La Voce 15

Dalla produzione mercantile tramite il capitalismo alla società comunista

venerdì 16 maggio 2003.
 

 

Abbiamo una produzione mercantile (o produzione di merci) quando e là dove 1. si hanno individui reciprocamente liberi da vincoli di dipendenza personali (come quelli che invece esistono tra schiavo e padrone, tra servo della gleba e nobile o prete) e di solidarietà (come quelli che invece esistono tra membri di una stessa famiglia, clan o tribù) e 2. ogni individuo produce cose che cede ad altri (o compie servizi a favore di altri) e solo in cambio di cose (o di servizi) che questi a loro volta producono. I protagonisti di rapporti di produzione mercantile non riconoscono alcun rapporto di dipendenza l’uno dall’altro, benché in realtà ognuno di essi riesce a vivere solo grazie a quello che altri producono e scambiano con quello che egli produce. Dove invece vige una economia basata sulla produzione per l’autoconsumo, ogni gruppo di individui - legati tra loro da vincoli di solidarietà o di dipendenza personale - produce tutto quello che i suoi membri usano per vivere. Al contrario ogni membro di una società mercantile (cioè di società la cui economia è totalmente o principalmente basata sulla produzione di merci) per sopravvivere ha assoluto bisogno che nell’intera società ogni membro (che tuttavia è indipendente) svolga regolarmente la sua attività di produzione e di scambio. La dipendenza non è più personale. È diventata una dipendenza anonima, impersonale, più larga ma non per questo meno ferrea. E non è più dipendenza da questo o quell’individuo, ma dalla società nel suo assieme. La condizione di ogni membro della società è diventata contemporaneamente più libera e più precaria. È vero che egli non dipende da alcun individuo particolare. Gli basta che vi sia nella società qualcuno, chiunque sia, che produca quelle determinate cose o servizi di cui egli ha bisogno e che lo scambio possa realizzarsi. Quindi nella realtà non vi è più dipendenza da uno o da alcuni determinati individui, ma dipendenza da una condizione sociale anonima e impersonale. La reciproca dipendenza tra membri della società mercantile si presenta quindi a ognuno di essi come necessità e possibilità di produrre e scambiare cose e servizi. Il regolare procedere della propria vita sembra ad ognuno di essi dipendere in pari misura 1. dalla quantità e qualità delle cose che egli produce, 2. dalla possibilità che egli ha di scambiarle regolarmente con altri membri della società, 3. dal fatto che altri producono regolarmente (e allo scopo di scambiarlo) quanto a lui è necessario. Alle cose (e ai servizi) che ognuno di essi produce, essi attribuiscono una comune proprietà che chiamiamo valore. Nei loro reciproci rapporti ogni cosa (o servizio) prodotta entri in gioco e vi svolge un ruolo in quanto c’è un valore: così come in un campo gravitazionale ogni cosa esiste solo in quanto è una massa gravitazionale o in un campo elettrico ogni cosa esiste solo in quanto è una carica elettrica. All’inverso, ogni cosa (o servizio) è un valore se uomini reciprocamente liberi e indifferenti l’uno alla sorte dell’altro, la producono per scambiarla con altre cose (o servizi) che altri a loro volta producono con lo stesso scopo, cioè come valori. In questo consiste la sostanza di valore di quella cosa o di quel servizio. 

In una società a economia mercantile gli uomini e le donne considerano i loro prodotti come enti dotati di una comune proprietà che ognuno di essi riconosce ed onora, come ogni cristiano riconosce e onora il corpo di Cristo in ogni ostia consacrata o come ogni fedele o suddito riconosce ed onora la regalità di ogni re. Per essi ogni prodotto è un valore. Essi li scambiano tra loro facendo riferimento a questa proprietà (reale ma non sensibile, oggettiva ma sociale) dei loro prodotti e in quanto ogni prodotto è un valore, è depositario di valore, sebbene ognuno di essi lo sia in quantità diversa: come in ogni campo gravitazionale ogni massa non solo ha peso, ma anche ha un suo determinato peso. 

Le relazioni sociali stabilite su questa base, le relazioni sociali di una società a economia mercantile costituiscono nel loro insieme il rapporto di valore. (1) Si tratta di un rapporto di produzione storicamente determinato già presente in forme più o meno sviluppate in molte delle società più antiche che conosciamo, ma in nessuna di esse come rapporto di produzione principale. Solo nella società capitalista sviluppatasi in Europa occidentale nel II millennio d.C. essa diventa il rapporto principale. 

Come si vede, fin qui non abbiamo ancora incontrato il problema della determinazione della quantità di valore di uno o di un altro prodotto, della misura del suo valore e tanto meno del rapporto tra le quantità secondo le quali produttori scambiano tra loro due prodotti. Il rapporto sociale di valore (e, all’inverso, la sostanza di valore di un prodotto) non implica l’una piuttosto che l’altra determinazione quantitativa del valore - come il fatto che un corpo sia una massa gravitazionale non implica che esso abbia un peso piuttosto che un altro. Benché ogni valore abbia almeno una determinazione quantitativa, diversa a seconda delle circostanze ma in ogni singolo caso determinata: perché esso è un valore in quanto viene effettivamente scambiato con un altro e cessa di esserlo al di fuori di una società in cui viene effettivamente scambiato. Il problema del valore di scambio dei prodotti e i problemi connessi, fino a quello del loro prezzo corrente, che tanto ha occupato e occupa intellettuali che pure si dicono marxisti come se fosse il problema centrale dell’analisi marxista della società capitalista e della verifica della sua validità, può essere risolto e deve essere risolto sulla base di determinazioni più concrete e particolare di quella del semplice rapporto di valore. (2) La sostanza di valore implica solo la connessione sociale di uomini, reciprocamente liberi e non sensibili a rapporti di solidarietà, tramite il libero scambio dei rispettivi prodotti sulla base di una proprietà (il valore) che "tutti" riconoscono in questi. "L’eguaglianza, l’eguale dignità di tutti i lavori umani perché e in quanto sono generico lavoro umano trova la sua espressione più netta, anche se inconsapevole, nella legge del valore della moderna economia borghese, secondo la quale legge il valore di una merce viene misurato mediante il lavoro socialmente necessario in essa contenuto" (Engels, Anti-Duhring, cap. 10). Engels cioè afferma che una cosa è la legge dell’economia politica borghese (che Marx critica) e un’altra è il rapporto di valore che è "l’eguaglianza, l’eguale dignità di tutti i lavori umani". 

La società capitalista è uno sviluppo ulteriore della società mercantile. L’economia mercantile semplice non poteva generalizzarsi (estendersi su larga scala) restando "semplice". Lo impediva la millenaria tradizione di divisione della popolazione in classi di oppressi e oppressori, di sfruttati e sfruttatori: una divisione che, nella ristrettezza dei beni di consumo che gli uomini riuscivano a produrre, era una condizione necessaria del progresso civile e che in più aveva generato anche nelle classi oppresse abitudini e culture ad essa corrispondenti. Lo impediva anche la natura stessa della produzione mercantile. Essa di per se stessa comportava una dispersione (atomizzazione, individualizzazione) delle forze produttive della società rispetto alla concentrazione di esse agli ordini delle classi dominanti realizzata nei vecchi modi di produzione (schiavismo, dispotismo asiatico, feudalesimo, ecc.). Quindi comportava una regressione che avrebbe reso impossibile la costruzione e persino la conservazione di strumenti produttivi essenziali come gli acquedotti romani, i sistemi di irrigazione indiano o cinese, la rete stradale romana, ecc. Quindi la società mercantile si generalizzò solo combinandosi con l’esistente divisione in classi, nella società capitalista. Nella società capitalista i mezzi e le condizione necessari per produrre sono concentrati nelle mani di una classe particolare come proprietà personale dei suoi membri, mentre la forza-lavoro dei membri di un’altra classe, i proletari, è essa stessa un valore, un oggetto di compra-vendita, una merce: utile a chi la possiede solo se riesce a venderla, a scambiarla con merci di tipo diverso (i suoi mezzi di sussistenza). La massa della popolazione, costituita da proletari, ha un solo ed eguale tipo di merce da vendere, la forza-lavoro. Tutti i proletari la devono vendere ai capitalisti, che sono i principali compratori, o in subordine all’amministrazione pubblica, alla piccola borghesia (imprese familiari e artigiane) o a istituzioni varie. Un proletario non è obbligato a venderla a questo piuttosto che a quel capitalista. Non esiste a priori un rapporto di dipendenza personale. Deve però trovare almeno un capitalista che voglia acquistarla. Questa è la base della dipendenza anonima e impersonale dei proletari dai capitalisti. 

Il progresso della società capitalista ha via via accentuato fino a renderla assoluta la dipendenza anonima e impersonale dei proletari dai capitalisti, eliminando ogni altra possibilità di sussistenza al di fuori della vendita della propria forza-lavoro. Nel corso di quel progresso i mezzi e le condizioni della produzione si sono sempre più concentrati nelle mani dei capitalisti e proprio la loro concentrazione è stata la condizione dell’enorme potenziamento delle forze produttive socialmente disponibili. Nello stesso tempo una porzione sempre più estesa di beni e di servizi che gli uomini e le donne usano per la loro vita sono diventati merci, la loro varietà si è moltiplicata e la loro qualità ha raggiunto livelli mai immaginati prima. 

Gli uomini e le donne nel corso della loro storia hanno adottato e combinato tra loro i vari modi di produzione che abbiamo ricordato: produzione per l’autoconsumo, schiavismo, feudalesimo, produzione mercantile, capitalismo. Ma li hanno adottati inconsapevolmente, come sviluppi spontanei e accidentali della loro storia. Di regola in ogni paese più modi di produzione sono stati contemporaneamente presenti e si sono variamente compenetrati, benché di regola uno di essi fosse quello che coinvolgeva la maggioranza della popolazione e caratterizzava l’intera società, la sua cultura e le sue istituzioni politiche: era il rapporto di produzione principale o dominante. Nei periodi di transizione, uno di quei modi di produzione era il modo dirigente: quello che stava assorbendo gli altri, che si allargava a spese degli altri e già riverberava la sua luce sugli altri. Per comprendere i rapporti di produzione della popolazione di un paese concreto bisogna studiare quali tra i vari modi di produzione individuati nello studio della storia umana sono in esso presenti. 

La concentrazione dei mezzi e delle condizioni della produzione fino a farne un patrimonio unico della società, l’allargamento della società fino a comprendere l’intera umanità, il superamento dei rapporti di dipendenza personale e dei rapporti di solidarietà naturali (di sangue, di vicinato, ecc.) segnano la differenza tra i vari modi di produzione e segnano in generale le tappe del progresso della civiltà umana. 

La società comunista è la prima società che gli uomini e le donne costruiscono consapevolmente. Il passaggio al comunismo (si badi bene, qui si parla di comunismo non di socialismo) non può completarsi senza che prima esso sia diventato anche progetto, aspirazione e volontà di una parte importante della popolazione, quindi senza la preliminare creazione di società socialiste. Nella società comunista non sopravvive più né il rapporto di capitale né il rapporto di valore. Gli uomini e le donne associati dispongono in comune dei mezzi e delle condizioni della produzione e suddividono tra loro i compiti della produzione delle varie condizioni della loro esistenza di cui vogliono disporre, in modo che ognuna sia prodotta nella quantità di cui vogliono disporre e sia disponibile nei tempi, nei luoghi e nelle forme in cui ognuno di essi ne deve disporre. Tutte le aziende di un paese (e in prospettiva del mondo intero) interagiscono tra loro grosso modo come ora interagiscono tra loro i reparti di una stessa azienda: tra di essi vi è una precisa divisione del lavoro ed essa non è basata sullo scambio dei rispettivi prodotti, ma sul piano aziendale di produzione. 

La società socialista è la società di passaggio dal capitalismo (e dagli altri più antiquati modi di produzione che sopravvivono nella società capitalista) al comunismo. Essa è quindi per sua natura una unità di opposti: può essere compresa e deve essere studiata come unità di opposti, cosa che pochi degli studiosi dei primi paesi socialisti, anche di quelli che si dicono marxisti e persino comunisti, hanno sinora fatto. (3) Nel corso della società socialista gli uomini e le donne formano gradualmente un’associazione tale da avere le caratteristiche necessarie per gestire in comune la produzione e la distribuzione. Quindi creano in se stessi le condizioni intellettuali e morali, escogitano e verificano gli istituti e le istituzioni necessari perché una simile associazione possa esistere. La storia dei primi paesi socialisti ha mostrato, sia nella loro fase di ascesa sia nella loro fase di decadenza, i primi passi delle vie attraverso le quali si compie quel passaggio e i primi problemi che bisogna risolvere per progredire in esso. Essi sono stati la prima raffigurazione su grande scala della nostra storia futura. 

 

Rosa L.



Note

1. La trattazione più profonda, benché esposta in un linguaggio oggi poco accessibile, del rapporto di valore è nel capitolo 1 del libro 1 di Il Capitale di Karl Marx. 

2. Vedasi ad esempio il dibattito a cui fa riferimento Costanzo Preve sul suo intervento su Contropiano n.4/2002. 

3. Una felice eccezione è l’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo, Ed. Rapporti Sociali - 2003.