Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

06 L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo : quadro internazionale

Comunicato
mercoledì 15 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[6. L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo: quadro internazionale]

Le risposte che questo equilibrio politico dominante [EPD] intende dare alle contraddizioni generate dall’appro-fondimento della crisi-sviluppo dell’impe-rialismo e dalle politiche con cui sono state affrontate, fanno sostanzialmente parte di una strategia difensiva nei confronti della crisi del capitale e di attacco al proletariato, in funzione degli interessi della frazione dominante di BI.

L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo è il prodotto dell’in-ternazionalizzazione sia dell’economia reale sia dell’economia finanziaria. La tendenza all’internazionalizzazione dell’e-conomia reale e dell’economia finanziaria a sua volta si è accentuata con la modificazione degli equilibri inter-nazionali prodotta alla fine degli anni ’80 dal crollo degli Stati aderenti al patto di Varsavia. L’internazionalizzazione ha costituito la risposta complessiva di "sviluppo" alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e alla tendenziale caduta del saggio di profitto.

La caduta tendenziale del saggio di profitto ha acuito la concorrenza e la lotta per contendersi margini di profitto e spazi di mercato e ha spinto alla concentrazione e alla centralizzazione che si è combinata con il trasferimento su scala internazionale di parti del ciclo produttivo, in particolare quelle che richiedevano un elevato impiego di manodopera, nei paesi e nelle zone dove era possibile trovare forza-lavoro a costi ridotti. I processi di concentrazione e centralizzazione di capitale hanno accentuato la trasformazione dei capitali industriali in capitale finanziario [le aziende che si quotano in Borsa, ecc.], tipica dello stadio imperialista del capitalismo. Questa ha assunto una dimensione e una mobilità tali da costituire un fattore costante di potenziale destabilizzazione, aggravato dall’appro-fondimento del legame di interdipendenza che caratterizza il rapporto tra capitali e quello tra formazioni economico-sociali. Questa dinamica di crisi-sviluppo dell’imperialismo è alla base dell’aumentata pressione della BI sugli Stati e sulle forze politiche borghesi perché si facciano portatori in modo più netto dei suoi interessi. L’interesse comune delle varie componenti nazionali di BI si coagula e trova realizzazione 1. nell’imposizione di politiche di liberalizzazione e nella ristrutturazione delle diverse formazioni economico-sociali, funzionali a sostenere l’attuale livello di concorrenza monopolistica e a mantenere i necessari livelli di governabilità delle contraddizioni di classe e 2. nella definizione di politiche e di organismi politico-militari atti a sostenere la penetrazione economica, l’aggressione e l’oppressione politico-militare nei confronti di paesi politicamente autonomi dagli Stati dominanti della catena imperialista, in relazione all’attuale ridefinizione degli equilibri internazionali. Ma in questa fase storica il capitalismo non comporta l’espansione dell’attività economica della società: ciò rende immediatamente tangibile che l’affermazione di queste controtendenze, se consente di contenere gli effetti della crisi, in realtà si traduce in un approfondimento delle contraddizioni.

Nei paesi del centro la BI ha premuto o preme sui rispettivi Stati nazionali perché riorganizzino tutti i fattori competitivi a partire dalla gestione della forza-lavoro e riorganizzino complessivamente il ruolo dello Stato nell’economia, con i conseguenti riflessi sull’assetto politico-istituzionale delle democrazie rappresentative per adeguarlo ai nuovi termini di governo dell’economia e di governo del conflitto di classe e al ruolo che lo Stato deve svolgere negli attuali equilibri internazionali.

Su questi aspetti la BI, tramite i soggetti politico-istituzionali, media con le altre componenti della borghesia. [BC] La pressione della BI sugli Stati si riflette nell’assunzione, da parte degli Stati stessi, di un ruolo maggiore nelle politiche centrali dell’imperialismo. Attraverso questo ruolo, corrispondente sia al peso assunto dalla competizione a livello internazionale sia alla funzione politico-militare e diplomatica degli Stati, le varie componenti nazionali della BI ricercano condizioni politiche di vantaggio competitivo sul piano economico. Questo ruolo colloca l’autonomia e l’interventismo degli Stati dentro il quadro integrato e interdipendente delle aree economiche (ruotanti intorno ai poli statunitense, europeo e giapponese) e nell’ambito dei rapporti di forza storici tra i paesi della catena imperialista, in dialettica con la funzione e l’azione di organismi interstatali (UE, NATO, FMI).

Queste condizioni costituiscono fattori di acutizzazione dello scontro tra le classi. Esso è ulteriormente accentuato dal carattere non espansivo dello sviluppo capitalista, che produce conseguenze macroscopiche visibili negli elevatissimi livelli di disoccupazione e nell’incapacità del reddito da lavoro salariato di garantire la stabilità dei livelli di sussistenza, con una tendenza di fondo all’impoverimento.

Per altro verso, le politiche centrali dell’imperialismo, per instaurare le condizioni politiche ed economico-sociali rivolte ad approfondire la penetrazione economica della BI nei paesi dipendenti e in particolare nei paesi ex-socialisti, sono diventate un fattore di destabilizzazione di queste aree [non è chiaro se l’autore indica le aree economiche ruotanti attorno ai poli statunitense, europeo e giapponese o i paesi dipendenti] e definiscono il quadro politico in cui si sviluppa la tendenza alla guerra come risultato delle contraddizioni intrinseche dell’imperialismo. Contraddizioni che la BI cerca di risolvere intensificando per gradi l’intervento politico-militare, rivolto alla stabilizzazione del dominio imperialista.

Nell’area europea la BI ha perseguito linee di integrazione economica, politica e militare, al fine di rafforzare la capacità di dare risposte comuni alle contraddizioni generate dalla crisi. Quest’area del centro imperialista è storicamente investita da tutte le contraddizioni: proletariato/borghesia, nord/sud ed est/ovest.[CI] La sua frammentazione politica costituiva un ostacolo alla liberalizzazione dei mercati e alla dimensione internazionale della concorrenza tra monopoli. La frazione dominante della BI ha affrontato questo ostacolo con passaggi politici e indirizzi atti a rispondere sia alla necessità di unificare l’Europa in quanto mercato delle merci, dei capitali e della forza-lavoro, sia alla necessità di rendere gli Stati europei più attivi sul piano delle politiche economiche e sul piano politico e militare. Infatti questi Stati, presi uno per uno, sono privi della dimensione e della capacità necessarie per svolgere un ruolo che affianchi gli USA (e il Giappone) nell’affrontare le misure sempre più critiche richieste per il mantenimento del dominio imperialista. Ne è risultato un progetto caratterizzato da relazioni interstatali e non sovrastatali e che diventa, nei rispettivi ambiti nazionali, lo strumento di una pressione politica rappresentativa degli interessi comuni della frazione dominante della BI e in particolare, del ruolo del capitale finanziario che, nell’imperialismo, tende a sussumere il capitale industriale. D’altra parte tale progetto ha risposto anche alle specifiche esigenze del capitale monopolistico a base europea, in quanto è la condizione per poter esercitare il proprio ruolo nella concorrenza internazionale, come richiedevano le nuove dimensioni dell’accumulazione capitalista raggiunte nella crisi subentrata all’espansione della ricostruzione postbellica e le politiche liberiste già avviate dal polo dominante statunitense. Nell’affermazione del processo di coesione europea una funzione centrale di spinta è stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza economica europea. Tale ruolo si è ulteriormente accentuato con la fine degli equilibri di Yalta, con l’inglobamento dell’ex-DDR, con l’esportazione di capitali nei paesi dell’Est europeo e con l’influenza politica che la Germania vi esercita. All’accentuazione del ruolo economico della Germania si è affiancato un intensificato adeguamento della sua capacità di intervento militare e della sua legislazione che lo limitava, nel quadro dell’integrazione nella NATO e con l’assunzione di iniziative per la creazione di strutture militari interforze a livello bilaterale nel quadro europeo (ad esempio con la Francia). A seguito dell’adozione di politiche economiche comuni e di linee di riforma economico-sociale omologhe, i differenti gradi di sviluppo delle singole formazioni economico-sociali appartenenti all’UE e i differenti gradi di sviluppo all’interno delle stesse costituiscono un fattore favorevole ai capitali monopolistici europei nella concorrenza sul piano internazionale. Essi infatti si avvantaggiano della competizione interna alla UE stessa e ai singoli paesi che viene imposta dalle politiche economiche e viene incentivata dalle politiche specifiche. Al contrario questa dinamica condanna all’inesorabile declino quelle aree che non presentano sufficienti vantaggi competitivi e consente al capitale operante in Europa, nel suo complesso, di esercitare una forza maggiore nella contrattazione salariale e nel mercato del lavoro. Il progetto della coesione europea sta compiendo il passaggio cruciale dell’adozione di una moneta unica. L’Unione Europea si sta attrezzando politicamente e istituzionalmente per inglobare organicamente quei paesi dell’Est europeo che riescono a raggiungere quelle condizioni macroeconomiche che vengono valutate funzionali all’investimento di capitali (l’allargamento dell’UE). Essa costituisce un nuovo ambito di relazione del quadro politico nazionale che si aggiunge a quello Atlantico di cui supporta il ruolo di dominio nell’area Mediterranea-Mediorientale e nell’Est europeo. È entro l’ambito Atlantico e in riferimento ad esso che l’UE costruisce le condizioni politiche istituzionali e materiali atte a consentire ai suoi Stati di svolgere sia una funzione economica più adeguata alle attuali dimensioni dell’accumulazione capitalista sia un ruolo politico-militare più attivo e incisivo nelle aree in cui il dominio imperialista deve essere stabilizzato, affinché la NATO nel suo complesso sia capace di affrontare anche un conflitto in più teatri o un conflitto generalizzato. L’UE svolge quindi un ruolo che non è né antagonista al polo dominante statunitense né asservito ad esso, ma è unitario, a causa dei processi di internazionalizzazione e dei legami di interdipendenza che si sono storicamente affermati tra gli Stati dominanti della catena imperialista con la capillare presenza di capitali USA in Europa e viceversa.[CI]

Infatti le politiche controrivoluzionarie e militari contemplate dal progetto di Unione Europea e le politiche di allargamento ad Est sono determinate da specifici interessi degli Stati europei ma sono complementari al progetto di ridefinizione del ruolo della NATO, in funzione sia del dominio imperialista sui paesi dell’Europa orientale, balcanica e dell’area Mediterranea-Mediorientale, sia del rafforzamento del dominio interno. Infatti il capitale finanziario, la sua concentrazione e la sua centralizzazione si sono, fin dal dopoguerra, sviluppate trasversalmente nei paesi dominanti della catena e in un ambito separato da quello del campo socialista e hanno fatto prevalere sulle intrinseche, ma relative, istanze concorrenziali, le istanze dell’interdipendenza tra i capitali monopolistici e conseguentemente anche tra le formazioni economico-sociali. L’interdipendenza si è progressivamente rafforzata man mano che, nelle crisi, le tendenze oggettive e le politiche applicate approfondivano il grado di concentrazione e di centralizzazione del capitale. L’integrazione europea favorisce le tendenze del capitale alla concentrazione e alla centralizzazione e perciò favorisce anche la sua crisi di sovrapproduzione. Questa crisi può mutarsi in una fase espansiva solo passando attraverso una grande distruzione di capitali e di forze produttive che solo una guerra di estese proporzioni può produrre, come gli esiti non espansivi dei processi di penetrazione nei paesi dell’Est e delle aggressioni imperialiste hanno ampiamente dimostrato in questi anni.[CG] [TG]

Sul piano delle relazioni politiche tra le classi, nella loro determinazione storica di fase, l’aspetto principale è lo spostamento dei rapporti di forza nella contraddizione rivoluzione/controrivolu-zione, uno spostamento dovuto all’affer-mazione di un processo controrivo-luzionario.[PC]

1. Nei paesi del centro imperialista e in particolare in Europa il processo controrivoluzionario si è dispiegato a partire dall’attacco militare e politico al ruolo che la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo ha svolto come proposta politico-organizzativa adeguata a sviluppare il processo rivoluzionario nelle attuali forme di dominio dell’imperialismo.

2. Con la crisi e la caduta degli Stati a transizione socialista (1989-1991), il processo controrivoluzionario ha modificato le condizioni di forza che, a partire dalla Rivoluzione Sovietica, si erano prodotte nella contraddizione BI/proletariato internazionale. Sebbene questa condizione di vantaggio non sia acquisita in modo definitivo e sebbene la borghesia non possa cancellare la prospettiva storico-politica che la Rivoluzione d’Ottobre (1917) ha introdotto nella storia del proletariato e dell’umanità, gli assetti internazionali ne sono stati mutati profondamente.[rev] La situazione di sostanziale equilibrio strategico tra gli Stati dell’Alleanza Atlantica e quelli del campo socialista aveva favorito i processi di autodeterminazione dei popoli dei paesi dominati. Ad essa ora è subentrata una situazione di squilibrio politico-militare a vantaggio della NATO. Da ciò è derivato sia l’intensificarsi dell’impiego della sua forza militare sia l’intensificarsi della sua iniziativa politica per legittimare gli interventi, con la formulazione di principi di diritto internazionale che sanzionano il nuovo quadro dei rapporti di forza internazionali.

Esempi di tali principi di diritto sono:

1. il "diritto di ingerenza umanitaria": con esso l’Alleanza imperialista cerca di giustificare il ruolo di gendarme e di stabilizzare il suo retroterra politico dal quale poter aggredire qualsiasi popolo;

2. il riconoscimento ai tribunali creati dagli Stati della catena imperialista della facoltà di processare qualunque combattente antimperialista a cui gli Stati imperialisti attribuiscono l’etichetta di criminale di guerra.

Si tratta di fattori con cui l’imperialismo vuole ratificare lo stato dei rapporti di forza internazionali in un ruolo di dominio legittimato.

Gli eventi bellici che si sono succeduti in questo decennio hanno dimostrato

1. che sulla base di questo quadro la tendenza alla guerra indotta dalla crisi di sovrapproduzione di capitale si sviluppa e si trasforma in guerra,[TG] [SAC]

2. che la direttrice di questo processo non è altro che la storica direttrice est-ovest, stante il grado di interdipendenza maturato tra gli Stati della catena imperialista cementato dal comune attuale interesse di imporre il proprio dominio ovunque questo non si sia già consolidato o non sia realizzabile né per via economica né con limitate offensive militari.[CI]