lo scontro tra la mobilitazione rivoluzionaria che le FSRS oggi e il partito comunista domani promuoveranno e la mobilitazione reazionaria che vari gruppi imperialisti a loro volta e in concorrenza tra loro promuoveranno.

Ma è chiaro che non abbiamo bisogno di un partito comunista che si qualifichi principalmente come “sponda politica” del “sindacato di classe” (per riprendere un’altra affermazione di G. Riboldi), ma di un partito comunista promotore, organizzatore e dirigente della mobilitazione delle masse popolari, che solo così diventa mobilitazione rivoluzionaria, cioè lotta per la conquista del potere da parte della classe operaia e per l’instaurazione del socialismo.

 

Posto questo, cosa significa in concreto, nella nostra situazione, un partito che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso? Cosa insegna al riguardo l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1914-1945)? Quali sono le caratteristiche che rendono un partito quale lo vogliamo?

Ogni compagno che si pone responsabilmente e concretamente il compito di ricostruire il partito comunista si pone queste domande. Ogni compagno ha cercato e cerca di dare ad esse delle risposte. Ricavandole da dove? Dalle sue credenze, dai suoi pregiudizi, dalla cultura correntemente diffusa dalle università, dai centri studi, dalle fondazioni, dalle case editrici, dalle riviste di prestigio, dai giornalisti ben pagati, insomma dalla macchina ideologica della classe dominante? No, lo ricava dalla esperienza passata e presente del movimento comunista internazionale e del nostro paese e dalle condizioni della lotta di classe che si svolge nel nostro paese, studiando ed elaborando quelle esperienze con gli strumenti forniti dal patrimonio teorico del movimento comunista internazionale che è sintetizzato nel marxismo-leninismo-maoismo. Può darsi che questo scandalizzi alcuni critici accaniti del “pensiero unico” che però ad esso si rifanno ogni volta che devono pensare qualcosa, ma questa è la strada che noi seguiamo.

Noi vogliamo essere materialisti dialettici, comunisti, rivoluzionari proletari. Quindi le nostre risposte sono criteri che ci guideranno nella nostra azione, sottoposti alla verifica della realtà. Facciamo il bilancio delle esperienze, raccogliamo ed elaboriamo le esperienze, le sensazioni, le aspirazioni sparse, diffuse e confuse delle masse, traduciamo tutto ciò in una linea che riportiamo alle masse perché diventi guida nell’azione. Dai risultati di questa azione ripartiremo per ripetere il processo, elaborare una linea più giusta e più conforme alle leggi oggettive del movimento della società, della lotta tra le classi sfruttate e la borghesia imperialista. Il successo nella pratica è, in definitiva, il criterio della verità di ogni nostra linea e di ogni nostra idea.

In questo articolo vogliamo dimostrare che l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e l’analisi della società attuale insegnano concordemente

- che la rivoluzione proletaria ha la forma della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata,

- che il nuovo partito comunista deve essere costruito in modo da essere la direzione della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che in maniera confusa e dispersa si sta già sviluppando sotto i nostri occhi, onde renderla una guerra che le masse popolari conducono in modo via via più organizzato, prendendo l’iniziativa nelle loro mani, sotto la direzione lungimirante e capace della classe operaia organizzata nel suo partito comunista, ponendosi l’obiettivo della vittoria e dell’instaurazione del socialismo (passando insomma da una guerra che ora le masse subiscono difendendosi alla meno peggio e in ordine sparso, a una guerra che conducono come si deve condurla per vincere);

-  che esso deve essere costruito dalla clandestinità, come partito che non basa la sua esistenza sul margine di libertà di azione politica che la borghesia imperialista reputa le convenga consentire alle masse popolari, ma sulla sua capacità di esistere e di operare nonostante i tentativi della borghesia di eliminarlo e da qui sfrutta al massimo anche quel margine per la sua azione: solo dalla clandestinità il partito è in grado di raccogliere le forze rivoluzionarie che il corso della lotta tra le classi gradualmente genera, di dirigerle a educarsi alla lotta lottando e di accumularle fino a rovesciare l’iniziale sfavorevole rapporto di forza.

Illustriamo in questo articolo le risposte che noi diamo alle domande indicate. Pubblicheremo via via nei prossimi numeri della rivista le risposte che altri compagni daranno ad esse, in modo da raccogliere e poterci giovare nel lavoro che ci sta davanti del massimo dell’esperienza e della elaborazione attualmente disponibile. Le idee giuste vengono verificate dalla pratica e arricchite dal bilancio delle esperienze; nel bilancio delle esperienze le idee giuste si affermano contro le idee sbagliate: per questo sono indispensabili i dibattiti e le lotte ideologiche.

 

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