La Voce 24

Ancora sulla costruzione del Partito

mercoledì 28 marzo 2007.
 

Ancora sulla costruzione del Partito

Il consolidamento e rafforzamento del Partito richiedono certamente uno sviluppo quantitativo: del numero degli operai avanzati e degli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari che aderiscono al Partito e del numero degli organismi di base (dei Comitati di Partito) e delle squadre o commissioni di lavoro che costituiscono la struttura clandestina del Partito. Un simile sviluppo quantitativo è indispensabile perché il Partito adempia effettivamente al suo compito di Stato Maggiore della classe operaia, di direzione delle masse popolari nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Contemporaneamente il consolidamento e il rafforzamento del Partito richiedono anche un miglioramento qualitativo delle strutture già esistenti del Partito: della loro dedizione alla causa del comunismo, della loro capacità di orientarsi e della loro capacità di orientare, del loro metodo di lavoro, della loro disciplina.

In questo secondo ambito, una delle questioni importanti è l’elevamento del carattere professionale del lavoro di ogni organismo e di ogni singolo compagno. A questo fine bisogna imparare a valutare la loro attività principalmente sulla base dei risultati oggettivi di essa, anziché delle intenzioni dei compagni. Certamente hanno grande importanza per il nostro lavoro anche le intenzioni dei compagni, la loro lealtà al Partito e la loro personale dedizione alla causa del comunismo, la loro capacità di sacrificarsi resistendo alle minacce e alle lusinghe della borghesia per quanto gravi esse siano, la loro capacità di continuare a svolgere il lavoro che il Partito ha loro assegnato quali che siano le circostanze. Si tratta di una serie di fattori di grande importanza ai fini del successo della nostra causa e, nell’immediato, del consolidamento e rafforzamento del Partito. Ma noi tutti dobbiamo fare uno sforzo per abituarci a valutare ognuno la propria attività (autocritica) e l’attività degli altri compagni e di ogni organismo (critica) principalmente sulla base dei risultati effettivi, oggettivi della loro attività, anziché principalmente sulla base delle loro intenzioni, speranze, propositi o illusioni. “Le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”, dice un vecchio proverbio. Se la casa che un muratore sta costruendo crolla, per buone che siano le intenzioni del muratore, egli non è ancora adeguato al suo compito. Per chi aspettava la casa, il principale aspetto della cosa è che la casa non c’è. I soggettivisti e i moralisti mettono in primo piano, considerano principalmente o perfino esclusivamente le intenzioni: “io credevo che ...”, “io pensavo che...”, “io ho dedicato tutto me stesso al Partito”, ecc. Tutto questo certo è importante. Ogni compagno deve costantemente confermare questa sua dedizione alla causa: la dimostrerà in primo luogo proprio adottando come criterio principale di valutazione di se stesso, della sua capacità, del suo livello il risultato concreto delle sue azioni anziché le sue intenzioni, speranze e illusioni. Ai fini del progresso della nostra causa, ciò che conta è soprattutto il risultato, l’effetto concreto dell’attività.

In secondo luogo, nella valutazione dell’effetto concreto dell’attività, occorre essere materialisti dialettici, occorre essere quanto più possibile materialisti dialettici. Bisogna vedere ogni cosa come componente e fattore di un movimento, del processo di cui fa parte: ogni cosa si trasforma, è in corso di trasformazione, è generata e genera, ci insegna la dialettica. Vedere ogni cosa nella sua connessione con le altre: ogni cosa è legata a tutte le altre, ci insegna la dialettica. Quindi la valutazione degli effetti della nostra attività sarà tanto più giusta quanto più conosciamo il movimento in corso, le circostanze e il contesto in cui l’attività è inserita. Nelle condizioni della clandestinità, la compartimentazione comporta che ogni compagno conosce solo in parte, a volte perfino poco o nulla, il contesto in cui si colloca la sua attività. È quindi il responsabile o l’organismo dirigente che è meglio in grado di valutare gli effetti effettivi dell’attività di un compagno o di un organismo. Infatti spesso il singolo compagno o il singolo organismo conosce solo parzialmente, più o meno limitatamente, il contesto e quali erano gli effetti che la sua attività doveva produrre e quali gli effetti che ha effettivamente prodotto. Chi dirige deve anzitutto considerare gli effetti oggettivi dell’attività. In base ad essi deve valutare l’idoneità dei compagni e dell’organismo al compito loro assegnato e il livello dei compagni e degli organismi, assegnare i compiti e dividere il lavoro. Non si devono mantenere negli incarichi assegnati i compagni che non riescono ad adempierli, nonostante le critiche e gli sforzi per migliorare. Solo ai fini della formazione dei compagni, della valutazione del compagno, ecc. chi dirige deve tenere accuratamente conto anche delle intenzioni, dello stato soggettivo dei compagni.

Rosa L.